TAR Roma, sez. II, sentenza 2011-06-01, n. 201104982

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. II, sentenza 2011-06-01, n. 201104982
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201104982
Data del deposito : 1 giugno 2011
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00110/2011 REG.RIC.

N. 04982/2011 REG.PROV.COLL.

N. 00110/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 110 del 2011, proposto da:
Soc Ariete Fattoria L S Spa, rappresentata e difesa dagli avv. M A P, R A, F L B e M S, con domicilio eletto presso Studio Legale Sanino in Roma, viale Parioli, 180;

contro

Comune di Roma, rappresentato e difeso dagli avv.ti A M e N S, domiciliato per legge in Roma, via Tempio di Giove, 21;

nei confronti di

Soc. P Spa, rappresentata e difesa dagli avv. F B, V C I, Stefano D'Ercole e Carlo Malinconico, con domicilio eletto presso l’avv. V C I in Roma, via Dora, 1;
Soc. C Finanziaria Spa in amm.ne straordinaria, rappresentata e difesa dall'avv. Angelo Clarizia, con domicilio eletto presso l’avv. Angelo Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde, 2;

per l'ottemperanza alla sentenza della V Sezione del Consiglio di Stato1 marzo 2010 n. 1156, resa sugli appelli riuniti nn. 4472/2007, 8595/2007, 9818/2007 e 9727/2007.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Roma e di Soc P Spa e di Soc C Finanziaria Spa in amm.ne Straordinaria;

Viste le memorie difensive;

Visto l 'art. 114 cod. proc. amm.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 13 aprile 2011 il dott. Salvatore Mezzacapo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con il presente ricorso per ottemperanza è chiesto all’adito Tribunale di voler adottare tutti i provvedimenti necessari a dare piena ottemperanza alla sentenza della V Sezione del Consiglio di Stato 1° marzo 2010 n. 1156, nominando all’uopo un commissario ad acta, disponendo il sequestro conservativo delle azioni della Centrale del Latte di Roma intestate alla P, condannando il Comune di Roma al risarcimento del danno nonché lo stesso Comune di Roma ma unitamente a C e P al risarcimento del danno per la mancata esecuzione della citata sentenza.

Con la sentenza di cui in epigrafe, il Consiglio di Stato ha deciso l’appello sulle sentenze del TAR del Lazio n. 3347 del 2007 e n. 7119 del 2007.

2. La complessiva controversia di cui è questione origina da un ricorso notificato in data 26/27.10.2000, depositato il 15.11.2000, dalla s.p.a. Ariete Fattoria L S.

2.1. Questa espone che, con delibera 8 luglio 1996 n. 132, il Consiglio comunale di Roma ha stabilito le modalità di presentazione delle offerte per l’acquisizione di una partecipazione della costituenda Centrale del Latte di Roma, specificando i requisiti della partecipazione alla negoziazione, nonché gli elementi rilevanti ai fini della valutazione e della formulazione del piano industriale che avrebbe dovuto presentarsi con l’offerta;
ha quindi evidenziato che, con avviso pubblicato sulla stampa in data 2 ottobre 1996, il Comune di Roma ha sollecitato la presentazione di “manifestazioni di interesse” dei privati per l’acquisizione di detta partecipazione. Aggiunge che nella lettera di invito del 30 dicembre 1996, inviata anche alla società ricorrente, sono state indicate le condizioni e i requisiti che l’offerta avrebbe dovuto contenere, fra cui, in particolare, quella che l’offerta sarebbe stata presentata per l’acquisizione del 75% del capitale della Centrale del Latte di Roma e che il Comune avrebbe mantenuto una partecipazione del 5% del capitale della società, riservandosi di attribuire direttamente una partecipazione del 20% ai produttori locali di latte fresco all’uso alimentare umano, indipendentemente dall’eventuale presenza di tali operatori fra i partecipanti all’offerta.

2.2. Alla lettera d’invito, con cui sono state anche precisate le modalità di presentazione dell’offerta, è stato allegato uno schema di contratto da compilarsi dall’offerente in ogni sua parte e recante gli impegni che questi avrebbe dovuto assumere verso il Comune, tra cui quello di non cedere a terzi le azioni della Centrale del latte di Roma per un periodo non inferiore a cinque anni.

E’ stato previsto che la violazione del divieto di alienazione della quota sociale sarebbe stata sanzionata, oltre che con il pagamento di una fortissima penale (pari al prezzo di acquisto della quota stessa) e con il risarcimento dell’ulteriore danno previsti dall’art. 9, lettera c) dello schema dei patti parasociali (da sottoscriversi tra le parti contestualmente alla stipulazione del contratto di compravendita), con la risoluzione di diritto sancita dall’articolo 16 dello schema di contratto.

2.3. All’esito della procedura di negoziazione volta all’individuazione dell’acquirente finale -procedura alla quale ha partecipato la società odierna ricorrente- è stato stipulato, in data 26 gennaio 1998, il contratto di compravendita della quota di maggioranza in favore della C s.p.a., a seguito della presentazione di un’offerta notevolmente superiore rispetto a quella avanzata dai soggetti interessati all’acquisizione della società.

2.4. Subito dopo la C s.p.a. ha conferito l’intera sua divisione latte, ivi compresa l’acquisita partecipazione della Centrale del Latte, ad una società da essa controllata, la Eurolat s.p.a., la quale è stata successivamente ceduta al gruppo P s.p.a..

2.5. A seguito di tanto, e nella considerazione che l’aggiudicataria avesse contravvenuto al divieto di dismissione della quota azionaria già acquisita, l’Ariete Fattoria L S s.p.a., in data 18 luglio 2000, ha notificato al Comune di Roma un atto di significazione, diffida e messa in mora con cui chiedeva a quest’ultimo di esercitare il potere di autotutela, procedendo alla risoluzione del contratto stipulato con la C s.p.a. (ai sensi della clausola risolutiva espressa ivi prevista all’art. 16) e all’indizione di una nuova gara.

2.7. A seguito dell’inerzia dell’intimato Comune, la Ariete Fattoria L S s.p.a., con l’atto introduttivo del giudizio n. r.g. 19194 del 2000, ha chiesto l’annullamento e la declaratoria di illegittimità, ai sensi dell’art. 21 bis della L. n. 1034 del 1971, del silenzio-rifiuto formatosi su detto atto notificato il 18 luglio 2000;
inoltre ha chiesto la declaratoria dell’obbligo del Comune di Roma di risolvere detto contratto e contestualmente indire nuova gara, in sede di reintegrazione specifica ai sensi dell’art. 7 della L. n. 1034 del 1971 e dell’art. 35 del D.Lgs. n. 80 del 1998, nonché la condanna, ai sensi dell’art. 7 della L. n. 1034 del 1971 e dell’art. 35 del D.Lgs. n. 80 del 1998, del Comune stesso al risarcimento, anche in forma specifica, del danno subito dalla ricorrente, direttamente e indirettamente conseguente alla stipula del contratto di cui trattasi, fino al soddisfo, con interessi legali e rivalutazione monetaria.

3. Con sentenza n. 506 del 28.1.2003 la Sezione II di questo Tribunale ha declinato la propria giurisdizione in favore del Giudice ordinario.

3.1. Con decisione n. 4167 del 14 luglio 2003 la Sezione quinta del Consiglio di Stato ha riformato la suddetta sentenza, affermando la giurisdizione del giudice amministrativo e rimettendo l’affare a questo Tribunale.

3.2. Avverso detta decisione del Consiglio di Stato, ad opera del Comune, di Roma, relativamente alla questione di giurisdizione è stato proposto ricorso per Cassazione, che è stato deciso con sentenza della Corte Suprema di Cassazione, Sezioni unite civili, n. 9103 del 3 maggio 2005, di reiezione del ricorso principale e di declaratoria di inammissibilità del ricorso incidentale della P s.p.a..

3.3. Con sentenza di questo Tribunale n. 2883/2006 del 16.4.2006 il giudizio è stato definito nel merito, con accoglimento in parte del ricorso e condanna del Comune alle spese del giudizio.

3.4. La detta sentenza è stata annullata in sede di appello con la sentenza del C.d.S. n. 247/2006 per difetto di integrità del contraddittorio non essendo stato il ricorso originario notificato alla società Eurolat s.p.a. ritenuta quale controinteressato sostanziale.

3.4. Parte ricorrente ha quindi provveduto alla disposta integrazione del contraddittorio nei termini e modi ivi indicati ed ha conseguentemente proceduto alla notifica del ricorso per riassunzione dinanzi a questo Tribunale.

4. Con la sentenza di questo Tribunale 27 luglio 2007 n. 7119, confermata in appello con la decisione del Consiglio di Stato della cui esecuzione si tratta nella presente sede, è stato innanzitutto affermato che “ Effettivamente a seguito delle sentenze del C.d.S. n. 4167/2003 del 14.7.2003 e della Cass. SS.UU. n. n. 9103/2005 del 3.5.2005 si è formato il giudicato interno in ordine alla giurisdizione del g.a. adito ”. Ed infatti con entrambe le richiamate decisioni, sebbene con percorsi logico-giuridici diversi e pertanto sulla base di presupposti normativi non coincidenti, è stata riconosciuta la giurisdizione del g.a. adito.

4.1. In particolare con la richiamata sentenza del C.d.S. n. 4167/2003, previa la preliminare qualificazione della domanda proposta con il ricorso introduttivo e con il successivo ricorso per motivi aggiunti e come specificata in sede di conclusioni, si è proceduto alla individuazione della causa petendi e del petitum sostanziale, ritenendosi, appunto, la funzione meramente strumentale del ricorso da parte della società ricorrente al procedimento speciale sul silenzio-rifuto di cui all’art. 21 bis della L. n. 1034/1971, atteso che, nella sostanza, ciò che detta parte ricorrente ha chiesto è la verifica della correttezza e della legittimità dell’esercizio della funzione amministrativa ( ossia della legittimità degli atti e del comportamento complessivamente tenuto dall’amministrazione comunale nel gestire la procedura in questione soprattutto nella fase successiva all’aggiudicazione).

In particolare, l’attenzione si è concretata sul problema concernente la verifica della ammisssibilità o meno della negoziabilità delle condizioni di vendita del pacchetto azionario di maggioranza di una s.p.a. a totale partecipazione pubblica successivamente alla stipulazione del relativo contratto di dismissione con conseguente accertamento, in caso di riscontro negativo, della invalidità ( nei termini della nullità) degli eventuali detti accordi successivi alla stipula del contratto a seguito dell’aggiudicazione per il ritenuto difetto della capacità di agire della p.a. ( in conseguenza della ritenuta intervenuta cristallizzazione delle condizioni di contratto negli atti di gara), richiamandosi, a tal fine, il principio in punto di diritto espresso al riguardo nella sentenza del C.d.S. n. 6281/2002 nonché nel parere della Comm. Spec. del 12.10.2001 n. 1084/00.

4.2. Percorrendo la detta strada si è giunti pertanto al riconoscimento della sussistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulla cd. rinegoziazione delle clausole contrattuali successiva alla stipulazione del contratto a seguito della gara ex art. 33, co. 2, lett. d), del D. lgs. n. 80/1998, come modificato dalla L. n. 205/2000, applicato in via analogica, in quanto trattasi, nel caso di specie, non di un affidamento di appalto, bensì della cessione del pacchetto azionario di maggioranza di una impresa pubblica ( nella parte in cui dispone testualmente che “ 2. Tali controversie sono, in particolare, quelle: … d) aventi ad oggetto le procedure di affidamento di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, svolte da soggetti comunque tenuti alla applicazione delle norme comunitarie o della normativa nazionale o regionale;”), in quanto pertinenti alla verifica della regolarità dell’aggiudicazione dell’appalto ( o di una impresa pubblica, come nel caso di specie, attesa, ai fini che interessano, la indifferenza del concreto oggetto dell’appalto) e data la riconduzione della cd. rinegoziazione alla fase pubblicistica di scelta del contraente privato ( e della definizione unilaterale e pubblicistica del contenuto specifico del contratto) e non invece a quella successiva e di stampo prettamente privatistico della esecuzione del contratto, in conseguenza della valutazione del complesso fenomeno dell’aggiudicazione della gara.

Riconduzione che è stata fatta in quanto si è ritenuto che la detta fase della cd. rinegoziazione sia espressione della medesima funzione amministrativa nel cui esercizio si è proceduto appunto alla selezione del contraente privato e ciò a maggiore ragione nella dismissione delle imprese pubbliche, ove non sarebbe configurabile alcuna distinzione tra la fase pubblicistica e quella privatistica di esecuzione del contratto, attesa la natura di compravendita con conseguenti effetti traslativi della proprietà e la conseguente inconfigurabilità di una fase esecutiva in senso stretto.

4.3. In via alternativa la giurisdizione del giudice adito è stata riconosciuta da parte del C.d.S. ai sensi dell’art. 23 bis, lett. e), della L. n. 1034/1971, come introdotto dall’art. 4 della l. n. 205/2000.

Ed infatti, sebbene la richiamata norma si occupi di disciplinare uno speciale procedimento in determinate materie, senza dettare esplicitamente regole innovative in tema di giurisdizione, si è ritenuto che l’espressa previsione di un rito particolare da applicare ai giudizi aventi ad oggetto “ i provvedimenti relativi alle procedure di privatizzazione o dismissione di imprese o beni pubblici, nonché quelli relativi alla costituzione, modificazione o soppressione di società, aziende ed istituzioni ai sensi dell’art. 22 della legge 8 giugno 1990, n. 142 ” implichi necessariamente il riconoscimento implicito della giurisdizione amministrativa esclusiva nelle relative controversie.

4.4. D’altra parte la Cass. SS.UU. n. 9103/2005 del 3.5.2005, pur riconoscendo la giurisdizione del g.a. adito ha seguito un diverso ed autonomo percorso argomentativo.

In particolare, premessa la necessità, ai fini della identificazione della giurisdizione, di fare sempre riferimento al petitum sostanziale, anche al di là della formulazione letterale delle domande introduttive del giudizio, e ritenuto che il ricorso mira formalmente alla declaratoria dell'obbligo del Comune di rispondere, positivamente, alla sua diffida e messa in mora con la quale lo si sollecita all'esercizio dell' autotutela, utile a riparare ad un comportamento dello stesso ente ritenuto illecito, si è ritenuto che, nella sostanza, il ricorso miri a rimuovere non tanto e non solo la inerzia della PA sulla quale gravava il dovere di rispondere, ma la illegittimità derivata a suo avviso dalla mancata valutazione dell'interesse pubblico alla autotutela, che pertanto, sempre a suo avviso, era da esercitarsi provvedendo positivamente in un certo modo.

La allegazione al Tar riguarda dunque l'esercizio illegittimo, quanto al rapporto sostanziale fatto valere, dei poteri della Pubblica Amministrazione con conseguente lesione del suo interesse legittimo al corretto svolgimento della gara per la dismissione della Centrale del latte di Roma e dunque quello alla sua ripetizione.

Il petitum quindi, è di annullamento di tutta la complessa operazione a partire dalla aggiudicazione che è stata posta in essere dal Comune per la dismissione in questione .”

In sostanza parte ricorrente “ tende al riesame della precedente attività amministrativa ed all'accertamento della sua illegittimità, anche al fine di una pronuncia di risarcimento del danno inteso quale diritto patrimoniale consequenziale .”

E conclusivamente “ Siffatta domanda non fuoriesce dalla giurisdizione amministrativa ai sensi dell'art 7 lettera c) della legge n 205 del 2000 ” e “ nella delineata prospettiva non viene in rilievo a decidere sulla giurisdizione la norma dell'art 23 bis della legge 1034 del 1971 “.

4.5. Ha quindi rilevato il primo giudice, con la citata sentenza n. 7119 del 2007, che “ la domanda principale fatta valere con il ricorso in trattazione, per come in precedenza individuata, attiene, nella sostanza, alla dichiarazione di nullità della dismissione del pacchetto azionario proprio in favore della C s.p.a., che, con il proprio comportamento, come avallato dal Comune con la successiva transazione, ha contribuito alla creazione di una situazione in concreto lesiva degli interessi economici della ricorrente ” altresì osservando come nel “ caso di specie non si tratterebbe di un provvedimento comunale discrezionale di annullamento di ufficio adottato in sede di esercizio della potestà pubblica di autotutela da parte dell’amministrazione, bensì della mera esecuzione di una statuizione giurisdizionale al riguardo, nei termini di una mera presa di atto della nullità ( e non invece della illegittimità sub specie dell’annullamento) del contratto di alienazione della partecipazione azionaria e del conseguente contratto di transazione, come espressamente e testualmente riconosciuto nella competente sede giurisdizionale ”.

4.6. Il Tribunale ha quindi, nel merito, affermato l’applicabilità al procedimento di dismissione dell’azionariato pubblico de quo del principio di inammissiblità della cd. rinegoziazione e che la cristallizzazione delle clausole contrattuali sia da rinvenire nel momento della pubblicazione del bando con invito. Ha ancora osservato “ che sebbene la risoluzione di diritto per la clausola risolutiva espressa non fosse prevista né nel contratto in concreto stipulato né nello schema contrattuale inviato alla data del 30.12.1996, tuttavia, il Comune, nel procedere alla stipulazione del contratto di transazione abbia in sostanza proceduto alla rinegoziazione di una clausola contrattuale che doveva ritenersi cristallizzata negli atti della procedura ”, conseguendone che “ Se, pertanto, si ritiene che vi sia stata la inammissibile rinegoziazione della clausola contrattuale in questione, in applicazione del principio in materia in precedenza esposto ne consegue la nullità tanto del contratto di transazione quanto dell’antecedente contratto di alienazione della partecipazione azionaria ” ed ancora che “ in virtù dell’avvenuto riconoscimento della nullità degli atti contrattuali, il Comune fosse tenuto a dare riscontro alla istanza di autotutela di parte ricorrente, in quanto avente ad oggetto un provvedimento vincolato ( di mera presa di atto della nullità degli atti contrattuali) ”.

4.7. Il primo giudice ha peraltro osservato che “ a seguito del riconoscimento della nullità del contratto di transazione e del sottostante contratto di alienazione, e del conseguente obbligo per lo stesso della presa di atto al riguardo, tuttavia rientra nella sfera discrezionale dell’amministrazione l’adozione dei provvedimenti ulteriori ed in particolare decidere se procedere ad una nuova dismissione della propria partecipazione azionaria o non invece rinunciare alla trasmissione trattenendo in proprietà le dette azioni.

4.8. Di qui il mancato accoglimento della richiesta della ricorrente di veder affermato l’obbligo del Comune di procedere all’indizione di una nuova procedura di dismissione della propria partecipazione azionaria.

4.9. Di qui la pronuncia di primo grado con cui in accoglimento del proposto ricorso è stato dichiarato illegittimo il silenzio serbato dal Comune di Roma e, per l’effetto, è stato ordinato al Comune di Roma di dare esecuzione alla diffida notificatagli da parte della ricorrente, attraverso la adozione di un provvedimento espresso.

4.10. Lo stesso Comune di Roma è stato anche condannato al risarcimento del danno in favore di parte ricorrente nella misura da liquidarsi con successivo accordo tra le parti, secondo i criteri indicati nella motivazione della citata sentenza n. 7119 del 2007.

5. Avverso questa sentenza hanno proposto appello la P, il Comune di Roma, e la C.

5.1. Ha altresì proposto appello la s.p.a. Ariete avverso la sentenza del TAR Lazio n. 3347/2007 che aveva rigettato il ricorso contro la sua esclusione dalla trattativa diretta.

6. Il Consiglio di Stato, Sez. 5, con sentenza n. 5845 depositata il 28.11.2008, riuniti i quattro appelli, dichiarava improcedibile l'appello della s.p.a. Ariete avverso la sentenza n. 3347/2007 per carenza di interesse dal momento che l'appellante non aveva mai contestato l'esito della trattativa diretta. Accoglieva,invece, gli altri tre appelli e, per l’effetto, respingeva il ricorso di primo grado della s.p.a. Ariete.

6.2. Il Consiglio di Stato ha ritenuto, contrariamente al TAR del Lazio, che non vi fosse stata nella fattispecie una cristallizzazione della clausola contrattuale che prevedeva nel caso di rivendita infraquinquennale la risoluzione di diritto del contratto di cessione ordinaria;
che, essendo avvenuta la cessione attraverso la trattativa diretta, non poteva sussistere la cristallizzazione di clausole antecedenti alla strutturazione del contratto;
che, essendo stata prevista nel contratto una penale di un miliardo di lire in caso di violazione del patto di inalienabilità infraquinquennale, era solo dovuto il pagamento di un congruo ristoro in favore del Comune, purché questi avesse dato, come appunto era avvenuto, il suo consenso alla cessione.

6.3. Riteneva, inoltre, il Consiglio di Stato che la negoziazione era avvenuta nei modi e con le forme tipiche previste dalla legge, che non vi era stata alcuna rinegoziazione di clausole contrattuali e che il TAR aveva operato un'inammissibile mutatio libelli pretendendo di avere titolo, sulla base delle sentenze della Cassazione e del Consiglio di Stato, per valutare il complessivo operato dell'Amministrazione, segnatamente passando alla declaratoria della nullità dei contratti di diritto privato.

6.4. Rilevava il Consiglio di Stato che " gli atti di diritto privato posti in essere non sono nulli e, alla stregua di quanto rilevato, neppure annullabili: in ogni caso la relativa declaratoria di tali effetti non compete al giudice amministrativo, bensì all'Autorità giudiziaria ordinaria così che la pronunzia in esame ha violato in modo consistente i canoni del riparto di giurisdizione ".

7. Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione la spa Ariete Fattoria L S.

7.1. La Corte di Cassazione, con sentenza resa a Sezioni Unite n. 17349 in data 24.7.2009, ha respinto il primo motivo di ricorso rivolto contro la pronuncia di improcedibilità del ricorso n. 4472/2007, relativo alla impugnazione della esclusione della Ariete dalla procedura di gara, ed ha accolto il secondo motivo, con cui era censurata la dichiarazione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sulla richiesta di declaratoria di nullità del contratto di compravendita e della successiva transazione, per essersi formato il giudicato implicito sulla giurisdizione del giudice amministrativo , per effetto sia della sentenza della stessa Corte di Cassazione del 3.5.2005, n. 9103, sia per effetto della sentenza del TAR 27.7.2007, n. 7119, oggetto dell’appello deciso dal Consiglio di Stato con la sentenza impugnata per motivi diversi dal difetto di giurisdizione. Ha ritenuto la Corte che il petitum sostanziale nella controversia de quo era volto a censurare l’esercizio illegittimo dei poteri della Pubblica Amministrazione, e che l’impugnazione del silenzio-rifiuto su di un atto di diffida, da parte di un partecipante alla gara in una procedura di privatizzazione, ad attivarsi a risolvere il contratto e ad indire una nuova gara a seguito dell’inadempimento del privato, era principalmente diretto ad accertare la illegittimità del comportamento dell’Amministrazione. In questo contesto rientrava anche la domanda di reintegrazione in forma specifica dell’interesse leso, mediante dichiarazione dell’obbligo del Comune di risolvere il contratto precedentemente stipulato.

8. Hanno pertanto provveduto alla riassunzione del giudizio dinanzi al Consiglio di Stato tutte le originarie appellanti – compresa Ariete in relazione all’appello avverso la sentenza del TAR n. 3347/2007.

8.1. Con la sentenza n. 1156 del 2010, della cui esecuzione in definitiva si tratta, la V Sezione del Consiglio di Stato ha innanzitutto sottolineato che “ la Corte di Cassazione ha rilevato che il Consiglio di Stato , attesa l’avvenuta formazione del giudicato sul punto della giurisdizione del giudice amministrativo per effetto della sentenza della stessa Corte di Cassazione, resa a Sezioni Unite, n. 9103/2005, e della decisione del TAR Lazio n. 7119/2007, non impugnata per difetto di giurisdizione, non poteva affermare la giurisdizione del giudice ordinario relativamente alla dichiarazione di nullità o di annullamento del contratto di cessione della partecipazione azionaria e della successiva transazione intervenuta tra il Comune di Roma, la C, la P e l’Eurolat ”. Ha quindi rilevato che dalle pronunce intervenute nel corso del processo, sia del Consiglio di Stato che della Corte di Cassazione, che hanno statuito sulla domanda ed in relazione alle quali si è, sotto tale profilo, formato il giudicato, emerge che la società Ariete L S ricorrente “ nonostante la formale qualificazione dell’atto introduttivo come proposto ai sensi dell’art. 21 bis della legge n. 1034/71, ha inteso non solo, o, meglio , non tanto, conseguire una pronuncia declaratoria dell’obbligo del Comune di provvedere sulla propria istanza rimasta inevasa, quanto denunciare l’illegittimità (o, meglio, l’illiceità) della condotta, non solo omissiva, dell’Ente nell’aver prestato il proprio consenso ad un’operazione fraudolenta e nell’essersi astenuto dall’esercitare i poteri-doveri assegnatigli dal contratto nell’ipotesi di violazione di una clausola essenziale dell’aggiudicazione;
e ciò al fine di ottenere l’accertamento dell’antigiuridicità del complesso di atti e comportamenti ascrivibili al Comune nella vicenda controversa e la sua condanna al risarcimento dei danni, anche in forma specifica (mediante l’indizione di nuova gara, previa risoluzione del contratto con la C) ovvero, ove impossibile, per equivalente, sopportati dalla ricorrente in conseguenza dell’invalida cessione delle quote della Centrale del Latte
”(Cons. St. Sez. V, sent. n. 4167/2003)”.

8.2. Conseguentemente, il giudice di appello ha affermato che “ E’ dunque sulla scorta di tale qualificazione della domanda e dell’oggetto del giudizio che il Tar , con l’impugnata sentenza n. 7119/2007, ha correttamente giudicato sulla validità dell’atto di cessione della partecipazione azionaria a C e del successivo atto di transazione tra Comune di Roma, C , P ed Eurolat, allo scopo di pronunciarsi sull’obbligo del Comune di provvedere in ordine all’atto di diffida e messa in mora con cui Ariete L S chiedeva all’Ente di risolvere il contratto di cessione e contestualmente di indire una nuova gara ”. Anche la sentenza della Cassazione da ultimo resa (S.U. sent. n. 17349/2009) ha affermato che il petitum sostanziale nella presente controversia è volto a censurare l’esercizio illegittimo dei poteri della p.a. e che l’impugnazione del silenzio – rifiuto su un atto di diffida da parte di un partecipante alla gara in una procedura di privatizzazione ad attivarsi a risolvere il contratto ed indire una nuova gara a seguito dell’inadempimento del privato è diretta ad accertare la legittimità del comportamento della P.A. In questo contesto rientra anche la domanda di reintegrazione in forma specifica dell’interesse leso, mediante dichiarazione dell’obbligo della P.A. di risolvere il contratto precedentemente stipulato.

Su queste statuizioni, osserva la decisione della cui esecuzione si tratta, si è dunque formato giudicato.

8.3. La V Sezione ritiene, quindi, che la pronuncia di primo grado “ non ha oltrepassato i limiti dell’oggetto del giudizio, così come indicati nelle citate sentenze del Consiglio di Stato e della Corte di Cassazione , essendosi limitato il TAR a giudicare sulla domanda di accertamento della legittimità di tutto il complessivo operato dell’amministrazione funzionalmente orientato all’accertamento dell’obbligo della P.A. di pronunciarsi sull’istanza ”.

8.4. Nel merito poi delle questioni prospettate, la sentenza n. 1156 afferma che “ appare corretto il ragionamento operato dal primo giudice nel senso di ritenere nella fattispecie violato il divieto di rinegoziazione di un contratto concluso a seguito di scelta ad evidenza pubblica. Il TAR, richiamandosi all’orientamento di questo Consiglio di Stato da cui il Collegio non intende discostarsi (Cons. St. Sez. V,13.11.2002, n.6281, v. più di recente CdS Sez. V, 26.10.2009, n. 6530), ha ritenuto che la modifica del regolamento contrattuale cristallizzato attraverso la fissazione dei vincoli obiettivi nella delibera comunale n. 132/96 costituisse una inammissibile rinegoziazione e comportasse la nullità degli atti successivi ”, espressamente condividendo la detta statuizione. In particolare, la sentenza di appello ha osservato che “ Infondate sono dunque le asserzioni secondo cui il TAR avrebbe concepito una nuova categoria di nullità atipiche, ritenendo per converso il Collegio che l’accertamento alla violazione delle norme imperative per come sopra individuate segua necessariamente, per quanto detto , la dichiarazione di nullità ”, per cui “ correttamente il TAR ha dichiarato la nullità del contratto di compravendita delle azioni, essendo esso viziato in un elemento determinante come l’individuazione dell’acquirente, avvenuta in violazione di norme imperative….La stessa sorte deve riconoscersi al successivo atto aggiuntivo e transattivo stipulato tra il Comune di Roma, C, P ed Eurolat ”.

8.5. Ma il giudice di appello ha condiviso la statuizione del TAR, “ una volta accertata l’invalidità insanabile degli atti che avevano mosso Ariete a notificare la propria diffida, circa la sussistenza da parte del Comune dell’obbligo di dare riscontro all’istanza mediante la presa d’atto della nullità degli atti negoziali compiuti e l’assunzione delle conseguenti azioni per il ripristino della legalità violata ….. Qui non si tratta di agire in via di autotutela, che presuppone l’adozione di nuova attività provvedimentale, ma di prendere atto dello sviamento della procedura seguita dalle regole che la disciplinavano, della illegittimità dell’attività compiuta, della sua deviazione dalle finalità di pubblico interesse prefigurate, della lesione della par condicio dei partecipanti alla gara, di cui l’Amministrazione deve essere garante, e di ripristino dello stato della procedura nella fase antecedente la violazione delle regole accertate che hanno inciso sulla scelta del contraente ”. Così come ha anche affermato che “ correttamente, il primo giudice ha escluso che come conseguenza dell’istanza derivi per l’amministrazione un obbligo di risolvere i contratti de quibus in virtù di una clausola risolutiva espressa ”, altresì osservando che “ la presa d’atto cui fa riferimento il TAR equivale, nella sostanza, ad una dichiarazione dell’inefficacia, a causa della loro nullità, degli atti negoziali e lascia impregiudicati i provvedimenti successivi rimessi al Comune per quanto attiene agli atti di disposizione del pacchetto azionario riacquisito, compresa l’eventuale indizione di una nuova procedura di alienazione ”.

8.6. Il giudice di appello ha, infine, confermato la statuizione del primo giudice anche sul punto del risarcimento del danno, nel senso della condanna al pagamento delle somme a detto titolo dovute a seguito di proposta ad opera del Comune di Roma “ secondo criteri che consistono nella liquidazione di una somma pari all’importo complessivo delle spese sostenute per partecipare alla gara ed all’equivalente al rafforzamento nel mercato del latte dei concorrenti ed al danno all’immagine per riduzione del prestigio presso i consumatori , oltre applicazione di rivalutazione monetaria ed interessi secondo le modalità indicat e” nella pronuncia di primo grado.

9. Giova, da ultimo, ricordare che è stata successivamente chiesta la revocazione della sentenza della cui esecuzione si tratta nella presente sede. In particolare, appare utile qui richiamare alcune osservazioni della sentenza della V Sezione 21 ottobre 2010 n. 7599, che appunto ha respinto i ricorsi per revocazione, laddove il Consiglio di Stato osserva che la “ decisione impugnata…entrando nel merito della predetta questione che era stata espressamente riproposta negli atti difensivi delle parti appellanti….ha chiaramente dato prova di ben conoscerla e di volerla risolvere nel merito con una sua propria interpretazione degli atti di causa, nel senso dell’avvenuta riacquisizione automatica del pacchetto azionario in capo al Comune…..A ben vedere,emerge in particolare che in questo caso (nel rispetto del ben noto principio generale applicabile in ogni ramo del diritto secondo cui “quod nullum est nullum effectum producit”) l’impugnata decisione ha riscontrato, con i conseguenti corollari: che ai sensi dell’art. 1418 del codice civile il contratto nullo è di per sé stesso inidoneo a produrre fin dall’origine gli effetti giuridici voluti dalle parti. In definitiva,da quanto sopra detto, emerge che nell’impugnata decisione non è riscontrabile alcun errore revocatorio (tanto meno immediatamente percepibile alla stregua degli atti di causa) laddove (a maggiore chiarimento della sentenza di primo grado sul punto specifico) viene esplicitamente precisato che spetta al Comune decidere sugli atti disposizione del pacchetto azionario “riacquisito” (s’intende in via automatica), per effetto della accertata nullità genetica degli atti di disposizione del pacchetto medesimo ” (tant’è che, in data 10 dicembre 2010, proprio sulla scorta in particolare di detta ultima sentenza, il Comune di Roma ha intimato e diffidato, nella qualità di unica titolare della partecipazione, P a consegnare senza ritardo i certificati azionari rappresentativi della partecipazione).

10. Ad ogni buon conto, non avendo il Comune posto in essere alcuna attività per l’esecuzione del giudicato, Ariete fattoria L S s.p.a. ha proposto il presente ricorso per ottemperanza chiedendo la nomina di un commissario ad acta che adotti in luogo del Comune i provvedimenti necessari: provvedimenti che dovranno anzitutto dar contenuto alla presa d’atto delle dichiarate nullità, dell’atto di cessione del pacchetto azionario a C e del successivo atto transattivo che ha determinato il passaggio del pacchetto azionario stesso a P. , così doverosamente formalizzandosi il ritorno della Centrale del Latte nella proprietà del Comune. In particolare, la ricorrente ritiene che il Comune sia poi obbligato a riavviare la procedura di dismissione non essendo state peraltro rimosse o annullate le delibera consiliari a monte della stessa. In sostanza, si chiede che il nominando commissario ad acta indica una nuova gara con le modalità indicate nelle ricordate delibere consiliari n. 154 del 1995 e n. 132 del 1996. Non avendo inoltre il Comune assunto alcuna iniziativa quanto alla proposta di liquidazione del danno, cui era tenuto per effetto del giudicato, la ricorrente chiede che il danno sia liquidato direttamente dal Tribunale ricorrendo ai criteri di cui alla citata sentenza n. 1156/2010.

11. Si sono costituiti i giudizio il Comune di Roma, la società P e la società C Finanziaria, preliminarmente eccependo la inammissibilità del proposto ricorso e comunque concludendo perché lo stesso venga respinto

12. Alla camera di consiglio del 13 aprile 2011 il ricorso viene ritenuto per la decisione.

13. Inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione.

Eccepisce P il difetto di giurisdizione dell’adito giudice amministrativo sulla scorta della circostanza per cui il petitum sostanziale azionato con l’ottemperanza consiste nel pregiudiziale accertamento della pretesa dichiarazione giudiziale di proprietà delle azioni e del presunto conseguente obbligo di restituzione. Ad avviso della resistente, si tratta di un accertamento che costituisce una nuova ed autonoma domanda su cui il giudice amministrativo è privo di giurisdizione.

13.1. L’eccezione non è fondata.

13.1.1. In disparte la stessa prospettabilità della questione di giurisdizione nella fase processuale dell'ottemperanza (cfr. Cons.giust.amm. Sicilia , sez. giurisd., 09 luglio 2007 , n. 564), se vi è un punto sul quale più diffusamente si sono attardate le pronunce che vengono in rilievo nella presente sede, d inizio ampiamente richiamate, è proprio quello della ritenuta riconducibilità della controversia de quo alla giurisdizione del giudice amministrativo. Giova ricordare come già la sentenza del T.A.R. del Lazio 27 luglio 2007 n. 7119, confermata con la sentenza del Consiglio di Stato oggetto del presente ricorso per ottemperanza, aveva rilevato che a seguito delle sentenze del C.d.S. n. 4167/2003 del 14.7.2003 e della Cass. SS.UU. n. n. 9103/2005 del 3.5.2005 si era formato il giudicato interno in ordine alla giurisdizione del g.a. adito.

13.1.2. Ed infatti con entrambe le richiamate decisioni, sebbene con percorsi logico-giuridici diversi, è stata riconosciuta la giurisdizione del g.a. adito. Verrebbe da dire che, fin dall’inizio della vicenda controversa, non si è dubitato della giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla pretesa sostanziale della ricorrente a veder verificata la correttezza e la legittimità dell’esercizio della funzione amministrativa (“ ossia la legittimità degli atti e del comportamento complessivamente tenuto dall’amministrazione comunale nel gestire la procedura in questione soprattutto nella fase successiva all’aggiudicazione ”, così, già C.d.S. n. 4167/2003).

13.1.3. Ai fini che qui interessano, va richiamata anche Cass. SS.UU. n. 9103/2005 del 3.5.2005, che pure riconosce sulla vicenda de quo la giurisdizione del g.a. adito, rilevando come il “ petitum quindi, è di annullamento di tutta la complessa operazione a partire dalla aggiudicazione che è stata posta in essere dal Comune per la dismissione in questione ”.

13.1.4. Ancor più chiaramente, poi, il T.A.R. del Lazio, con la citata sentenza n. 7119 del 2007, ha rilevato che “ la domanda principale fatta valere con il ricorso in trattazione, per come in precedenza individuata, attiene, nella sostanza, alla dichiarazione di nullità della dismissione del pacchetto azionario proprio in favore della C s.p.a., che, con il proprio comportamento, come avallato dal Comune con la successiva transazione, ha contribuito alla creazione di una situazione in concreto lesiva degli interessi economici della ricorrente ”.

13.1.5. La sentenza della cui esecuzione si tratta, la n. 1156 del 2010, ha sul punto ricordato che “ la Corte di Cassazione ha rilevato che il Consiglio di Stato , attesa l’avvenuta formazione del giudicato sul punto della giurisdizione del giudice amministrativo per effetto della sentenza della stessa Corte di Cassazione, resa a Sezioni Unite, n. 9103/2005, e della decisione del TAR Lazio n. 7119/2007, non impugnata per difetto di giurisdizione, non poteva affermare la giurisdizione del giudice ordinario relativamente alla dichiarazione di nullità o di annullamento del contratto di cessione della partecipazione azionaria e della successiva transazione intervenuta tra il Comune di Roma, la C, la P e l’Eurolat ”.

13.1.6. Sulla scorta di quanto richiamato, è agevole rilevare che il petitum sostanziale di cui al presente ricorso per ottemperanza non si sostanzia in un’inammissibile accertamento della proprietà delle azioni della Centrale del Latte, ma è lo sviluppo naturale - ferma, incontestata ed incontestabile la giurisdizione di questo giudice sulle “domande” all’epoca introdotte con l’originario ricorso al TAR del Lazio - di quanto statuito nel giudicato. La ricorrente, in altri termini, avanza con il ricorso per ottemperanza domande che, in disparte la loro fondatezza alla luce di quanto nel “ merito ” statuito nel giudicato, sono tuttavia con questo coerente, muovendo anzi proprio dal presupposto logico-giuridico della sua mancata esecuzione. Non vi sono in altri termini nuove sostanziali domande, oltre quelle cioè coerenti con il giudicato (per le quali la giurisdizione è fuori discussione per essersi sulla sussistenza di questa formato il giudicato), per le quali si possa prospettare la questione del difetto di giurisdizione.

14. Questione della sospensione del presente giudizio.

E’ posta sempre in via pregiudiziale la questione della sospensione del presente giudizio per essere stato proposto da P regolamento di giurisdizione presso la Corte di Cassazione per sentir dichiarare che sulla questione centrale del presente giudizio sussiste la giurisdizione del giudice ordinario.

14.1. Orbene, com’è noto, l'art 367 c.p.c., nel testo novellato dalla l. 26 novembre 1990, n. 353, a sua volta espressamente richiamato dall’art. 10 del c.p.a., ha soppresso l'obbligo di sospensione del giudizio per effetto della sola presentazione del ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, al fine di evitare un uso distorto e dilatorio del regolamento stesso, rimettendo invece la decisione sulla sospensione al giudice “ a quo ”, al quale soltanto spetta quindi valutare la non manifesta inammissibilità o la non manifesta infondatezza dell'istanza, da compiersi a seguito di una previa sommaria delibazione della domanda introduttiva del giudizio di merito e della documentazione versata in atti (cfr. Consiglio Stato , sez. V, 26 maggio 2010 , n. 3359).

14.2. Nel caso di specie, le ripetute ed invero spesso diversamente argomentate statuizioni delle più sentenze intervenute, in ordine alla ritenuta e ribadita giurisdizione del giudice amministrativo a conoscere della controversia che ha condotto al presente ricorso per esecuzione del giudicato, fanno ritenere al Collegio opportuno non sospendere il presente giudizio in ragione del proposto regolamento di giurisdizione, di cui sopra.

14.3. Del resto, le sentenze del Consiglio di Stato, anche qualora siano impugnate in Cassazione per motivi inerenti la giurisdizione, sono certamente esecutive e — come si desume indirettamente anche dall'art. 33 comma 4, legge Tar — per l'esecuzione delle stesse può proporsi ricorso per ottemperanza ai sensi dell'art. 27, n. 4, r.d. n. 1054 del 1924 (cfr. Consiglio Stato , sez. VI, 15 novembre 2010 , n. 8052 e Cons.giust.amm. Sicilia , sez. giurisd., 19 marzo 2010 , n. 401).

15. Ancora P ha chiesto la sospensione del presente giudizio, ai sensi dell’art. 295 c.p.c.e dell’art. 79 c.p.a., avendo chiesto al giudice civile di accertare il diritto di proprietà delle azioni.

15.1. Com’è noto, la sospensione necessaria del processo presuppone un nesso di stretta dipendenza e conseguenzialità logica tra due controversie, per cui il merito dell'una non può essere esaminato prima che venga definita da altro organo giurisdizionale la questione pregiudiziale;
pertanto, il vincolo di pregiudizialità deve riguardare l'intera res litigiosa dedotta con il ricorso, cioè deve investire l'intero rapporto in contestazione, mentre non è sufficiente a giustificare la sospensione del giudizio l'insorgere di una questione pregiudiziale, la cui soluzione non appaia indispensabile per il conclusivo accertamento, richiesto dalla parte privata, circa la legittimità o illegittimità del provvedimento impugnato (cfr. Consiglio Stato , sez. VI, 20 ottobre 2010 , n. 7592 e Cassazione civile , sez. III, 28 dicembre 2009 , n. 27426).

15.2. Nella specie, deve osservarsi che l’accertamento della proprietà delle azioni chiesto al giudice civile investe più specificamente la questione della “ attuale titolarità della partecipazione di P nella Centrale del Latte ”, tant’è che la richiesta in via principale dedotta è proprio quella di accertare che P è attualmente l’unica titolare delle azioni di cui si discute per averle acquistate a titolo derivativo ovvero per averle acquistate a non domino o, ancora, per averle acquistate per usucapione.

15.3. Se così è, la decisione della questione posta innanzi al giudice civile non è pregiudiziale alla soluzione delle questioni poste con il ricorso in esame, non ricorrendo dunque le condizioni per disporre la sospensione del presente giudizio.

16. Inammissibilità per incompetenza del TAR.

Altra questione pregiudiziale posta concerne la dedotta incompetenza dell’adito Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio a decidere ricorso per ottemperanza a sentenza del Consiglio di Stato.

16.1. Orbene, secondo la concorde interpretazione giurisprudenziale, ai fini della determinazione della competenza funzionale a decidere il ricorso per l'ottemperanza, occorre attribuire rilievo alla sentenza del g.a. della cui esecuzione si tratta e cioè alla sentenza (di primo grado o di appello) dalla quale si evincono le regole cui deve uniformarsi l'Amministrazione in sede di esecuzione, sicché sussiste la competenza del Consiglio di Stato in sede di giudizio di ottemperanza di una sentenza che abbia confermato la decisione di primo grado ma con integrazioni o modifiche alla relativa motivazione che abbiano apportato un autonomo contenuto precettivo in ordine al quid o al modus dell'ottemperanza (cfr. T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 10 maggio 2010 , n. 3380). Anzi, lo stesso giudice di appello, ha affermato che rientra nella competenza funzionale del Consiglio di Stato il giudizio sull'ottemperanza ad una propria sentenza solo allorquando questa, pur avendo confermato una sentenza del Tar, ne ha modificato la motivazione, con particolare incidenza sull'effetto conformativo del giudicato (cfr. Consiglio Stato , sez. VI, 20 luglio 2009 , n. 4554).

16.2. Nella specie, la piana lettura delle due sentenze dà indicazioni univoche in ordine alla loro sostanziale sovrapponibilità. Le motivazioni della sentenza di appello, in disparte evidentemente le formule adoperate e lo sviluppo di un argomento piuttosto che di un altro, sono in linea con quelle della pronuncia di prime cure, che risultano quindi confermate senza sostanziali modifiche o integrazione.

16.3. Di qui l’ammissibilità del presente ricorso per ottemperanza a sentenza del Consiglio di Stato ritualmente proposto al giudice di primo grado.

17. Tutto ciò premesso, il ricorso deve dunque essere esaminato nel merito.

17.1. Il ricorso è fondato nei limiti che di seguito saranno esplicitati.

18. Occorre muovere dal rilievo per cui non vi è stata oggettivamente effettiva esecuzione da parte del resistente Comune di Roma della sentenza n. 1156/2010, sia con riguardo al punto della richiesta adozione dei provvedimenti necessari a dare piena ottemperanza alla sentenza stessa che, per quanto si vedrà meglio in prosieguo, con riguardo al punto della domanda di risarcimento del danno.

18.1. La diffida notificata dal Comune di Roma a P tesa a richiedere l’adempimento spontaneo dell’obbligo di restituzione del compendio azionario non appare infatti idonea a sostanziare un adempimento utile a dare ottemperanza alla sentenza. E’ sintomatico che lo stesso Comune di Roma rappresenti che “ seguiranno quindi le iniziative giudiziarie per il recupero coattivo del medesimo compendio;
iniziativa in fase di attento esame giuridico
”.

18.2. La questione che allora si pone al Collegio è, “ confermata la nullità sia dell’atto di alienazione che dell’atto di transazione stipulati dal Comune , secondo quanto correttamente riconosciuto dal TAR, e quindi ritenuta la illegittimità del comportamento tenuto dal Comune di Roma ” quale comportamento avrebbe dovuto tenere il Comune di Roma di fronte all’atto di diffida e messa in mora di Ariete L S. Orbene, va ricordato che il Consiglio di Stato condivide espressamente “ la statuizione del TAR, una volta accertata l’invalidità insanabile degli atti che avevano mosso Ariete a notificare la propria diffida, circa la sussistenza da parte del Comune dell’obbligo di dare riscontro all’istanza mediante la presa d’atto della nullità degli atti negoziali compiuti e l’assunzione delle conseguenti azioni per il ripristino della legalità violata ”.

18.3. Questa è l’attività che l’amministrazione comunale avrebbe dovuto porre in essere e tuttavia non ha fatto ed è questa l’attività che dovrà porre in essere, in accoglimento sul punto del presente ricorso per esecuzione del giudicato, quale provvedimento appunto idoneo a dare ottemperanza alla sentenza n. 1156/2010. Ed è proprio detta ultima pronuncia a rilevare come il detto obbligo dell’amministrazione, per come affermato dal TAR, “ scaturisce come effetto automatico, non implicante alcuna riedizione di potere discrezionale da parte della p.a., dell’invalidità accertata ”. Ed ancora, osserva la V Sezione, che “ qui non si tratta di agire in via di autotutela, che presuppone l’adozione di nuova attività provvedimentale, ma di prendere atto dello sviamento della procedura seguita dalle regole che la disciplinavano, della illegittimità dell’attività compiuta, della sua deviazione dalle finalità di pubblico interesse prefigurate, della lesione della par condicio dei partecipanti alla gara, di cui l’Amministrazione deve essere garante, e di ripristino dello stato della procedura nella fase antecedente la violazione delle regole accertate che hanno inciso sulla scelta del contraente ”.

18.4. Si va quindi agevolmente delineando l’attività che l’amministrazione avrebbe dovuto porre in essere in sede di esecuzione del giudicato: presa d’atto della nullità degli atti negoziali compiuti e ripristino dello stato della procedura nella fase antecedente la violazione delle regole accertate che hanno inciso sulla scelta del contraente. In definitiva, osserva la sentenza n. 1156/2010 che “ la presa d’atto (della nullità degli atti negoziali compiuti) cui fa riferimento il TAR equivale, nella sostanza, ad una dichiarazione dell’inefficacia, a causa della loro nullità, degli atti negoziali e lascia impregiudicati i provvedimenti successivi rimessi al Comune per quanto attiene agli atti di disposizione del pacchetto azionario riacquisito, compresa l’eventuale indizione di una nuova procedura di alienazione ”.

18.5. Il dato certo è che quindi il Comune deve porre in essere le attività ed adottare gli atti idonei a dare ottemperanza alla sentenza della cui esecuzione si tratta nel senso e nel limite della doverosa riacquisizione del pacchetto azionario di che trattasi.

18.6. Ritiene, peraltro, il Collegio che la pronuncia da portare in esecuzione non sia, quanto al punto in esame, autoesecutiva, con conseguente inammissibilità del rimedio dell’ottemperanza. E’ effettivamente autoesecutiva la pronuncia che è in grado di soddisfare da sola l'interesse azionato con il ricorso, e che quindi non reca alcuna statuizione alla quale l’Amministrazione debba provvedere (cfr. Consiglio Stato , IV Sezione, 8 novembre 2010, n. 7910), laddove la sentenza della cui esecuzione si tratta espressamente ordina all’amministrazione il compimento di una data attività, quella sì evidentemente necessaria al conseguimento effettivo della pretesa azionata con il ricorso. Del resto, e non è - con ogni evidenza - quanto caratterizza il presente giudizio, quello che non è esperibile è il ricorso per l'ottemperanza fondato su sentenza autoesecutiva concernente interessi oppositivi, i cui effetti ordinatori si realizzano esclusivamente per opera della statuizione demolitoria del giudice amministrativo, dalla quale discende l'integrale soddisfacimento della pretesa azionata, senza che in capo all'Amministrazione possa residuare il compimento di ulteriori attività materiali o giuridiche (cfr. T.A.R. Campania Napoli, I Sezione, 9 giugno 2009 , n. 3177).

18.7. Come è stato condivisibilmente osservato, nella decisione ascritta al genere delle sentenze autoesecutive l'effetto giuridico si realizza già ed esclusivamente attraverso l'emanazione da parte del g.a. della statuizione di annullamento, senza che dal giudicato derivi all'amministrazione alcun obbligo di compiere ulteriori attività materiali o giuridiche (cfr. Consiglio Stato , sez. V, 09 ottobre 2006 , n. 5995), che è invece proprio quanto all’amministrazione deriva dalla pronuncia oggetto del presente ricorso per ottemperanza.

18.8. Conclusivamente sul punto, va quindi riaffermato, in sede di esecuzione del giudicato, l’obbligo gravante sul Comune di Roma di presa d’atto della nullità degli atti negoziali compiuti e di ripristino dello stato della procedura, così procedendo alla riacquisizione del pacchetto azionario di cui trattasi, provvedendo anche a segnalare la adottante delibere e determinazioni agli organismi ed enti a vario titolo interessati.

19. Non può, di contro, per quanto innanzi considerato, ritenersi coperto da giudicato l’obbligo per il Comune di Roma di provvedere necessariamente anche, una volta riacquisito il pacchetto azionario in questione, ad una nuova procedura di alienazione dello stesso.

19.1. Siffatto obbligo non si rinviene nella pronuncia oggetto del ricorso per ottemperanza, la quale anzi con riguardo alla segnalata questione, espressamente parla di “ eventuale ” nuova procedura di alienazione.

19.2. Vi è di più: la sentenza n. 1156/2010 si riferisce alla riattivazione della procedura di dismissione quale una delle ipotesi sul tappeto, essendo “ impregiudicati i provvedimenti successivi rimessi al Comune per quanto attiene agli atti di disposizione del pacchetto azionario riacquisito” .

19.3. Né un obbligo di riattivazione della procedura di alienazione può ritenersi posto dall’obbligo esplicitato dal primo giudice e sostanzialmente confermato in appello di ripristinare lo stato della procedura nella fase antecedente la violazione delle regole che hanno inciso sulla scelta del contraente. Infatti, il ripristino dello status quo ante non implica necessariamente che l’amministrazione sia tenuta a riattivare e completare una procedura sulla quale, non sussistendo appunto un obbligo, può benissimo, nell’esercizio della sua discrezionalità, diversamente determinarsi, avuto riguardo alle ragioni di pubblico interesse che hanno bisogno di una loro “ attuale ” valutazione.

19.4. In definitiva, sul punto il giudicato ha lasciato all’amministrazione un significativo margine di discrezionalità che non consente, in sede di ottemperanza, di ritenere che sussista l’obbligo per il Comune di Roma, di riavviare la procedura di dismissione, per come invece richiesto da parte ricorrente.

19.5. Giova rammentare come il primo giudice avesse letteralmente osservato che “ rientra nella sfera discrezionale dell’amministrazione l’adozione dei provvedimenti ulteriori ed in particolare decidere se procedere ad una nuova dismissione della propria partecipazione azionaria o non invece rinunciare alla trasmissione trattenendo in proprietà le dette azioni ”.

19.6. Così come anche la già citata sentenza che ha respinto i ricorsi per revocazione della sentenza n. 1156/2010 ha chiarito che nella sentenza oggetto del ricorso per ottemperanza viene “ esplicitamente precisato che spetta al Comune decidere sugli atti disposizione del pacchetto azionario “riacquisito ” .

20. Vanno quindi dichiarate inammissibili per difetto di giurisdizione sia la domanda di parte ricorrente con cui è chiesto all’adito Tribunale di voler disporre il sequestro conservativo delle azioni della Centrale del Latte di Roma intestate alla P che il ricorso incidentale del Comune di Roma con cui è chiesto al TAR di voler emanare un ordine di restituzione del pacchetto azionario della Centrale del Latte s.p.a. detenuto da P a favore del Comune di Roma.

20.1. Sul punto delle statuizioni che nella presente sede il giudice dell’esecuzione può assumere, al fine della integrale ottemperanza alla sentenza n. 115672010, devesi infatti osservare

che, nel giudizio di ottemperanza, il giudice amministrativo può adottare una statuizione analoga a quella che potrebbe emettere in un nuovo giudizio di cognizione, risolvendo eventuali problemi interpretativi che comunque sarebbero devoluti alla sua giurisdizione, atteso che il giudizio di ottemperanza ha natura mista, di esecuzione e di cognizione, e la regola posta dal giudicato amministrativo richiede il più delle volte da parte del giudice dell'ottemperanza una esplicitazione o un completamento (cfr. T.A.R. Sicilia Catania, sez. IV, 29 gennaio 2010 , n. 152). E però il giudice amministrativo, anche quando pronuncia in sede di ottemperanza al giudicato, deve comunque contenersi nei limiti della sua giurisdizione. È ben vero, infatti, che in sede di giudizio per esecuzione del giudicato, il g.a. deve enucleare il contenuto degli obblighi nascenti dalla sentenza, chiarendone il significato reale potendo anche arrivare, quando emergono problemi interpretativi la cui soluzione costituisca l'indispensabile presupposto della verifica dell'esattezza dell'esecuzione, ad adottare una statuizione analoga a quella che potrebbe emettere in un nuovo giudizio di cognizione. 20.2. Detto potere incontra tuttavia il limite esterno della giurisdizione propria del giudice amministrativo, con la conseguenza che, quante volte la cognizione della questione controversa la cui soluzione gli sia sottoposta in sede di verifica dell'esatto adempimento del giudicato, risulti devoluta ad altro giudice, soltanto questi può provvedere al riguardo (cfr. T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 11 giugno 2008 , n. 5757).

20.3. Così è a dirsi per la richiesta di adozione da parte del giudice amministrativo tanto di un sequestro conservativo delle azioni quanto di un ordine di restituzione, trattandosi con riguardo ad entrambe le pretese di questioni che esorbitano dalla sua giurisdizione.

21. Risarcimento del danno

Come si è innanzi ricordato, la ricorrente ha inoltre chiesto la condanna del Comune di Roma al risarcimento del danno già accertato, con interessi e rivalutazione fino al soddisfo e dello stesso Comune di Roma, ed anche - ma unitamente a C e P – il risarcimento del danno per la mancata esecuzione della sentenza del Consiglio di Stato della cui ottemperanza si tratta nella presente sede.

21.1. Le prima domanda, quindi, riporta l’esame del Collegio a quanto statuito nella pronuncia oggetto del ricorso per ottemperanza. Orbene, in quella occasione la V Sezione ha respinto “ le doglianze del Comune avverso la sentenza di primo grado, articolate sotto il profilo dell’inammissibilità della domanda, della mancata dimostrazione della colpa in capo all’amministrazione, dell’erroneità dei criteri individuati per pervenire alla sua quantificazione (spese di partecipazione alla selezione, modifiche alla posizione dell’appellata nel mercato locale del latte), della mancata dimostrazione dell’entità del danno subito ”. Anzi, la sentenza n. 1156 rileva e sottolinea come “ sia il Consiglio di Stato che la Corte di Cassazione hanno riconosciuto la domanda di risarcimento del danno come strettamente collegata alla denuncia di illegittimità ed illiceità della condotta del Comune di Roma, per avere questo esercitato i propri poteri in violazione delle regole poste a base della procedura di privatizzazione, ed hanno stabilito che al giudice amministrativo adito spetta conoscere ai sensi della L. 21.7.2000, n. 205, art. 7, lett. c), anche della domanda di risarcimento del danno inteso quale diritto patrimoniale consequenziale, secondo l’assetto disciplinato dalla legge n. 2005 del 2000 ”.

21.2. La pretesa risarcitoria connessa alla condotta del Comune di Roma è dunque coperta da giudicato sia quanto alla spettanza, per ricorrenza dei prescritti requisiti, che per quanto concerne le modalità per la determinazione del relativo quantum. Richiamando espressamente la pronuncia del primo giudice, la V Sezione ricorda che appunto in ordine al quantum del risarcimento spettante, “ il TAR ha disposto che l’amministrazione soccombente provveda a liquidare le somme dovute a titolo di risarcimento del danno a favore della Ariete latte Sano formulando la relativa proposta entro il termine massimo di sessanta giorni, secondo criteri che consistono nella liquidazione di una somma pari all’importo complessivo delle spese sostenute per partecipare alla gara ed all’equivalente al rafforzamento nel mercato del latte dei concorrenti ed al danno all’immagine per riduzione del prestigio presso i consumatori , oltre applicazione di rivalutazione monetaria ed interessi secondo le modalità indicate ”. Ricorda ancora il giudice di appello che così operando il TAR ha dunque fatto uso dei poteri attribuiti al giudice amministrativo dall’art. 35, c. 2, d.lgs. n. 80 del 1998, “ individuati come strumento tendente allo snellimento dei giudizi allo scopo di ovviare ai tempi richiesti dallo svolgimento di consulenze tecniche, indicando i criteri cui le parti devono attenersi per raggiungere un accordo la cui natura è sostanzialmente transattiva (cfr. ex multis, CdS Sez. IV, n. 4325/2009, n. 6063/2006;
Sez. V, n. 2609/2009, n. 7402/2006), ed il cui eventuale fallimento soltanto consentirà loro di adire nuovamente il giudice in sede di ottemperanza per la determinazione delle somme
”. Il giudice di appello ha semplicemente sul punto osservato che “ i criteri individuati dal TAR, a parte le spese sostenute per la partecipazione alla gara , attengono agli eventuali riflessi economici negativi sopportati dall’appellata per effetto della concentrazione in capo a P della partecipazione azionaria di maggioranza della Centrale del latte già detenuta da C, con conseguente sfruttamento delle potenzialità produttive e commerciali dell’azienda ceduta, quali, per esempio, una perdita di quote di mercato, maggiori costi nella commercializzazione dei prodotti , perdita di valore del marchio

21.3. In difetto, quindi, dell’accordo delle parti sulla determinazione delle somme da liquidare, in applicazione dei criteri indicati, a tanto può e deve provvedere questo giudice nella presente sede di ottemperanza (cfr. Cons. Stato, V Sezione, 22 febbraio 2010 n. 1038).

21.4. In altri termini, il giudizio sul punto in questione, nelle forme dell'ottemperanza, non mira a verificare la formale legittimità dell'eventuale attività esecutiva posta in essere dall'Amministrazione, ma sostanzialmente a determinare - in assenza dell'accordo - la somma dovuta ai sensi della sentenza di condanna generica al risarcimento (nei termini, Cons. Stato, IV Sezione, 11 ottobre 2006 n. 6063).

21.5. Ciò posto, è evidente che nella specie trattasi di risarcimento del danno per equivalente, non essendo concepibile né invero disposto dal giudice una modalità di risarcimento del danno attraverso reintegrazione in forma specifica. Si è, infatti, ordinato al Comune di Roma di formulare una proposta da costruire sulla base dei criteri in sentenza indicati. Ritiene il Collegio, attesa la mancata adozione della prescritta proposta risarcitoria e comunque rilevato il difetto di un accordo sul punto, di poter procedere a liquidare nella presente sede di ottemperanza il danno da risarcire procedendo in via equitativa.

21.6. Devesi, al riguardo, segnalare che almeno uno dei criteri fissati ai fini della formulazione della proposta di risarcimento del danno dal primo e dal secondo giudice, segnatamente il “ rafforzamento nel mercato del latte dei concorrenti ”, è difficilmente ancorabile a parametri certi e soprattutto univoci, nel senso che con esso vengono in rilievo dinamiche del mercato del latte sulle quali agiscono anche altri e numerosi fattori. Ciò viene sottolineato all’esclusivo fine, non essendo dubitabile la razionalità e logicità del criterio medesimo, di supportare la scelta del Collegio di procedere a liquidare il danno in via equitativa.

21.7. Così come la pretesa risarcitoria prospettata in termini di danno all'immagine, altro criterio nella specie dettato ai fini della formulazione della proposta, importa secondo condivisibile giurisprudenza l’automatico ricorso alla liquidazione equitativa (cfr. Cons. Stato, VI Sezione, 22 novembre 2010, n. 8123).

21.8. Tutto ciò premesso, ritiene il Collegio, in base a presumibili criteri di ragionevolezza legati alle dinamiche del mercato, alle quote dei diversi operatori ivi presenti nonché ai notori fenomeni recessivi in corso, di conseguentemente condannare il Comune di Roma a corrispondere alla odierna ricorrente Ariete Fattoria Latto Sano l’importo di euro 8 mln.a titolo di risarcimento del danno accertato con la sentenza della cui esecuzione è questione.

21.9. Avendo il Collegio proceduto a liquidazione del danno in via equitativa, è necessario allora integrare le indicazioni recate sul punto degli accessori quali fornite dal primo giudice e confermate in appello, nel senso che sulla somma riconosciuta a titolo di risarcimento danni spetta la rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT, trattandosi di debito di valore e sulla somma così rivalutata si computano gli interessi legali calcolati esclusivamente dalla data di deposito della decisione fino all'effettivo soddisfo (cfr. T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 03 maggio 2010 , n. 1702).

21.10. Quanto alla distinta domanda di risarcimento del danno per la mancata esecuzione, violazione ed elusione della sentenza n. 1156/2010, la stessa è, ove intesa come domanda autonoma e nuova, infondata in fatto, per la agevole considerazione secondo cui perpetuando la mancata esecuzione del giudicato le ragioni di danno che già la sentenza n. 1156/2010 ha ritenuto di risarcire, la stessa domanda è quindi coperta dalla pronuncia in sede di giudicato in ordine al risarcimento spettante e, in particolare, in ordine alla rivalutazione ed agli interessi pure riconosciuti, per come sopra indicato.

21.11. Ove fosse riferita a voci di danno nuove e diverse, non quindi coperte per come sopra ritenuto, la stessa sarebbe allora inammissibile poiché priva della benché minima allegazione probatoria.

21.12. E sarebbe comunque inammissibile nella parte in cui è rivolta avverso le controinteressate C e P, trattandosi di richiesta di risarcimento danni derivanti dalla condotta di un privato, che spetta al giudice ordinario conoscere anche quando adottata in base ad un provvedimento amministrativo (cfr. Cons. Stato , V Sezione, 12 dicembre 2009 , n. 7800).

22. In definitiva, ribadite le svolte considerazioni, il presente ricorso per esecuzione del giudicato formatosi con riguardo alla sentenza della V Sezione del Consiglio di Stato 1° marzo 2010 n. 1156, va in parte accolto, disponendo per l’effetto il Collegio:

di ordinare al Comune di Roma di adottare, nel termine di giorni sessanta dalla notificazione ovvero dalla comunicazione della presente sentenza, gli atti necessari a dare ottemperanza alla citata sentenza del Consiglio di Stato n. 1156/2010, segnatamente provvedendo a prendere atto della nullità degli atti negoziali compiuti ed a ripristinare lo stato della procedura, così procedendo alla riacquisizione del pacchetto azionario di cui trattasi, altresì provvedendo a segnalare la adottande delibere e determinazioni agli organismi ed enti a vario titolo interessati;

di escludere la sussistenza di un obbligo del Comune di Roma a necessariamente riavviare la procedura di dismissione, essendo riservato al suo discrezionale apprezzamento l’adozione degli atti meglio rispondenti al pubblico interesse in ordine alla destinazione del pacchetto azionario come sub a) riacquistato;

di dichiarare inammissibile per difetto di giurisdizione il presente ricorso per ottemperanza nella parte in cui è chiesto al giudice di voler disporre il sequestro conservativo delle azioni della Centrale del Latte intestate alla P;

di dichiarare inammissibile per difetto di giurisdizione il ricorso incidentale del Comune di Roma con cui è chiesta l’adozione di un ordine di restituzione del pacchetto azionario in favore del medesimo Comune;

di condannare il Comune di Roma al risarcimento del danno in favore della ricorrente Ariete Fattoria L S che è liquidato in euro 8 mln. (otto milioni/00), oltre rivalutazione ed interessi come meglio sopra dettagliato;

di respingere la distinta domanda di risarcimento del danno per mancata esecuzione, violazione ed elusione del giudicato poiché infondata;

di compensare integralmente fra le parti le spese della presente fase di giudizio.

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