TAR Parma, sez. I, sentenza 2024-01-17, n. 202400008

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Parma, sez. I, sentenza 2024-01-17, n. 202400008
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Parma
Numero : 202400008
Data del deposito : 17 gennaio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 17/01/2024

N. 00008/2024 REG.PROV.COLL.

N. 00032/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna

sezione staccata di Parma (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 32 del 2020, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli Avvocati P S e C G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bologna, domiciliataria ex lege in Bologna, via A. Testoni, 6;

per l'annullamento

- della determinazione prot. n. -OMISSIS- del Ministero della Difesa – Direzione Generale per il Personale Militare - 3^ Divisione, datata 19 novembre 2019 e notificata il giorno 6 dicembre 2019, con cui è stata rigettata l’istanza di rimborso delle spese legali sostenute dal ricorrente per la difesa nel procedimento penale n. -OMISSIS- della Procura della Repubblica presso il Tribunale di -OMISSIS-, definito con sentenza assolutoria n. -OMISSIS-, divenuta irrevocabile il 21.09.2018;

- di ogni altro atto presupposto, conseguente o connesso, segnatamente anche del preavviso di diniego prot. n. -OMISSIS-, datato 29 aprile 2019 e notificato il giorno 11 giugno 2019;

per la condanna

dell’Amministrazione statale al rimborso degli oneri sostenuti per la difesa nel procedimento penale nella misura di € 12.852,98 e al risarcimento del danno ingiusto ex art. 2 bis della legge n. 241/1990.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 gennaio 2024 la dott.ssa Caterina Luperto e udito, per il ricorrente, il difensore come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Il sig. -OMISSIS-, odierno ricorrente, premettendo di essere militare in servizio nell'Arma dei Carabinieri, ha impugnato, unitamente agli atti connessi e presupposti, il provvedimento del Ministero della Difesa - Direzione Generale per il personale militare datato 19 novembre 2019, con cui è stata rigettata l'istanza di rimborso delle spese di patrocinio legale, richiesta ai sensi dell’art. 18 del Decreto Legge 25 marzo 1997, n. 67.

Il Collegio ritiene opportuno illustrare in via preliminare la vicenda fattuale.

In seguito ad informativa trasmessa dal Comandante della Compagnia dei Carabinieri di -OMISSIS- alla locale Procura della Repubblica, il ricorrente veniva indagato per il reato di «omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale», per avere, in qualità di Maresciallo dei Carabinieri, ritardato la trasmissione di notizie di reato alla competente Autorità Giudiziaria, ai sensi degli articoli 81 cpv. e 361 comma 1 e 2 cod. pen.

Con decreto penale del G.I.P. del Tribunale di -OMISSIS-, il ricorrente veniva condannato alla pena di 2.000,00 euro di multa, decreto avverso il quale il ricorrente proponeva rituale opposizione.

Con successiva sentenza del G.I.P. del Tribunale di -OMISSIS-, il militare veniva assolto con formula assolutoria piena “perché il fatto non costituisce reato”.

Ad esito della conclusione del procedimento penale, con istanza datata 15 novembre 2018, il ricorrente proponeva richiesta di rimborso delle spese di patrocinio legale sostenute, ai sensi dell’art. 18 del Decreto Legge 25 marzo 1997, n. 67.

Con provvedimento prot. n. -OMISSIS- datato 19 novembre 2019, la 3^ Divisione della Direzione Generale per il Personale Militare del Ministero della Difesa rigettava l’istanza di rimborso delle spese legali, in ragione della mancanza dei presupposti di cui all’art. 18 citato.

Avverso tale provvedimento parte ricorrente ha proposto l’odierno ricorso, chiedendo anche la condanna dell’Amministrazione al rimborso degli oneri sostenuti per la difesa nel procedimento penale nella misura di € 12.852,98 e al risarcimento del danno ingiusto ex art. 2 bis della legge n. 241 del 1990.

Si è costituito in giudizio il Ministero della Difesa, instando per la reiezione del ricorso.

Alla pubblica udienza del 10 gennaio 2024, la causa è stata trattenuta in decisione.

L’odierno gravame è affidato a due motivi di ricorso.

I. “ Violazione, per errata applicazione, dell’art. 18 della legge 135/1997. Eccesso di potere per errore sui presupposti di fatto e di diritto. Motivazione illogica e contraddittoria. Illogicità ”.

Prospetta il ricorrente che il gravato provvedimento di diniego di rimborso delle spese sostenute per il patrocinio legale nel procedimento penale sarebbe erroneamente fondato sulla mancata sussistenza dei presupposti di cui all’art. 18 del Decreto Legge 25 marzo 1997 n. 67, convertito nella Legge 23 maggio 1997 n. 135, sostenendo l’intimata Amministrazione che il procedimento penale non riguarderebbe fatti o atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento degli obblighi istituzionali.

Sostiene, di contro, come i fatti per come imputati in sede penale rientrerebbero a pieno titolo nelle previsioni di cui al citato articolo 18, vertendosi in tema di attività compiuta nell'espletamento del servizio e nell'assolvimento di obblighi istituzionali.

Precisa il ricorrente, in particolare, che il ritardo nella trasmissione delle notizie di reato sia dipeso da ulteriori servizi cui era stato comandato (servizi di pattuglia, di perlustrazione, di ordine pubblico ed altri servizi) oltre che dall’eccessivo carico di attività di polizia giudiziaria su di esso gravante, peraltro in precedenza segnalato ai propri superiori gerarchici.

Sostiene che il ritardo nell’espletamento delle attività di polizia giudiziaria sia scaturito da queste circostanze, cui si è aggiunto, peraltro, un periodo di congedo straordinario per malattia;
di talchè non potrebbe ritenersi interrotto il nesso di strumentalità tra il contestato ritardo nella trasmissione delle notizie di reato e l’adempimento dei doveri connessi all’espletamento del servizio complessivamente inteso.

Aggiunge inoltre di essere stato assolto con formula assolutoria piena, con ciò dovendosi ritenere integrato l’ulteriore presupposto richiesto dall’art. 18 del Decreto Legge 25 marzo 1997, n. 67, vale a dire la conclusione delle vicende processuali con sentenza o provvedimento che escluda la responsabilità.

Il motivo è infondato.

L’articolo 18 del Decreto Legge 25 marzo 1997, n. 67 dispone che “ Le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall'Avvocatura dello Stato. Le amministrazioni interessate, sentita l'Avvocatura dello Stato, possono concedere anticipazioni del rimborso, salva la ripetizione nel caso di sentenza definitiva che accerti la responsabilità ”.

Secondo la consolidata giurisprudenza due sono i presupposti indispensabili per l'applicazione dell'art. 18, norma di stretta interpretazione: a) la pronuncia di una sentenza o di un provvedimento del giudice, che abbia escluso definitivamente la responsabilità del dipendente;
b) la sussistenza di una connessione tra i fatti e gli atti oggetto del giudizio e l'espletamento del servizio o l'assolvimento degli obblighi istituzionali, in quanto ratio della disposizione è la tutela del pubblico dipendente che si trovi coinvolto in un processo per atti o fatti compiuti nello svolgimento del proprio dovere (cfr. Consiglio di Stato, Sez. II, 5 aprile 2023, n. 3515).

Tale istituto non ha la funzione di tenere indenne il pubblico dipendente dalle spese sostenute per la difesa in giudizi aventi ad oggetto qualsiasi azione compiuta durante lo svolgimento del servizio, ma copre solo le spese per i giudizi in cui lo stesso sia stato coinvolto “in conseguenza di fatti ed atti connessi con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali” (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VI, 13 novembre 2023, n. 6202;
T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VI, 21 dicembre 2022, n. 7965).

L'istituto mira, dunque, ad evitare i danni che il dipendente pubblico subirebbe per condotte tenute nello svolgimento dei compiti di istituto, ovvero per aver agito in nome e per conto dell'Amministrazione, con la conseguenza che il diritto al rimborso può considerarsi sussistente solo quando risulti possibile imputare gli effetti dell'agire del pubblico dipendente direttamente all'Amministrazione di appartenenza.

Per ottenere il rimborso delle spese di patrocinio legale, non basta il favorevole esito del procedimento giudiziario, occorrendo altresì, come secondo e fondamentale presupposto, che il procedimento ai danni dell'interessato sia stato promosso in conseguenza di fatti ed atti connessi con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali, sicché non è sufficiente che lo svolgimento del servizio costituisca mera occasione per il compimento degli atti che danno origine al procedimento di responsabilità (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VI, 13 novembre 2023, n. 6202).

Osserva il Collegio che, nella disciplina del rimborso delle spese di patrocinio legale di cui all’art. 18 del Decreto Legge 25 marzo 1997 n. 67, si assiste, ancora una volta in una materia nevralgica quale quella afferente al rapporto tra dipendenti pubblici e Amministrazione, alla necessaria inscindibilità tra il concetto di esercizio delle funzioni e quelli di “svolgimento del servizio” e “assolvimento degli obblighi istituzionali”.

Si tratta di elementi che devono poter essere apprezzati congiuntamente per ritenere sussistente il rapporto di immedesimazione organica con l’Amministrazione di appartenenza. Non è sufficiente, infatti, che il dipendente abbia commesso fatti ed atti nel mero esercizio delle proprie funzioni, risultando invece necessario che detti fatti ed atti risultino diretta espressione dello “svolgimento del servizio” o dell’“assolvimento di obblighi istituzionali”.

In altri termini, perché il fatto del dipendente possa ritenersi imputabile all’Amministrazione, con conseguente obbligo di quest’ultima di rifondere le spese processuali sostenute per il patrocinio legale, la connessione con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali va intesa nel senso che la condotta in questione deve essere riconducibile all’attività funzionale del dipendente stesso in un rapporto di stretta dipendenza con l’adempimento dei propri obblighi, occorrendo cioè che si tratti di attività che necessariamente si ricollega all’esercizio diligente della pubblica funzione e che, pertanto, sussista un nesso di strumentalità tra l’adempimento del dovere e il compimento dell’atto, nel senso che il dipendente non avrebbe potuto assolvere ai suoi compiti se non compiendo quel fatto o quell’atto;
il che ha portato la giurisprudenza ad escludere la spettanza del rimborso, ad esempio, quando si tratta di comportamento che di per sé costituisca una violazione dei doveri d’ufficio o sia anche solo potenzialmente idoneo a condurre ad un conflitto con gli interessi dell’Amministrazione in ragione della sussistenza di presupposti per ravvisare un illecito disciplinare e per attivare il relativo procedimento (cfr. Consiglio di Stato, Sez. II, 5 aprile 2023, n. 3515).

Di talchè, in assenza di un livello di normale diligenza professionale, viene in rilievo un esercizio della funzione invero non conforme agli standard richiesti perché la stessa sia inquadrabile nello “svolgimento del servizio” o nell’“assolvimento degli obblighi istituzionali”, e, come tale, non imputabile all’Amministrazione.

Applicando tali coordinate ermeneutiche al caso di specie, osserva il Collegio che il canone della diligenza, quale metro di valutazione della prestazione professionale del dipendente e criterio alla stregua del quale apprezzare la violazione dei doveri di servizio ed istituzionali, può essere valutato sotto diversi profili, tra i quali rientra indubbiamente quello “temporale” stigmatizzato, nel caso di specie, dall’Amministrazione resistente, non solo nella scelta di segnalare il ricorrente all’Autorità Giudiziaria per i ritardi e le omissioni nella trasmissione delle notizie di reato, ma anche in quella di attivare e concludere nei confronti del dipendente il procedimento disciplinare.

Nella fattispecie de qua agitur , la condotta del ricorrente, per quanto formalmente riconducibile all’esercizio della funzione di ufficiale addetto ai servizi di polizia giudiziaria, non può ritenersi sussumibile nel corretto e diligente svolgimento del servizio e adempimento degli obblighi istituzionali, in ragione del sensibile ritardo e della conseguente omissione della trasmissione delle notizie di reato alla locale Procura.

E ciò a prescindere da quanto affermato, incidenter tantum , dal giudice penale nella sentenza di assoluzione, in cui si rileva che “ dalla condotta dell'imputato può semmai trasparire, se del caso e a tutto concedere, una non perfetta diligenza nell'assolvimento dei carichi di lavoro assegnati, una imperizia nel gestire il carico redazionale e nulla più che una non soddisfacente - rispetto agli standard richiesti - celerità nell'evasione delle numerose pratiche in carico ”, trattandosi evidentemente di considerazioni aventi portata meramente ipotetica e non suffragate da oggettivi rilievi disciplinari, non di competenza del giudice penale.

Quello che deve essere valorizzato, al fine di ritenere non applicabile alla fattispecie in esame l’art. 18 citato, è non solo il fatto storico nella sua obiettività, ma anche i risvolti disciplinari che lo stesso ha comportato ed in ragione dei quali al ricorrente, con provvedimento del Comando Legione Carabinieri “Emilia Romagna” del 26 aprile 2019, è stata inflitta la sanzione della “consegna di rigore” per due giorni, con la seguente motivazione: “ In rilevante violazione dei doveri del suo stato, in qualità di Ufficiale di P.G., addetto a Stazione capoluogo, non informava la competente Autorità Giudiziaria, né redigeva le previste comunicazioni di notizia di reato relativamente a otto denunce-querele ricevute nell'espletamento del proprio servizio di ricezione del pubblico. In sede penale veniva assolto dal reato di omessa denuncia di reato da parte del p.u., continuata, perché il fatto non costituisce reato. Con tale condotta, non esemplare e gravemente lesiva del prestigio personale e dell'istituzione, dimostrava negligenza e minor professionalità nonché superficialità nell'assolvimento dei doveri connessi con le proprie attribuzioni di Ufficiale di Polizia Giudiziaria. Recidivo ”;
provvedimento avverso il quale il militare proponeva ricorso gerarchico, definito con provvedimento di rigetto del Comando Interregionale Carabinieri “-OMISSIS-” del 5 luglio 2019.

Osserva il Collegio che il fatto, nella storica oggettività dei ritardi e delle omissioni nella trasmissione delle notizie di reato all’Autorità Giudiziaria, disvela, a pieno titolo, la violazione del dovere di diligenza che deve connotare lo svolgimento del servizio e l’assolvimento degli obblighi istituzionali, determinando, già di per sé, la cesura del rapporto di immedesimazione organica con l’Amministrazione e, per l’effetto, il venir meno di una delle condizioni per poter usufruire del rimborso delle spese di patrocinio legale.

Si è infatti in presenza, nel caso di specie, di una mera connessione occasionale delle condotte omissive e dilatorie nella trasmissione delle notizie di reato con la funzione di pubblico ufficiale addetto ai servizi di polizia giudiziaria, come tale non sufficiente ai fini dell'ammissibilità del rimborso delle spese legali, altrimenti dovendo farsi rientrare nel campo applicativo della norma tutte le imputazioni relative ai reati “propri” commessi nell'esercizio della qualifica rivestita, ma inerenti condotte che trovino nel servizio la mera occasione di realizzazione. Va ribadito che la sussistenza di una connessione tra i fatti e gli atti oggetto del giudizio penale e l’espletamento del servizio e l’assolvimento degli obblighi istituzionali di cui al suindicato art. 18 opera a favore del dipendente che abbia agito non solo in nome e per conto ma anche che nell’interesse dell’Amministrazione.

Ebbene, nel caso di specie, per gli stessi fatti oggetto di procedimento penale, ritenuti non sussumibili nella fattispecie di cui all’art. 361 cod. pen. per mancanza del coefficiente psicologico soggettivo, come accennato, l’Amministrazione ha avviato e concluso il procedimento disciplinare, irrogando la sanzione della consegna di rigore sulla scorta della ritenuta negligenza e superficialità del ricorrente.

Giova a tal proposito ricordare che, come sostenuto dalla giurisprudenza amministrativa, la possibilità del rimborso delle spese legali è da escludersi qualora vi sia conflitto di interessi tra dipendente ed Amministrazione, emergendo – come nel caso di specie - estremi di natura disciplinare ed amministrativa, per mancanze attinenti al compimento dei doveri d'ufficio (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VI, 13 novembre 2023, n. 6202).

Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, la finalità della previsione del rimborso delle spese di patrocinio legale è quella di sollevare i funzionari pubblici dal timore di eventuali conseguenze giudiziarie connesse all'espletamento del servizio (e dunque di consentire lo svolgimento sereno delle funzioni e dei servizi pubblici) e tenere indenni i soggetti dalle spese legali affrontate per i procedimenti giudiziari strettamente connessi all'espletamento dei propri compiti istituzionali, con la conseguenza che il requisito essenziale in questione può considerarsi sussistente solo quando risulti possibile imputare gli effetti dell'agire del pubblico dipendente direttamente all'Amministrazione di appartenenza in quanto sussista con la stessa un rapporto di immedesimazione organica (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VI, 27 marzo 2023, n. 1871).

Ebbene, nel caso di specie la negligenza accertata a carico del ricorrente, peraltro censurata in sede disciplinare, non consente di ritenere che le condotte oggetto di sindacato in sede penale siano espressione diretta dello “svolgimento del servizio” o dell’“assolvimento di obblighi istituzionali”, con ciò determinandosi la cesura del rapporto di immedesimazione organica con l’Amministrazione di appartenenza.

Ne deriva l’insussistenza di uno dei presupposti necessari ai fini dell’applicabilità dell’art. 18 del Decreto Legge 25 marzo 1997, n. 67, vale a dire la ricorrenza di “ fatti ed atti connessi con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali ”.

Alla luce di quanto argomentato, il Collegio ritiene infondato il primo motivo di ricorso.

II. “ Violazione dei termini di conclusione del procedimento – art. 2 legge 241/1990 e artt. 1033 e 1034 del DPR 15 marzo 2010, n. 90 ”.

Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente prospetta che l’istanza tesa ad ottenere il rimborso delle spese di patrocinio legale sia stata proposta in data 15 novembre 2018 e che l’Amministrazione, previo preavviso di rigetto pervenuto in data 11 giugno 2019, ha adottato il provvedimento di rigetto solo in data 19 novembre 2019, notificato al ricorrente in data 6 dicembre 2019.

Lamenta, quindi, la violazione dei termini di conclusione del procedimento, chiedendo il risarcimento del danno a mente dell’art. 2 bis della Legge 7 agosto 1990 n. 241.

Il motivo è infondato.

Il risarcimento del danno da ritardo di cui al comma 1 dell'art. 2 bis della Legge 7 agosto 1990 n. 241, così come la corresponsione dell'indennizzo da ritardo, presuppone l'inerzia dell'Amministrazione nell'esercizio di un potere autoritativo ( ex multis T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, Sez. I, 24 novembre 2020, n.757;
Consiglio di Stato, Sez. IV, 7 gennaio 2020, n. 119).

Ebbene, l'istanza volta al rimborso delle spese legali non comporta l’esercizio di un potere autoritativo dell’Amministrazione, ma attiene ad un rapporto paritetico in cui il dipendente pubblico vanta, alla ricorrenza dei presupposti, un vero e proprio diritto soggettivo ( ex multis Cassazione Civile, Sezioni Unite, ordinanza 17 febbraio 2020, n. 3887;
T.A.R. Campania, Napoli, Sez. IV, 13 novembre 2018, n. 6565) la cui cognizione ricade nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo di cui all'art. 133, comma 1, lett. i) cod. proc. amm. nell'ambito del rapporto di pubblico impiego non privatizzato quale quello per cui è causa (Cassazione civile, Sezioni Unite, 15 aprile 2010, n. 8983).

E, in ogni caso, il richiamo della norma all’ingiustizia del danno fa sì che il giudizio risarcitorio sia incentrato sulla spettanza del “bene della vita” coinvolto nella controversia, per cui non se ne può mai prescindere, se è vero che solo la lesione del “bene della vita” qualifica in termini di ingiustizia il danno lamentato con il ritardo. Ma nella circostanza, come si è visto, la pretesa sostanziale si rivela priva di fondamento.

Di talchè non ricorrono i presupposti per l’applicabilità del citato art. 2 bis .

Per tutto quanto sopra illustrato, il ricorso è infondato e deve essere rigettato, anche quanto alla richiesta di risarcimento del danno da ritardo.

Sussistono giuste ragioni, in relazione alla peculiarità della controversia, per disporre la compensazione delle spese di lite

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