TAR Roma, sez. IV, sentenza 2023-04-13, n. 202306410

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. IV, sentenza 2023-04-13, n. 202306410
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202306410
Data del deposito : 13 aprile 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/04/2023

N. 06410/2023 REG.PROV.COLL.

N. 04211/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4211 del 2021, integrato da motivi aggiunti, proposto da
Sky Italia s.r.l., rappresentata e difesa dagli avvocati O G, D M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Roma, viale Bruno Buozzi, 87;

contro

Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Economia e delle Finanze, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

T.B.S. Television Broadcasting System s.r.l. in liquidazione;
Wind Tre S.p.A.;
Poste Italiane S.p.A.;
Wind Tre, rappresentata e difesa dagli avvocati Beniamino Caravita Di Toritto, Sara Fiorucci, Roberto Santi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Roma, via di Porta Pinciana, 6;

per l'annullamento

della deliberazione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 616/20/CONS del 19.11.2020, avente ad oggetto “ Misura e modalità di versamento del contributo dovuto all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni per l’anno 2021 dai soggetti che operano nei settori delle comunicazioni elettroniche e dei servizi media ”;
della deliberazione n. 71/21/CONS, adottata dall’Autorità il 25.2.2021, avente ad oggetto “ modello telematico e istruzioni per il versamento del contributo dovuto all’Autorità per l’anno 2021 dai soggetti che operano nei settori delle comunicazioni elettroniche e dei servizi media ”, con i relativi allegati A e B;
di tutti gli atti connessi, presupposti e consequenziali, vale a dire: il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 27.1.2020;
l’art. 2 dell’Allegato A alla delibera n. 666/08/CONS (“ Regolamento per l’organizzazione e la tenuta del Registro degli operatori di comunicazione ”);
la deliberazione 572/20/CONS del 29.10.2020 (recante « Rendiconto ex articolo 34, comma 2-ter, del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 2003 – Anno 2019 »);
la deliberazione n. 259/20/CONS (“ Approvazione del conto consuntivo per l’esercizio 2019 ”);
la deliberazione n. 527/18/CONS (“ Misura e modalità di versamento del contributo dovuto all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni per l’anno 2019 dai soggetti che operano nei settori delle comunicazioni elettroniche e dei servizi media ”);
la deliberazione n. 695/20/CONS, recante « Approvazione del bilancio di previsione per l’esercizio 2021 dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni », nonché il documento denominato “ Bilancio di previsione 2021 – Relazione illustrativa ”;
la deliberazione n. 17/98 (« Approvazione dei regolamenti concernenti l’organizzazione ed il funzionamento, la gestione amministrativa e la contabilità, il trattamento giuridico ed economico del personale dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni »;
la deliberazione n. 20/09/CONS (« Integrazione del Manuale di cui all’art. 3 dell’allegato B alla de-libera n. 17/98 del 16 giugno 1998 »);
la deliberazione n. 223/12/CONS (« Regolamento concernente l’organizzazione e il funzionamento dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni »);
la deliberazione n. 172/17/CONS (« Attuazione della nuova organizzazione dell’Autorità: individuazione degli Uffici di secondo livello »);
la deliberazione n. 617/20/CONS (« Misura e modalità di versamento del contributo dovuto all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni per l’anno 2021 dai soggetti che operano nel settore dei servizi postali »);
la deliberazione n. 694/20/CONS (« Piano di programmazione finanziaria degli esercizi 2021-2023 dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni »);
il parere della Commissione di Garanzia reso ai sensi dell’art. 42, comma 2 del “ Regolamento concernente la gestione amministrativa e la contabilità dell’Autorità ” allegato alla deliberazione n. 223/12/CONS;
la nota prot. n. 0137403 del 19.3.2021, avente ad oggetto « Contributo dovuto all’Autorità per l’anno 2021 (delibere nn. 616/20/CONS e 71/21/CONS). Avviso », trasmessa alla ricorrente in pari data.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Wind Tre;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 aprile 2023 il dott. Angelo Fanizza e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

La società Sky Italia s.r.l. ha impugnato e chiesto l’annullamento della deliberazione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 616/20/CONS del 19.11.2020, avente ad oggetto “ Misura e modalità di versamento del contributo dovuto all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni per l’anno 2021 dai soggetti che operano nei settori delle comunicazioni elettroniche e dei servizi media ”;
della deliberazione n. 71/21/CONS, adottata dall’Autorità il 25.2.2021, avente ad oggetto “ modello telematico e istruzioni per il versamento del contributo dovuto all’Autorità per l’anno 2021 dai soggetti che operano nei settori delle comunicazioni elettroniche e dei servizi media ”, con i relativi allegati A (« Modello contributo SCM - Anno 2021 ») e B (« Istruzioni per il versamento del contributo dovuto all’Autorità per l’anno 2021 dai soggetti che operano nel settore delle comunicazioni elettroniche e dei servizi media »);
di tutti gli atti connessi, presupposti e consequenziali, vale a dire: il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 27.1.2020;
l’art. 2 dell’Allegato A alla delibera n. 666/08/CONS (“ Regolamento per l’organizzazione e la tenuta del Registro degli operatori di comunicazione ”);
la deliberazione 572/20/CONS del 29.10.2020 (recante « Rendiconto ex articolo 34, comma 2-ter, del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 2003 – Anno 2019 »);
la deliberazione n. 259/20/CONS (“ Approvazione del conto consuntivo per l’esercizio 2019 ”);
la deliberazione n. 527/18/CONS (“ Misura e modalità di versamento del contributo dovuto all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni per l’anno 2019 dai soggetti che operano nei settori delle comunicazioni elettroniche e dei servizi media ”);
la deliberazione n. 695/20/CONS, recante « Approvazione del bilancio di previsione per l’esercizio 2021 dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni », nonché il documento denominato “ Bilancio di previsione 2021 – Relazione illustrativa ”;
la deliberazione n. 17/98 (« Approvazione dei regolamenti concernenti l’organizzazione ed il funzionamento, la gestione amministrativa e la contabilità, il trattamento giuridico ed economico del personale dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni »;
la deliberazione n. 20/09/CONS (« Integrazione del Manuale di cui all’art. 3 dell’allegato B alla de-libera n. 17/98 del 16 giugno 1998 »);
la deliberazione n. 223/12/CONS (« Regolamento concernente l’organizzazione e il funzionamento dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni »);
la deliberazione n. 172/17/CONS (« Attuazione della nuova organizzazione dell’Autorità: individuazione degli Uffici di secondo livello »);
la deliberazione n. 617/20/CONS (« Misura e modalità di versamento del contributo dovuto all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni per l’anno 2021 dai soggetti che operano nel settore dei servizi postali »);
la deliberazione n. 694/20/CONS (« Piano di programmazione finanziaria degli esercizi 2021-2023 dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni »);
il parere della Commissione di Garanzia reso ai sensi dell’art. 42, comma 2 del “ Regolamento concernente la gestione amministrativa e la contabilità dell’Autorità ” allegato alla deliberazione n. 223/12/CONS;
la nota prot. n. 0137403 del 19.3.2021, avente ad oggetto «Contributo dovuto all’Autorità per l’anno 2021 (delibere nn. 616/20/CONS e 71/21/CONS). Avviso», trasmessa alla ricorrente in pari data.

A fondamento del ricorso sono stati dedotti i seguenti motivi:

1°) violazione dell’art. 12 della dir. 2002/20/Ce e dei suoi “considerando” 30 e 31;
degli artt. 3, 23, 41, 53 e 97 della Costituzione;
degli artt. 49-54 TFUE;
dell’art. 5 TUE e del principio di proporzionalità;
dell’art. 1, comma 65 e 66 della legge 266/2005 e dell’art. 1 della legge 241/1990;
dell’art. 34 del d.lgs. 259/2003;
dell’art. 1 della legge 249/1997;
dell’art. 34, comma 2 bis del d.lgs. 259/2003 per violazione del diritto comunitario e degli artt. 3, 24 e 117, comma 1 della Costituzione.

La ricorrente ha contestato, anzitutto, la mancata adozione (o, in ogni caso, la mancata pubblicazione) di un rendiconto annuale dei costi amministrativi coperti con la riscossione del contributo degli operatori per l’anno 2020, e ciò in violazione dell’art. 34 del d.lgs. 259/2003 ed anche delle statuizioni contenute nell’ordinanza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 29.4.2020 (causa C-399/19);
in sostanza, la ricorrente ha lamentato che “ l’Autorità, con il rendiconto 2019, ha invece preteso di finanziare con i diritti amministrativi di cui al citato art. 12 l’intero fabbisogno relativo ai costi indiscriminata-mente afferenti al «settore delle comunicazioni elettroniche» ” (cfr. pag. 8);
e, in ogni caso, “ l’Autorità non si è neppure attenuta a quanto disposto dal citato comma 2-bis” del predetto art. 34, nel senso che l’Amministrazione avrebbe dovuto “perlomeno escludere tutti i costi amministrativi che non rientrano nelle funzioni specificamente menzionate nella stessa disposizione ed avrebbe perciò dovuto esplicitamente escluderli nel rendiconto 2019 ” (cfr. pag. 11).

Ha soggiunto che il significativo avanzo di amministrazione dell’Autorità proverebbe, da un lato, l’evidente sovradimensionamento dei contributi richiesti e, dall’altro, “ l’omissione di un’effettiva redistribuzione dell’avanzo di amministrazione – evidentemente realizzato tramite la costante fissazione di livelli di contribuzione più alti di quelli necessari – alle imprese interessate, in relazione alla loro contribuzione per gli anni di riferimento ” (cfr. pag. 14).

2°) Violazione dell’art. 1, commi 65 e 66 della legge 266/2005;
dell’art. 2, comma 38 della legge 481/1995;
dell’art. 6 della legge 249/1997;
eccesso di potere per difetto dei presupposti, carenza di motivazione, contraddittorietà.

La ricorrente ha, inoltre, dedotto che per individuare i soggetti tenuti al pagamento del contributo, l’Autorità ha richiamato, nelle proprie deliberazioni, dopo l’entrata in vigore della legge n. 266/2005, il DM del 17.5.2002, regolamentazione finalizzata all’individuazione dei soggetti tenuti al pagamento del contributo, ma che, nella specie, sarebbe stata disattesa.

3°) Violazione dell’art. 1, comma 65 e 66 della legge 266/2005;
dell’art. 2, comma 38 della legge 481/1995;
dell’art. 6 della legge 249/1997;
illegittimità derivata per contrasto con gli artt. 3, 23, 41, 53 e 97 della Costituzione.

Con tale motivo la ricorrente ha dedotto che “ qualora dovesse ritenersi – in denegata ipotesi – che i commi 65 e 66 del rubricato art. 1 non abbiano legificato l’elenco (contenuto nel d.m.) dei soggetti, delle attività e dei corrispondenti ricavi da assoggettare, o meno, al pagamento del contributo AGCom, lasciando alla stessa Autorità l’individuazione di tali cruciali elementi, diverrebbe allora rilevante e non manifestamente infondata la rubricata questione di legittimità costituzionale ” (cfr. pag. 16).

4°) Violazione dell’art. 1, comma 65 e 66 della legge 266/2005;
dell’art. 2, comma 38 della legge 481/1995;
dell’art. 6 della legge 249/1997;
dell’art. 2 del d.lgs. 177/2005;
degli artt. 3, 23, 41, 53 e 97 della Costituzione;
eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà.

In linea di continuità con il precedente motivo la ricorrente ha lamentato che “ le vaghe e generiche espressioni utilizzate nella delibera evidenziano, del resto, che l’Autorità sembra non conoscere essa stessa quali siano le «attività» rientranti nelle sue competenze e, comunque, che, in violazione del principio di buona fede e correttezza, l’Agcom abbia voluto lasciarsi un successivo “margine di manovra” in merito a quali soggetti, quali attività e quali ricavi assoggettare o meno – a seconda dell’evenienza e della convenienza del momento – a contributo ” (cfr. pag. 18).

Oltre a ciò, la ricorrente ha contestato il contenuto delle Istruzioni approvate con la deliberazione n. 71/21/CONS, adottata dall’Autorità il 25.2.2021, le quali non avrebbero prospettato una disciplina chiara sull’individuazione dei soggetti tenuti al pagamento in quanto emergerebbe una discrasia con il novero dei soggetti individuati dalla normativa primaria.

5°) Violazione dell’art. 1, comma 6, lett. a), nn. 5 e 6 della legge 249/1997;
dell’art. 3 del d.lgs. 373/2000;
degli artt. 23, 41 e 97 della Costituzione;
delle Direttive 98/84/Ce e 2002/20/Ce;
eccesso di potere.

In stretta dipendenza con il precedente motivo, la ricorrente ha stigmatizzato che “ il legislatore non ha inteso (né avrebbe potuto, stante la riserva di legge in materia) attribuire all’Autorità il potere di individuare, con proprio regolamento, nuove categorie di soggetti tenuti ad iscriversi al Roc ”, ossia al registro degli operatori della comunicazione, “ bensì solo quello di dettare le disposizioni organizzative del Roc e quelle applicative delle disposizioni di legge limitatamente alla miglior definizione dei soggetti (…) tenuti all’iscrizione diversi da quelli già iscritti al registro alla data di entrata in vigore della presente legge ” (cfr. pag. 21).

6°) Violazione dell’art. 12, comma 2 della Direttiva 2002/20/Ce;
degli artt. 1 e 3 della legge 241/1990;
dei principi di buona amministrazione, del pareggio di bilancio e di equilibrio tra le entrate e le spese;
degli artt. 3, 23, 41, 53, 81 e 97 della Costituzione;
eccesso di potere per sviamento.

La società ricorrente ha nuovamente richiamato “ l’avanzo di amministrazione pari a 46.329.643,95 euro ”, risultante dal bilancio di previsione 2020, e ciò al fine di contestare gli importi oggetto del contendere e lamentare che “ anche per il 2021 l’Autorità ha evidentemente stabilito in modo arbitrario il proprio presunto fabbisogno, facendo pagare molto di più, ancora una volta, agli stessi soggetti cui già in precedenza era stato richiesto, negli anni precedenti, di versare un contributo eccessivo rispetto a quanto necessario ” (cfr. pag. 24).

7°) Violazione dell’art. 34 del d.lgs. 259/2003, dell’art. 12 della Direttiva 2002/20/Ce e del suo “considerando” 30;
degli artt. 19 TUE e 267 TFUE e dell’art. 117, comma 1 della Costituzione;
illegittimità derivata.

La ricorrente ha, poi, rimarcato che la deliberazione impugnata sarebbe illegittima in considerazione del carattere indiscriminato dell’imposizione, il tutto in aperto contrasto con le statuizioni della giurisprudenza comunitaria.

8°) Violazione dell’art. 1, comma 65 e 66 della legge 266/2005;
dell’art. 2, comma 38 della legge 481/1995;
dell’art. 6 della legge 249/1997;
degli artt. 3, 23, 41, 53 e 97 della Costituzione;
eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà.

Con tale motivo si è contestata la legittimità delle due aliquota fissate dalla deliberazione impugnata (“ a) l’aliquota dell’1,30 per mille per i «soggetti di cui all’art. 34 del Codice delle comunica-zioni elettroniche»;
b) la più elevata aliquota dell’1,90 per mille per le «imprese operanti nei restanti mercati»
”), perché contrastanti con l’art. 1, comma 66 della legge 266/2005, che all’opposto avrebbe individuato “ soltanto un’aliquota unitaria, da applicare poi ai ricavi risultanti dall’ultimo bilancio approvato dai soggetti tenuti al pagamento del contributo ” (cfr. pag. 25).

9°) Violazione dell’art. 1, comma 65 e 66 della legge 266/2005;
dell’art. 2, comma 38 della legge 481/1995;
dell’art. 6 della legge 249/1997;
degli artt. 49-54 TFUE;
dell’art. 5 TUE.

Sempre con richiamo alla differenziazione delle aliquote, la ricorrente ha soggiunto, poi, che “ una restrizione quale quella controversa potrebbe essere ammessa, peraltro a livello legislativo, solo per ragioni imperative di interesse generale. Anche in tale ipotesi, però, la sua applicazione dovrebbe essere idonea a garantire il conseguimento dello scopo in tal modo perseguito e non eccedere quanto necessario per raggiungerlo ” (cfr. pag. 27).

10°) Violazione dell’art. 1, commi 65 e 66 della legge 266/2005;
dell’art. 2, comma 38 della legge 481/1995;
dell’art. 6 della legge 249/1997;
art. 2 del d.lgs. 177/2005;
art. 1 del d.lgs. 259/2003;
degli artt. 49-54 TFUE;
dell’art. 5 TUE;
dell’art. 12 della Direttiva 2002/20/Ce;
degli artt. 3, 23, 41, 53, 81 e 97 della Costituzione;
eccesso di potere per sviamento, difetto d’istruttoria e di motivazione, disparità di trattamento, violazione del principio di proporzionalità.

La ricorrente ha inoltre, contestato che “ l’Autorità procede arbitrariamente a limitare la possibilità per gli operatori di escludere ricavi derivanti da attività che non rientrano nei settori delle comunica-zioni elettroniche e dei servizi media, ponendoli per giunta di fronte all’illegittimità alternati-va di dichiarare il falso (tenuto conto che nel modello si chiede che la dichiarazione venga effettuata nella consapevolezza delle conseguenze penali previste dall’art. 76 d.P.R. n. 445/2000), ovvero vedersi costretta a sottoporre a contributo ricavi che ad esso non assoggettabili ” (cfr. pag. 29).

11°) Violazione dell’art. 1, commi 65 e 66 della legge 266/2005;
dell’art. 2, comma 38 della legge 481/1995;
dell’art. 6 della legge 249/1997;
del divieto di doppia imposizione;
eccesso di potere per illogicità, contraddittorietà, carenza dei presupposti, disparità di trattamento, difetto di motivazione.

La ricorrente ha, infine, dedotto l’illegittimità della previsione secondo cui anche in caso di rapporti commerciali all’interno del medesimo gruppo, ciascuna società esercente le attività sarebbe tenuta a versare un autonomo contributo.

Si è costituita in giudizio l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, congiuntamente alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed al Ministero dell'Economia e delle Finanze (20.4.2021), nonché la società Wind Tre (29.4.2021).

Con motivi aggiunti depositati in data 7.11.2022 la ricorrente ha compendiato l’impugnazione con i seguenti, ulteriori, motivi:

12°) violazione dell’art. 12 della Direttiva 2002/20/Ce e dei suoi “considerando” 30, 31;
dei “considerando” 53 e 54 della Direttiva 2018/1972;
degli artt. 3, 23, 41, 53 e 97 della Costituzione;
degli artt. 49-54 TFUE;
dell’art. 5 TUE e del principio di proporzionalità;
degli artt. 1 e 3 della legge 241/1990;
dell’art. 1, commi 65 e 66 della legge 266/2005;
dell’art. 2, comma 241 della legge 191/2009;
dell’art. 34 del d.lgs. 259/2003;
dell’art. 1 della legge 249/1997 e dell’Allegato A alla deliberazione 223/12/CONS;
dei principi di economicità, efficienza e proporzionalità dell’attività amministrativa, dei principi di buona amministrazione, del pareggio di bilancio e di equilibrio tra le entrate e le spese: illegittimità derivata.

La ricorrente ha riepilogato il contenuto dei motivi proposti con il ricorso principale, il tutto sulla base del richiamo alla relazione allegata al conto consuntivo 2021.

13°) Sotto altro profilo, violazione dell’art. 12 della Direttiva 2002/20/Ce e dei suoi “considerando” 30, 31;
dei “considerando” 53 e 54 della Direttiva 2018/1972;
degli artt. 3, 23, 41, 53 e 97 della Costituzione;
degli artt. 49-54 TFUE;
dell’art. 5 TUE e del principio di proporzionalità;
degli artt. 1 e 3 della legge 241/1990;
dell’art. 1, commi 65 e 66 della legge 266/2005;
dell’art. 2, comma 241 della legge 191/2009;
dell’art. 34 del d.lgs. 259/2003;
dell’art. 1 della legge 249/1997 e dell’Allegato A alla deliberazione 223/12/CONS;
dei principi di economicità, efficienza e proporzionalità dell’attività amministrativa, dei principi di buona amministrazione, del pareggio di bilancio e di equilibrio tra le entrate e le spese: illegittimità derivata.

La ricorrente ha dedotto che “ l’Autorità ha illegittimamente “spalmato” i contributi riscossi – per un importo stabilito, a monte, senza alcun rispetto delle previsioni dell’art. 16 – a pretesa copertura degli asseriti costi di una serie di attività diverse da quelle previste dalla stessa norma comunitaria, nel tentativo di far corrispondere il più possibile i relativi importi in entrata e in uscita ” (cfr. pag. 20).

14°) In subordine: illegittimità dell’art. 16 del d.lgs. 259/2003 per violazione dell’art. 12 della Direttiva 2002/20/Ce e dei suoi “considerando” 30, 31;
dei “considerando” 53 e 54 della Direttiva 2018/1972;
degli artt. 3, 24 e 117 della Costituzione;
degli artt. 19 TUE e 267 TFUE.

Con tale motivo la ricorrente ha precisato che le domande proposte in giudizio “ sono volte ad evitare che i propri ricavi vengano assoggettati ad un indebito prelievo nonché a recuperare le somme indebitamente pagate a titolo di contributo Agcom ” (cfr. pag. 22).

15°) Sotto altro profilo, illegittimità dell’art. 16 del d.lgs. 259/2003.

La ricorrente, da ultimo, sottolineato che “ il citato comma 3, pur consentendo un ampliamento dei costi amministrativi finanziabili rispetto a quelli indicati dall’art. 16 del Codice europeo, non permetterebbe comunque di andare oltre ai costi generati dall’esercizio, da parte dell’Autorità, delle sole «funzioni di regolazione, di vigilanza, di composizione delle controversie e sanzionatorie attribuite dalla legge all’Autorità nelle materie di cui al comma 1». In sostanza, l’Autorità non può comunque pretendere di coprire tutto il fabbisogno finanziario delle attività da essa svolte nel settore delle comunicazioni elettroniche, neppure aderendo alla illegittima interpretazione del comma 3, sopra censurata ” (cfr. pag. 23).

In vista dell’udienza di discussione del ricorso nel merito, fissata per il 5 aprile 2023, le parti hanno depositato le rispettive memorie e repliche, insistendo nelle rispettive conclusioni.

In particolare, l’AGCOM ha fatto presente che la pronuncia (n. 7226/2022 del TAR Lazio, resa in diverso giudizio) che ha annullato la deliberazione odiernamente impugnata è stata oggetto di appello innanzi al Consiglio di Stato, il quale, con ordinanza collegiale del 27.1.2023, n. 961 ha disposto incombenti finalizzati a stabilire se la condotta tenuta dall’Amministrazione sia, o meno, conforme alle statuizioni della Corte di Giustizia di cui all’ordinanza n. 399 del 29.4.2020.

La società ricorrente, nella memoria del 20.3.2023, ha chiesto la declaratoria di cessazione della materia del contendere, facendo richiamo alla sentenza n. 7226/2022, “ o, comunque, l’accoglimento delle domande proposte con il ricorso introduttivo e con i motivi aggiunti ”;
l’Autorità resistente si è opposta a tale domanda nella replica depositata il 24.3.2023.

All’udienza pubblica del 5 aprile 2023 la causa è stata trattenuta per la decisione.

Preliminarmente, il Collegio registra che:

- che la Sezione IV bis di questo Tribunale ha accolto con sentenza del 3 giugno 2022, n. 7226 il ricorso proposto dalla società Telecom Italia Sparkle S.p.A. avverso la deliberazione n. 616/20/CONS del 25.2.2021 e la deliberazione n. 71/21/CONS del 25.2.2021, vale a dire i medesimi atti impugnati nel presente giudizio;

- che l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha proposto appello a tale sentenza innanzi al Consiglio di Stato e che nell’ambito del giudizio iscritto al RG 6958/2022 è stata emessa l’ordinanza del 27 gennaio 2023, n. 961, con ulteriore rinvio – per la definizione del merito – all’udienza pubblica del 22 giugno 2023;

- che in tale ordinanza si è, in particolare, evidenziato che “ i provvedimenti annullati dal Giudice di primo grado tengono conto, nella loro trama motivazionale, dell’ordinanza della Corte di Giustizia indicata al precedente punto ”, ossia l’ordinanza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, Sez. X, 29 aprile 2020 n. 399, causa C-399/19, “ per cui la verifica della congruità delle ragioni a sostegno delle decisioni nonché l’accertamento della corretta applicazione del diritto unionale deve compiersi attraverso una analitica disamina delle statuizioni della Corte di Giustizia e della rispondenza alle stesse dei provvedimenti dell’Autorità ”;
il giudice di seconde cure ha, inoltre, sottolineato la “ necessità di una chiara indicazione da parte del Giudice amministrativo dei presupposti e delle condizioni per ritenere correttamente attuata, alla luce delle statuizioni della Corte di Giustizia, la normativa euro-unitaria di cui all’art. 12 della direttiva della direttiva 2002/20/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, relativa alle autorizzazioni per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (direttiva autorizzazioni), come modificata dalla direttiva 2009/140/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009. Tale richiesta dell’Autorità muove dalla sussistenza di un ampio contenzioso che interessa le delibere relative alle varie annualità e dalla ritenuta non idoneità della sentenza di primo grado ad esprimere, comunque, principi in grado di far conformare i provvedimenti alle indicazioni della Corte di Giustizia, come interpretate dal giudice interno ”;
ed ha, pertanto, “ ritenuto necessario, al fine di compiere gli approfondimenti di cui ai punti 4 e 5 della presente ordinanza, disporre incombenti istruttori e, in particolare, ordinare all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni di depositare, nel rispetto dei termini di cui all’art. 73, comma 1, c.p.a., una relazione illustrativa (corredata da documentazione) nella quale si dia conto al Collegio delle misure e delle modalità di finanziamento stabilite dalle Autorità nazionali degli altri Paesi europei al fine di dare attuazione alla previsione di cui all’art. 12 della Direttiva autorizzazioni ”.

Il Collegio, nondimeno, rileva che pure a fronte dell’identità delle deliberazioni impugnate, nei termini sopra illustrati, e della pronuncia di annullamento emessa dalla Sezione IV bis, non sussiste, nella specie, un rapporto di pregiudizialità tecnica tale da comportare, ai sensi dell’art. 79, comma 1 c.p.a. la sospensione del giudizio.

La giurisprudenza ha osservato che la pregiudizialità sussiste quando una controversia costituisca l’indispensabile antecedente logico-giuridico dal quale dipenda la decisione della causa pregiudicata, in ragione del fatto che il rapporto giuridico della prima rappresenta un elemento costitutivo della situazione sostanziale dedotta nella seconda, per cui il relativo accertamento si imponga nei confronti di quest’ultima con efficacia di giudicato, al fine di assicurare l’uniformità di decisioni (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 17 febbraio 2016, n. 640;
id., sez. IV, 18 novembre 2014, n. 5662;
id., 8 gennaio 2013, n. 39;
id., sez. V, 16 febbraio 2015, n. 806;
id., sez. VI, 12 marzo 2012, n. 1386).

Nella specie la pendenza del giudizio di appello iscritto al RG 6958/2022 e, nell’ambito di tale giudizio, l’espletamento di un’istruttoria processuale non possono, comunque, comportare la sospensione del presente processo, nell’ambito del quale è stata frontalmente contestata la disciplina amministrativa – delineata da più atti di contenuto generale e astratto– sul contributo da erogare all’Autorità.

Neppure è da accogliere la domanda della società ricorrente volta ad ottenere la declaratoria di cessazione della materia del contendere;
a tal fine, il Collegio osserva che nella sentenza n. 7226/2022 la Sezione IV bis di questo Tribunale ha, in effetti, annullato la deliberazione n. 616/2020 ma in rapporto all’ulteriore domanda processuale, proposta con motivi aggiunti, con cui la società Telecom Italia Sparkle S.p.A. ha chiesto l’annullamento “ dell’atto di diffida (delibera n. 213/21/CONS del 24.6.2021) con il quale Agcom ha diffidato TIS a versare quanto ancora asseritamente dovuto dalla ricorrente, comprensivo di interessi, a titolo di contributo di funzionamento per il 2021, pari a Euro 887,043,04 ”.

Di conseguenza, la presente controversia dev’essere, comunque, decisa nel merito.

Tanto premesso, nei termini formulati è infondato il primo motivo.

Il giudice comunitario (cfr. Corte di Giustizia dell’Unione europea, ordinanza n. 399 del 20 aprile 2020) ha evidenziato che il rendiconto annuale previsto all’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva autorizzazioni mira, come risulta dal considerando 30 di tale direttiva, a garantire la trasparenza della contabilità gestita dall’ANR, consentendo così alle imprese interessate di verificare se vi sia equilibrio tra i costi amministrativi e i diritti.

Nella sentenza n. 208 del 12 gennaio 2022, la VI Sezione del Consiglio di Stato ha rimarcato che “ già al punto 41 della sentenza del 18 luglio 2013 la Corte aveva segnalato che la direttiva autorizzazioni non prevede né il modo in cui determinare l’importo dei diritti amministrativi che possono essere imposti ai sensi dell’articolo 12 di tale direttiva, né le modalità di prelievo di tali diritti, di talché spetta agli Stati membri determinare le modalità della pubblicazione del rendiconto annuale e dell’attuazione delle opportune rettifiche imposte dall’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva autorizzazioni, garantendo al contempo la trasparenza in maniera tale che le imprese interessate possano verificare se vi sia equilibrio tra i costi amministrativi e i diritti ”.

E, soprattutto, la Corte ha concluso nel senso che “ l’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2002/20, come modificata dalla direttiva 2009/140, deve essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa di uno Stato membro in forza della quale, da un lato, il rendiconto annuale previsto da tale disposizione è pubblicato successivamente alla chiusura dell’esercizio finanziario annuale nel quale i diritti amministrativi sono stati riscossi e, dall’altro, le opportune rettifiche sono effettuate nel corso di un esercizio finanziario non immediatamente successivo a quello nel quale tali diritti sono stati riscossi ”.

Di contro, la ricorrente ha lamentato (soltanto) l’illegittimità correlata ad un profilo procedurale (la mancata adozione del rendiconto 2020 da parte di Agcom) che avrebbe leso la prerogativa di partecipazione procedimentale, impedendo una verifica trasparente sulla minimizzazione dei costi aggiuntivi;
non ha, però, indicato nel ricorso alcun elemento che, in difetto della pubblicazione dell’invocato rendiconto 2020, non sarebbe stato determinato o determinabile, essendosi, piuttosto, richiamata ad un’analisi del rendiconto 2019, quest’ultimo non riferibile all’anno 2021, oggetto del contendere;
e senza contare, come eccepito dalla difesa erariale, che “ l’Autorità ha adottato il Rendiconto 2021 relativo all’anno contributivo 2021 con delibera n. 297/22/CONS, recante rendiconto ex articolo 16, comma 4, del Decreto Legislativo 1° agosto 2003, n. 259 - Anno 2021 ” (cfr. pag. 4 della memoria del 20.3.2023).

Possono, poi, essere esaminati congiuntamente, per ragioni di affinità tematica, il secondo, terzo, quarto, quinto e settimo motivo, con cui la ricorrente ha frontalmente contestato le modalità di individuazione dei soggetti tenuti al pagamento del contributo.

Neppure tali motivi possono essere accolti.

All’art. 1 della deliberazione impugnata si è previsto che “ i soggetti di cui all’articolo 34 del Codice delle comunicazioni elettroniche e gli altri soggetti esercenti attività che rientrano nelle competenze attribuite dalla normativa vigente all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni sono tenuti alla contribuzione prevista dall’articolo 1, commi 65 e 66, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, nei limiti e con le modalità disciplinate dalla presente delibera ”.

Tale previsione ha delineato, sotto il profilo soggettivo, un novero tassativamente definito dalla richiamata disposizione legislativa (“ alle imprese che forniscono reti o servizi ai sensi dell'autorizzazione generale o alle quali sono stati concessi diritti di uso ”, cfr. art. 34 nel testo ante riforma 2021), nonché, in chiave di rinvio, ha introdotto un criterio sostanziale, fondato sulla sottoposizione dell’attività condotta alla vigilanza dell’Agcom.

In ogni caso, è dirimente considerare che la giurisprudenza si è recentemente pronunciata nel senso che “ l’obbligo contributivo annuale verso l’Agcom discende direttamente dalla condizione di operatore in possesso di un’autorizzazione generale o di una concessione di diritti d’uso di cui all’art. 34 del Codice delle comunicazioni elettroniche o di soggetto che opera “nel settore dei servizi media (radio-televisione, editoria, pubblicità, etc.) ”, novero al quale pacificamente Sky è iscritta. Anche la giurisprudenza di questo Consiglio in materia ha ritenuto che il dato rilevante è rappresentato dalla corrispondenza tra il servizio di regolazione e controllo reso dalla Autorità e l’attività dei soggetti operanti nel mercato di competenza ” (cfr. Cons. Stato n. 3815/2009)” (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 7 febbraio 2022, n. 828).

Pertanto, alla luce di tali statuizioni, non possono esservi dubbi sull’assoggettamento della società ricorrente al pagamento del contributo, risolvendosi, i predetti motivi, in censure generiche tendenti a contestare le modalità di individuazione dei soggetti legittimati passivi senza, però, operare alcun riferimento al criterio – qualificazione e differenziazione degli interessi fatti valere – che, nel processo amministrativo, costituisce il discrimine per escludere l’ammissibilità di un’azione popolare.

Medesima reiezione merita, per analoga genericità della censura, l’undicesimo motivo, con cui la ricorrente, che ha presentato ricorso quale singolo operatore, senza motivare in ordine all’interesse sotteso alla censura ha contestato la legittimità della previsione secondo cui “ nel caso di rapporti di controllo o collegamento di cui all’articolo 2359 del codice civile, ovvero di società sottoposte ad attività di direzione e coordinamento di cui all’articolo 2497 del codice civile, anche mediante rapporti commerciali all’interno del medesimo gruppo, ciascuna società deve versare un autonomo contributo sulla base dei ricavi iscritti nel proprio bilancio e che, per agevolare le verifiche di competenza dell’Autorità sulla esattezza della contribuzione versata, la società capogruppo deve indicare in modo dettagliato nella propria dichiarazione il contributo versato da ciascuna delle predette società ”.

Da respingere è, altresì, il sesto motivo.

L’art. 34 del d.lgs. 259/2003 (sempre nella formulazione ante riforma 2021) ha previsto che “ la misura dei diritti amministrativi (…) è determinata ai sensi dell'articolo 1, commi 65 e 66, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, in proporzione ai ricavi maturati dalle imprese nelle attività oggetto dell'autorizzazione generale o della concessione di diritti d'uso ”.

La disposizione cui l’art. 34 fa rinvio prevede che “ l'entità della contribuzione a carico dei soggetti operanti nel settore delle comunicazioni di cui all'articolo 2, comma 38, lettera b), della legge 14 novembre 1995, n. 481, è fissata in misura pari all'1,5 per mille dei ricavi risultanti dall'ultimo bilancio approvato prima della data di entrata in vigore della presente legge. Per gli anni successivi, eventuali variazioni della misura e delle modalità della contribuzione possono essere adottate dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ai sensi del comma 65, nel limite massimo del 2 per mille dei ricavi risultanti dal bilancio approvato precedentemente alla adozione della delibera ” (art. 1, comma 66 della legge 266/2005).

Il principio guida è, perciò, costituito dal risultato di amministrazione accertato con l'approvazione del rendiconto di gestione.

Ne deriva che non è fondatamente sostenibile che l’esistenza di un avanzo di amministrazione possa di per sé giustificare l’annullamento della determinazione del contributo sull’assunto secondo cui “ anche per il 2021 l’Autorità ha evidentemente stabilito in modo arbitrario il proprio presunto fabbisogno, facendo pagare molto di più, ancora una volta, agli stessi soggetti cui già in precedenza era stato richiesto, negli anni precedenti, di versare un contributo eccessivo rispetto a quanto necessario ” (cfr. pag. 24).

Con l’ottavo e nono motivo la ricorrente ha censurato la legittimità delle aliquote determinate da Agcom, la quale, nella deliberazione impugnata, ha precisato che “ per assicurare il gettito complessivo necessario a coprire i sopra riportati fabbisogni per il funzionamento dell’Autorità, l’aliquota contributiva per l’anno 2021 è fissata: a) per i soggetti di cui all’articolo 34 del Codice, sulla base di un fabbisogno netto stimato pari a 38,3 milioni di euro, nella misura del 1,30 per mille dei ricavi risultanti dall’ultimo bilancio approvato prima dell’adozione della presente delibera;
b) per le imprese operanti nei restanti mercati di competenza dell’Autorità, sulla base di un fabbisogno netto stimato pari a 26,3 milioni di euro, nella misura del 1,90 per mille dei ricavi risultanti dall’ultimo bilancio approvato prima dell’adozione della presente delibera
”.

Tali motivi devono essere tematicamente collegati, ad avviso del Collegio, alle censure proposte con il decimo motivo, quest’ultimo riferito al difetto d’istruttoria in cui sarebbe incorsa l’Autorità resistente.

Tali censure sono fondate.

I principi che disciplinano la determinazione del contributo sono espressi dal citato art. 34 del d.lgs. 259/2003, secondo cui “ i diritti amministrativi sono imposti alle singole imprese in modo proporzionato, obiettivo e trasparente che minimizzi i costi amministrativi aggiuntivi e gli oneri accessori ”.

La legittima applicazione di tale previsione implica di dover tenere conto dell’orientamento espresso dal giudice comunitario nell’ordinanza n. 399 del 20.4.2020.

A tal proposito, nella sentenza n. 208 del 12 gennaio 2022, la VI Sezione del Consiglio di Stato ha riepilogato i profili giuridici controversi intorno alla possibile violazione del diritto unionale, richiamando alcune pronunce (“ la sentenza del 18 luglio 2013, Vodafone Omnitel e a. (da C-228/12 a C-232/12 e da C-254/12 a C-258/12, EU:C:2013:495), la sentenza del 28 luglio 2016, Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (C-240/15, EU:C:2016:608, punti 45 e 46) nonché la sentenza del 30 gennaio 2018, X e Visser (C-360/15 e C-31/16, EU:C:2018:44, punto 64) ”).

In particolare, il Consiglio di Stato ha osservato che:

- “ con riguardo alla sentenza 18 luglio 2013, ancor più nello specifico, va confermato anche in questa occasione il principio per cui l’articolo 12 della c.d. direttiva autorizzazioni deve essere interpretato nel senso che “esso non osta alla disciplina di uno Stato membro ai sensi della quale le imprese che prestano servizi o reti di comunicazione elettronica sono tenute a versare un diritto destinato a coprire i costi complessivamente sostenuti dall’ANR e non finanziati dallo Stato, il cui importo è determinato in funzione dei ricavi realizzati da tali imprese, a condizione che siffatto diritto sia esclusivamente destinato alla copertura di costi relativi alle attività menzionate al paragrafo 1, lettera a), di tale disposizione, che la totalità dei ricavi ottenuti a titolo di detto diritto non superi i costi complessivi relativi a tali attività e che lo stesso diritto sia imposto alle singole imprese in modo proporzionato, obiettivo e trasparente ”;

- “ in particolare rileva quanto segnalato al punto 38 della sentenza del luglio 2013, nel senso “che gli Stati membri possono imporre alle imprese che prestano servizi o reti ai sensi dell’autorizzazione generale o che hanno ricevuto una concessione dei diritti d’uso di radiofrequenze o di numeri soltanto diritti amministrativi che coprono complessivamente i costi amministrativi sostenuti per la gestione, il controllo e l’applicazione del regime di autorizzazione generale, dei diritti d’uso e degli obblighi specifici di cui all’articolo 6, paragrafo 2, di tale direttiva, che possono comprendere i costi di cooperazione internazionale, di armonizzazione e di standardizzazione, di analisi di mercato, di sorveglianza e di altri controlli di mercato, nonché di preparazione e di applicazione del diritto derivato e delle decisioni amministrative, quali decisioni in materia di accesso e interconnessione ” e, ai punti 39 e 40, “ che siffatti diritti possono coprire soltanto i costi che si riferiscono alle attività ricordate al punto precedente della presente ordinanza, i quali non possono comprendere altre voci di spesa e che, di conseguenza, i diritti imposti in forza dell’articolo 12 della direttiva autorizzazioni non sono volti a coprire i costi amministrativi di qualsivoglia tipo sostenuti dall’ANR. Essa ha precisato, al punto 41 di detta sentenza, che risulta dall’articolo 12, paragrafo 2, di tale direttiva, letto alla luce del considerando 30 della medesima, che i diritti in parola devono coprire i costi amministrativi veri e propri risultanti da tali attività e che vi debba essere equilibrio con tali costi. Il gettito complessivo di tali diritti percepito dagli Stati membri non può quindi eccedere il totale dei costi relativi a dette attività ”;

- “ quanto sopra trova plastico riscontro in altra sentenza della Corte (distinta da quelle più sopra citate) del 27 giugno 2013, Vodafone Malta e Mobisle Communications (C-71/12, EU:C:2013:431), nella quale, a completamento di quanto sopra, si afferma che i “diritti amministrativi di cui all’articolo 12 della direttiva autorizzazioni hanno carattere remunerativo, poiché, da un lato, possono essere imposti solo per i servizi amministrativi svolti dalle ANR a favore degli operatori di comunicazioni elettroniche, segnatamente a titolo dell’autorizzazione generale o della concessione di un diritto d’uso delle frequenze radio o dei numeri e, dall’altro, devono coprire i costi amministrativi sostenuti per tali servizi ”.

La VI Sezione ha, pertanto, sottolineato che “ la Corte, con riferimento al primo quesito sottopostole dalla Sezione con il rinvio pregiudiziale, nell’ordinanza del 29 aprile 2020, afferma che: A) i costi dell’ANR che possono essere coperti da un diritto in forza di tale disposizione sono non l’insieme delle spese di funzionamento dell’ANR, ma i costi amministrativi complessivi relativi alle tre categorie di attività di cui a detta disposizione, vale a dire: 1) le attività di gestione, controllo e applicazione del regime di autorizzazione generale ai sensi dell’articolo 3 della direttiva autorizzazioni, il quale comprende le condizioni che possono corredare l’autorizzazione generale elencate all’allegato, parte A, di tale direttiva;
2) le attività di gestione, controllo e applicazione dei diritti d’uso di radiofrequenze e di numeri di cui all’articolo 5 della direttiva autorizzazioni e delle condizioni che possono corredare tali diritti, elencate all’allegato, parti B e C, di tale direttiva;
3) le attività di gestione, controllo e applicazione degli obblighi specifici di cui all’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva autorizzazioni, che comprendono gli obblighi che possono essere imposti ai fornitori di reti e di servizi di comunicazione elettronica ai sensi dell’articolo 5, paragrafi 1 e 2, e degli articoli 6 e 8 della direttiva accesso o in forza dell’articolo 17 della direttiva servizio universale, nonché gli obblighi che possono essere imposti ai fornitori designati per la fornitura di un servizio universale conformemente a quest’ultima direttiva;
B) possono essere inclusi nei costi amministrativi complessivi relativi alle tre suelencate categorie di attività: 1) i costi di cooperazione internazionale;
2) di armonizzazione e di standardizzazione;
3) di analisi di mercato;
4) di sorveglianza del rispetto delle disposizioni e di altri controlli di mercato;
5) di preparazione e di applicazione del diritto derivato e delle decisioni amministrative, quali le decisioni in materia di accesso e interconnessione;
C) in merito alle “funzioni dell’ANR relative alla regolazione, alla vigilanza, alla composizione delle controversie e sanzionatorie”, queste derivano dalle attività di gestione, controllo e applicazione del regime di autorizzazione generale, dei diritti d’uso o degli obblighi specifici, di modo tale che i costi sostenuti per le medesime possono essere coperti dai diritti amministrativi imposti conformemente all’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva autorizzazioni;
D) in merito alla “attività di regolazione ex ante”, per effetto dell’articolo 3, paragrafo 3-bis, della direttiva quadro, essa consiste nell’imporre ai fornitori di reti o di servizi di comunicazione elettronica obblighi come quelli previsti all’articolo 5, paragrafi 1 e 2, o all’articolo 6 della direttiva accesso e quelli imposti, conformemente all’articolo 8 di tale direttiva o all’articolo 17 della direttiva servizio universale, alle imprese designate come dotate di significativo potere di mercato a seguito della procedura per l’analisi di mercato di cui all’articolo 16 della direttiva quadro. Sicché la “regolazione ex ante del mercato” fa parte integrante della suelencata terza categoria di attività dell’ANR (nonché di taluni compiti sopra menzionati quali “i costi di cooperazione internazionale, di armonizzazione e di standardizzazione, di analisi di mercato, di sorveglianza del rispetto delle disposizioni e di altri controlli di mercato, nonché di preparazione e di applicazione del diritto derivato e delle decisioni amministrative, quali le decisioni in materia di accesso e interconnessione”), con la conseguenza per cui i costi che possono essere coperti dai diritti amministrativi imposti conformemente all’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva autorizzazioni non possono limitarsi a quelli sostenuti per l’attività di regolazione ex ante del mercato
”.

La puntualità richiesta dal giudice comunitario ai fini dell’esplicitazione o, meglio, della giustificazione della commisurazione del contributo imposto dall’Autorità non risulta essere stata garantita in occasione dell’adozione della deliberazione n. 616/2020.

È, pertanto, evidente un difetto d’istruttoria e di motivazione.

Ne deriva, sul piano conformativo, che l’Autorità debba procedere ad una nuova istruttoria che definisca analiticamente il perimetro dei costi ammissibili e specificamente motivi sulla base di quali precise imputazioni (alle attività tassativamente individuate dall’art. 12 della Direttiva 2002/20) sia determinata la misura del contributo, anche differenziando tale commisurazione in relazione a diverse categorie di soggetti passivi, risultando, sul punto, meramente assertiva e infondata la tesi della c.d. “ aliquota unitaria ” (cfr. pag. 25).

Nei termini espressi, il ricorso va accolto.

Si ravvisano i presupposti per disporre la compensazione delle spese processuali.

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