TAR Venezia, sez. I, sentenza 2023-02-13, n. 202300201
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Pubblicato il 13/02/2023
N. 00201/2023 REG.PROV.COLL.
N. 00685/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 685 del 2021, proposto da
D C, U C, G D G, Salvatore D'Auria, V D B, V D, L F, B F, S G, S G, N G, M L R, S L, S L, A L, M M, G M, V M, S M, U N, S P, D P, T P, A P, E P, G P, R P, E R, C S, I S e M T, rappresentati e difesi dall'avvocato R F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l’avvocato Mgrazia Romeo in Mestre, viale Ancona 17;
contro
INPS – Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avvocati Aldo Tagliente e Sergio Aprile, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso la sede Inps di Venezia, in Venezia, Dorsoduro 3500/D;
INPS – Istituto Nazionale della Previdenza Sociale -
ex
Gestione Inpdap – sede di Roma, non costituito in giudizio;
per l'accertamento
del diritto dei ricorrenti alla rideterminazione dell'indennità di buonuscita, mediante l'inclusione nella relativa base di calcolo dei sei scatti stipendiali contemplati all'art. 6 bis del d.l. n. 387 del 1987.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Inps – Istituto Nazionale della Previdenza Sociale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 febbraio 2023 il dott. Nicola Bardino e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. I ricorrenti, già in forza all’Arma dei Carabinieri, all’Esercito Italiano e alla Guardia di Finanza (nel prosieguo ne saranno differenziate le singole posizioni in funzione del rispettivo Corpo di provenienza), congedati a domanda successivamente al compimento di cinquantacinque anni di età e con oltre trentacinque anni di servizio utile contributivo, deducono, in questa sede, di aver ricevuto un trattamento di fine servizio in misura inferiore a quello che sarebbe loro spettato per legge.
In particolare i ricorrenti ritengono che la base di calcolo per la determinazione del trattamento di fine servizio avrebbe dovuto includere la maggiorazione di sei scatti stipendiali prevista dall’art. 6 bis del decreto legge 21 settembre 1987, n. 387, convertito in legge 20 novembre 1987, n. 472, come introdotto dall’articolo 21, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 232.
I ricorrenti agiscono quindi per l’accertamento del loro diritto ad ottenere i reclamati benefici economici.
2. Si è costituito in giudizio l’INPS che ha resistito nel merito e in rito.
2.1 Quanto al merito, l’Istituto afferma di essersi conformato alle indicazioni e ai conteggi ricevuti dall’Amministrazione di appartenenza, rilevando, con riguardo alla norma invocata dai ricorrenti, che l’art. 4 del d.lgs. 30 aprile 1997, n. 165, avrebbe in effetti inteso armonizzare il trattamento tra le varie categorie con l’attribuzione di sei aumenti periodici di stipendio in caso di cessazione dal servizio per qualsiasi causa, e che tale attribuzione dovrebbe però intendersi limitata alla sola determinazione del trattamento pensionistico, senza alcun effetto con riguardo alla determinazione del trattamento di fine servizio. L’art. 6 bis del decreto legge n. 387 del 1987, convertito in legge n. 472 del 1987, nel testo introdotto l’art. 21 della legge n. 232 del 1990, si applicherebbe al solo personale della Polizia di Stato, come affermato in molteplici pronunce giurisprudenziali. Il beneficio non si applicherebbe in ogni caso ai militari dell’Esercito. L’Istituto osserva poi che i ricorrenti sarebbero comunque decaduti dal diritto a tale attribuzione in quanto avrebbero dovuto presentare domanda entro e non oltre il 30 giugno dell'anno nel quale erano maturate entrambe le predette anzianità (anagrafica e di servizio). In via subordinata, l’Istituto eccepisce la prescrizione del diritto nei confronti dei Signori D’Auria Salvatore, Mannina Mno, S I e T M.
2.2 In rito, l’Istituto eccepisce l’inammissibilità del ricorso, perché collettivamente proposto da soggetti (provenienti da Corpi distinti, regolati, a livello pensionistico, da disposizioni non sovrapponibili) le cui posizioni risulterebbero prive del carattere dell’omogeneità.
3. Alla pubblica udienza dell’8 febbraio 2023, la causa è stata trattenuta in decisione.
4. Deve essere preliminarmente rilevata l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dall’Istituto.
Va ricordato, in proposito, che i limiti alla proposizione di ricorsi cumulativi nel processo amministrativo – qui evocati dall’INPS - riguardano esclusivamente il giudizio impugnatorio. Qualora infatti la controversia abbia ad oggetto, come nel caso di specie, “ diritti soggettivi, nell'ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, non possono che operare le regole proprie del processo sui diritti, nel quale la possibilità del cumulo oggettivo di domande nello stesso processo può conseguire alla semplice connessione soggettiva, e la connessione oggettiva, che può dare luogo al cumulo soggettivo (litisconsorzio facoltativo), nasce dalla comunanza di oggetto o di titolo delle domande (connessione propria), ma anche dalla necessità di risolvere identiche questioni (connessione impropria). Sono, questi, i principi ricavabili dagli artt. 103 e 104 c.p.c., applicabili nel processo amministrativo in forza del rinvio di cui all'art. 39 c.p.a. ” (T.A.R. Toscana, Sez. I, n. 709 del 2016). Non si ravvisa, inoltre, alcun conflitto di interessi, anche potenziale, tra i ricorrenti (Cons. Stato, Sez. II, n. 7185 del 2021 e n. 8338 del 2022), non vertendosi di posizioni o di domande reciprocamente escludenti o contrapposte (nel senso che l’accoglimento della domanda a favore di taluni ricorrenti non preclude, neppure logicamente, l’accoglimento delle identiche domande proposte dai restanti;in senso conforme, si veda - in una fattispecie, del tutto analoga, caratterizzata dalla commistione tra ricorrenti di diversa provenienza - T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 193 del 2022).
5. Nel merito il ricorso deve essere accolto nei sensi e con i limiti soggettivi di seguito indicati.
5.1 L’INPS sostiene che la maggiorazione della base di calcolo spetterebbe solo in caso di cessazione dal servizio per età o per inabilità permanente al servizio ovvero ancora per decesso, ma non per l’ipotesi di dimissioni volontarie. Inoltre, il richiamato articolo 6 bis non potrebbe trovare applicazione in favore dei ricorrenti perché appartenuti rispettivamente all’Arma dei Carabinieri, alla Guardia di Finanza e all’Esercito, ritenendo che la norma si applichi solamente in favore degli ex appartenenti della Polizia di Stato.
Gli assunti dell’Istituto devono essere esaminati in ragione della diversa estrazione professionale dei ricorrenti.
5.2 Quanto ai Signori C D, C U, F L, G S, G N, M G, P D e P R, ex militari dell’Arma dei Carabinieri, e al Signor T M (sul quale resta fermo quanto infra specificato al punto 7), proveniente dalla Guardia di Finanza, deve essere osservato che il comma 2 dell’art. 6 bis del sopra menzionato decreto legge n. 387 del 1997, espressamente dispone che “ le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche al personale che chieda di essere collocato in quiescenza a condizione che abbia compiuto i 55 anni di età e trentacinque anni di servizio utile ”. Anche la giurisprudenza ha avuto modo di sottolineare che il predetto comma 2 prevede una fattispecie aggiuntiva e concorrente rispetto a quanto dispone il comma 1 (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 22 febbraio 2019, n. 1231).
La maggiorazione spetta pertanto anche in caso di dimissioni volontarie al ricorrere dei requisiti di anzianità anagrafica e di servizio richiesti dalla norma.
Tale disposizione trova applicazione non solo in favore del “ personale della Polizia di Stato appartenente ai ruoli dei commissari, ispettori, sovrintendenti, assistenti e agenti, al personale appartenente ai corrispondenti ruoli professionali dei sanitari e del personale della Polizia di Stato che espleta attività tecnico-scientifica o tecnica ”, ma anche in favore del “ personale delle forze di polizia con qualifiche equiparate ”. E a chiarire che alla predetta disposizione deve essere data una lettura estensiva è intervenuto anche l’art. 1911 del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 ( Codice dell’Ordinamento Militare ), il quale ha disposto che a tutto il “ personale delle Forze di polizia a ordinamento militare continua ad applicarsi l'articolo 6- bis , del decreto legge 21 settembre 1987, n. 387, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 1987, n. 472 ”.
Pertanto, in adesione alla prevalente giurisprudenza, deve affermarsi che la disposizione richiamata dai ricorrenti trova applicazione non solo in favore degli appartenenti alla Polizia di Stato, ma anche in favore degli appartenenti all’Arma dei Carabinieri e alla Guardia di Finanza (cfr. la già citata sentenza T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. IV, 13 maggio 2021, n. 1184, T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 23 aprile 2021, n. 133;T.R.G.A. Alto Adige, Bolzano, 4 novembre 2021, n. 308. In particolare, secondo C.G.A.R.S., n. 776 del 2022, cit., la nozione “forze di polizia”, richiamata dal menzionato articolo 6- bis , va interpretata “ anche in ragione della funzione del d.l. n. 387/1987, delineata dall’art. 1 nel senso di disporre l’estensione dei benefici economici previsti del d.P.R. 10 aprile 1987 n. 150, di attuazione dell'accordo intervenuto in data 13 febbraio 1987 tra il Governo e i sindacati del personale della Polizia di Stato, all'Arma dei carabinieri, al Corpo della guardia di finanza, al Corpo degli agenti di custodia e al Corpo forestale dello Stato, che, del resto, compongono le forze di polizia ai sensi dell’art. 16 della legge 1 aprile 1981 n. 121 ”).
5.3 Non sussistono invece i presupposti per il riconoscimento del beneficio, riguardo alle posizioni dei ricorrenti, già militari dell’Esercito, S D G G, D’Auria Salvatore, D B V, D V, F B, G S, L R M, L S, L S, L A, Mannina Mno, M V, M S, N U, P S, P T, P Antonio, Pintus Eugenio, Prencipe Giovanni, Rossi Ernesto, Saladino Calogero e Samperi Isidoro.
Si deve infatti ricordare che gli appartenenti alle forze di polizia ad ordinamento militare sono le uniche figure rispetto alle quali trova applicazione la disposizione di cui al comma 3, dell’art. 1911 del D.lgs. n. 66 del 2010. La norma infatti così dispone: “ 3. Al personale delle Forze di polizia a ordinamento militare continua ad applicarsi l'articolo 6-bis, del decreto legge 21 settembre 1987, n. 387, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 1987, n. 472 ”.
Il citato art. 1911, riconosce ai militari il beneficio dei sei aumenti periodici di stipendio ai fini del trattamento di servizio, ma solo nelle specifiche ipotesi e alle condizioni contemplate dai primi due commi, che così dispongono:
“ 1. In alternativa alla promozione alla vigilia disciplinata dall'articolo 1082, gli ufficiali in servizio permanente possono chiedere l'attribuzione, ai fini della liquidazione del trattamento di fine servizio, di sei aumenti periodici di stipendio, in aggiunta a qualsiasi altro beneficio spettante.
2. Il beneficio dei sei aumenti periodici di stipendio, di cui al comma 1, si applica anche al personale militare che ha conseguito la promozione ai sensi degli articoli 1076, comma 1, e 1077, nonché agli ufficiali cessati dal servizio per limiti di età con il grado di generale di corpo d'armata e gradi equiparati e a quelli che hanno conseguito una promozione nella posizione di ‘a disposizione’ ”.
Nel caso in esame i predetti ricorrenti non hanno dichiarato, né documentato, né sostenuto di rientrare in alcuna delle fattispecie di cui ai predetti commi 1 e 2 dell’art. 1911 del D.lgs. n. 66 del 2010, e pertanto non possono fondatamente pretendere di avvantaggiarsi di un beneficio previsto solo in favore della Polizia di Stato e delle forze di polizia ad ordinamento militare (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, 8 settembre 2022, n. 11659;id. 5 settembre 2022, n. 11406;id. 4 luglio 2022, n. 9033).
Va osservato che ad una diversa conclusione non può addivenirsi in base alle previsioni di cui all’art. 4 del al D.lgs. n. 165 del 1997 - il cui testo è stato richiamato nel ricorso - in quanto si tratta di una disposizione la quale, come risulta dall’art. 1 (rubricato: “ Campo di applicazione ”), persegue la finalità di armonizzare le disposizioni relative al solo trattamento pensionistico del personale delle Forze Armate.
La norma invocata – che dunque non regola il trattamento di fine servizio – è da ritenersi inconferente rispetto alla controversia oggetto del presente giudizio che concerne l’attribuzione del beneficio dei sei scatti stipendiali da computare nella base di calcolo volta alla liquidazione del trattamento di fine servizio (e che per i militari trova la propria compiuta disciplina nei commi 1 e 2 dell’art. 1911 del D.lgs. n. 66 del 2010), trattamento che possiede invero natura di retribuzione differita e non di trattamento pensionistico (cfr. T.A.R. Puglia, Lecce, 17 giugno 2022, n. 990).
Per quanto precede, appare dunque infondata la domanda proposta dai S D G G, D’Auria Salvatore, D B V, D V, F B, G S, L R M, L S, L S, L A, Mannina Mno, M V, M S, N U, P S, P T, P Antonio, Pintus Eugenio, Prencipe Giovanni, Rossi Ernesto, Saladino Calogero e Samperi Isidoro.
6. L’Istituto sostiene inoltre che i ricorrenti sarebbero decaduti dall’esercizio del diritto in quanto l’art. 6 bis , comma 2, del decreto legge n. 387 del 1987 dispone che “ la domanda di collocamento in quiescenza deve essere prodotta entro e non oltre il 30 giugno dell'anno nel quale sono maturate entrambe le predette anzianità ”.
In proposito, il Collegio ritiene sufficiente osservare che il mancato rispetto del termine previsto da una norma non comporta effetti decadenziali quando la stessa norma non contenga un’esplicita previsione in tal senso. Come è stato condivisibilmente osservato con riguardo al sopra citato art. 6 bis , comma 2, “ proprio l’ambiguità della disposizione, evidenziata dai rilievi appena formulati, non consente di far discendere, dal mancato rispetto del termine di presentazione della domanda di collocamento in quiescenza di cui al citato art. 6 bis, comma 2, secondo periodo D.L. n. 387/1987, alcuna conseguenza decadenziale, la quale presuppone evidentemente la chiarezza e perspicuità dei relativi presupposti determinanti ” (in questi termini la già citata pronuncia del Consiglio di Stato, n. 1231 del 2019).
Contrariamente a quanto sostiene l’INPS, deve dunque ritenersi che nel caso in esame non si sia verificato alcun effetto decadenziale.
Pertanto, ritenuta l’infondatezza dell’eccezione di decadenza sollevata dall’INPS (ferma la reiezione del gravame riguardo ai soggetti provenienti dai ruoli dell’Esercito;vd. punto 5.3), il ricorso deve essere accolto nel merito, con conseguente accertamento del diritto dei ricorrenti Signori C D, C U, F L, G S, G N, M G, P D e P R ai benefici economici contemplati dall'art. 6 bis del decreto legge n. 387 del 1987, e quindi con l’obbligo dell’Amministrazione di provvedere alla rideterminazione dell'indennità di buonuscita mediante l'inclusione, nella relativa base di calcolo, dei sei scatti stipendiali.
Sulle relative somme dovranno essere corrisposti soltanto gli interessi legali, senza cumulo con la rivalutazione monetaria, ai sensi dell’art. 16, comma 6, della legge n. 412 del 1991 e dell’art. 22, comma 36, della legge n. 724 del 1994 (cfr. Cass. Civ., Sez. Lav., 2 luglio 2020, n. 13624).
7. Il diritto deve invece essere dichiarato prescritto con riguardo alla posizione del ricorrente T M, come eccepito dall’Istituto (che ha formulato l’eccezione anche nei confronti di altri tre ricorrenti, per i quali tuttavia, in quanto ex militari dell’Esercito, non sussistono neppure in astratto i presupposti per la concessione del beneficio).
L’eccezione è fondata riguardo al ricorrente T, collocato in quiescenza il 1° febbraio 2015, dal momento che da questa data, secondo l’orientamento giurisprudenziale che appare preferibile, decorre la prescrizione quinquennale ai sensi dell’art. 20, comma 2, del D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032 (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 24 aprile 2017, n. 1887;id. 25 maggio 2005, n. 2653;id. 3 luglio 2002 n. 3646). Infatti l’art. 2935 cod. civ., nel far decorrere la prescrizione “ dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere ”, assegna rilievo alle sole cause impeditive di ordine giuridico (es. condizione o termine) mentre non comprende gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto all’esercizio del diritto (Cass. civ., Sez. I, 31 luglio 2019, n. 20642), tra i quali si annoverano l’ignoranza del fatto generatore della posizione giuridica soggettiva, il dubbio circa la sua effettiva consistenza, la necessità di un accertamento amministrativo o giudiziale, la difficoltà d'integrale contabilizzazione (Cass. civ., Sez. III, 6 ottobre 2014, n. 21026;Cass. civ., sez. lav., 27 giugno 2011, n. 14163;Cass. civ., sez. lav., 3 febbraio 1988, n. 1047).
In altri termini, l'impossibilità di far valere il diritto, alla quale l'art. 2935 c.c. attribuisce rilevanza di fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione, come osserva autorevole giurisprudenza (Cass. civ., sez. lav. 6 febbraio 2018, n. 2827) “ è solo quella che deriva da cause giuridiche che ne ostacolino l'esercizio e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto, per i quali il successivo art. 2941 c.c. prevede solo specifiche e tassative ipotesi di sospensione tra le quali, salvo l'ipotesi di dolo prevista dal n. 8 citato art., non rientra l'ignoranza, da parte del titolare, del fatto generatore del suo diritto, né il dubbio soggettivo sulla esistenza di tale diritto ed il ritardo indotto dalla necessità del suo accertamento (Cass. n. 14249 del 2004, n. 21495 del 2005, n. 15991 del 2009, n. 14163 del 2011, n. 3584 del 2012, n. 21026 del 2014, n. 10828 del 2015) ”. Detta impossibilità qualificata non sussiste dunque riguardo alla specifica posizione del Signor T (che ha inoltrato soltanto il 4 agosto 2020 una propria lettera di diffida), la cui domanda, in difetto di un atto interruttivo formulato entro il quinquennio dalla data di cessazione dal servizio, deve essere respinta stante l’intervenuta prescrizione del diritto azionato in questa sede.
8. Le spese di giudizio, tenuto conto dell’esistenza di diversi orientamenti giurisprudenziali sulle questioni controverse, devono essere integralmente compensate tra tutte le parti del giudizio.