TAR Napoli, sez. IV, sentenza 2014-12-01, n. 201406195

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. IV, sentenza 2014-12-01, n. 201406195
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201406195
Data del deposito : 1 dicembre 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00931/2014 REG.RIC.

N. 06195/2014 REG.PROV.COLL.

N. 00931/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 931 del 2014, proposto da:
D V e M D M, in qualità di legale rappresentante dell’Associazione culturale “I King”, rappresentati e difesi dagli avv. R A e P F, con domicilio eletto presso il loro studio, in N, via G. Gigante, n. 7

contro

Comune di N in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. F M F, Barbara Accattatis Chalons D'Oranges, A A, E C, B C, A C, A I F, G P, A P, B R e G R, domiciliato in N, P.zzo S. Giacomo, presso l’Avvocatura Municipale;

per l'annullamento

della Disposizione Dirigenziale n. 577/1 del 6.11.2013 di ripristino dello stato dei luoghi


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di N in Persona del Sindaco pro tempore;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 ottobre 2014 il dott. Fabrizio D'Alessandri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Il Comune di N, con Disposizione Dirigenziale n. 577/1 del 6.11.2013, ordinava a D V, proprietaria dell’immobile, e a M D M, in qualità di legale rappresentante dell’Associazione culturale “I King”, la riduzione in pristino dello stato dei luoghi e, in particolare, della “trasformazione da locale deposito in locale per attività culturali e somministrazione di bevande e alimenti”, dagli stessi realizzata senza alcun titolo edizlio di costruire in N, Via G. Orsi, n. 4/B (locale cantinato).

L’ordinanza specificava che le opere eseguite rientravano nella tipologia della ristrutturazione edilizia, di cui all’art. 10, comma 1, lett. c, del D.P.R. n. 380/2001 (ovverosia tra quelle per la cui realizzazione è necessario il permesso di costruire).

Le parti ricorrenti, con ricorso notificato il 30.1.2014, impugnavano la suindicata Disposizione Dirigenziale, nonché ogni altro atto preordinato, connesso o consequenziale, chiedendone l’annullamento.

Si costituiva il Comune intimato formulando argomentazioni difensive.

La causa veniva chiamata all’udienza pubblica del 15.10.2014 e trattenuta in decisione.

DIRITTO

Il ricorso si rivela infondato.

Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti hanno lamentato l’eccesso di potere, l’erronea presupposizione dei fatti e lo sviamento, indicando che all’epoca dell’acquisto dell’immobile da parte della ricorrente Venga (30.11.2007) l’immobile era già adibito a locale ospitante club privato e lo stesso non sarebbe stato oggetto di alcun intervento edilizio senza titolo abilitativo.

Il motivo è infondato.

La circostanza che l’immobile fosse di fatto già adibito a locale ospitante club privato non vuol dire che questa destinazione sia legittima.

D’altra parte le stesse parti ricorrenti hanno evidenziato l’iniziale diversa destinazione d’uso del locale, presentando una D.I.A. per il passaggio da categoria C/2 a B/6.

Inoltre, anche il mutamento di destinazione senza opere può rientrare, come rientra nel caso (v..seguito), nell’ambito delle trasformazioni che richiedono uno specifico titolo edilizio abilitativo.

2) Nel secondo motivo di ricorso le parti ricorrenti hanno lamentato che, ai sensi dell’art. 2, n. 5, della legge regionale n. 19/2001 il cambio di destinazione d’uso senza opere è libero “nell’ambito di categorie compatibili alle singole zone territoriali omogenee”. Aggiungono ancora le parti ricorrenti che la destinazione d’uso per attività culturali e somministrazione di bevande e alimenti sarebbe pienamente compatibile con la previsione dell’art. 92 delle N.T.A. che consentono nella zona la realizzazione di strutture associative e centri culturali.

Il motivo è infondato.

Il mutamento di destinazione d'uso di una porzione dell'immobile, portando a un organismo in parte diverso dal precedente, qualora contribuisca ad aumentare il carico urbanistico, deve ritenersi rientrante nell'ambito della categoria della ristrutturazione edilizia, come si evince, del resto, dall'esplicito riferimento a tale tipologia di intervento presente nell'art. 10, comma 1, lett. c) del D.P.R. n. 380 del 2001 (T.A.R. Lazio Roma, I, 20-9-2011, n. 7432;
T.A.R. Sardegna, II, 6-10-2008, n. 1822).

Ai sensi della normativa nazionale le opere interne e gli interventi di ristrutturazione (come pure quelli di manutenzione straordinaria, di restauro e di risanamento conservativo), necessitano del preventivo rilascio del permesso di costruire ogni qual volta comportino mutamento di destinazione d' uso tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico e, qualora debbano essere realizzati nei centri storici, anche nel caso in cui comportino mutamento di destinazione d' uso all'interno di una categoria omogenea (T.A.R. Molise Campobasso Sez. I, 8-11-2013, n. 645)

La conclusione della necessità del permesso di costruire per i cambi di destinazione d’uso che vanno a gravare sul carico urbanistico intervenendo tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico (indipendentemente dalla realizzazione di opere) è del resto, l'unica coerente con il quadro normativo di riferimento in materia di mutamenti di destinazione d'uso, che giova di seguito riassumere (T.A.R. Campania, N, sez. VII, 22 febbraio 2012, n. 885).

Prima della legge n. 47/1985, la giurisprudenza amministrativa (ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 28 luglio 1982, n. 525) si era attestata nel senso di ritenere illegittime le disposizioni contenute negli strumenti urbanistici che prevedessero limitazioni del mutamento di destinazione d’uso degli immobili attuato senza opere edilizie, con l’ulteriore corollario che il mutamento dell’uso così attuato non era soggetto alla preventiva acquisizione della concessione edilizia, né dell’autorizzazione edilizia.

Tale assetto mutava per effetto dell’entrata in vigore della legge n. 47/1985.

Infatti, come evidenziato da questo Tribunale in una pronuncia (T.A.R. Campania N, Sez. II, 18 novembre 2008, n. 19800), dal combinato disposto degli articoli 8, 25 e 26 di tale legge emergeva la seguente disciplina: a) erano soggetti a regime concessorio soltanto i mutamenti di destinazione d’uso che intervenivano tra categorie funzionalmente autonome sotto il profilo urbanistico, atteso che all’interno della stessa categoria potevano realizzarsi mutamenti di fatto privi di incidenza sui carichi urbanistici;
b) il mutamento di destinazione d’uso accompagnato da qualsiasi intervento edilizio (per il quale non fosse altrimenti prevista la concessione), anche se solo interno, era assoggettato al regime dell’autorizzazione, stante l’espressa previsione dell’applicabilità del regime delle opere interne (di cui all’art. 26, comma 1, della legge n. 47/1985) alle opere che “non modifichino la destinazione d’uso delle costruzioni”;
c) il mutamento di destinazione d’uso senza opere era regolato dall’art. 25, ultimo comma, della legge n. 47/1985, il quale demandava al legislatore regionale il compito di stabilire “criteri e modalità cui dovranno attenersi i comuni, all’atto della predisposizione di strumenti urbanistici, per l’eventuale regolamentazione, in ambiti determinati del proprio territorio, della destinazione d’uso degli immobili, nonché dei casi in cui, per la variazione di essa, sia richiesta la preventiva autorizzazione”.

La situazione mutava ulteriormente a seguito della novella apportata all’art. 25, ultimo comma, della legge n. 47/1985, dall’art. 2, comma 60, della legge n. 662/1996, secondo il quale “le leggi regionali stabiliscono quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili o di loro parti, subordinare a concessione, e quali mutamenti connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili o di loro parti siano subordinati ad autorizzazione”.

La disposizione in esame, nel delegare definitivamente alle Regioni la disciplina dei mutamenti di destinazione d’uso - e così la facoltà di poter applicare una disciplina uniforme, tanto per quelli di carattere strutturale, quanto per quelli di carattere funzionale - introduceva la facoltà di sottoporre a concessione edilizia i mutamenti d’uso maggiormente significativi, ovvero quelli comportanti un maggiore impatto sull’assetto urbanistico-territoriale (secondo la suddivisione del territorio in zone residenziali ‘‘A’’, ‘‘B’’ e ‘‘C’’, produttive ‘‘D’’, agricole ‘‘E’’, e destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale ‘‘F’’, operata dal D.M. n. 1444/1968), ed a semplice autorizzazione, quelli attuati all’interno della medesima categoria funzionale.

Da ultimo l’art. 10 del D.P.R. 380/2001 ha previsto, al comma 2, che le Regioni stabiliscano con legge quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili o di loro parti, sono subordinati a permesso di costruire o a denuncia di inizio attività.

In particolare, la Regione Campania, all’art. 2 della legge regionale n. 19/2001, ha stabilito che: a) possono essere realizzati in base a semplice denunzia d’inizio attività “i mutamenti di destinazione d’uso d’immobili o loro parti, che non comportino interventi di trasformazione dell’aspetto esteriore, e di volumi e superfici”, precisando che “la nuova destinazione d’uso deve essere compatibile con le categorie consentite dalla strumentazione urbanistica per le singole zone territoriali omogenee” (comma 1, lett. f);
b) “il mutamento di destinazione d’uso senza opere, nell’ambito di categorie compatibili alle singole zone territoriali omogenee, è libero” (comma 5);
c) restano soggetti a permesso di costruire “il mutamento di destinazione d’uso, con opere che incidano sulla sagoma dell’edificio o che determinano un aumento piano volumetrico, che risulti compatibile con le categorie edilizie previste per le singole zone omogenee” (comma 6), “il mutamento di destinazione d’uso, con opere che incidano sulla sagoma, sui volumi e sulle superfici, con passaggio di categoria edilizia, purché tale passaggio sia consentito dalla norma regionale (comma 7) ed “il mutamento di destinazione d’uso nelle zone agricole - zona E” (comma 8).

Da tale disciplina si desume quindi che, mentre il mutamento di destinazione d’uso senza opere non assume valore giuridicamente rilevante laddove non si verifichi un passaggio tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, il mutamento di destinazione d’uso accompagnato da interventi edilizi è sottoposto al regime della D.I.A. alla duplice condizione che: a) non si verifichi alcuna trasformazione dell’aspetto esteriore dell’edificio o un aumento dei volumi e delle superfici esistenti;
b) non determini un passaggio tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico.

Il mutamento di destinazione d'uso senza opere, quindi, non assume valore giuridicamente rilevante solo laddove non si verifichi un passaggio tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico e alla stessa condizione quello con opere è soggetto a D.I.A..

Nel caso di specie il mutamento di destinazione d’uso interviene da deposito in locale per attività culturali e somministrazione di alimenti e bevande e riguarda, quindi, diverse categorie urbanistiche con aumento del carico urbanistico sicchè non può rientrare nell’attività libera effettuabile senza alcun titolo edilizio e anzi richiede il permesso di costruire.

Ciò in conformità con la regola generale, ribadita dalla giurisprudenza anche di questo T.A.R., secondo cui necessitano del permesso di costruire quegli interventi di cambio di destinazione d’uso che avvengano fra categorie edilizie non omogenee o quegli interventi che comunque comportino una modifica dell’aspetto esteriore, dei volumi e delle superfici mentre il cambio di destinazione d’uso fra categorie edilizie omogenee, non incidendo sul carico urbanistico, non necessita di permesso di costruire (T.A.R. Campania N, Sez. IV, 17 gennaio 2011 n. 221;
T.A.R. Puglia Bari, sez. III, 22 febbraio 2006 , n. 571).

La circostanza che l’art. 92 delle N.T.A. che consenta nella zona la realizzazione di strutture associative e centri culturali risulta quindi irrilevante, in quanto nel caso di specie viene in rilievo l’assenza di titolo abilitativo edilizio.

3) Infondato è il terzo motivo di ricorso, incentrato sulla pretesa violazione del comma 2 dell’art. 33 del D.P.R. n. 380/2001, ai sensi del quale per gli interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità, consente in via eccezionale l’applicazione della sanzione pecuniaria in luogo del ripristino dello stato dei luoghi “qualora, sulla base di motivato accertamento dell'ufficio tecnico comunale, il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile”.

Nel caso di specie non vi è alcun elemento che deponga nel senso di tale impossibilità e, anzi, essendosi il cambio di destinazione d’uso realizzato senza opere, lo stesso appare per definizione reversibile.

In ogni caso, infine, l'impossibilità tecnica di demolire il manufatto non incide sulla legittimità del provvedimento sanzionatorio, per cui la possibilità di non procedere alla rimozione delle parti abusive (quando ciò sia pregiudizievole per quelle legittime) costituisce solo un'eventualità della fase esecutiva, subordinato alla circostanza dell'impossibilità del ripristino dello stato dei luoghi (T.A.R. Lombardia, Brescia, 9.12.2002, n. 2213;
T.A.R. Campania N Sez. II, 10-01-2014, n. 186;
T.A.R. Campania N Sez. III, 22-07-2013, n. 3786;
T.A.R. Campania N Sez. VI, 20-06-2013, n. 3193).

4) Per quanto indicato il ricorso deve essere rigettato.

Attesa la complessità delle questioni trattate, inerente all’interpretazione della normativa regionale in materia di cambio di destinazione d’uso e al suo coordinamento con quella nazionale, il Collegio ritiene sussistano eccezionali ragioni per compensare le spese di giudizio tra le parti.

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