TAR Roma, sez. 3T, sentenza 2022-03-21, n. 202203245
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Testo completo
Pubblicato il 21/03/2022
N. 03245/2022 REG.PROV.COLL.
N. 00347/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 347 del 2021, proposto da
Telecom Italia s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati S C, E G, F M B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni – AGCOM, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
Vodafone Italia s.p.a., non costituita in giudizio;
e con l'intervento di
ad opponendum:
Iliad Italia s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Filippo Pacciani, Valerio Mosca, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Filippo Pacciani in Roma, via di San Nicola Da Tolentino 67;
per l'annullamento
- della delibera n. 591/20/CONS, notificata in data 13 novembre 2020, recante “ Ordinanza -ingiunzione nei confronti della società TIM s.p.a. per la violazione degli articoli 70, 71 e 80, comma 4quater, d. lgs. 1° agosto 2003, n. 259, nonché dell'articolo 1, comma 3, d.l. n. 7/2007, convertito con modificazioni in legge n. 40/2007, in combinato disposto con l'articolo 3 della delibera n. 252/16/CONS e con l'articolo 5 dell'allegato A alla delibera n. 519/15/CONS ”;
- nonché di ogni altro atto, ancorché non conosciuto, presupposto, connesso e consequenziale, tra cui espressamente la delibera n. 487/18/CONS, pubblicata in data 2 novembre 2018, recante "Linee guida sulle modalità di dismissione e trasferimento dell'utenza nei contratti per adesione", le risposte alle richieste di chiarimenti pubblicate dall’AGCOM in data 21 dicembre 2018, nonché la comunicazione pubblicata dall’AGCOM in data 16 maggio 2019, recante " Informativa sull'attuazione degli orientamenti in merito alle rateizzazioni previsti nelle 'Linee guida sulle modalità di dismissione e trasferimento dell'utenza nei contratti per adesione', adottate con delibera n. 487/18/CONS ".
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni – AGCOM e di Iliad s.p.a.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 novembre 2021 la dott.ssa Francesca Romano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con ricorso notificato l’8 gennaio 2021 e depositato il successivo 12 gennaio, la società Telecom Italia ha adito questo Tribunale al fine di ottenere l’annullamento della Delibera n. 591/20/CONS, notificata in data 13 novembre 2020, recante “Ordinanza-ingiunzione nei confronti della società TIM S.p.A. per la violazione degli articoli 70, 71 e 80, comma 4quater, del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, nonché dell’articolo 1, comma 3, del decreto legge n. 7/2007, convertito con modificazioni in legge n. 40/2007, in combinato disposto con l’articolo 3 della Delibera n. 252/16/CONS e con l’articolo 5 dell’allegato A alla Delibera n. 519/15/CONS (CONTESTAZIONE N. 6/20/DTC)” e degli altri atti come in epigrafe specificati, ivi compresi la Delibera n. 487/18/CONS, pubblicata in data 2 novembre 2018, recante " Linee guida sulle modalità di dismissione e trasferimento dell’utenza nei contratti per adesione ", le risposte alle richieste di chiarimenti pubblicate dall’AGCOM in data 21 dicembre 2018, nonché la comunicazione pubblicata dall’AGCOM in data 16 maggio 2019, recante " Informativa sull’attuazione degli orientamenti in merito alle rateizzazioni previsti nelle 'Linee guida sulle modalità di dismissione e trasferimento dell’utenza nei contratti per adesione', adottate con delibera n. 487/18/CONS ".
2. Con la gravata ordinanza ingiunzione, l’AGCOM, più in particolare, ha contestato a TIM la violazione degli obblighi di cui agli artt. 70 e 71 del d.lgs. n. 259/2003, Codice delle comunicazioni elettroniche, nonché dell’art. 1, comma 3, d.l. 31 gennaio 2007, n. 7, sostenendo che:
(i) nel caso della promozione presente sul canale on-line per l’offerta di rete fissa “TIM Super”, Telecom ha violato le norme del CCE in materia di trasparenza tariffaria, in quanto: (a) ha pubblicizzato un prezzo scontato “tutto compreso” di € 29,90, importo che includeva però non soltanto il canone mensile dei servizi di telecomunicazione, ma anche “voci [di costo] eterogenee e distinte”, come gli oneri di attivazione e le rate del modem, il cui piano di rimborso poteva avere durata sino a 48 mesi, eccedente la durata di 24 mesi del primo contratto relativo ai servizi con la conseguenza che, in alcuni casi, le rate del modem sarebbero state addebitate dopo un eventuale recesso del cliente alla scadenza dei 24 mesi iniziali;e (b) non ha fornito ai consumatori, con immediatezza e trasparenza, tutti gli elementi per comprendere quale fosse il reale “costo del canone mensile di servizio” e tutte le modalità di acquisto e rateizzazione del modem;
(ii) per il caso di recesso dalla medesima promozione “TIM Super” con richiesta di disattivazione della linea, Telecom ha praticato un contributo pari a € 30 e, quindi, asseritamente superiore al valore del contratto in violazione del Decreto Bersani e delle Linee Guida;
(iii) nel caso dell’offerta “TIM Connect XDSL”, Telecom ha previsto la rateizzazione del servizio opzionale TIM Expert per un periodo di 48 mesi, pur in presenza del limite dei 24 mesi di primo impegno negoziale ammissibile in base alla citata normativa;
(iv) nel caso di recesso anticipato dall’offerta di telefonia mobile “TIM Advance”, Telecom ha imposto l’obbligo di versare in unica soluzione le rate residue per lo smartphone eventualmente acquistato dall’utente, nonché richiesto un “importo per cessazione anticipata”, che dissimulerebbe una penale o, comunque, un illegittimo recupero degli sconti effettuati al momento della vendita del telefonino.
Telecom espone in fatto come già in sede di consultazione pubblica, unitamente agli altri operatori, avesse lamentato numerosi vizi dello schema delle Linee Guida sulle modalità di dismissione e trasferimento dell’utenza nei contratti per adesione, in quanto contenenti una disciplina innovativa e sostanzialmente peggiorativa rispetto a quella dettata dalle norme primarie vigenti.
Più in particolare, per quel che qui rileva, secondo le Linee Guida, puntualmente applicate dalla delibera al caso in esame, le spese di recesso possono riguardare:
a) i costi sostenuti dall’operatore per dismettere o trasferire l’utenza.
Secondo i commi 3 e 3-ter dell’art. 1 del Decreto Bersani, gli oneri di recesso devono essere congiuntamente parametrati ai costi reali sopportati dall'azienda per dismettere o trasferire l’utenza e al valore del contratto di utenza.
Nella interpretazione dell’AGCOM, tali oneri di recesso non possono esser superiori alla “minore” delle due succitate grandezze, che diverrebbero, così, alternative.
L’AGCOM ha definito la prima grandezza economica (“costi realmente sostenuti”) come gli oneri sostenuti dal vecchio gestore per procedere alla cessazione del rapporto di utenza e la seconda grandezza (“valore del contratto”) come il “prezzo implicito che risulta dalla media dei canoni che l’operatore si aspetta di riscuotere mensilmente da un utente che non recede dal contratto”;
b) la restituzione totale o parziale degli sconti sui servizi e sui prodotti.
L’Autorità ha affermato che gli operatori possono recuperare i minori ricavi ottenuti quando concedono “promozioni” agli utenti, che recedono in anticipo, solo considerando il valore dei ricavi attesi, che comunque debbono essere equi e proporzionali alla durata residua dell’eventuale promozione. Quindi, secondo l’AGCOM, la restituzione degli sconti deve avvenire solo applicando un calcolo “teorico” che prescinde dalla realtà fattuale;cioè, per una somma pari alla differenza tra l’ammontare dei canoni che l’operatore avrebbe riscosso qualora fosse stato applicato il prezzo implicito (media mensile dei canoni) e la somma dei canoni effettivamente riscossi dall’operatore fino al momento del recesso;
c) il pagamento delle rate residue relative ai servizi e ai prodotti offerti congiuntamente al servizio principale.
Dal momento che, unitamente al servizio principale, gli utenti acquistano spesso prodotti (ad es. modem) o servizi (ad es. attivazione e configurazione della linea e/o dei dispositivi, assistenza tecnica anche offerta su base continuativa), il cui costo viene addebitato in un’unica soluzione al momento del recesso, l’Autorità ha ritenuto che tale prassi costituisca un disincentivo ad effettuare lo scioglimento dal vincolo contrattuale;di conseguenza, l’AGCOM ha imposto che venga consentita agli utenti la possibilità di mantenere la rateizzazione inizialmente pattuita. È stato, poi, ancora specificato che la rateizzazione, con esclusivo riferimento ai servizi, non può superare i 24 mesi di impegno iniziale.
3. Avverso i gravati provvedimenti, Telecom Italia deduce i seguenti motivi di ricorso.
I. Violazione di legge (Decreto Bersani;CCE;art. 41 Cost.);eccesso di potere sotto svariate figure sintomatiche (contraddittorietà intrinseca ed estrinseca;carenza di motivazione e di istruttoria;difetto di proporzionalità;ingiustizia manifesta).
Con il primo motivo, T lamenta che, in un’ottica di ingiustificata “iperprotezione” dell’utente, la gravata delibera abbia censurato la modalità di comunicazione del prezzo dell’offerta “TIM Super” laddove è stata utilizzata la dizione “ Tutto compreso ” ad € 29,90.
Ciò perché T avrebbe usato un “claim ‘ tutto compreso’ ” per l’“ abbonamento ”, voce quest’ultima “ che indicava (non solo il canone ma) il prezzo complessivo di euro 29,90 mensili, comprendente anche altre componenti ” quali il contributo di attivazione e il modem, senza fare, neanche nell’ambito di tali aggiuntive informazioni, alcun riferimento al costo del canone mensile e al relativo sconto applicato per i primi 24 mesi.
Telecom contesta la sanzione in quanto le informazioni di dettaglio sarebbero comunque presenti in altre pagine del sito internet, in particolare in quella relativa alla “ Trasparenza tariffaria ”.
Inoltre, non sarebbe comunque censurabile la condotta di Telecom per aver compreso nel costo dell’abbonamento tutto compreso, l’offerta del modem, che ha una diversa durata di rateizzazione rispetto all’offerta del canone mensile, pari a 48 mesi.
II. Violazione di legge (Decreto Bersani;CCE;Art. 41 Cost.);illegittimità derivata;eccesso di potere sotto svariate figure sintomatiche (contraddittorietà intrinseca ed estrinseca;carenza di motivazione e di istruttoria;difetto di proporzionalità;ingiustizia manifesta).
La gravata delibera sarebbe, altresì, illegittima perché, applicando le Linee Guida, Agcom ha ritenuto che il costo di recesso, con richiesta di disattivazione della linea, previsto per la promozione “TIM Super” in misura pari a € 30, violerebbe il decreto Bersani poiché eccessivo rispetto al “valore del contratto”, da essa determinato come l’importo del canone mensile medio che il cliente paga per il servizio di telecomunicazione.
A dire dell’AGCOM, il “valore del contratto”, come sopra determinato, non potrebbe essere calcolato mediante l’intero valore dell’abbonamento, “comprensivo di attivazione e modem” (€ 29,90), bensì soltanto con la componente dei servizi di telecomunicazioni (pari a € 14,90).
Secondo la ricorrente la legge Concorrenza 2017 ha stabilito che, nella quantificazione degli oneri per il recesso anticipato, occorrerebbe invece considerare due parametri cumulativi (il " valore del contratto " e " i costi reali "), non il “ minore ” dei due, come erroneamente ritenuto nelle Linee Guida.
In subordine, T lamenta l’erroneità della stessa quantificazione del prezzo implicito calcolato sulla media dei soli canoni mensili di abbonamento escludendo tutte le componenti aggiuntive del prezzo.
III. Violazione di legge (Decreto Bersani;Legge Concorrenza;CCE;Art. 41 Cost.;artt. 1321 ss. cc);difetto di attribuzione;illegittimità derivata;eccesso di potere sotto svariate figure sintomatiche (contraddittorietà intrinseca ed estrinseca;carenza istruttoria e di motivazione;difetto di proporzionalità;ingiustizia manifesta).
La Delibera ha sanzionato Telecom per aver commercializzato, a valle dell’adozione delle Linee Guida, la fornitura del servizio addizionale “TIM Expert” anche con rateizzazioni “superiori a 24 mesi”.
Anche questa parte della Delibera e, correlativamente, delle Linee Guida sarebbe illegittima, in quanto in base all’art. 80 CCE, concernente i contratti per la fornitura di “servizi di comunicazione elettronica”, il servizio opzionale “TIM Expert” non sarebbe qualificabile come un servizio di comunicazione elettronica, bensì come un servizio di assistenza tecnica qualificata, e riguardo alle modalità di rateizzazione di siffatti servizi, la legge non dispone nulla: l’AGCOM non potrebbe, quindi, con normativa secondaria, introdurre limitazioni alla libertà contrattuale.
Inoltre Telecom lascia all’utente la facoltà di pagare subito oppure di rateizzare (su diverse durate, anche inferiori a 24 mesi) l’intervento del tecnico. Quindi, lungi dall’essere un ostacolo al diritto di recesso, la rateizzazione dovrebbe essere intesa come un beneficio per l’utente, che ha la facoltà di dilazionare una spesa anziché pagarla in un’unica soluzione.
IV. Violazione di legge (Decreto Bersani;Legge Concorrenza;CCE;Art. 41 Cost.;artt. 1321 ss. cc);difetto di attribuzione;illegittimità derivata;eccesso di potere sotto svariate figure sintomatiche (contraddittorietà intrinseca ed estrinseca;carenza istruttoria e di motivazione;difetto di proporzionalità;ingiustizia manifesta).
La Delibera ha altresì ritenuto che l’addebito, in unica soluzione, delle rate residue per l’acquisto del telefonino in caso di estinzione anticipata del rapporto di utenza mobile con Telecom violerebbe la ratio del Decreto Bersani.
Anche in parte qua le Linee Guida e la Delibera sarebbero illegittimi giacché il pagamento delle rate residue non è configurabile come un onere di recesso.
Nel caso di specie non ricorrerebbe alcuna fattispecie di bundling (acquisto simultaneo di beni e servizi) nè di tying (vendite abbinate), poiché l’acquisto del terminale è soltanto opzionale e, generalmente, effettuato in tempi diversi rispetto alla sottoscrizione dei servizi, né, quindi, di collegamento causale tra i due rapporti.
V. Violazione di legge (Decreto Bersani;Legge Concorrenza;CCE;Art. 41 Cost.;artt. 1321 ss. cc);difetto di attribuzione;illegittimità derivata;eccesso di potere sotto svariate figure sintomatiche (contraddittorietà intrinseca ed estrinseca;carenza istruttoria e di motivazione;difetto di proporzionalità;ingiustizia manifesta).
Secondo la Delibera, nel caso di recesso anticipato dall’utenza mobile, oltre al pagamento in unica soluzione delle rate residue del telefonino, Telecom avrebbe illegittimamente richiesto anche un “ importo per cessazione anticipata ”, che dissimulerebbe una penale addebitata “ in ragione della scelta di recedere dal contratto ” o un illegittimo recupero degli sconti effettuati al momento della vendita.
Secondo parte ricorrente, l’importo richiesto non sarebbe una penale ma costituirebbe il mero recupero degli sconti concessi sul terminale.
4. Si è costituita in giudizio l’AGCOM contestando, nel merito, la fondatezza del gravame.
5. All’esito della camera di consiglio del 3 febbraio 2021 la causa è stata rinviata per la trattazione del merito alla pubblica udienza del 10 novembre 2021.
6. In data 30 marzo 2021 Iliad s.p.a. ha, quindi, depositato atto di intervento ad opponendum , rappresentando di avere interesse a intervenire in quanto le violazioni regolamentari sanzionate da Agcom nei confronti di TIM erano state segnalate anche da Iliad e, in ogni caso, perché Iliad ha interesse ad opporsi alla richiesta di annullamento della Delibera 591/20/CONS, dal momento che quest’ultima ha accertato l’illegittimità di molteplici condotte commerciali di TIM che, rendendo più oneroso il passaggio ad altri operatori (tra cui Iliad), determinano un significativo pregiudizio alla posizione di mercato di Iliad.
7. Alla pubblica udienza del 10 novembre 2021 la causa è passata, infine, in decisione.
DIRITTO
1.1. In via preliminare deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dalla società interveniente, per mancata notifica del ricorso ad almeno un controinteressato.
A parte il rilievo che il presente ricorso è stato notificato a Vodafone s.p.a., nella presente fattispecie non è dato rinvenire la posizione di soggetti controinteressati in senso proprio, tali essendo solo coloro i quali vantino un interesse sostanziale concreto e attuale alla conservazione dell’atto impugnato, nella specie avente natura sanzionatoria nei confronti della sola ricorrente, dalla cui conservazione non è dato rinvenire effetti direttamente favorevoli per gli altri operatori di settore.
1.2. Nel merito, il Collegio osserva quanto segue.
Giova, innanzitutto, ricostruire il quadro normativo di riferimento della presente fattispecie.
Con il decreto legge 31 gennaio n. 7 (convertito con legge n. 40 del 2007), recante misure urgenti per la tutela dei consumatori (di seguito, “decreto Bersani”), è stato introdotto il principio secondo il quale nel caso di recesso da un contratto per adesione, l’utente non deve versare alcuna “penale” (comunque denominata) poiché gli unici importi addebitabili agli utenti, in tal caso, sono solo quelli “giustificati” dai costi sostenuti dagli operatori.
In particolare, l’articolo 1, comma 3, del decreto Bersani ha stabilito che i contratti per adesione devono prevedere “ la facoltà del contraente di recedere dal contratto o di trasferire le utenze presso altro operatore senza vincoli temporali o ritardi ingiustificati e senza spese non giustificate dai costi dell’operatore ”.
L’Autorità, già nel 2007, aveva adottato le Linee guida per il mercato, al fine di fornire un quadro chiaro e uniforme agli operatori in relazione delle suddette previsioni legislative e sulla base del quale svolgere l’attività di vigilanza ad essa demandata dalla legge (ex art. 1, comma 4, decreto Bersani).
La disciplina delle spese di recesso è stata poi integrata dalla legge n. 124/2017 (“ Legge annuale per il mercato e la concorrenza ”) che, oltre ad aggiungere un nuovo paragrafo all’articolo 1, comma 3, del decreto Bersani, ha ivi introdotto anche un comma del tutto nuovo, il 3- ter .
Più precisamente, l’art. 3, comma 1, del decreto prevede oggi che:
“3. I contratti per adesione stipulati con operatori di telefonia e di reti televisive e di comunicazione elettronica, indipendentemente dalla tecnologia utilizzata, devono prevedere la facoltà del contraente di recedere dal contratto o di trasferire le utenze presso altro operatore senza vincoli temporali o ritardi non giustificati e senza spese non giustificate da costi dell'operatore e non possono imporre un obbligo di preavviso superiore a trenta giorni. Le clausole difformi sono nulle, fatta salva la facoltà degli operatori di adeguare alle disposizioni del presente comma i rapporti contrattuali già stipulati alla data di entrata in vigore del presente decreto entro i successivi sessanta giorni. In ogni caso, le spese relative al recesso o al trasferimento dell'utenza ad altro operatore sono commisurate al valore del contratto e ai costi reali sopportati dall'azienda, ovvero ai costi sostenuti per dismettere la linea telefonica o trasferire il servizio, e comunque rese note al consumatore al momento della pubblicizzazione dell'offerta e in fase di sottoscrizione del contratto, nonché comunicate, in via generale, all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, esplicitando analiticamente la composizione di ciascuna voce e la rispettiva giustificazione economica. ”
Il nuovo comma 3- ter dell’articolo 1 prevede, quindi, una disciplina specifica per i contratti che contemplano offerte promozionali aventi ad oggetto la fornitura sia di beni che di servizi, stabilendone anzitutto la durata massima in 24 mesi.
Più in particolare, il comma 3 ter, statuisce che:
“ 3-ter. Il contratto stipulato con operatori di telefonia e di reti televisive e di comunicazione elettronica, ove comprenda offerte promozionali aventi ad oggetto la fornitura sia di servizi che di beni, non può avere durata superiore a ventiquattro mesi. Nel caso di risoluzione anticipata si applicano i medesimi obblighi informativi e i medesimi limiti agli oneri per il consumatore di cui al comma 3, terzo periodo, e comunque gli eventuali relativi costi devono essere equi e proporzionati al valore del contratto e alla durata residua della promozione offerta .”
Il decreto Bersani, come integrato nel 2017, ha dunque stabilito che:
a) ai sensi dell’art. 1, comma 3, terzo paragrafo, nel caso di contratti che non comprendono promozioni, non possono essere imputate agli utenti spese di recesso che non siano giustificate dai costi dell’operatore, commisurate al valore del contratto e ai costi reali sopportati dall’azienda, pena la nullità ex lege di clausole difformi;
b) nel caso di contratti che comprendono promozioni che abbiano ad oggetto la fornitura sia di beni che si servizi, essi non possono avere una durata superiore ai 24 mesi;inoltre, le spese di recesso, per la parte relativa alla chiusura del contratto, devono essere informate ai medesimi criteri già sanciti dal comma 3;mentre, per la parte relativa agli sconti fruiti, i costi di recesso (vale a dire la restituzione degli sconti di cui si è beneficiato) devono essere anche “ equi e proporzionati al valore del contratto ”, nonché alla “ durata residua della promozione ” (ai sensi dell’art. 1, comma 3- ter ).
L’art. 1, comma 4, d.l. n. 7/2007 attribuisce quindi espressamente ad Agcom:
- il potere di vigilanza sulla sua corretta attuazione da parte degli operatori (“ L'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni vigila sull'attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo” );
- il potere di imporre sanzioni in caso di violazioni (“ La violazione delle disposizioni di cui ai commi 1, 1-bis, 1-bis.1, 1-ter, 2, 3, 3-bis, 3-ter e 3-quater è sanzionata dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni applicando l'articolo 98, comma 16, del codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al decreto legislativo 1º agosto 2003, n. 259 ”).
In considerazione dei suddetti poteri conferiti dall’art. 1, comma 4, d.l. n. 7/2007, e allo scopo di fornire il proprio orientamento interpretativo e applicativo della suddetta normativa, Agcom ha adottato la Delibera 487/18/CONS, recante “Linee guida sulle modalità di dismissione e trasferimento dell'utenza nei contratti per adesione”.
Il paragrafo IV dell’Allegato A alla Delibera 487/18/CONS (contenente le Linee Guida) detta, quindi, le “Disposizioni in merito al recesso o al trasferimento delle utenze presso altro operatore senza spese non giustificate da costi degli operatori”, precisando che il Decreto prevede specifiche tutele per coloro che vogliono recedere o trasferire le utenze presso altro operatore, vietando d’imputare all’utenza spese non giustificate da costi dell’operatore.
A tale riguardo viene specificato (paragrafo IV, punto 16) che le spese di recesso possono riguardare:
a) i costi sostenuti dall’operatore per dismettere o trasferire l’utenza;
b) la restituzione totale o parziale degli sconti sui servizi e sui prodotti;
c) il pagamento delle rate residue relative ai servizi e ai prodotti offerti congiuntamente al servizio principale.
a) Con riguardo a i costi sostenuti dall’operatore per dismettere o trasferire l’utenza (paragrafo V), le Linee Guida precisano che:
“ 17. Le spese di recesso, nel caso sub a), devono essere commisurate al valore del contratto e ai costi reali sopportati dall’azienda, ovvero ai costi sostenuti per dismettere la linea telefonica o trasferire il servizio. Trattandosi di spese che remunerano i costi realmente sostenuti dall’azienda, l’entità di tali spese, in linea generale, non dipende dal momento in cui il diritto di recesso è esercitato.
(…)
19. Al fine di poter correttamente quantificare tali spese, l’Autorità ritiene di definire il “valore del contratto” come il prezzo implicito che risulta dalla media dei canoni che l’operatore si aspetta di riscuotere mensilmente da un utente che non recede dal contratto (almeno fino alla scadenza del primo impegno contrattuale che, come è noto, non può eccedere i 24 mesi). Il valore del contratto così individuato rappresenta un limite alle spese che, anche se sostenute e giustificate, l’operatore può addebitare all’utente.
(…)
21. Con riferimento ai costi realmente sostenuti, si ritiene che questi includano componenti di costi wholesale e di costi interni, che devono essere comunicati all’Autorità come indicato a punto 37.
22. Conseguentemente, le spese di recesso di cui al punto a) non possono eccedere il valore minimo tra il prezzo implicito dell’offerta ed i costi realmente sostenuti dall’operatore, anche se giustificati .”
b) Con riguardo alla restituzione totale o parziale degli sconti sui servizi e sui prodotti (paragrafo VI), si afferma che:
“ 25. A queste spese non può applicarsi (anche nei casi in cui sia tecnicamente possibile, ad esempio per i dispositivi e per le operazioni di attivazione della linea) il principio di commisurazione ai costi reali sopportati dall’azienda, in quanto dal testo del Decreto emerge che tale principio si riferisce esclusivamente ai costi sostenuti dall’operatore per dismettere la linea telefonica o trasferire il servizio.
26. Pertanto, le spese di recesso di cui al punto 16, lettera b) devono essere eque e proporzionate al valore del contratto e alla durata residua della promozione offerta (così come stabilito dall’articolo 1, comma 3-ter, del Decreto). Quindi, anche nel caso in cui le spese di recesso relative alla restituzione degli sconti rispecchino i costi sottostanti, questi importi devono, in ogni caso, essere commisurati al valore del contratto nonché essere equi e proporzionali alla durata residua dell’eventuale promozione.
27. La restituzione può, pertanto, avvenire nel limite pari alla differenza tra la somma dei canoni che l’operatore avrebbe riscosso qualora fosse stato applicato il prezzo implicito e la somma dei canoni effettivamente riscossi dall’operatore fino al momento del recesso (cfr. Allegato B) .”
c) Con riguardo, infine, al pagamento delle rate residue relative ai servizi e ai prodotti offerti congiuntamente al servizio principale (paragrafo VII), l’Agcom ha, infine, chiarito che:
“ 28. Con riferimento agli importi di cui alla lettera c), va rilevato che gli operatori possono concedere agli utenti, che sottoscrivono un contratto di fornitura di un servizio principale, la dilazione del pagamento di alcuni importi relativi all’acquisto di prodotti (quali telefoni, smartphone, etc.) o servizi (quali l’attivazione e la configurazione della linea e/o dei dispositivi, l’assistenza tecnica anche offerta su base continuativa) che vengono offerti congiuntamente al servizio principale. Nel caso in cui il recesso dovesse avvenire prima di una data scadenza gli operatori potrebbero riservarsi di addebitare agli utenti il pagamento in un’unica soluzione delle rate residue.
29. La conversione di un pagamento rateizzato in un pagamento in un’unica soluzione per un ammontare pari alla somma delle rate residue potrebbe incidere sulla scelta di un utente che intende recedere dal contratto al punto che questi, per non incorrere in tale pagamento, potrebbe decidere di continuare ad avvalersi della prestazione corrente, anche se sul mercato sono presenti offerte caratterizzate da condizioni economiche o tecniche migliori, limitando significativamente l’esercizio del diritto di recesso. (…). Per tale ragione, gli operatori devono sempre concedere agli utenti che decidono di recedere anticipatamente dal contratto la facoltà di scegliere se continuare a pagare le rate residue ovvero pagarle in un’unica soluzione. Solo in questo modo all’utente sarà garantita la piena libertà di recedere dal contratto.
30. Questo principio dovrebbe applicarsi indipendentemente dall’oggetto della rateizzazione, sia esso la compravendita di un servizio – quale l’attivazione e la configurazione della linea e/o dei dispositivi, l’assistenza tecnica anche offerta su base continuativa – o di un prodotto offerto congiuntamente al servizio principale.
31. Resta valido il divieto che emerge dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 4773/2015 che non consente agli operatori “d’inserire fra i costi richiesti per la disattivazione anche costi che sono ad essa estranei o non pertinenti come quelli sostenuti per l’attivazione del servizio, anche se non addebitati all’utente nel corso del rapporto”. Pertanto, l’operatore non può imporre all’utente che recede dal contratto il costo di un servizio o di un prodotto se non è stato previsto in fase di sottoscrizione. (…)
33. Si ritiene opportuno, infine, prevedere che la durata della rateizzazione dei servizi (quali i servizi di attivazione, i servizi accessori, etc.) non possa eccedere ventiquattro mesi al fine di essere in linea con il termine previsto dall’articolo 80 comma 4 quater del Codice. A riguardo si rammenta che tale disposizione, proprio allo scopo di evitare che le modalità di esercizio del diritto di recesso “agiscano da disincentivo al cambiamento di fornitore di servizi” prevede che “i contratti conclusi tra consumatori e imprese che forniscono servizi di comunicazione elettronica non devono imporre un primo periodo di impegno iniziale superiore a 24 mesi”. Conseguentemente, anche la durata delle dette rateizzazioni non può eccedere tale termine al fine di non vincolare il cliente oltre il termine di legge. Infine, si evidenzia che tale limite è in linea anche con le disposizioni del decreto Bersani laddove prevede che qualora il contratto comprenda offerte promozionali “non può avere durata superiora ai 24 mesi” (articolo 1 comma 3 ter) .”
2. Tutto ciò premesso, il primo motivo di ricorso si palesa infondato.
L’Autorità ha, infatti correttamente ravvisato una violazione delle norme poste non solo nelle Linee Guida contestate ma direttamente dalla legge, laddove Telecom nonostante abbia proposto un abbonamento mensile all inclusive , alcune componenti di prezzo, quali, in particolare il servizio di attivazione e il modem, indicate come incluse nell’abbonamento mensile, in caso di recesso, venivano addebitate all’utente in quanto soggette a un piano di rateizzazione di 48 mesi a fronte di una durata dell’offerta di 24 mesi.
Il decreto Bersani, all’art. 3, comma 3 ter, come da ultimo modificato, prevede espressamente che il contratto degli operatori di telefonia mobile “ ove comprenda offerte promozionali aventi ad oggetto la fornitura sia di servizi che di beni, non può avere durata superiore a ventiquattro mesi ”.
In ossequio al chiaro e inequivoco dettato legislativo le Linee Guida, come sopra riportate, hanno dunque precisato che la stessa durata dei servizi accessori non possa eccedere i 24 mesi in ossequio con il termine previsto, altresì, dall’articolo 80 comma 4 quater del Codice delle comunicazioni .
L’offerta contrattuale, attivabile solo on line, non era presentata in modo chiaro e completo, non essendo immediatamente evincibili, sulla pagina di attivazione l’ammontare delle singole voci componenti l’effettivo costo del servizio, il valore dello sconto applicato, il costo complessivo del modem, le condizioni di fornitura nonché la durata dell’offerta, peraltro, includente nel prezzo il rateo di un bene ripartito su un periodo di tempo più lungo di quello dell’offerta principale (ossia 48 mesi rispetto a un’offerta di 24 mesi).
A nulla giova, come rappresentato dalla società ricorrente, il fatto che tali informazioni fossero altresì reperibili sul sito nella sezione “Trasparenza tariffaria”.
Innanzitutto, è l’art. 70 del Codice delle comunicazioni a prevedere espressamente il contenuto minimo del contratto che deve indicare “in modo chiaro, dettagliato e facilmente comprensibile”, tra l’altro, “e) il dettaglio dei prezzi e delle tariffe”.
In secondo luogo, è la Delibera 252/16/CONS, a stabilire, all’art. 3 “Informazioni agli utenti” che “g li operatori formulano condizioni economiche trasparenti, in modo da evidenziare tutte le voci che compongono l’effettivo costo del servizio di comunicazione elettronica ”.
Con ciò riferendosi, chiaramente, alle informazioni che devono essere rese disponibili e evincibili dal contratto al momento della stipula, non anche, e non solo, nella pagina “Trasparenza tariffaria” che invece assolve ad uno scopo ulteriore e specifico come evincibile dalla diversa norma che la regola.
Il successivo art. 4, della sopra citata Delibera, infatti, regolante la “Trasparenza delle condizioni economiche”, stabilisce che “ gli operatori pubblicano sul proprio sito web, con apposito collegamento dalla home page, una pagina denominata “trasparenza tariffaria” contenente l’elenco delle offerte vigenti utilizzate dalla propria clientela, specificando se sono sottoscrivibili o meno ”, al diverso scopo di rendere facilmente comparabili per l’utente le varie offerte degli operatori del settore.
La possibilità di reperire le informazioni sulle tariffe offerte nella pagina “Trasparenza tariffaria” non può, tuttavia e in alcun modo, esonerare l’operatore dall’obbligo di illustrare immediatamente le condizioni giuridiche e economiche delle offerte al momento della loro presentazione e dell’eventuale acquisto on line, inserendole nelle relative pagine web.
Ciò peraltro è stato precisato dalla stessa giurisprudenza di questo Tar che, sebbene in materia di pubblicità ingannevole, ha avuto modo di affermare che “ i relativi “claims” pubblicitari devono sempre essere connotati da tutti gli elementi essenziali per un corretto e obiettivo discernimento (Tar Lazio, Sez. I, 12.6.15, n. 8253) e che la decettività del messaggio promozionale può anche riguardare singoli aspetti dello stesso e le specifiche modalità di presentazione del prodotto al fine di “agganciare” (l’attenzione de) il consumatore al primo contatto, senza che possa rilevare in senso contrario la circostanza per la quale, in altri momenti, lo stesso consumatore potesse approfondire la modalità di fruizione del prodotto stesso e le sue effettive qualità in relazione a quanto enfatizzato al primo contatto con evidenza grafica primaria (Tar Lazio, Sez. I, 21.1.15, n. 994 e 16.11.15, n. 12979) ” (così, Tar Lazio, I, 25 ottobre 2018, n. 10330).
Ciò posto, essendo stato dimostrato attraverso la schermata prodotta in giudizio dall’Autorità (allegato 6) che la pagina web relativa all’attivazione dell’offerta “T Superfibra” non conteneva il dettaglio dei prezzi dei servizi e dei prodotti in essa ricompresa, la relativa contestazione mossa dall’Autorità deve reputarsi legittima e, conseguentemente, il primo motivo di ricorso deve essere respinto.
3. Analogamente, e per le stesse motivazioni sopra espresse, deve reputarsi infondato anche il terzo motivo di gravame con il quale Telecom contesta la sanzione irrogata per essere stato accertato che anche la durata dei piani di rateizzazione del servizio “T Expert”, offerto congiuntamente ai piani “T Connect XDSL”, eccedeva i 24 mesi, conseguentemente vincolando i clienti oltre il termine massimo del primo periodo di impegno contrattuale.
Alcun pregio riveste, in merito, la circostanza, rappresentata da Telecom, che il servizio “T Expert” non rientrerebbe nei “servizi di comunicazione elettronica” e come tale non sarebbe assoggettabile alle norme dell’art. 80, codice delle comunicazioni e, in particolare, del comma 4 quater, che circoscrive la durata dei relativi contratti al termine di 24 mesi.
L’art. 80, comma 4 quater, infatti, non concerne i soli contratti aventi ad oggetto la fornitura di servizi di comunicazione elettronica, bensì tutti “i contratti conclusi tra consumatori e imprese che forniscono servizi di comunicazione elettronica”, dunque, anche i contratti aventi ad oggetto i servizi accessori a quelli di comunicazione elettronica offerti congiuntamente a questi ultimi.
Pertanto, sulla base delle motivazioni esposte al punto precedente, anche tale motivo è privo di pregio e come tale deve essere respinto.
4. Con il secondo motivo di ricorso, Telecom lamenta l’illegittimità della gravata delibera in quanto l’AGCOM ha ritenuto che il costo di recesso, pari a € 29,90, previsto per la promozione “TIM Super”, violi il Decreto Bersani poiché eccessivo rispetto al “valore del contratto”, da essa determinato come l’importo del canone mensile medio che il cliente paga per il solo servizio di telecomunicazione.
Secondo l’AGCOM, il “valore del contratto”, come sopra determinato, non potrebbe essere calcolato mediante l’intero valore dell’abbonamento, comprensivo anche di attivazione e modem (€ 29,90), bensì soltanto con la componente relativa al costo dei servizi di telecomunicazioni effettivamente offerti (pari a € 14,90).
Telecom, in particolare, contesta l’interpretazione che è stata fornita da AGCOM, nelle Linee Guida, dell’art. 1, comma 3, terzo periodo, del Decreto Bersani, in particolare nella parte in cui si afferma che detti costi non possono eccedere il "valore minimo" tra il “valore del contratto” (costituito dal "prezzo implicito dell'offerta") e i costi "realmente sostenuti dall'operatore". A dire dell’AGCOM, la scelta del legislatore sarebbe giustificata dall’esigenza di incentivare i gestori verso l’efficienza, negando loro “il riconoscimento integrale dei costi” sostenuti per attuare tecnicamente la disattivazione o il trasferimento della linea, oltre ai correlati oneri gestionali di cessazione del rapporto di utenza.
Ancora, la società ricorrente si duole della definizione che è stata fornita nelle Linee Guida di “prezzo implicito” (ossia quello che “risulta dalla media dei canoni che l’operatore si aspetta di riscuotere mensilmente da un utente che non recede dal contratto”).
Secondo Telecom, oltre a violare la Legge Concorrenza, la decisione dell’AGCOM di "minimizzare i costi" di recesso nelle Linee Guida è ingiustificata, anche perché gli operatori sono tenuti a comunicare i costi di recesso ad AGCOM e l’Autorità avrebbe ben potuto censurare detti costi in quella sede.
Infine, Telecom eccepisce come la quantificazione del “valore del contratto” operata da AGCOM (identificato come “il prezzo implicito che risulta dalla media dei canoni che l’operatore si aspetta di riscuotere mensilmente da un utente che non recede dal contratto”) sia errata sotto altro profilo;con precipuo riferimento a “T Super” tale interpretazione non considererebbe che era previsto un prezzo “scontato” per coloro che attivavano tale offerta on line. Telecom rileva, dunque, come il prezzo per chi attivava l’offerta con altre modalità fosse più alto (prezzo pieno). Non avrebbe senso, secondo parte ricorrente, dunque, nel determinare il valore del contratto, non tenere conto degli sconti contenuti nella promozione attivabile on line.
Il motivo è infondato, ancorché degni di rilievo appaiono i rilievi che la ricorrente muove avverso il punto 22 delle Linee Guida, nei termini appresso specificati.
4.1. Quanto alle spese di recesso dai contratti per adesione stipulati con operatori di telefonia, il legislatore del 2017, come ampliamente illustrato in fatto, ha introdotto, all’art. 1, comma 3, decreto Bersani rilevanti modifiche, stabilendo che:
a) le spese di recesso devono essere parametrate non più ai soli costi reali sopportati dall’azienda (come nella versione originaria della norma), “ ovvero ai costi sostenuti per dismettere la linea telefonica o trasferire il servizio ” ma, altresì al valore del contratto;
b) tali spese devono essere “ comunque rese note al consumatore al momento della pubblicizzazione dell'offerta e in fase di sottoscrizione del contratto, nonché comunicate, in via generale, all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, esplicitando analiticamente la composizione di ciascuna voce e la rispettiva giustificazione economica. ”
Sotto tale profilo le doglianze che parte ricorrente muove avverso il punto 22 delle Linee Guida del 2017 nella parte in cui stabiliscono che “ conseguentemente, le spese di recesso di cui al punto a) non possono eccedere il valore minimo tra il prezzo implicito dell’offerta ed i costi realmente sostenuti dall’operatore, anche se giustificati ”, sembrano cogliere nel segno.
Il legislatore del 2017, con l’introduzione del terzo periodo della norma di cui all’art.1, comma 3, ha inteso aggiungere, quale parametro per la quantificazione delle spese di recesso esigibili, a quello già esistente dei costi sostenuti dall’operatore, il parametro del valore del contratto, con il chiaro intento di tutelare i consumatori impedendo agli operatori di accrescere strategicamente i costi di transizione e di favorire in tal modo la libertà di recesso e, conseguentemente, la concorrenza sul mercato.
Il nuovo parametro dato dal “valore del contratto” non ha però interamente sostituito quello già esistente dei “costi sostenuti dall’operatore”, bensì è stato ad esso affiancato di modo che la quantificazione delle spese di recesso debba fondarsi su una valutazione congiunta sia dei costi realmente sostenuti per dismettere o trasferire l’utenza sia del valore del contratto.
Nell’interpretazione della norma primaria data dalle Linee Guida, attraverso l’introduzione dell’ulteriore parametro, legislativamente non previsto, del “valore minimo”, il criterio della valutazione congiunta del valore del contratto e dei costi realmente sostenuti viene invece soppiantato, sostanzialmente, dal solo parametro del valore del contratto.
Affermare, infatti, come sostenuto nel punto 22, che ad ogni modo le spese di recesso non possono eccedere il “ valore minimo tra il prezzo implicito dell’offerta ed i costi realmente sostenuti dall’operatore ” significa, sostanzialmente, considerare come unico parametro di riferimento nella quantificazione delle spese il valore del contratto, qualsivoglia siano stati i costi sostenuti dall’operatore, tale essendo il limite delle spese esigibili in sede di recesso.
Al contrario, una adeguata e concreta ponderazione dei due criteri concorrenti, ai fini della corretta quantificazione delle spese di recesso, sembra implicare la doverosa valutazione dei costi eccedenti il valore del contratto, ove non giustificati dall’equilibrio economico contrattuale e tali da alterare detto equilibrio in caso di recesso anticipato.
4.2. Ne consegue, nella richiamata prospettiva interpretativa, che la circostanza per la quale i costi effettivamente sostenuti dall’operatore, e dei quali viene lamentata la mancata considerazione ai fini del calcolo delle spese di recesso, siano costi per i quali è comunque contemplato dalle medesime Linee Guida il recupero, sebbene separatamente, assume rilievo determinante.
Telecom, più in particolare, contesta la definizione che le Linee Guida forniscono del “valore del contratto”, al punto 19, “ come il prezzo implicito che risulta dalla media dei canoni che l’operatore si aspetta di riscuotere mensilmente da un utente che non recede dal contratto (almeno fino alla scadenza del primo impegno contrattuale che, come è noto, non può eccedere i 24 mesi). Il valore del contratto così individuato rappresenta un limite alle spese che, anche se sostenute e giustificate, l’operatore può addebitare all’utente. ”
Sebbene per quanto sopra detto, il valore del contratto non possa rappresentare un limite assoluto alle spese di recesso, dovendosi necessariamente considerare, in uno con questo, i costi effettivamente sostenuti dall’operatore, tuttavia nel caso di specie la mancata valorizzazione dei costi ulteriori lamentata dalla ricorrente appare del tutto corretta proprio perché i costi mensili ulteriori rispetto al canone del servizio versati dall’utente nell’offerta “TIM Super”, ossia le rate mensile del contributo di attivazione e del costo del modem, possono ad ogni modo essere integralmente recuperati dall’operatore e addebitati dall’utente al momento della cessazione del contratto, secondo quanto previsto dalle Linee Guida, par. 28 – 33.
Ai fini della determinazione del prezzo di recesso tali costi non possono essere compresi semplicemente perché le stesse Linee Guida ne dettano a parte le modalità di recupero, cosicché ove fossero altresì inclusi nei costi di recesso anche gli importi rateizzati dell’acquisto di beni o di contributi una tantum, l’operatore potrebbe conseguire un vero e proprio “doppio guadagno” su uno stesso importo, che verrebbe ad essere recuperato integralmente e, al tempo stesso, utilizzato per innalzare la soglia del costo di recesso applicabile.
Pertanto, gli unici costi sostenuti e dei quali l’operatore rivendica la considerazione entro le spese di recesso, ovvero le spese di attivazione e il costo del modem, del tutto legittimamente sono stati considerati dall’AGCOM da scorporare in quanto da recuperare separatamente, sia per consentire all’utente una eventuale diversa modalità di pagamento, sia per ragioni di tutela della trasparenza tariffaria.
4.3. Ancora, priva di pregio è altresì la censura che la ricorrente muove al fatto che la quantificazione del valore del contratto dovrebbe tener conto del prezzo pieno del servizio e non del prezzo “scontato”, come applicato da Telecom nell’offerta de qua , in considerazione dell’adesione on line e dell’attivazione della domiciliazione bancaria.
Il valore del contratto, infatti, non può che essere parametrato all’offerta a cui l’utente ha effettivamente aderito, ancorché scontata, secondo quanto stabilisce lo stesso Decreto Bersani, all’art. 1, comma 3 ter, per i contratti comprendenti altresì offerte promozionali aventi ad oggetto la fornitura di beni e servizi, laddove si afferma espressamente che in caso di recesso, si applicano sì i limiti previsti al comma 3, terzo periodo, ma comunque “ gli eventuali relativi costi devono essere equi e proporzionati al valore del contratto e alla durata residua della promozione offerta ”.
5. Con il quarto motivo, la società ricorrente lamenta ancora la censura contenuta nella delibera impugnata relativa all’addebito in unica soluzione delle rate residue del telefonino abbinato a quegli utenti che recedano anticipatamente dal contratto di utenza.
Telecom eccepisce, più in particolare, come nel caso in esame difetti l’erroneo presupposto della “vendita congiunta” di beni e servizi, in quanto l’acquisto del bene sarebbe in specie soltanto opzionale, poiché generalmente effettuato in tempi diversi rispetto alla sottoscrizione dei servizi, considerando che:
- il rapporto di utenza e quello di acquisto del terminale sono disciplinati da contratti diversi, conclusi in tempi diversi;
- al momento della conclusione del rapporto di utenza, l’utente può non avere ancora bisogno del terminale (che, infatti, può essere acquistato anche successivamente);
- l'utilizzatore del telefonino può anche essere un soggetto diverso dall’abbonato a TIM Advance.
Non ricorrerebbe, dunque, alcuna ipotesi di collegamento negoziale come invece rappresentato da AGCOM.
Il motivo è destituito di fondamento.
A seguito delle verifiche di ufficio, effettuate mediante consultazione del sito web di TIM, in sede di avvio del procedimento, AGCOM ha infatti constato che: a) le offerte che includono la rateizzazione dell’acquisto di un prodotto (smartphone, chiavetta o tablet) prevedono l’addebito in unica soluzione delle rate residue, tra l’altro anche nei casi di cessazione dell’offerta o della linea, di portabilità della linea verso altro gestore ovvero di cessazione dell’eventuale offerta od opzione associata alla rateizzazione nonché in caso di passaggio da linea ricaricabile in abbonamento o viceversa;b) anche le offerte della famiglia “TIM Advance” con smartphone abbinato in vendita rateizzata (segnatamente “TIM Advance 4.5G”;“TIM Advance 5G”;“TIM Advance 5G TOP”) prevedono, in caso di recesso, il pagamento del saldo delle rate residue del terminale in unica soluzione.
Inoltre, “in caso di recesso dalle offerte TIM Advance con smartphone abbinato” o di “recesso da un’offerta mobile che includa la rateizzazione di un prodotto” è previsto anche l’obbligo di corrispondere un importo per cessazione anticipata.
Sotto entrambi i profili è stata, dunque, contestata la violazione dell’art. 1, comma 3, del decreto Bersani.
Con riguardo alla conversione automatica del pagamento rateale del prodotto in pagamento in unica soluzione, alcun dubbio può sussistere sull’illegittimità della clausola contrattuale predisposta da Telecom, in aperto contrasto con quanto statuito dall’art. 1, comma 3 ter, Decreto Bersani e dalle norme applicative contenute nelle Linee Guida.
Più in particolare, le Linee Guida, in ossequio alle norme poste dal Decreto Bersani per i contratti che comprendono offerte promozionali aventi ad oggetto la fornitura sia di servizi sia di beni, hanno previsto, per il pagamento delle rate residue relative ai servizi e beni offerti congiuntamente al servizio principale, che “ gli operatori devono sempre concedere agli utenti che decidono di recedere anticipatamente dal contratto la facoltà di scegliere se continuare a pagare le rate residue ovvero pagarle in un’unica soluzione. Solo in questo modo all’utente sarà garantita la piena libertà di recedere dal contratto ” (paragrafo 29, Linee Guida).
Privo di pregio è, peraltro, il rilievo di parte ricorrente secondo cui nella fattispecie in esame non ricorrerebbe il presupposto applicativo della disciplina di cui alle Linee guida, in quanto gli apparati non sarebbero “offerti congiuntamente al servizio principale”.
Non pare revocabile in dubbio, infatti, di essere alla presenza di una fattispecie di vendita congiunta di beni e servizi laddove l’utente opti per l’acquisto a rate dello smartphone.
E ciò non solo perché, come emerso dalle verifiche di ufficio, TIM promuoveva il collocamento dello smartphone contestualmente all’offerta mobile, espressamente riferendosi alle “ offerte TIM Advance con smartphone abbinato ”, ma anche perché, sul piano sostanziale, è evidente che i due contratti (pur potendo essere conclusi in momenti diversi) facciano pacificamente parte di un unico regolamento contrattuale, nel quale la fornitura del prodotto a condizioni agevolate è causalmente collegata alla sottoscrizione dell’offerta TIM Advance che garantisce – come dichiarato anche nella memoria difensiva – “ la rimuneratività del complessivo rapporto commerciale con l’utente ”.
Il collegamento contrattuale emerge d’altra parte dalla medesima previsione, oggetto della presente contestazione, nel contratto per l’acquisto di smartphone, della conversione del pagamento rateale in pagamento in unica soluzione e dell’addebito di un corrispettivo per recesso anticipato, causalmente connessi al recesso dalla specifica offerta sottoscritta (con o senza cambio gestore) alla quale è espressamente “associata” la vendita rateizzata del bene (in tal senso l’art.