TAR Catania, sez. II, sentenza 2023-10-17, n. 202303046

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Catania, sez. II, sentenza 2023-10-17, n. 202303046
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Catania
Numero : 202303046
Data del deposito : 17 ottobre 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 17/10/2023

N. 03046/2023 REG.PROV.COLL.

N. 00529/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 529 del 2018, proposto da Co.Ge.Sina. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato G L P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

l’INPS - Istituto Nazionale Previdenza Sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati G M e T G N, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'annullamento:

- del provvedimento del 27 dicembre 2017 notificato a mezzo pec del 30 dicembre 2017, con il quale la l'I.N.P.S. – Direzione Territoriale di Siracusa ha respinto le domande di integrazione salariale presentate dalla società ricorrente per il periodo 6 settembre 2016 al 15 ottobre 2016 ed in proroga della prima per il periodo dal 17 ottobre 2016 al 26 novembre 2016;

- di ogni atto presupposto, consequenziale e comunque connesso, ivi compreso il silenzio diniego formatosi sul ricorso amministrativo proposto dalla società ricorrente all'

INPS

Comitato Amministratore della Gestione Prestazioni Temporanee avverso i sopra citati provvedimenti di diniego;

- nonché la nota prot. n. INPS.2100.21/02/2018.0082683 con la quale la sede provinciale INPS di Catania ha comunicato l'invito alla regolarizzazione contributiva per reiezione delle domande di integrazione salariale presentate dalla società ricorrente.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Istituto Nazionale Previdenza Sociale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 ottobre 2023 il dott. Emanuele Caminiti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale.

FATTO

Con il ricorso in esame, la ricorrente impugna, unitamente agli atti presupposti e consequenziali, il provvedimento dell’INPS del 27 dicembre 2017 con cui venivano respinte le domande di integrazione salariale presentate dalla società (per il periodo intercorrente tra il “6 settembre 2016-5 ottobre 2016” e per il periodo compreso tra il “17 ottobre 2016-26 novembre 2016” ) atteso che l’evento verificatosi non sarebbe “integrabile perché imputabile al rapporto tra le parti contraenti” .

Avverso tale provvedimento – ritenendolo illegittimo – venivano proposti i seguenti motivi di ricorso.

Con il primo motivo di ricorso veniva dedotta l’illegittimità dei provvedimenti impugnati in quanto i dinieghi di integrazione salariale non sarebbero stati preceduti dal cd. preavviso di rigetto in violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990.

Con il secondo motivo di ricorso il difetto di motivazione in ordine al diniego di accesso alla C.I.G.O. Il provvedimento impugnato – secondo la prospettazione di parte ricorrente - sarebbe sprovvisto di adeguata motivazione, facendo esclusivo riferimento alla circostanza per cui l’evento non sarebbe “integrabile perché imputabile al rapporto tra le parti contraenti”;
l’INPS avrebbe dovuto quantomeno chiarire la ragione per cui la crisi aziendale della ricorrente non sarebbe stata di natura transitoria. Veniva specificato che, con circolare n. 139 in data 1 agosto 2016, l’INPS avrebbe chiarito che il provvedimento di concessione o reiezione totale o parziale della cassa integrazione guadagni debba contenere una congrua motivazione che menzioni gli elementi documentali e di fatto presi in considerazione e le ragioni che abbiano determinato l’adozione del provvedimento, anche in relazione alla prevedibilità ex ante della ripresa dell’attività.

Con il terzo motivo di ricorso veniva dedotta la violazione e falsa applicazione della circolare esplicativa n. 139 del 1 agosto 2016 che disciplina l’ipotesi in cui l’integrazione salariale è chiesta a seguito di sospensione dei lavori in caso di contratto di appalto. Secondo la circola sopra riportata, l’integrazione salariale sarebbe esclusa in presenza di clausole contrattuali che attribuiscono al committente la “piena ed insindacabile facoltà di interrompere i lavori programmati per sopravvenute necessità o per eventi imprevisti”, specificando che “tali interruzioni non danno diritto all’impresa appaltatrice di chiedere compensi o indennizzi”. La ricorrente deduceva che, nel caso di specie, il contratto non prevedeva alcuna clausola in tal senso e che la sospensione era stata disposta solo in virtù del disposto legislativo dell’articolo 253 comma 23 bis di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, per come modificato dalla L. 6 giugno 2013, n. 64.

Con il quarto motivo di ricorso, veniva dedotta la violazione e falsa applicazione della circolare esplicativa n. 139 del 1 agosto 2016 che prevede specificamente al punto 6.2 l’ipotesi in cui la cassa integrazione sia chiesta da un’impresa del comparto edile a seguito di perizia di variante e suppletiva. Veniva specificato al riguardo che nel corso dei lavori la ricorrente sarebbe stata costretta a presentare una perizia di variante suppletiva in ragione della precarietà di un muro di contenimento posto in adiacenza alla struttura da realizzare.

Per tali casi la stessa INPS prevede: “l’integrabilità della fattispecie “Perizia di variante e suppletiva” è dimostrata quando la sospensione non derivi da necessità di variare i progetti originari o di ampliare gli stessi per esigenze della committenza sopraggiunte in corso d’opera, ma da situazioni di accertata imprevedibilità ed eccezionalità non imputabile alle parti o al committente”. Il caso di specie rientrerebbe – secondo la istante - certamente tra quelli individuati dalla circolare in quanto la perizia di variante citata negli atti impugnati si baserebbe su cause impreviste ed imprevedibili, non imputabili al datore di lavoro o al personale da lui dipendente.

Si costituiva in giudizio (con atto del 29 ottobre 2021) l’Istituto Nazionale Previdenza Sociale che con memoria (depositata il 18 luglio 2023) rilevava in primo luogo che l’accesso alla cassa integrazione presuppone una situazione non riconducibile a responsabilità dell’imprenditore ed è rimessa alla valutazione discrezionale della competente Amministrazione: e infatti, l’art. 1 della legge n. 164/1975 si riferisce a situazioni aziendali dovute ad eventi transitori non imputabili all’imprenditore o agli operai dell’impresa ed implica l’assoluta estraneità dell’evento rispetto alla sfera dei soggetti interessati, sia sotto il profilo della prevedibilità che della responsabilità, con sostanziale riconduzione della fattispecie all’ipotesi della forza maggiore.

Nel caso di specie, secondo l’Ente previdenziale, non sussisterebbe la menzionata ipotesi della forza maggiore e la vicenda dovrebbe ricondursi integralmente a insindacabili scelte imprenditoriali, eventualmente collegate ad attività di terzi committenti. Veniva rilevato, altresì, che il provvedimento sarebbe motivato in modo adeguato, dovendo, in particolare, valorizzarsi il riferimento all’art. 5 del decreto, che riguarderebbe le sospensioni dell’attività lavorativa dovute a mancanza, non imputabile all’azienda, di materie prime o di componenti necessari per la produzione.

Secondo la istante, la causale indicata dalla stessa azienda non ricorrerebbe nel caso di specie, posto che dalla domanda, dalla relazione tecnica e dalla relazione integrativa, si evincerebbe che la sospensione sarebbe, invece, dipesa dalla mancanza di fondi da parte del committente. Veniva rilevato, ulteriormente, che l’Amministrazione avrebbe, altresì, ritenuto che l’evento fosse imputabile al rapporto intercorso fra le parti, dovendo sul punto osservarsi che la natura pubblica del committente farebbe ritenere prevedibili ritardi burocratici nell’approvazione dei capitoli di spesa necessari per il pagamento dei compensi a fronte dell’avanzamento dei lavori: come risulta dalla circolare sopra indicata, infatti, non possono essere accolte le richieste che riguardino il rapporto fra impresa e committente e che si riferiscano, tra l’altro alla mancanza di fondi.

All’udienza pubblica del 5 ottobre 2023, sentite le parti, la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

Il ricorso non merita accoglimento.

L'Amministrazione ha negato l'ammissione al trattamento salariale integrativo sul rilievo che la causa che ha determinato la sospensione dell'attività lavorativa - in quanto derivante da fatto dell'ente appaltante - "è attinente ai rapporti tra il committente e la ditta stessa" .

Il requisito della "non imputabilità" all'imprenditore, previsto dall'art. 1 della l. n. 164 del 1975, ai fini dell'ammissione alla Cassa integrazione guadagni ordinaria, deve intendersi nel senso che i fatti che hanno causato la contrazione o la sospensione dell'attività di impresa devono risultare estranei non solo all'imprenditore, ma anche ad altri soggetti che con lo stesso hanno concluso contratti, in quanto, diversamente, l'istituto dell'integrazione salariale verrebbe inammissibilmente piegato al perseguimento di finalità ad esso estranee e si tradurrebbe, altrettanto inammissibilmente, in un meccanismo di immediata socializzazione del rischio d'impresa” (vedi fra tutte Consiglio di Stato Sez. II, 24/04/2023, n. 4114).

Nella specie è incontestato che la sospensione dei lavori sia stata disposta nell'esclusivo interesse della stessa impresa committente la quale opponeva l’eccezione d’inadempimento ex art. 1460 c.c. in combinato disposto con l’art. 253 comma 23 bis, e 133 del d. lgs. n. 163/2006;
ed infatti, dalla produzione documentale risulta che l'odierna deducente comunicava alla stazione appaltante la sospensione dei lavori, in attesa di conoscere le ulteriori determinazioni della stessa.

Posto che l'art. 253, comma 23 bis concede all'esecutore la facoltà di esperire i rimedi di cui all'art. 1460 c.c. nell'ipotesi in cui maturi un credito di importo superiore al 15% dell'importo contrattuale netto, la decisione di sospendere i lavori sarebbe stata conseguente a una "decisione unilateralmente presa" a seguito di un "mero ritardo nei pagamenti" , riconducibile alla sfera decisionale-organizzativa dell'imprenditore. Da ciò deriverebbe la sussistenza, nel caso di specie, della imputabilità della causa di sospensione al richiedente.

Come è noto, i presupposti per la ammissione alla C.I.G. sono costituiti, come si è visto, dalla non imputabilità della sospensione dell'attività lavorativa al datore di lavoro o ai lavoratori e dalla transitorietà della sospensione dei lavori (art. 11 d.lgs. n. 148/2015 e art. 1, D.M. Lavoro n. 95442/2016), presupposti che devono essere valutati con regole di stretta interpretazione operando, l'istituto della cassa integrazione guadagni, in via di eccezione alla regola del sinallagma dell'obbligo retributivo, con assunzione dello stesso a carico della collettività (Cons. Stato, Sez. III, 19 agosto 2019, n. 5743;
Id. 14 gennaio 2019, n. 327;
Id., Sez. VI, 22 novembre 2010, nn. 8128 e 8129).

In particolare, la predetta restrittività della normativa va intesa nel senso che la c.d. socializzazione del costo del lavoro interviene in presenza di accadimenti che esulano dalla sfera di controllo e prevedibilità dell'imprenditore, sia che essi attengano a fatti naturali (condizioni stagionali impeditive dell'ordinario andamento dei lavori), sia che essi rimandino a fatti umani esterni che sfuggono al dominio, secondo l'ordinaria diligenza, di chi organizza i fattori d'impresa, comprensivi dell'impiego di mano d'opera;
questa lata accezione del concetto di "non imputabilità" prescinde da ogni valutazione sulla mancanza di imperizia e negligenza delle parti e consente di ravvisare l'evento "non imputabile" all'imprenditore solo in presenza di un avvenimento sottratto ad ogni possibile iniziativa del medesimo datore di lavoro, compresa l'adozione di rimedi preventivi atti a contrastarli o di rimedi risarcitori atti, ex post, a compensarli (Cons. Stato, Sez. III, 15 ottobre 2019, n. 700).

Per altro profilo, in giurisprudenza si è pure sovente rimarcato che il sindacato del giudice amministrativo sui provvedimenti di diniego dell'ammissione alla cassa integrazione guadagni, sia essa ordinaria o straordinaria, ha dei limiti connessi all'ampio margine di discrezionalità tecnica che caratterizza la valutazione dell'ente previdenziale sul riconoscimento di una situazione di crisi aziendale, di modo che le scelte dell'Amministrazione sono sindacabili soltanto se evidentemente illogiche, manifestamente incongruenti, inattendibili ovvero viziate da travisamento in fatto.

(ex multiis Cons. Stato Sez. II, 24/04/2023, n. 4114;
Cons. Stato, Sez. III, 12 ottobre 2021, n. 6851;
Cons. Stato, Sez. III, 30 luglio 2019, n. 5398;
T.A.R. Aosta, sez. I, 2 ottobre 2020, n. 50).

Facendo applicazione di tali principi per valutare la ragionevolezza del comportamento dell'Amministrazione tradottosi nei dinieghi in questione, il Collegio ritiene che le censure sollevate dalla ricorrente società siano ben lungi dall'inficiare la legittimità degli atti impugnati, invero congruamente supportati sul piano motivazionale.

Appare evidente che la sospensione dei lavori nel caso di specie è imputabile alla parte ricorrente ed è riconducibile ai rapporti intercorrenti tra la stessa e l’Amministrazione:

- con la nota del 6 settembre 2016, la società ricorrente rappresentava alle sigle sindacali interessate (FILCA – CISL, FILLEA – CIGL FENEAL - UIL che gli operai sarebbero stati messi in CIG a seguito del “mancato pagamento dei corrispettivi di lavoro pendenti” (allegato 002 della memoria dell’Ente previdenziale);

- con nota del 1 agosto 2016, la CO.GE.SINA diffidava l’Ente comunale “al pagamento dei corrispettivi di lavoro pendenti”, pena la sospensione temporanea dell’attività di cantiere.

Trattasi, quindi, come ben si comprende, di un caso di sospensione dell'attività lavorativa non riconducibile a fattori esterni e incontrollabili, bensì imputabile in ultima analisi alla volontà della impresa COGESINA di sospendere i lavori a fronte dell’inadempimento o del ritardo dell’adempimento del comune committente, riconducibili ai “rapporti intercorrenti tra le parti” : in tale fattispecie si esclude, pertanto, la sussistenza dei presupposti per l'accesso alla cassa integrazione, non ricorrendo né l'imprevedibilità né la non imputabilità dell'evento che ha determinato la sospensione dei lavori.

Con riferimento alla variante sospensiva determinata dalla scoperta della cisterna, il Collegio ritiene che tale scoperta sopravvenuta debba considerarsi come “omessa previsione di possibili situazioni impeditive dell'ordinario prosieguo dei lavori” che come è noto risulta circostanza imputabile al datore di lavoro quale circostanza del tutto prevedibile. La natura pubblica del committente avrebbe dovuto far ritenere prevedibile il ritardo dei pagamenti.

La vicenda che occupa sembra più proficuamente inquadrabile nel più generale canone dell'ordinario rischio di impresa cui il datore di lavoro si espone nella interazione con il committente pubblico che, come tale, non può essere trasferito sulla collettività essendo direttamente riferibile al rapporto intercorrente tra le suddette parti (Cons. Stato, Sez. III, 14 gennaio 2019, n. 327).

Ne consegue ragionevolmente che la sospensione dell'attività lavorativa era "attinente ai rapporti tra committente e la ditta stessa" , come ritenuto dall'INPS nei provvedimenti impugnati, così che il pagamento delle retribuzioni durante il periodo di sospensione dei lavori rientrava nell'ordinario rischio di impresa dell'appaltatore.

Discende, da quanto precede, l'infondatezza dei motivi di ricorso, che va pertanto rigettato.

Le spese di giudizio, in ragione delle peculiarità del caso concreto, possono essere compensate.

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