TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2024-05-06, n. 202408965
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Pubblicato il 06/05/2024
N. 08965/2024 REG.PROV.COLL.
N. 06462/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Quinta Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6462 del 2019, proposto da
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati A K, G S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Giuseppe Avv. Sottile in Roma, corso Trieste n. 16;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
del provvedimento di diniego di concessione della cittadinanza italiana (n. -OMISSIS-);
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 febbraio 2024 il dott. Gianluca Verico e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.- In data 5.9.2015 la ricorrente ha presentato istanza per la concessione della cittadinanza italiana ai sensi dell'art. 9, comma primo, lettera f) della legge 5 febbraio 1992, n. 91.
Il Ministero dell’Interno, previa comunicazione del preavviso di diniego ex art. 10- bis Legge n. 241/1990, con decreto n. -OMISSIS- del 17.01.2019 ha respinto la domanda dell’interessata in quanto dalle risultanze dell’istruttoria è emerso:
- a carico della ricorrente una segnalazione del 17/11/2007 per la violazione dell’art. 594 c.p. (ingiuria);
- a carico del coniuge “ violazioni per artt. 581,594,612,614,635 c.p. e sospensione patente ”;
- a carico del figlio “ violazioni per att. 582 e 688 c.p .”.
La motivazione del diniego risulta fondata, inoltre, sulla ritenuta carenza del requisito reddituale.
Avverso l’anzidetto decreto di rigetto ha quindi proposto ricorso l’interessata deducendo i seguenti motivi di diritto:
I. “ In via preliminare: Violazione dell’art. 97 Cost. – imparzialità e buon andamento ”;
II. “ In via principale: illegittimità del provvedimento per travisamento dei fatti e insufficiente istruttoria – eccesso di potere ”;
III. “ Sempre in via principale: illegittimità del provvedimento per violazione dell’art. 3 della legge 241/1990 per carente ed insufficiente motivazione – eccesso di potere ”.
La ricorrente lamenta essenzialmente che:
- il diniego è stato adottato dopo la scadenza del termine previsto per la conclusione del procedimento, di guisa che l’adozione del provvedimento tardivo, sebbene non illegittimo stante l’inapplicabilità nel caso in esame dell’istituto del silenzio assenso, è comunque sintomatico di una inefficienza dell’Amministrazione e, dunque, di una lesione del principio costituzionale di buon andamento previsto dall’art. 97 Cost.;
- gli elementi ostativi posti a fondamento del diniego consistono soltanto in notizie di reato, cui non è dunque seguito alcun accertamento della responsabilità in sede penale, come emerge dai casellari giudiziali prodotti in giudizio. Deduce, inoltre, che il processo penale a suo carico si è concluso con sentenza di non luogo a procedere per remissione della querela (come da verbale di udienza del Giudice di Pace di -OMISSIS- del 09.12.2010) e che il procedimento penale a carico del marito è stato archiviato a seguito della remissione di querela da parte della figlia. Quanto al precedente a carico del figlio, eccepisce che la fattispecie contestata di cui all’art. 688 c.p., rubricato “ Ubriachezza ”, è stata depenalizzata ed è prevista soltanto una sanzione amministrativa;
- quanto alle notizie di reato a carico dei familiari assume, altresì, che, in ogni caso, eventuali pregiudizi penali a carico di soggetti terzi non possono ridondare in suo danno alla luce del principio di personalità della responsabilità penale previsto dall’art. 27, comma 1, Cost.;
- con riferimento al requisito reddituale, deduce di aver percepito redditi sufficienti, anche tenuto conto dell’apporto economico dei familiari;
- l’Amministrazione avrebbe, infine, omesso di valutare adeguatamente la complessiva condotta tenuta dalla richiedente nell'arco dell'intero periodo di permanenza sul territorio nazionale, essendosi ormai compiutamente integrata nel tessuto economico e sociale.
In data 5.6.2019 si è costituita l’Amministrazione intimata per resistere al ricorso, depositando successivamente, in data 7.12.2022, anche gli atti del procedimento e la relazione ministeriale.
All’udienza pubblica del 14 febbraio 2024 la causa è stata trattenuta per la decisione.
2.- Il ricorso è infondato.
Deve essere respinto, innanzitutto, il primo motivo di censura, riguardante l’asserita illegittimità del diniego in quanto adottato dopo la scadenza del termine previsto per la conclusione del procedimento.
Invero, come ripetutamente evidenziato anche da questa Sezione, allorché venga presentata un’istanza di concessione della cittadinanza per naturalizzazione ai sensi dell’art. 9, come nel caso in esame, l’Amministrazione conserva senza dubbio il potere di provvedere anche dopo la scadenza del termine, trattandosi di termine pacificamente ordinatorio e non perentorio, il cui inutile decorso, come riconosciuto anche dalla stessa parte ricorrente, può semmai legittimare il richiedente a proporre il ricorso avverso il silenzio illegittimamente serbato dall’Amministrazione ex artt. 31 e 117 c.p.a. (TAR Lazio, sez. V bis, n. 3620/2022, 5130/2022, 6604/2022, 6254/2022, 16216/2022) nonché, eventualmente, un’azione di risarcimento per il danno da ritardo, sebbene in presenza di tutti gli altri necessari presupposti.
D’altronde, la costante giurisprudenza (cfr., ex multis, Consiglio di Stato sez. IV, 06/06/2017, n.2718) ha precisato che un termine procedimentale non può rivestire carattere perentorio - tale, cioè, da determinare la consumazione del potere di provvedere in capo all'Amministrazione in caso di suo superamento - se non in presenza di una puntuale ed espressa previsione normativa ovvero di una evidente, manifesta ed univoca ratio legis in tal senso: detti presupposti non sono evidentemente ravvisabili nel caso in esame.
Dalle considerazioni che precedono consegue che l’adozione tardiva del provvedimento non può determinare, per ciò solo, l’illegittimità dell’atto, neanche sotto il profilo dedotto della violazione dei canoni generali di buon andamento e imparzialità di cui all’art. 97 Cost., anche tenuto conto della giustificabilità del ritardo in ragione dell’elevatissimo numero di richieste di cittadinanza presentate.
La doglianza va, dunque, respinta.
3.- Devono essere parimenti disattesi anche i restanti due motivi di censura, da esaminarsi congiuntamente perché strettamente connessi.
Preliminarmente, il Collegio reputa utile, in funzione dello scrutinio delle doglianze formulate nell’atto introduttivo del giudizio, una premessa di carattere teorico in ordine al potere attribuito all’amministrazione in materia, all’interesse pubblico protetto e alla natura del relativo provvedimento alla luce della giurisprudenza in materia, nonché dei precedenti dalla Sezione (cfr., ex multis , TAR Lazio, Roma, Sez. V bis, n. 2943, 2944, 2945, 3018, 3471, 4280 e 5130 del 2022 e 20023 del 2023).
Ai sensi dell'articolo 9 comma 1 lettera f) della legge n. 91 del 1992, la cittadinanza italiana " può " essere concessa allo straniero che risieda legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica.
L'utilizzo dell'espressione evidenziata sta ad indicare che la residenza nel territorio per il periodo minimo indicato è solo un presupposto per proporre la domanda a cui segue "una valutazione ampiamente discrezionale sulle ragioni che inducono lo straniero a chiedere la nazionalità italiana e delle sue possibilità di rispettare i doveri che derivano dall'appartenenza alla comunità nazionale" (cfr., tra le tante, Consiglio di Stato sez. III, 23/07/2018 n. 4447).
Il conferimento dello status civitatis , cui è collegata una capacità giuridica speciale, si traduce in un apprezzamento di opportunità sulla base di un complesso di circostanze, atte a dimostrare l'integrazione del richiedente nel tessuto sociale, sotto il profilo delle condizioni lavorative, economiche, familiari e di irreprensibilità della condotta (Consiglio di Stato sez. VI, 9 novembre 2011, n. 5913;n. 52 del 10 gennaio 2011;Tar Lazio, sez. II quater, n. 3547 del 18 aprile 2012).
L'interesse pubblico sotteso al provvedimento di concessione della particolare capacità giuridica, connessa allo status di cittadino, impone che si valutino, anche sotto il profilo indiziario, le prospettive di ottimale inserimento del soggetto interessato nel contesto sociale del Paese ospitante (Tar Lazio, sez. II quater, n. 5565 del 4 giugno 2013), atteso che, lungi dal costituire per il richiedente una sorta di diritto che il Paese deve necessariamente e automaticamente riconoscergli ove riscontri la sussistenza di determinati requisiti e l'assenza di fattori ostativi, rappresenta il frutto di una meticolosa ponderazione di ogni elemento utile al fine di valutare la sussistenza di un concreto interesse pubblico ad accogliere stabilmente all'interno dello Stato comunità un nuovo componente e dell'attitudine dello stesso ad assumersene anche tutti i doveri ed oneri.
In altri termini, il provvedimento di concessione della cittadinanza in esame “ è atto squisitamente discrezionale di ‘alta amministrazione’, condizionato all'esistenza di un interesse pubblico che con lo stesso atto si intende raggiungere e da uno ‘ status illesae dignitatis’ (morale e civile) di colui che lo richiede ” (Consiglio di Stato, sez. III, 07/01/2022, n. 104).
Pertanto, l’anzidetta valutazione discrezionale può essere sindacata in questa sede nei ristretti ambiti del controllo estrinseco e formale;il sindacato del giudice, infatti, non si estende al merito della valutazione compiuta dall'Amministrazione, non potendo dunque spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell'esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole (cfr., ex multis , Consiglio di Stato sez. III, 16 novembre 2020, n. 7036;nonché, TAR Lazio, sez. V bis, n. 2944/2022 su prospettive e limiti dell’applicazione del principio di proporzionalità in tale materia).
Quanto, in particolare, all’onere motivazionale, la giurisprudenza ha più volte precisato che l'ampiezza e la profondità dell'obbligo di motivazione del provvedimento di diniego della concessione della cittadinanza devono correlarsi allo stadio del procedimento penale, alla natura del reato commesso, nonché alla circostanza che esso sia stato commesso a distanza di tempo dal momento in cui l'istanza di concessione della cittadinanza viene proposta. Questi profili incidono anche sul livello di discrezionalità dell'amministrazione per la quale la valutazione della condotta penalmente rilevante deve costituire, a norma di legge, uno degli elementi rilevanti ai fini della decisione sulla concessione della cittadinanza, con la conseguenza che, “ nel caso di sentenza penale e, a fortiori , di sentenza passata in giudicato l'ampiezza e l'intensità dell'obbligo motivazionale relativo al diniego di concessione di cittadinanza può essere minore rispetto a quello che deve, invece, caratterizzare un diniego in presenza di una mera comunicazione di notizia di reato o di una denuncia, della quale il ricorrente potrebbe non essere al corrente ” (Consiglio di Stato sez. I, 04/04/2022, n.713;cfr., in senso conforme, Cons. Stato, Sez. II, 31 maggio 2021, n. 4151).
3.1- Tanto chiarito, ritiene il Collegio che, a sostegno della non manifesta irragionevolezza o illogicità della valutazione discrezionale cui è pervenuta l’Amministrazione, depongano i seguenti elementi concreti che, se valutati non già atomisticamente, bensì nel loro intreccio reciproco, assumono rilevanza a fini dell’espressione di un giudizio globale sotto il profilo della significatività della personalità dell’autore e del contesto di illegalità in cui la richiedente poteva ragionevolmente apparire inserita.
Invero, la motivazione che assiste il gravato decreto risulta fondata sulle seguenti vicende penali:
- a carico della ricorrente una segnalazione del 17/11/2007 per la violazione dell’art. 594 c.p. (ingiuria);
- a carico del coniuge “ violazioni per artt. 581,594,612,614,635 c.p. e sospensione patente ”;
- a carico del figlio “ violazioni per att. 582 e 688 c.p .”.
Ebbene, quanto al procedimento a carico della ricorrente per ingiuria e a quello a carico del marito per plurimi reati, segnatamente per percosse, ingiuria, minaccia, violazione di domicilio e danneggiamento, la ricorrente sostiene che l’archiviazione per intervenuta remissione della querela, in entrambi i casi, eliderebbe di ogni rilevanza tali fatti.
L’assunto difensivo va disatteso.
Invero, con specifico riferimento ai suindicati reati contestati al marito della ricorrente, si rende opportuno evidenziare che, sebbene il relativo procedimento non sia poi esitato in una pronuncia di condanna, anche la mera notizia di reato poteva legittimamente essere valutata dall’Amministrazione, soprattutto tenuto conto che, nel caso di specie, la querela era stata presentata dalla figlia, di modo che il successivo ritiro della stessa, se per un verso ha impedito la prosecuzione del procedimento penale, sotto altro verso non impedisce all’Amministrazione di apprezzare tale circostanza – unitamente a tutte le altre - nell’ambito del giudizio prognostico sull’opportunità della concessione della cittadinanza alla richiedente, avuto riguardo al nucleo familiare in cui risulta inserita, anche al fine di assicurare preminente tutela ai principi fondamentali della convivenza sociale e dell’ordine pubblico (cfr. la sentenza di questa Sezione n. 3673/2023 in cui si è avuto modo di precisare, in un caso analogo riguardante la remissione della querela da parte di un congiunto, nella fattispecie la moglie, che “ in tali circostanze il coniuge vittima può addirittura essere forzato dal congiunto a ritirare la querela - per motivi di convenienza o dipendenza economica oppure per tutelare i figli oppure per timore di ritorsioni – come spesso accade nei reati di minaccia o comportamenti violenti o abusivi in cui la vittima è in posizione di dipendenza, soggezione anche solo psicologica, oltre che fisica ”).
3.2- Del pari, quanto alle fattispecie criminose contestate al figlio della ricorrente, occorre rilevare che il reato di lesione personale ex art. 582 c.p., offensivo di beni costituzionalmente tutelati della persona quale il diritto all’integrità fisica altrui, è punito con la reclusione fino a tre anni. Sebbene nella specie non sia intervenuta una condanna, non è inconferente osservare che, considerato che tra le ipotesi automaticamente ostative all’acquisto della cittadinanza “di diritto” per matrimonio previste dall’art. 6 della legge n. 91 del 1992 è contemplata anche “ la condanna per un delitto non colposo per il quale la legge preveda una pena edittale non inferiore nel massimo a tre anni di reclusione ”, la Sezione ha evidenziato che la condanna per tale fattispecie di reato, rientrando tra quelle preclusive all’acquisto della cittadinanza per matrimonio, costituisca, a fortiori , circostanza ostativa alla richiesta cittadinanza per naturalizzazione (Cons. Stato, sez. III, n. 52/2011, 1726/2019, 8734/2019, 4151/2021;TAR Lazio, sez. II quater, n. 1833/15;3582/14;n. 9947/2016, 324/2017;TAR Lazio, sez. I ter, n. 11734/2019, 4632/2020;TAR Lazio, sez. V bis, n. 2944/2022;n. 4236/22;n. 4295/2022;4941/2022;n. 5130/2022;n. 5131/2022;n. 6254/2022;6604/2022).
Inoltre, quanto alla fattispecie contestata di ubriachezza ex art. 688 c.p., la giurisprudenza anche di questa Sezione ha evidenziato, in più occasioni, che non assume portata dirimente l’eventuale depenalizzazione del reato, dato che il “fatto storico” della violazione di tale normativa costituisce un elemento cui va attribuito un significato diverso sul piano penale e su quello della valutazione della meritevolezza della concessione della cittadinanza: esso “ non viene valutato sotto il profilo della condanna in sede penale del suo autore, bensì sotto il diverso profilo dell'interesse pubblico del Paese ospite ad accogliere chi lo ha commesso tra i propri cittadini;valutazione che implica anche l'opportunità di evitare di inserire tra questi chi, con la propria condotta, non mostri di condividere alcuni valori dell'ordinamento giuridico ritenuti meritevoli di tutela ” (Tar Lazio, sez. II quater, n. 6616/2015;sez. V bis, 8040/2022).
3.3- Si aggiunga, ancora, che nella delineata prospettiva volta ad annettere rilievo al “fatto storico” di per sé, anche se privo di rilevanza penale, occorre richiamare il costante orientamento giurisprudenziale – puntualmente menzionato anche nella motivazione del diniego – secondo cui le valutazioni volte all'accertamento di una responsabilità penale si pongono su di un piano assolutamente differente ed autonomo rispetto alla valutazione del medesimo fatto ai fini dell'adozione di un provvedimento amministrativo, sicché può darsi la possibilità che le risultanze fattuali oggetto della vicenda penale vengano valutate negativamente, sul piano amministrativo, anche a prescindere dagli esiti del parallelo iter giudiziale, e ciò anche in omaggio al generale principio della c.d. pluriqualificazione dei fatti giuridici (cfr., quanto alla legittimità del diniego fondato su mere notizie di reato, non ostandovi il principio di presunzione di innocenza, TAR Lazio, sez. V-bis, nn. 3482/2022, 3471/2022, 3527/2022, 3620/2022, 4618/2022, 4621/2022, 4625/2022, 4704/2022, 4888/2022, 6490/2022, 7814/2022, 8127/2022, 8131/2022, 9292/2022, 11026/2022, nonché, di recente, nn. 13313/2023, 14164/2023).
A sostegno di tale conclusione depone, peraltro, anche il recente orientamento del Consiglio di Stato, che ha avuto modo di precisare che, ai fini della concessione della cittadinanza, non si deve tenere conto solamente dei fatti penalmente rilevanti, ma si deve valutare anche l'area della prevenzione dei reati e di qualsivoglia situazione di astratta pericolosità sociale, con accurati apprezzamenti sulla personalità e sulla condotta di vita del naturalizzando, al fine di valutare quale sia la probabilità che questi possa arrecare in futuro pregiudizio alla sicurezza dello Stato (cfr. da ultimo, Consiglio di Stato sez. III, 14/02/2022, n.1057).
In tale ottica, è stato di recente ribadito che “la giurisprudenza in materia ha costantemente affermato che ai fini della concessione della cittadinanza non si deve tenere conto solamente dei fatti penalmente rilevanti, ma si deve valutare anche l’area della prevenzione dei reati e di qualsivoglia situazione di astratta pericolosità sociale, con accurati apprezzamenti sulla personalità e sulla condotta di vita del naturalizzando, al fine di valutare quale sia la probabilità che questi possa arrecare in futuro pregiudizio alla sicurezza dello Stato” (vedi, da ultimo, Cons. St., sez. III, n. 4684/2023;cfr. nn. 1390 e 3121 del 2019), precisando altresì che “le risultanze penali ben si possono valutare negativamente sul piano amministrativo, anche a prescindere dagli esiti processuali, in quanto il comportamento non è valutato ai fini dell’irrogazione di una sanzione, bensì al fine di formulare un giudizio sul grado di assimilazione dei valori e sulla futura integrazione” (Cons. St., sez. III, 4684/2023;cfr. n. 8379 del 2023;n. 2745 del 2023;n. 1057 del 2022;n. 4122 del 2021;n. 470 del 2021;n. 7036 del 2020;n. 5638 del 2019;n. 802 del 2019).
3.4- Quanto alla legittimità della valutazione dell’Amministrazione laddove ha apprezzato anche le vicende penali riguardanti soggetti diversi dalla persona della richiedente, segnatamente i suoi familiari, si ritiene che, come osservato a più riprese anche da questa Sezione, l’invocato principio della personalità della responsabilità penale ai sensi dell’art. 27 Cost. non sia pertinente, giacché nella fattispecie concreta non si tratta di assoggettare a sanzione – ovvero di punire - un soggetto diverso dall’autore del fatto criminoso, bensì di impedire l’attribuzione di una utilità, vale a dire il conferimento del massimo status ordinamentale – quello appunto di cittadino italiano – ad un soggetto ritenuto potenzialmente idoneo a recare, anche indirettamente, un danno alla comunità nazionale, per effetto dell’estensione ai familiari del richiedente delle previsioni relative ai parenti del cittadino italiano. Sul punto, infatti, è noto che l’acquisto della cittadinanza da parte di un familiare comporta benefici indiretti anche per gli altri membri del nucleo, tra i quali l’impossibilità di espellere i parenti entro il secondo grado (cfr. art. 19, comma 2, lett. c) del d.lgs. 286/1998) e la possibilità di ottenere un permesso per motivi familiari (cfr. art. 30, comma 1, lett. c) del d.lgs. 286/1998).
Pertanto, la valutazione dei pregiudizi penali a carico dei familiari e, più in generale, il contesto familiare in cui l’istante vive stabilmente ben può rientrare nell’ambito del giudizio prognostico che l’Amministrazione è chiamata a compiere in ordine alla compiuta integrazione e affidabilità dell’istante nella comunità nazionale (Tar Lazio, Roma, sez. II Quater n. 1840/2015), dovendosi ancora ribadire che, ai fini della concessione della cittadinanza, non si deve tenere conto solamente dei fatti penalmente rilevanti, ma si deve valutare anche l'area della prevenzione dei reati e di qualsivoglia situazione di astratta pericolosità sociale, con accurati apprezzamenti sulla personalità e sulla condotta di vita del naturalizzando, al fine di valutare quale sia la probabilità che questi possa arrecare in futuro pregiudizio alla sicurezza dello Stato (cfr., ex multis , Consiglio di Stato sez. III, 14/02/2022, n.1057).
A supporto delle argomentazioni innanzi esposte si rende opportuno richiamare anche una recente sentenza di questa Sezione (Tar Lazio, Roma, sez. V bis, 06/03/2023, n. 3673) che, ponendosi in continuità con l’orientamento giurisprudenziale prevalente sopra descritto, ha avuto modo di evidenziare che l’ambito soggettivo della valutazione di opportunità in merito alla concessione dello status civitatis « non si limita alla sola persona del richiedente, ma investe la cerchia dei familiari, in quanto nucleo elementare in cui si forma, si sviluppa e si manifesta la personalità individuale e che, pertanto, costituisce “l’ambiente” in cui va particolarmente studiato il comportamento dei soggetti », con la conseguenza che « il richiamo al principio della “responsabilità personale” risulta inconferente in quanto nel contenzioso sulla cittadinanza non viene in considerazione solo la condotta del richiedente, ma anche quella dell’intero nucleo familiare, apprezzato in un’ottica oggettiva, tenendo conto delle conseguenze negative che dalla “infelice” concessione della cittadinanza deriverebbero per l’intera collettività (la cui salvaguardia costituisce una finalità di valore preminente rispetto all’aspirazione dell’istante a prendere parte alla vita politica nazionale dato che questo è, in sostanza, il quid pluris conferito con il provvedimento di naturalizzazione) ».
Ed ancora, nella medesima ottica, questa Sezione ha altresì precisato (Tar Lazio, Roma, sez. V bis, 05/12/2022, n. 16216) che « il rapporto filiale è infatti rappresentativo di un chiaro legame stabile, duraturo nel tempo e fondante le proprie radici nella famiglia e nei suoi connessi aspetti affettivi, con la conseguenza che proprio la stabilità parentale e affettiva potrebbe indurre l’interessata ad agevolare, anche soltanto per ragioni affettive, comportamenti ritenuti in contrasto con l’ordinamento giuridico, che ne inficiano le prospettive di ottimale inserimento nella comunità nazionale. E ciò coerentemente al consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui “I due aspetti della convivenza e dello stretto grado di parentela costituiscono … elementi significativi della sicura influenza svolta dal familiare, che abbia commesso reati, sull’istante e dunque possono essere legittimamente valorizzati dalla amministrazione ai fini di una motivazione di rigetto della cittadinanza italiana” (cfr., ex multis, T.A.R. Lazio, Roma, sez. I ter, 10.12.2020, n. 13300 )» (cfr., in senso conforme, anche le recenti sentenze di questa Sezione nn. 11825/2023 e 4263/2023).
In definitiva, la sussistenza delle suddette notizie di reato emerse a carico sia della ricorrente medesima che del coniuge e del figlio sono state valutate dall’Amministrazione come ostative alla concessione della cittadinanza - tenuto anche conto dei conseguenti benefici indiretti a favore dei familiari, segnatamente il divieto di espulsione e la possibilità di ottenere un permesso per motivi familiari in virtù delle disposizioni normative sopra esposte – all’esito di un giudizio prognostico che non appare irragionevole o sproporzionato, in quanto l’interesse legittimo pretensivo della richiedente deve ritenersi recessivo rispetto alla preminente esigenza di assicurare la tutela dei principi fondamentali della convivenza sociale e dell’ordine pubblico.
Ne consegue che, alla luce delle considerazioni che precedono, le doglianze dedotte devono essere respinte.
4.- Le assorbenti considerazioni che precedono rendono irrilevante la disamina della doglianza riguardante il requisito reddituale, in omaggio al costante orientamento della giurisprudenza secondo cui « in presenza di un atto amministrativo cd. " plurimotivato " è sufficiente la legittimità di una sola delle giustificazioni per sorreggere l'atto in sede giurisdizionale, dal momento che nel caso di un atto fondato su una pluralità di ragioni indipendenti ed autonome le une dalle altre, il rigetto delle censure proposte contro una di tali ragioni rende superfluo l'esame di quelle relative alle altre parti del provvedimento» (cfr., ex plurimis , Consiglio di Stato sez. V, 03/03/2022, n.1529).
5.- In ultima analisi, considerato che il provvedimento di concessione della cittadinanza rappresenta un atto eminentemente discrezionale di "alta amministrazione” suscettibile di essere sindacato solo nei ristretti ambiti del controllo di legittimità – escluso ogni sindacato sostitutivo - ritiene il Collegio che la valutazione dell’Amministrazione sia esente da vizi di illogicità o irragionevolezza.
La tesi dell'istante non tiene conto dell'amplissima discrezionalità, informata anche a criteri di precauzione di profilo oggettivo (Cons. St., sez. III, 11 maggio 2016, n. 1874) e di cautela (Cons. St., sez. III, 29 marzo 2019, n. 2102;6 settembre 2018, n. 5262), che - come già osservato - caratterizza il provvedimento di concessione della cittadinanza italiana, in quanto atto che attribuisce definitivamente uno status che comporta rilevanti conseguenze per il patrimonio giuridico del richiedente e sui suoi diritti all'interno dello Stato;tale concessione può però comportare conseguenze altrettanto rilevanti, anche gravemente perniciose per l'interesse nazionale in caso di infelice concessione.
Peraltro, considerato che, nel caso di accoglimento dell’istanza, le conseguenze sono tendenzialmente irreversibili ed interessano l’intera collettività in quanto il soggetto viene ad essere ammesso stabilmente nella comunità nazionale in via definitiva (con diritto di partecipazione alla determinazione delle scelte politiche), non appare sproporzionato il provvedimento che nega la cittadinanza, in via di precauzione adeguatamente avanzata, a quei soggetti di cui si dubita che possano assicurare il rispetto dei valori fondamentali, quali la vita e la incolumità delle persone, la fiducia ed il riguardo per le Istituzioni dello Stato di cui entra a far parte, ed altri beni riconosciuti e tutelati dalla Costituzione.
Nel caso di specie, il diniego risulta fondato sugli elementi concreti sopra indicati che – globalmente considerati - appaiono idonei a sorreggere adeguatamente il giudizio di inaffidabilità e non compiuta integrazione della ricorrente nel tessuto sociale, con conseguente esito negativo sulla concessione della cittadinanza.
Del resto, la valutazione del Ministero dell'Interno è avvenuta sulla base di accertamenti il cui esito, in termini di prognosi di idoneità allo stabile inserimento nella comunità nazionale con il conferimento della cittadinanza, rientra negli apprezzamenti di merito non sindacabili dinanzi al giudice amministrativo, se non per evidente travisamento dei fatti ed illogicità, vizi che non risultano sussistere nel caso di specie.
Né la natura di alta amministrazione del provvedimento gravato consente a questo giudice di sostituire valutazioni di merito, riservate all'Autorità amministrativa preposta, con altre, attesi i vincoli al sindacato giurisdizionale in questa materia.
Si rende opportuno osservare, inoltre, che la difesa della parte ricorrente si limita a dedurre l'assenza di sentenze di condanna, la residenza in Italia da oltre un decennio e l'asserito inserimento nel contesto sociale, ritenendo che tali circostanze siano sufficienti al rilascio della cittadinanza: tali argomentazioni difensive, tuttavia, non appaiono idonee a scalfire il giudizio svolto dall’Amministrazione.
L’istante, infatti, non offre elementi che possano integrare meriti speciali, atteso che lo stabile inserimento, anche nella realtà economica, se, per un verso, rappresenta una condizione del tutto ordinaria, in quanto costituisce solo il presupposto per conservare il titolo di soggiorno, per altro verso rappresenta soltanto il prerequisito per la concessione della cittadinanza alla stregua di quanto sopra osservato.
Difatti, il conferimento della cittadinanza italiana per naturalizzazione presuppone l'accertamento di un interesse pubblico da valutarsi anche in relazione ai fini propri della società nazionale e non già sul semplice riferimento dell'interesse privato di chi si risolve a domandare la cittadinanza per il soddisfacimento di personali esigenze.
Il riconoscimento della cittadinanza, per sua natura irrevocabile (salvi i casi di revoca normativamente previsti), si fonda su determinazioni che rappresentano un'esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (Cons. Stato, Sez. III, 7 gennaio 2022, n. 104) e, pertanto, presuppone che " nessun dubbio, nessuna ombra di inaffidabilità del richiedente sussista, anche con valutazione prognostica per il futuro, circa la piena adesione ai valori costituzionali su cui Repubblica Italiana si fonda " (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 14 febbraio 2017, n. 657).
D’altronde, la particolare cautela con cui l'Amministrazione valuta la rilevanza di condotte antigiuridiche è compensata dalla facoltà di reiterazione dell’istanza che l’ordinamento riconosce al richiedente una volta mutate le condizioni oggettive sottese all'esito negativo originario.
In conclusione, il provvedimento appare adeguatamente motivato e scevro dalle dedotte censure, pertanto il ricorso proposto deve essere respinto.
6.- Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.