TAR Palermo, sez. III, sentenza 2023-06-22, n. 202302087

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Palermo, sez. III, sentenza 2023-06-22, n. 202302087
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Palermo
Numero : 202302087
Data del deposito : 22 giugno 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 22/06/2023

N. 02087/2023 REG.PROV.COLL.

N. 01777/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1777 del 2022, proposto da
A P, rappresentato e difeso dagli avvocati D P, G R, G I, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero della Giustizia-Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, Casa Circondariale Agrigento Contrada Petrusa, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale, domiciliataria ex lege in Palermo, via Valerio Villareale, 6;

per

l'accertamento e il riconoscimento

del diritto del ricorrente a percepire l'indennità per servizi esterni ex art. 9 del D.P.R. n. 395/90 con riferimento all'attività prestata presso il Nucleo Piantonamenti Traduzioni (NPTP)della Casa Circondariale di Agrigento;

per l'annullamento

- del provvedimento del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria – Provveditorato Regionale per la Sicilia (notificato in data 11.10.2022) con il quale è stato rigettato il ricorso gerarchico proposto in data 20.04.2022 dall'Agente scelto di Polizia Penitenziaria Pirrera Antonino, odierno ricorrente;

- del provvedimento (notificato in data 23.03.22 dal Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria – Direzione Casa Circondariale di Agrigento) con il quale è stato disposto il recupero della somma percepita dal ricorrente a titolo di indennità per servizi esterni “negli anni dal 2016 al 2020”;

- dell'Ordine di Servizio n. 61 del 19.06.20, mai notificato o comunicato al ricorrente, con il quale il Direttore della Casa Circondariale di Agrigento ha revocato il precedente Ordine di Servizio n. 46 del 08.11.16 (provvedimento quest'ultimo che riconosceva la suddetta indennità al personale in servizio presso il Nucleo Traduzioni e Piantonamenti) e ha conseguentemente ripristinato la vigenza dell'Ordine di Servizio n. 38 del 22.09.16 (che, invece, escludeva il personale in servizio presso il suddetto nucleo dalla percezione dell'indennità per cui è controversia), disponendo anche “il recupero delle competenze economiche eventualmente elargite in modo difforme rispetto a quanto prescritto dall'o.d.s. 38/16” ;

- dell'Ordine di Servizio n. 38 del 22.09.16, mai notificato o comunicato al ricorrente, nella parte in cui il Direttore della Casa Circondariale di Agrigento ha sostanzialmente escluso il personale in servizio presso il Nucleo Traduzioni e Piantonamenti dal novero dei soggetti aventi diritto a percepire l'indennità per servizi esterni;

- per quanto possa occorre, della nota n. 65450 del 28.09.21, mai notificata o comunicata al ricorrente, con la quale il Provveditorato Regionale Amministrazione Penitenziaria della Sicilia ha invitato i Direttori delle varie Case Circondariali a “ verificare la legittimità dell'erogazione dell'indennità…in argomento ” e a “ provvedere al recupero di somme eventualmente erogante al personale non avente diritto ”;

- per quanto possa occorre, delle circolari dell'Amministrazione penitenziaria (n. 248866-2014, n. 0034052-2015, n. 146755-2019) ove intense nel senso di escludere il personale in servizio presso il Nucleo Traduzioni e Piantonamenti dal novero dei soggetti aventi diritto a percepire l'indennità per servizi esterni, anche laddove tale personale presti servizio in aree ove sono presenti (per oltre tre ore consecutive) detenuti lavoranti nonché il reparto semiliberi;

- per quanto possa occorrere, della nota del Provveditorato Regionale Amministrazione Penitenziaria della Sicilia datata 26.03.20 ove intesa nel senso di escludere il personale in servizio presso il Nucleo Traduzioni e Piantonamenti dal novero dei soggetti aventi diritto a percepire l'indennità per servizi, anche laddove tale personale presti servizio in aree ove sono presenti (per oltre tre ore consecutive) detenuti lavoranti nonché il reparto semiliberi;

- per quanto possa occorrere, della nota datata 1.12.21 con la quale il Direttore della Casa Circondariale di Agrigento ha invitato gli uffici competenti a quantificare le somme percepite a titolo di indennità per servizi esterni dal personale del Nucleo Traduzioni e Piantonamenti (nel periodo 2016- 2020) e a procedere alla ripetizione di tali somme;

- di ogni altro atto preordinato, connesso e consequenziale.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 giugno 2023 il dott. B S e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

L’odierno ricorrente è dipendente dell’Amministrazione penitenziaria e ha prestato la propria attività lavorativa dal 2016 presso il Nucleo Traduzioni e Piantonamenti (d’ora in avanti NPTP) della Casa Circondariale di Agrigento. Il Nucleo Traduzioni e Piantonamenti è collocato nella zona esterna al muro di cinta (in cui sono internati i detenuti, delimitando l’area propriamente detentiva del carcere), ma contenuta all'interno della c.d. “intercinta” (separata dall’esterno da ulteriori confini), nella quale sono collocati invece gli uffici direttivi e amministrativi.

Il ricorrente ha precisato che, così come tutto il personale assegnato al Nucleo Traduzioni e Piantonamenti, “ non soltanto rimane armato per tutta la durata del turno per assolvere alle esigenze operative che sopravvengono ma è altresì in costante contatto con i detenuti, e specificamente non soltanto il detenuto lavorante ivi assegnato alle mansioni di pulizia del nucleo per ore 06,40 ma anche dei vari ristretti che si muovono nella zona perimetrale del Nucleo, ossia dal block house alla porta carraia, alla sala colloqui, allo spaccio ”. Pertanto, in ragione dell’attività prestata a contatto con detenuti, il ricorrente assume di avere maturato il diritto a percepire l’indennità per servizi esterni ex art. 9 del D.P.R. n. 395/95. Infatti, nella zona in cui ha prestato servizio, sarebbero presenti “ detenuti lavoranti addetti alle pulizie dello stabile per oltre tre ore ” consecutive, ed è, altresì, presente “ il reparto semiliberi ex art. 21 o.p. ”, dovendo pertanto considerarsi la presenza dei detenuti quale circostanza costante ed immanente ai fini del riconoscimento della prestazione economica suddetta, secondo quanto stabilito dalla circolare n. 34502 del 30.1.2015, a mente della quale “ l’indennità è riconosciuta, a prescindere dalle funzioni espletate, a coloro che lavorano all’interno del muro di cinta e nel nucleo traduzioni e piantonamenti (anche se ubicato all’esterno del muro di cinta), ove la presenza dei detenuti è immanente ” (punto 3.1).

Il ricorrente espone altresì che, in seguito all’Ordine di Servizio n. 46 del 08.11.16, ha percepito per anni la suddetta indennità, finché – nel marzo 2022 – gli è stato notificato il provvedimento volto al recupero della somma percepita a titolo di indennità per servizi esterni “ negli anni dal 2016 al 2020 ”.

Il provvedimento di recupero si fonda sull’Ordine di Servizio n. 61 del 19.06.20, con cui il Direttore della Casa Circondariale di Agrigento ha revocato il precedente Ordine di Servizio n. 46 del 08.11.16 (con conseguente ripristino della vigenza dell’Ordine di Servizio n. 38 del 22.09.16) e ha disposto “ il recupero delle competenze economiche eventualmente elargite in modo difforme rispetto a quanto prescritto dall’o.d.s. 38/16 ”.

Lo stesso provvedimento è stato impugnato dal ricorrente dapprima con ricorso gerarchico, quindi – dopo il rigetto del gravame amministrativo – con il ricorso introduttivo del presente giudizio, unitamente al decreto decisorio del ricorso gerarchico e al presupposto ordine di servizio.

Con il primo motivo, il ricorrente censura il provvedimento di rigetto del ricorso gerarchico, notificato all’interessato in data 11.10.2022, per violazione dell’art. 9, D.P.R. n. 395/95 e del principio dell’affidamento. Analoghe censure sono rivolte al provvedimento di recupero (motivi II e IV), mentre con il terzo motivo si deduce l’illegittimità dell’Ordine di Servizio n. 61/20 per violazione dei principi sull’autotutela pubblicistica e per omessa comunicazione dell’avvio del procedimento di revoca del precedente ordine di servizio.

Il Ministero della Giustizia, costituitosi in giudizio, ha dedotto l’infondatezza dei motivi di ricorso, data l’insussistenza dei presupposti normativi per il riconoscimento dell’indennità in questione e l’obbligo per l’Amministrazione di attivarsi per il recupero delle prestazioni retributive indebitamente erogate, e ha eccepito:

- l’irricevibilità per tardività delle censure di cui ai motivi II, III e IV di ricorso, rivolte contro gli atti presupposti dal provvedimento recuperatorio del 23.03.2022, impugnato con ricorso gerarchico;

- l’inammissibilità, per omessa o tardiva impugnazione degli atti presupposti, delle censure, di cui ai motivi II e IV di ricorso, contestualmente rivolte anche contro il provvedimento di recupero del 23.03.2022 (atto consequenziale e meramente esecutivo);

- l’inammissibilità, sotto ulteriore e diverso profilo, delle censure nuove di cui ai motivi I, II e III di ricorso, rivolte contro il provvedimento di recupero del 23.03.2022 e gli atti presupposti, in quanto non proposte in sede di ricorso gerarchico.

Alla pubblica udienza del 20 giugno 2023, previa memoria di replica del ricorrente, il ricorso è stato assunto in decisione.

DIRITTO

Tanto precisato in fatto, vanno disattese le eccezioni preliminari di inammissibilità e irricevibilità sollevate dalla difesa erariale.

Invero, le pretese di carattere patrimoniale dei lavoratori (nel caso di specie relative al pagamento dell’indennità per “servizi esterni” e all’insussistenza dell’obbligo di restituire la stessa) attengono a situazioni di diritto soggettivo di cui il Giudice amministrativo conosce nell'ambito della sua giurisdizione esclusiva sul pubblico impiego ex art. 133, comma 1, lett. i), c.p.a., previa – ove occorra – la disapplicazione degli atti presupposti illegittimi, come tale non soggetta al termine di decadenza (sessanta giorni dalla data di sicura conoscenza dei provvedimenti a carattere autoritativo dell'amministrazione), ma a quello di prescrizione del diritto fatto valere (tra tante, T.A.R. Molise-Campobasso, 11/02/2003, n. 186). Essendo, infatti, il trattamento economico dei pubblici dipendenti attualmente disciplinato da atti normativi di recepimento di accordi sindacali, i singoli atti di determinazione delle retribuzioni non hanno natura autoritativa e possono essere impugnati nel termine di prescrizione (in tal senso Consiglio di Stato sez. V, 13/12/1993, n. 1287).

D’altro canto, l’inammissibilità dei motivi di ricorso che non siano stati proposti con il ricorso gerarchico risponde all’esigenza di evitare un’elusione dell'onere di impugnare tempestivamente gli atti amministrativi nell'ordinario termine decadenziale;
conseguentemente la prospettata inammissibilità non può essere pronunciata laddove (come nel caso di specie) non via sia alcun onere di impugnare l’atto amministrativo entro un termine decadenziale. Le superiori considerazioni trovano conforto nella giurisprudenza amministrativa, essendo stato affermato, in una ipotesi similare a quella oggetto del presente giudizio, che: “ laddove la causa – come nel caso di specie – abbia ad oggetto una pretesa di diritto soggettivo alla corresponsione dell’indennità di trasferimento, da accertare in sede di giurisdizione esclusiva, le determinazioni negative dell’Amministrazione non assumono valore provvedimentale e non fondano un giudizio di tipo impugnatorio, ma si correlano ad un’azione di accertamento e di condanna, rispetto alla quale è del tutto ininfluente che non sia ancora intervenuta la decisione espressa sul ricorso gerarchico, trattandosi di accertare in sede processuale la sussistenza dei presupposti legali costitutivi del diritto vantato. Pertanto a fronte dell’attivazione di un diritto soggettivo, è del tutto irrilevante, ai fini dell’ammissibilità dell’impugnazione, la circostanza che l’Amministrazione non abbia ancora deciso espressamente sul ricorso gerarchico e che i ricorrenti non abbiano proposto impugnazione entro il termine decadenziale ordinario una volta formatosi il silenzio sul ricorso gerarchico, ai sensi dell’art. 6 D.P.R. n. 199 del 1971… ” (T.A.R., Milano, sez. III, 01.02.2012, n. 352).

Entrando nel merito dei motivi di ricorso, il Collegio è dell’avviso che, in relazione all’attività espletata dal ricorrente all’interno del Nucleo Traduzioni e Piantonamenti nel periodo considerato (2016-2020), non fossero presenti le condizioni alle quali la normativa subordina il riconoscimento e la conseguente erogazione dell’indennità in esame.

A tal proposito, l’art. 9 del D.P.R. n. 395/95 prevede, al comma 1, che “… A decorrere dal 1° novembre 1995 al personale impiegato nei servizi esterni, organizzati in turni sulla base di ordini formali di servizio, ivi compresi quelli di vigilanza esterna agli istituti di pena e quelli svolti dal personale del Corpo forestale dello Stato, è corrisposto un compenso giornaliero…”;
ed al comma 2, che tale compenso “…compete anche al personale del Corpo di polizia penitenziaria impiegato in servizi organizzati in turni, sulla base di ordini formali di servizio, presso le sezioni o i reparti e, comunque, in altri ambienti in cui siano presenti detenuti o internati
…”.

Dall’esame del disposto normativo, emerge chiaramente come la mera presenza di detenuti non sia requisito sufficiente per l’attribuzione dell’indennità de qua , essendo tesa quest’ultima a remunerare servizi di vigilanza per detenuti organizzati in turni sulla base di formali ordini di servizio. Appare quindi corretta la lettura della disposizione offerta dalla circolare n. 248866 del 11.07.2014 per cui l’indennità in questione spetta anche nelle ipotesi di servizi svolti al di fuori del muro di cinta, ma al solo personale comandato, con formale ordine di servizio, a vigilare sul detenuto o internato lavorante: lettura peraltro richiamata e fatta propria dall’ordine di servizio n. 38 del 22.09.16, allorché precisa che “ salvo che non si riferisca a posti di servizio rientranti all’interno della cinta muraria, l’attribuzione della presente indennità … spetta soltanto in caso di effettiva e concreta attività di vigilanza del detenuto (per almeno tre ore) e non in caso di forme flessibili o dinamiche di vigilanza/sorveglianza ” (cfr. l’ipotesi di esclusione n. 5 a pag. 5 dell’ordine di servizio, riferibile alla situazione del ricorrente che svolge attività di ufficio presso il NPTP con possibilità di contatto con detenuti lavoranti in regime di semilibertà).

Nel caso di specie, per espressa ammissione del ricorrente, la Direzione della Casa Circondariale di Agrigento non ha mai adottato qualsivoglia ordine di servizio volto ad attribuire la vigilanza dei detenuti lavoranti ad uno o più specifici dipendenti assegnati al NPTP e manca un collegamento funzionale dell’attività svolta dal personale con i detenuti medesimi.

Mancano, in altri termini, sia il requisito formale (ordine di servizio per l’organizzazione di turni di vigilanza) sia quello sostanziale (collegamento funzionale dell’attività svolta dal personale rispetto ai detenuti) richiesti (il primo espressamente e il secondo tacitamente) dall’art. 9 del D.P.R. n. 395/90. Del resto, la necessità di un tale collegamento funzionale si desume dalla stessa ratio dell’attribuzione patrimoniale (che altrimenti risulterebbe immotivata), oltre che dall’espressa previsione della predisposizione di turni di vigilanza in base a ordini di servizio “formali” e quindi espressi. In altre parole, la previsione del menzionato requisito formale sarebbe priva di razionale giustificazione ove non si accompagnasse al requisito sostanziale del collegamento funzionale con una attività di vigilanza effettivamente prestata in favore di detenuti.

Tale conclusione trova inoltre conferma nell’art. 11, D.P.R. 16/03/1999, n. 254 (Recepimento dell'accordo sindacale per le Forze di polizia ad ordinamento civile e del provvedimento di concertazione delle Forze di polizia ad ordinamento militare relativi al quadriennio normativo 1998-2001 ed al biennio economico 1998-1999), in forza del quale “ 1. A decorrere dal 1° giugno 1999 il compenso giornaliero di cui all'articolo 9, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 31 luglio 1995, n. 395, è esteso al personale delle forze di polizia ad ordinamento civile che eserciti precipuamente attività di tutela, scorta, traduzione, vigilanza, lotta alla criminalità, nonché tutela della normativa in materia di poste e comunicazioni, impiegato in turni e sulla base di ordini formali di servizio svolti all'esterno degli Uffici o presso enti e strutture di terzi ”. È oltre modo evidente che, come palesato anche dall’atto normativo di recepimento dell’accordo sindacale per il comparto di concertazione delle Forze di polizia a ordinamento civile (tra cui la Polizia penitenziaria) testé citato, il compenso in questione spetta in via esclusiva al personale impiegato in turni per lo svolgimento di attività di scorta, traduzione, vigilanza di detenuti, non potendo pertanto prescindersi da tale nesso funzionale ai fini del riconoscimento dell’incentivo economico.

In disparte i profili ostativi all’attribuzione sin qui menzionati, il Collegio deve infine rilevare che l’indennità per servizio esterno richiede, secondo consolidata giurisprudenza amministrativa, che il servizio sia prestato al di fuori del comando (o nucleo) di assegnazione e che vi sia uno spostamento significativo dell’agente all’esterno del comando stesso.

Come affermato dal Consiglio di Stato (decisione, sez. II, 16/03/2022, n. 1858), “[i] l criterio per distinguere i casi in cui l'indennità spetta da quelli in cui non spetta è … individuato in positivo dalla recente sentenza della Sezione 22 febbraio 2017 n. 830, per cui si deve appunto trattare di servizio svolto "all'esterno dei comandi", ovvero con uno spostamento significativo, che però assuma comunque "carattere esterno rispetto alla sede del proprio comando" ovvero si esplichi in un luogo in cui "il Comandante o chi dispone il servizio non possono esercitare la propria autorità". In tal senso, sempre secondo la sentenza in esame, è anche la lettera della norma, secondo la quale il servizio rilevante si esplica appunto all'esterno dei comandi "o presso enti e strutture di terzi": la sentenza osserva che estendere l'indennità a quest'ultima ipotesi significa ribadire "il requisito del necessario carattere esterno dell'attività svolta rispetto al comando di appartenenza" (cfr. Cons. Stato Sez. IV, 25 maggio 2020, n. 3273) ”.

In altri termini, secondo il Consiglio di Stato, l’espletamento di servizi al di fuori del comando (o nucleo o ufficio) di appartenenza è condizione necessaria (ancorché non sufficiente) per avere diritto all’indennità de qua e tale condizione evidentemente nel caso di specie non si realizza, posto che – trattandosi di personale addetto all’ufficio – il contatto con detenuti avviene occasionalmente all’interno del Nucleo (o nelle immediate vicinanze) con detenuti ammessi al lavoro in regime di semilibertà, senza che il personale di polizia penitenziaria debba spostarsi significativamente al di fuori del comando.

Da quanto sin qui argomentato deriva il rigetto dei motivi I e II, laddove si deduce la violazione dell’art. 9, D.P.R. n. 395/95.

Al contrario il ricorso è fondato e meritevole di accoglimento, avuto riguardo al I e al IV motivo, laddove si deduce la violazione dei principi di buona fede e affidamento quali ragioni legittimanti la ritenzione, da parte del dipendente pubblico, delle prestazioni stipendiali già erogate.

A questo proposito occorre evidenziare che l’indebito retributivo per cui è causa deve essere ricondotto nell’ambito dell’art. 2033 c.c., concernente, come da rubrica della norma, il c.d. «Indebito oggettivo». L’art. 2033 c.c. stabilisce che « Chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda ».

La giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che in materia di impiego pubblico privatizzato, nel caso di domanda di ripetizione dell’indebito proposta da una amministrazione nei confronti di un proprio dipendente in relazione alle somme corrisposte a titolo di retribuzione, qualora risulti accertato che l’erogazione è avvenuta sine titulo , la ripetibilità delle somme non può essere esclusa per la buona fede dell’ accipiens , in quanto l’art. 2033 c.c., astrattamente applicabile, appunto, riguarda, sotto il profilo soggettivo, soltanto la restituzione dei frutti e degli interessi (cfr. ex multis Cass., sez. Lavoro, 20 febbraio 2017, n. 4323).

Anche nella giurisprudenza amministrativa, formatasi sui rapporti di lavoro di impiego pubblico non contrattualizzato, si è da tempo affermato che il recupero di somme indebitamente erogate costituisce il risultato di una attività amministrativa di verifica e di controllo, priva di valenza provvedimentale. In tali ipotesi, l’interesse pubblico è in re ipsa e non richiede neppure specifica motivazione (sulla “autoevidenza” delle ragioni che impongono l’esercizio dell’autotutela, a protezione di interessi sensibili dell’Amministrazione, v. anche Cons. Stato, A.P., 17 ottobre 2017, n. 8): infatti, a prescindere dal tempo trascorso, l’oggetto del recupero produce di per sé un danno all’Amministrazione, consistente nell’esborso di denaro pubblico senza titolo ed in un vantaggio ingiustificato per il dipendente. L’Amministrazione, quindi, secondo l’orientamento tradizionale non ha alcuna discrezionale facultas agendi e, anzi, il mancato recupero delle somme illegittimamente erogate configura danno erariale, con il solo temperamento costituito dalla regola per cui le modalità dello stesso non devono essere eccessivamente onerose, in relazione alle esigenze di vita del debitore (cfr. Cons. Stato, sez. III, 9 giugno 2014, n. 2903;
idem, 28 ottobre 2013, n. 5173;
12 settembre 2013, n. 4519;
sez. V, 30 settembre 2013, n. 4849).

Tuttavia, il Collegio deve prendere atto che, nell’evoluzione giurisprudenziale più recente, il principio della doverosità del recupero delle prestazioni retributive indebite incontra un limite nel legittimo affidamento del percettore, secondo i principi affermati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo e recepiti tanto dal Consiglio di Stato (sentenza n. 5014/21) quanto dalla Corte di cassazione (Sez. L, sentenza n. 40004/21).

Con la sentenza della sez. I della Corte EDU, 11 febbraio 2021, n. 4893/2013, Casarin

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