TAR Napoli, sez. III, sentenza 2018-12-28, n. 201807382
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Pubblicato il 28/12/2018
N. 07382/2018 REG.PROV.COLL.
N. 00998/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 998 del 2013, proposto da:
E.P.M. S.R.L. con sede in Fiorenzuola D’Arda (Piacenza) in via Roma, n. 32, in persona del legale rappresentante, E L, rappresentata e difesa dall’avv. B C, e, in sostituzione di quest’ultimo, a causa di decesso, dagli avvocati D G ed A C, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. L C in Napoli, P. zza Bovio, n. 14 (domicili p.e.c.: adriatiocavina2legalmailitjed;avv.gentiM@,pec.it );
contro
- CONSIGLIO REGIONALE DELLA REGIONE CAMPANIA, in persona del Presidente p.t., non costituito in giudizio;
- REGIONE CAMPANIA, in persona del Presidente p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. A M - in sostituzione dell’Avv. Rosaria Palma, destinato ad altro incarico - ed elettivamente domiciliata in Napoli, alla Via S. Lucia, n. 81 (domicilio p.e.c.: angelomarzocchella@pec.regione.campania.it );
per l'annullamento
a) della nota Prot. Gen. 2012.0030358P, prot. SETAM 2012/0004843/P del 14.12.2012, trasmessa per posta il 19.12.2012, pervenuta alla società ricorrente il 9.1.2013, con la quale il Dirigente del Settore, ha respinto la richiesta della società di revisione prezzi relativi al contratto stipulato in data 04.12.2000, successivamente integrato ed ampliato, con contratti del 20.06.2002, 03.06.2003 e 26.10.2003;
e per l’accertamento
del diritto alle somme dovute a titolo di revisione prezzi per l’adeguamento ISTAT, del corrispettivo dovuto per effetto del contratto stipulato a) in data 04.12.2000, avente ad oggetto il servizio di pulizia interna e facchinaggio anche della sede del Consiglio Regionale, ubicato in Napoli, al Centro Direzionale, Is. F/13, successivamente integrato ed ampliato con b) contratto stipulato in data 20.06.2002, avente ad oggetto il servizio di pulizia interna e facchinaggio anche della sede del Consiglio Regionale ubicato in Napoli al Centro Direzionale Is. F.8, successivamente potenziato con c) contratto sottoscritto in data 03.06.2003, successivamente ampliato con d) contratto sottoscritto in data 26.10.2003, il tutto con interessi e rivalutazioni dall’insorgere del diritto;
nonché per la previa declaratoria di nullità
dell’art. 19, co. I, del contratto stipulato in data 04.12.2000, con il quale veniva stabilito che non era ammessa alcuna revisione dei prezzi entro i trenta mesi del servizio di appalto.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’intimata Regione;
Viste le produzioni delle parti;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto il decreto presidenziale n. 3629 del 9 ottobre 2017 di questa Sezione;
Vista l’ordinanza n. 1601 del 14 marzo 2018 di questa Sezione;
Uditi - Relatore nell'udienza pubblica del 25 settembre 2018 il dott. V C - i difensori delle parti come da verbale di udienza;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso notificato il 14.2.2013 e depositato il 2.3.2013, la Società E:p.m. S.r.l., in persona del legale rappresentante, E L - nella dedotta qualità di aggiudicatario, in via definitiva, con delibera n. 139 del 23.10.2000, del Consiglio Regionale della Campania, a seguito di gara di appalto, regolarmente indetta ed espletata, per l’affidamento del servizio di pulizia interna e facchinaggio della sede del Consiglio Regionale ubicata al Centro Direzionale di Napoli, Isola F/13 - riferisce, in fatto, che:
- in data 04.12.2000, veniva stipulato il relativo (PRIMO) contratto, nel quale, all'art.19, veniva stabilito che: "non è ammessa alcuna revisione prezzi entro i trenta mesi dall'inizio dell'appalto. L'Amministrazione e l'Impresa assumono la procedura di revisione prezzi disposta dall'art.6 del Capitolato di oneri. L'Amministrazione e l'Impresa concordano che, in caso di locazione di nuovi locali, verrà esteso a questi il servizio di pulizia e facchinaggio alle stesse condizioni economiche presentate in sede di gara", mentre, all'art.21, veniva pattuito che: "il presente contratto ha validità di cinque anni dalla sottoscrizione. L'Amministrazione e l'Impresa concordano che l'avvio del servizio è fissato per il primo gennaio 2001";
- successivamente, verificatasi la condizione prevista dall'art.19, comma 3, del contratto stipulato in data 04.12.2000, il servizio veniva esteso anche alla sede del Consiglio Regionale ubicata al Centro Direzionale di Napoli, Isola F/8, giusto (SECONDO) contratto stipulato in data 20.06.2002, avente la stessa durata di quello precedente;
- per il potenziamento del servizio di pulizia limitatamente ai servizi igienici ubicati nelle torri F/8 e F/13, deliberato con determina regionale n.005 del 23.05.2003, conseguentemente, in data 03.06.2003, veniva stipulato il relativo (TERZO) contratto, con durata fino al termine della legislatura;
- ulteriore potenziamento del servizio di pulizia presso i locali della torre F/8 veniva disposto dall’Amministrazione, conseguentemente stipulando, in data 26.10.2003, il relativo (QUARTO) contratto, valido, come quello precedente, sino al termine della legislatura;
- con nota del 18.06.2003, acquisita al protocollo dal Consiglio Regionale della Campania in data 19.06.2003, la soc. EPM, in relazione al contratto stipulato il 04.12.2000 (Is. F/13), in virtù delle previsioni dell'art.6 del Capitolato d'Oneri, formulava istanza di revisione dei prezzi contrattuali a decorrere dall ' 01.01.2002, richiesta poi reiterata con nota dell'EPM prot.31/05, acquisita al protocollo dell'Amministrazione in data 11.02.2005, al n.3526, anche per gli anni successivi;
- parimenti, anche per quanto concerne il contratto stipulato in data 20.06.2002, la EPM con nota n. 32/05 del 07.02.2005, acquisita al protocollo dell'Amministrazione in data 11.02.2005 al n.3527, chiedeva la revisione del prezzo contrattuale a decorrere dall'01.05.2003;
- successivamente, con nota dell'01.02.2010, acquisito al protocollo dell'Amministrazione in data 02.02.2010, prot.gen.2010/0002726/A, in relazione a tutti e quattro i contratti stipulati, chiedeva la revisione dei prezzi controllati così qualificata: 1) € 131.488,22 per la revisione dei canoni per il servizio svolto presso l'isola F/13 dal 2000 (rectius 2002) al 2006;2) € 63.538,15 per il servizio svolto presso l'isola F/8 dal 2002 al 2006;3) € 91.487,78 per gli adeguamenti intervenuti sui prezzi dei locali di ampliamento;4) E 160.176,58 per gli interventi su prezzi dei lavori di potenziamento presso le aree del Consiglio Regionale Isola F/8 e F/13;
-.quest'ultima istanza veniva riscontrata dall'Amministrazione con nota prot.2010.0000 39029 del 17.12.2010, con la quale in riferimento alla nota 65/10/LE/cs dell’1/2/2010, si comunicava che “questo Settore Amministrazione ha rimesso la richiesta de quo ed ogni utile documentazione alla Avvocatura della Regione Campania per la valutazione della richiesta stessa ed ogni conseguente determinazione";
- con nota prot.575/12, acquisita al protocollo dell'Amministrazione in data 23.11.2012, prot.gen. 2012.0028713/A, la società EPM chiedeva informazioni circa lo stato del procedimento ed, in assenza di riscontro, con nota 529/12 del 26.10.2012, acquisita al protocollo dell'ente in data 31.10.2012, prot.2012.0027040/A, reiterava la richiesta di revisione prezzi.
Date tali premesse e preso atto che in riscontro alla richiesta di revisione del canone di appalto avanzata con le note n.227/03 e n. 65/10, n. 529/12 e n. 575/12 (segnalando, altresì che le note n. 31/05 e 32/05 non erano state rinvenute nei documenti agli atti del competente Settore), il Consiglio Regionale della Campania, con il provvedimento comunicato con nota Prot. Gen. 2012.0030358P, prot. SETAM 2012/0004843/P del 14.12.2012, in epigrafe, per le motivazioni ivi riportate, aveva respinto la richiesta di revisione prezzi avanzate dalla società E.p.m. S.r.l., quest’ultima, in persona del legale rappresentante, E L, nella spiegata qualità, propone la formale impugnativa in epigrafe.
Con decreto presidenziale n. 3629/2017 del 9 ottobre 2017 questa Sezione, preso atto che risulta il decesso dell’avv. B C, unico difensore di parte ricorrente ha dichiarato l’interruzione del processo, ai sensi dell’art. 79, co. 2, c.p.a. e 301 c.p.c.
Con atto notificato in data 20.11.2017 e depositato il giorno successivo si sono costituiti in riassunzione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 79 e 80 cod. proc. amm., quali nuovi difensori della società E.p.m. S.r.l. gli avvocati D G ed A C, facendo proprie, in uno con i sottoscritti difensori, tutte le domande, difese ed eccezioni già svolte con il ricorso introduttivo, che ad ogni buon fine si intende integralmente riportato e trascritto.
L’intimata Regione si è costituita in giudizio, preliminarmente eccependo l’estinzione del giudizio per tardività della riassunzione, nonché l’inammissibilità e l’improcedibilità del ricorso per violazione dei termini ex artt. 46 e 71 cod. proc. amm. ed, in ogni caso, chiedendone il rigetto.
Nel corso dell’udienza del 6 marzo 2018, l’avvocato A M dell’Avvocatura regionale dichiara nel processo verbale che “l’avvocato Palma, difensore della Regione, è stato assunto nella Magistratura Amministrativa e quindi è cessato il rapporto di servizio con la Regione, con il conseguente venir meno dei presupposti per l'iscrizione all'albo speciale, per cui si sarebbe verificata una causa di interruzione ipso facto del giudizio”.
Con ordinanza n. 1601 del 14 marzo 2018 questa Sezione, avuta conferma che l’avvocato Rosaria Palma, quale difensore della Regione Campania nel presente giudizio, non è più in servizio presso la predetta Regione - atteso che con D.P.C.M. del 28.2.2018 è stato inserito nei ruoli del personale dei Tribunali Amministrativi Regionali - dà atto dell’interruzione del processo, ai sensi dell’art. 79, co. 2, cod. proc. amm., a far tempo dal verificarsi dell’evento interruttivo.
A seguito della riassunzione del giudizio, la Regione Campania, in sostituzione dell’Avv. Rosaria Palma, destinata ad altro incarico, risulta rappresentata e difesa dall’Avv. A M.
Alla pubblica udienza del 25 settembre 2018 il ricorso è stato ritenuto in decisione.
DIRITTO
In rito vanno esaminate le seguenti eccezioni sollevate dalla resistente Regione:
In primo luogo viene eccepita la tardività della riassunzione rispetto alla data dell’udienza in cui l’evento interruttivo è stato dichiarato con conseguente estinzione del giudizio.
In tema, rileva la difesa regionale che la causa interruttiva è stata dichiarata all’udienza del 6.3.2018 per cui la riassunzione doveva intervenire entro il 4.6.2018, mentre il ricorso in riassunzione è stato notificato alla Regione nella sua sede legale soltanto l’11.6.2018, sul punto richiamandosi la sentenza n. 7443 del 20.3.2008, con cui la Corte di Cassazione a SS.UU. ha enunciato il seguente principio di diritto: "L'evento della morte o della perdita della capacità processuale della parte costituita che sia dichiarato in udienza o notificato alle altre parti dal procuratore della stessa parte colpita da uno di detti eventi produce, ai sensi dell'art. 300, 2 comma, c.p.c., lo effetto automatico dell'interruzione del processo dal momento di tale dichiarazione o notificazione e il conseguente termine per la riassunzione, in tale ipotesi, come previsto in generale dall'art. 305 c.p.c., decorre dal momento in cui interviene la dichiarazione del procuratore o la notificazione dell'evento, ad opera dello stesso, nei confronti delle altre parti, senza che abbia alcuna efficacia, a tal fine, il momento nel quale venga adottato e conosciuto il provvedimento giudiziale dichiarativo dell'intervenuta interruzione (avente natura meramente ricognitiva) pronunziata successivamente e senza che tale disciplina incida negativamente sul diritto di difesa delle parti".
Il Collegio non condivide la suddetta impostazione in quanto la dichiarazione del difensore della parte in udienza, relativamente all’avverarsi dell’evento interruttivo vale solo come fatto che porta l’evento interruttivo a conoscenza del Collegio, fermo restando che è poi sempre quest’ultimo a doversi pronunciare officiosamente sugli effetti che il predetto evento produce sul giudizio in corso.
Pertanto, nella fattispecie, la tempestività della riassunzione è da riferire non alla data dell’udienza - nella specie intervenuta in data 6 marzo 2018 - per la dichiarazione in essa resa, ma con riferimento alla data di pubblicazione dell’ordinanza n. 1601 con cui è stata dichiarata la intervenuta interruzione del giudizio pubblicata in data 14 marzo 2018 e, rispetto a tale data, il ricorso in riassunzione sì come notificato in data 11.06.2018, si presenta senz’altro tempestivo.
Sempre in rito, con la seconda eccezione, la resistente Regione rileva la violazione dei termini a difesa ex art. 46 e 71 cod. proc. amm., così come prevista, in particolare, dall’art. 46, che, al comma I, recita: “Nel termine di sessanta giorni dal perfezionamento nei propri confronti della notificazione del ricorso, le parti intimate possono costituirsi, presentare memorie, fare istanze, indicare i mezzi di prova di cui intendono valersi e produrre documenti”. Nella specie, poiché il processo è stato dichiarato interrotto con ordinanza n. 1601 del 14.3.2018, l’Amministrazione aveva diritto a costituirsi ex novo mediante nuovo difensore, stante l’interruzione del rapporto di servizio col precedente procuratore, ma l’interruzione, non è omologabile ex art. 80 cod. proc. amm. alla mera prosecuzione del giudizio ed, un caso del genere, non può non comportare il decorso ex novo, dalla data di notifica del ricorso in riassunzione, del termine ex art. 46, 1 comma, cod. proc. amm. in favore delle parti intimate;conseguentemente il Tribunale non potrebbe comunque fissare l’udienza pubblica prima del decorso del termine previsto dalla norma suddetta, ai fini della costituzione dei convenuti, così come stabilito dall’art. 71, comma 3, cod. proc. amm., secondo il quale “Il presidente, decorso il termine per la costituzione delle altre parti, fissa l'udienza per la discussione del ricorso”, sul punto essendovi pacifica giurisprudenza, per la quale il termine, di cui al comma 1 dell'art. 46 c.p.a., ha funzione dilatoria e di garanzia, nel senso che, sino a che esso è pendente, il giudizio non può essere definito in assenza del resistente (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 22.9.2015, n. 11347). All’inverso, ad avviso della difesa regionale, in violazione del diritto di difesa, è stata fissata l’udienza pubblica in data 12.6.2018 e, quindi, allorquando era ancora pendente il termine di giorni 60 dalla data di ricezione della notifica del ricorso in riassunzione intervenuta l’11.6.2018, mentre l’udienza pubblica non poteva essere fissata dal Tribunale se non dopo il 10.9.2018, che rappresenta la data di scadenza del termine ex art. 46, 1 comma, cod. proc. amm., ossia non prima di 60 giorni dal 10.9.2018, così come previsto dall’art. 71 comma 5 cod. proc. amm.
Sul punto nel processo verbale di udienza si dà atto che “sono presenti gli Avv. ti A C per la parte ricorrente ed A M dell’Avvocatura Regionale. L’Avv. M chiede rinvio in relazione all’eccezione di prematura fissazione dell’udienza e precisa che non chiederà rinvio se controparte non si opporrà all’eccezione di tempestività della memoria difensiva (…)”.
Al riguardo, preso atto che il difensore del ricorrente Avv. C “non solleva quindi obiezione sulla tempestività della memoria e si riserva di rispondere nella presente discussione orale”, l’eccezione deve ritenersi superata.
Ulteriore eccezione inerisce al difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore del giudice ordinario in tema di revisione dei prezzi dei pubblici appalti, con riferimento alla richiesta declaratoria di nullità della clausola del contratto del 4.12.2000, nella quale era stabilito l’automatica revisione dei prezzi in base all’indice Istat (art. 6 comma 4 l. 537/93), evidenziandosi le perplessità riguardo alla giurisdizione esclusiva del G.A. in materia.
Ad avviso della Regione che resiste in giudizio, non vi è dubbio che trattasi di una questione attinente alla nullità del contratto tipica delle controversie aventi ad oggetto diritti soggettivi perfetti, le quali si ascrivono di regola alla giurisdizione ordinaria, stante il carattere paritetico della relazione tra P.A. e contraente privato, in propositi, l’art. 133, co. 1, lett. c) cod. proc. amm., nel delineare i limiti della giurisdizione esclusiva in materia di servizi pubblici, espressamente escludendo dall’ambito di tale giurisdizione le controversie “concernenti indennità canoni e altri”. La controversia in esame sarebbe, quindi, di natura meramente patrimoniale e di natura contrattuale, atteso che le pretese azionate dalla società ricorrente troverebbero esclusivo fondamento nel contratto e l’oggetto del contendere investirebbe comportamenti assunti dall’Amministrazione nella fase di esecuzione dello stesso, di materia civilistica e, come tale, estranea al perimetro della giurisdizione esclusiva (cfr. C. di S., sez. V, 31.1.2017, n. 382), non afferenti, neanche indirettamente, all’esercizio di potestà autoritative, mentre, ai fini della sussistenza della giurisdizione esclusiva, secondo il costante insegnamento di dottrina e giurisprudenza costituzionale, sarebbe comunque sempre necessario che l’oggetto della controversia avesse un collegamento, sia pure indiretto o mediato, con l’esercizio di un potere autoritativo da parte della P.A.
Osserva, sul punto il Collegio che, pur condividendosi la tesi di parte ricorrente per la quale la questione relativa alla validità della clausola del contratto del 4.12.2000 non può ricondursi alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativa in tema di revisione dei prezzi dei contratti pubblici, la fattispecie in esame è senz’altro riconducibile all’ipotesi contemplata nell’art. 6, punto 1) cod. proc. amm. alla stregua del quale: <<il giudice amministrativo nelle materie in cui non ha giurisdizione esclusiva conosce, senza efficacia di giudicato, di tutte le questioni incidentali o pregiudiziali relative a diritti, la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale >>.
Appare evidente che nel caso di specie si tratta di questione pregiudiziale, la quale può essere conosciuta, sia pure incidenter tantum, dal giudice investito della causa principale, allorquando tale causa non possa essere decisa indipendentemente dalla soluzione della questione pregiudiziale e senza che sul punto sorga alcuna questione di giurisdizione.
Nel caso di specie il carattere pregiudiziale della questione non può essere revocata in dubbio, atteso che il contratto del 04.12.2000, relativo alla pulizia del sito del Centro Direzionale is F/13, all’art. 19, co. 1 prevede che: <<Non è ammessa alcuna revisione prezzi entro i trenta mesi dall’inizio dell’appalto (......) >>, mentre con il ricorso in esame parte ricorrente ha richiesto la revisione dei prezzi contrattuali in relazione all’anno successivo al primo <<secondo la procedura di revisione prezzi disposta dall’art. 6 del capitolato d’oneri >>(art. 19, co. 2).
In via di subordine, ossia, nella ipotesi in cui il Tribunale dovesse ritenere la propria giurisdizione, la resistente Regione eccepisce ancora che l’azione proposta, da parte ricorrente, dovrebbe, a tutto voler concedere, ritenersi inammissibile per tardività (decadenza). Secondo parte resistente, l’art. 6 del contratto del 4.12.2000, nel quale, in esecuzione del bando e del capitolato, era stabilito il divieto di revisione prima dei 30 mesi e dopo di ciò la sola maggiorazione automatica dei prezzi in base all’indice Istat, costituisce il presupposto sulla cui scorta l’Ente aveva respinto l’avversa istanza ed, in disparte che la ditta ricorrente aveva accettato espressamente tale clausola in sede di stipula del contratto nel 2000, sarebbe evidente che l’azione proposta si prefiggerebbe (tra l’altro) l’espunzione giustiziale di quella pattuizione e, come tale, l’impugnativa avrebbe dovuto essere immediata e non già posposta 12 anni dopo la stipula, peraltro tenuto conto che l’azione di accertamento del diritto nel processo amministrativo non sarebbe ritenuta ammissibile, non risultando compresa tra quelle di cui agli artt. 29, 30 e 31 del cod. proc. amm.
L’eccezione non coglie nel segno.
Sul punto basterà il rilievo che, pur formando la previa declaratoria di nullità dell’art. 19, co. I, del contratto stipulato in data 04.12.2000 - con il quale veniva stabilito che non era ammessa alcuna revisione dei prezzi entro i trenta mesi del servizio di appalto oggetto di specifica domanda di parte ricorrente - è indiscutibile che la relativa questione è pur sempre rilevabile d’ufficio, in ogni tempo, dal Tribunale, senza che a ciò osti la sussistenza di alcuna causa di decadenza o termine di prescrizione.
L’eccezione appena esaminata induce senz’altro a trattare la questione inerente alla nullità della clausola di cui all’art. 19, co. 1, del contratto stipulato in data 4.12.2000, per contrasto con norma imperativa - nella specie da individuarsi nell’art. 6 della legge n. 537/93 (ora art. 115, D.L. vo 163/2006) - così, per alcuni aspetti, anticipando, nel merito, argomenti sviluppati nelle censure sub C) e D) (quest’ultima erroneamente rubricata sub D).
Inoltre la disposizione in esame, assumendo pacificamente il valore di norma imperativa, è destinata ad operare anche in assenza di specifica previsione tra le parti, ovvero in presenza di previsioni contrastanti, con la conseguenza che le clausole negoziali contrarie non solo sono nulle ex art. 1419 c.c., ma sostituite ex lege ai sensi dell'art. 1339 c.c. dalla disciplina imperativa (cfr. ex multis, Consiglio di Stato, sez. III, 6 dicembre 2017, n. 5751;id. sez. V, 21 luglio 2015, n. 3594), risultando, in argomento, pacifica la giurisprudenza nel ritenere che la disciplina dettata in materia di revisione prezzi ha carattere imperativo e che una eventuale clausola contrattuale difforme rispetto alla disciplina normativa è affetta da nullità (Cfr. C. di S. V 6709 del 02.11.2009).
In sede applicativa consolidata giurisprudenza rileva che il citato art. 6 ha ad oggetto la revisione periodica del prezzo contrattuale, di talché l'aggiornamento del corrispettivo contrattuale, ivi previsto, non riguarda, per sua stessa natura, il primo anno temporale di riferimento della prestazione, ma attiene al corrispettivo riferibile alle annualità contrattuali successive al primo anno (Cfr. TAR Lazio-Roma, Sez. I 02.04.2009;T.A.R. Sicilia Catania Sez. III, 21-03-2012, n. 697).
Nella vicenda in esame, va quindi dichiarata nulla la clausola contenuta nell’art. 19 del contratto sottoscritto il 4 dicembre 2000 - secondo la quale “non è ammessa alcuna revisione prezzi entro i trenta mesi dall’inizio dell’appalto” - da sostituirsi contestualmente con una previsione che ammetta invece la possibilità di procedere alla revisione prezzi a partire già dal secondo anno di validità del contratto. Sulla base dei medesimi principi richiamati, deve ritenersi implicitamente inserita una identica clausola di revisione annuale dei prezzi anche all’interno dei contratti stipulati il 20 giugno 2002, 3 giugno 2003 e 26 ottobre 2003 (che, a differenza del primo, ne risultano del tutto sprovvisti).
Ciò posto, proseguendo nella trattazione del merito, si premette che la finalità dell’istituto della revisione dei prezzi nei contratti pubblici ad esecuzione periodica o continuata che è, da un lato, salvaguardare l'interesse pubblico a che le prestazioni di beni e servizi alle p.a. non siano esposte col tempo al rischio di una diminuzione qualitativa, a causa dell'eccessiva onerosità sopravvenuta delle prestazioni stesse, durante l’arco del rapporto, e della conseguente incapacità del fornitore di farvi compiutamente fronte e;dall'altro, evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati nel corso del tempo, tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è avvenuta la stipulazione del contratto (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 09/01/2017, n. 25).
Nella vicenda in esame, ulteriore premessa metodologica si impone, atteso che, allorquando la materia della revisione dei contratti pubblici non era stata ancora ricondotta alla giurisdizione esclusiva, le due fasi dell’an debeatur e del quantum debeatur, in cui era scindibile il relativo procedimento rientravano, la prima, nella giurisdizione del giudice amministrativo, la seconda in quella del giudice ordinario, coerentemente con le situazioni soggettive vantate delle parti contraenti: di interesse legittimo, nella prima fase volta a delibare la sussistenza dei presupposti per farsi luogo alla revisione dei prezzi contrattuali, e di diritto soggettivo, in ragione della quantificazione del dovuto, nella seconda.
Con l’avvento della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo entrambe le suddette fasi vengono celebrate innanzi a quest’ultimo giudice, ma restano pur sempre distinte.
Sul punto rileva recentissima giurisprudenza che l’istituto della revisione prezzi si atteggia secondo un modello procedimentale volto al compimento di un'attività di preventiva verifica dei presupposti necessari per il riconoscimento del compenso revisionale, al quale è sotteso l'esercizio di un potere autoritativo tecnico-discrezionale nei confronti del privato contraente.
Di conseguenza, la posizione di quest’ultimo si articola nella titolarità di un interesse legittimo con riferimento all'an della pretesa ed eventualmente in una situazione di diritto soggettivo solo con riguardo a questioni involgenti l'entità della pretesa, una volta risolto in senso positivo il riconoscimento della spettanza del compenso revisionale (ex multis Cons. Stato, sez. IV, 6 agosto 2014, n. 4207;sez. V, 24 gennaio 2013, n. 465;sez. V, 3 agosto 2012, n. 4444;Corte di Cassazione, SS.UU., 30 ottobre 2014, n. 23067;15 marzo 2011, n. 6016;12 gennaio 2011, n. 511;12 luglio 2010, n. 16285);
Il descritto schema procedimentale comporta altresì che il privato contraente, in relazione all’esercizio di tale potere, potrà avvalersi unicamente dei rimedi e delle forme tipiche di tutela dell'interesse legittimo, e quindi con strumenti di carattere impugnatorio esperibili nei tradizionali termini decadenziali (Cons. Stato, sez. III, 18.12.2015, n. 5779;Id., sez. III, 9.1.2017, n. 25);
La domanda giudiziale avente ad oggetto la revisione dei prezzi deve quindi essere definita, sul piano processuale, secondo un'indagine di tipo bifasico, volta dapprima all'accertamento dei presupposti per il riconoscimento del compenso revisionale - aspetto per il quale è consentito il giudizio impugnatorio riferito all'atto autoritativo della P.A. e al suo surrogato costituito dal silenzio rifiuto;e solo in un momento successivo alla verifica del quantum debeatur, secondo meccanismi propri della tutela delle posizioni di diritto soggettivo. Ne consegue che qualunque provvedimento espresso o tacito che, collocandosi nella prima fase, espressamente neghi la revisione o non dia seguito all’istanza dell’appaltatore, involge posizioni di interesse legittimo e come tale va impugnato nei termini di rito, indipendentemente dalle ragioni sulla cui base la posizione di diniego venga assunta (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 22/06/2018, n. 3827).
Poste tali premesse, nel presente giudizio il Collegio deve pronunciare unicamente sulla prima fase dovendo limitarsi a stabilire i criteri con cui procedere alla revisione dei prezzi, senza pronunciare sul quantum debeatur.
Tanto premesso, con l’impugnato provvedimento, a riscontro alla richiesta di revisione del canone di appalto avanzata con le note n. 227/03 e n. 65/10, n. 529/12 e n. 575/12, nel segnalare che le note n. 31/05 e 32/05 non sono state rinvenute negli atti di questo Settore, si precisa quanto emerso dall’istruttoria compiuta, come segue: “la nota prot. n. 227/03/0S del 18.06.03 che motivava la richiesta: in virtù degli aumenti degli indici delle retribuzioni contrattuali ISTAT, verificatosi nel settore pulizia, dall'inizio del servizio ad oggi, conseguentemente chiedendosi la corresponsione delle seguenti percentuali da aggiungere ai corrispettivi fatturati dall'1/01/2002 al 31.12.2002 + 5,87%;dall'1/03/2003 + 7,11%, si riferisce a variazioni di parametri che, secondo norma, non vanno presi in considerazione nelle valutazioni e determinazioni di eventuale adeguamento prezzi per i contratti di acquisizione di beni e servizi. Precisa l’amministrazione regionale che a tal proposito l'Autorità di Vigilanza dei contratti pubblici ha ritenuto che la revisione possa ragionevolmente essere effettuata, previa istruttoria del dirigente responsabile, sulla base dell'indice FOI pubblicato dall'ISTAT;che la revisione ha periodicità annuale e la relativa richiesta, adeguatamente motivata deve comunque essere eventualmente formulata e avanzata dall'impresa esecutrice per ogni anno contrattuale già trascorso, ovviamente con riferimento a dopo il primo anno di servizio: quindi la prima richiesta può avvenire dal 30 anno dalla data contrattuale ossia dopo che si sono determinate le eventuali variazioni dell'indice FOI per l'anno successivo al primo, ossia relative al 2° anno di durata del contratto, e così via. In definitiva, per quanto sopra argomentato, lo scrivente è dell'avviso che l'istanza in oggetto non vada accolta poiché le richieste così come formulate non costituiscono atti idonei ad interrompere i tempi di prescrizione in quanto carenti sia per modalità e tempi di presentazione che per l'erroneità dei calcoli revisionali basati su dati non provati e comunque diversi da quelli indicati dalla norma. Si aggiunge inoltre che per prendere eventualmente in considerazione la richiesta di adeguamento canone è necessario che codesta Società, fornisca prova documentale (formalmente regolare, inequivocabile, precisa, puntuale e verificabile) di aver corrisposto e versato le somme richieste a titolo di adeguamento ISTAT maturato come maggior costo di retribuzione del personale e i relativi oneri riflessi".
Con un unico motivo, attraverso varie censure, viene dedotta la violazione di legge (art. 115, D.L. vo 163/2006;art. 6, co. 4, L. 537/1993;art. 44 L. 724/94;L. 07.08.1990 N.241), oltre all’eccesso di potere (per carenza di istruttoria, erroneità, inesistenza dei presupposti in fatto e in diritto).
In particolare, premesso che il provvedimento impugnato ha la struttura di atto plurimotivato (fondato, cioè, su più ragioni, ciascuna delle quali idonea da sola a sorreggerlo, per cui l’acclaramento dell’inattaccabilità di una di esse determina l’impossibilità per il giudice di annullarlo, discendendone la carenza di interesse sulle residue censure: giurisprudenza costante: T.A.R. Campania - Napoli, Sez. III, 22/10/2015, n. 4972;T.A.R. Campania - Napoli, Sez. VII, 14.1.2011, n. 164;in termini anche T.A.R. Campania - Napoli, Sez. I, 14.12.2011, n. 5824;Consiglio di Stato, Sez. VI, 5.7.2010, n. 4243;anche Cons. di Stato, 27.9.2004, n. 630, con la censura sub A) si contesta quanto asserito nell’impugnato provvedimento secondo cui le note aventi protocollo interno n. 31/05 e 32/05 del 07.02.2005 “non sono state rinvenute nei documenti agli atti”.
Al riguardo, risulta dalla documentazione allegata al ricorso che le predette note sono state acquisite al protocollo del Consiglio Regionale della Campania in data 07.02.2005, rispettivamente ai numeri 3526 e 3527, con la conseguenza che la circostanza addotta nel provvedimento impugnato si appalesa del tutto irrilevante ai fini della presente controversia, trattandosi di circostanza palesemente erronea.
Con la censura sub B), a confutazione che: a) Le istanze non sarebbero state formulate in modo da “interrompere i tempi di prescrizione in quanto carenti sia per modalità e tempi di presentazione che per l’erroneità dei calcoli revisionali basati su dati non provati e comunque diversi da quelli indicati dalla norma”;b) le richieste di revisione prezzi non sarebbero state necessariamente accompagnate da “prova documentale (formalmente regolare, inequivocabile, precisa, puntuale e verificabile) di aver corrisposto e versato le somme richieste a titolo di ‘adeguamento ISTAT’ maturato, come maggior costo di retribuzione del personale e i relativi ‘oneri riflessi’” e che c) le istanze di revisione prezzi sarebbero basate su “variazioni di parametri che, secondo norma non vanno presi in considerazione nelle valutazioni e determinazioni di eventuale adeguamento prezzo”, in quanto l’Autorità di Vigilanza dei Contratti Pubblici (oggi ANAC) ha ritenuto che “la revisione possa ragionevolmente essere effettuata, previa istruttoria del dirigente responsabile, sulla base dell’indice FOI”, parte ricorrente deduce l’infondatezza dell'affermazione per la quale "la revisione possa regolarmente essere effettuata previa istruttoria sulla base dell'indice FOI" e non su quella ISTAT come richiesto dalla società.
In sostanza, l'Amministrazione assume che le istanze dell'EPM non sarebbero idonee ad interrompere i tempi di prescrizione in quanto carenti: "per l'erroneità dei calcoli revisionali basati su dati non provati e comunque diversi da quelli indicati dalla norma" che farebbe riferimento all’Indice FOI e non all’indice ISTAT, in base al quale sono state formulate le richieste di revisione dei prezzi contrattuali.
Osserva, al riguardo, il Collegio che la censura in esame, nel trattare della prescrizione sotto il particolare profilo della idoneità degli atti interruttivi della stessa, induce ad affrontare la fondamentale e preliminare questione, inerente ai criteri da utilizzare per quantificare i prezzi da revisionare.
La tesi esposta nella nota/provvedimento impugnata si rivela erronea laddove tende a ravvisare ed a creare una inesistente, quanto artificiosa contrapposizione fra indice FOI ed indice ISTAT, essendo del tutto indimostrata la esistenza di una contrapposizione tra i due indici i quali, ammesso che possano esprimere valori diversi, risultano, invece, del tutto compatibili fra loro.
Ma, a ben riflettere, ai fini della quantificazione dei prezzi da sottoporre a revisione, un qualsivoglia indice rappresenta sempre un criterio mediato ed approssimato per l’analisi di un fenomeno, del quale è in grado di offrire una visione soltanto generica e parziale (al punto da potersi in concreto presentarsi poco significativo o addirittura fuorviante per la comprensione di determinati eventi), con la conseguenza che, dovendosi dare rilievo alle “peculiarità del caso concreto”, potrebbe persino farsi anche a meno di qualsivoglia indice.
Nella materia de qua, la giurisprudenza ha mostrato di cogliere in pieno il senso di tali affermazioni rilevando ripetutamente che in sede di determinazione del compenso revisionale, l'utilizzo dell'indice F.O.I. non esonera la stazione appaltante dal dovere di istruire il procedimento, tenendo conto di tutte le “circostanze del caso concreto” (e, dunque, non solo l’astrazione quale rinvenibile in un qualunque indice) al fine di esprimere la propria determinazione discrezionale, per modo che l’utilizzo dell’indice FOI << segna soltanto il limite massimo, oltre il quale, salvo circostanze eccezionali che devono essere provate dall'impresa, non può spingersi nella determinazione del compenso revisionale >>. (Consiglio di Stato Sez. V - sentenza 17 febbraio 2010, n. 935).
Ad ogni modo, il ricorso all'indice FOI è stato introdotto dall'art.115 del Codice dei Contratti Pubblici, che demanda alla Sezione Centrale dell'Osservatorio dei Contratti Pubblici la determinazione dei costi standardizzati per tipo di servi e forniture, in relazione a specifiche aree territoriali, avvalendosi però pur sempre dei dati forniti dall'ISTAT, ivi compreso in particolare l’indice FOI.
Prima dell'entrata in vigore del Codice dei Contratti Pubblici, la disciplina della revisione prezzi era regolata dall'art.6, comma 4, della legge n.537 del 1993, come novellato dall'art.44 della legge n.724 del 1994.
In questo quadro, come affermato dal TAR Campania-Napoli, Sez. I con sentenza n. 4600/2012: <<non è illogica l'adozione, come parametro di valutazione dell'incremento del prezzo, dell'indice Istat che misura l'aumento medio dei prezzi per le famiglie degli operai e degli impiegati quale indicatore deputato a rilevare l'andamento del tasso generale d'inflazione. Infatti, la considerazione del livello generale dei prezzi risponde all'esigenza di ancorare il meccanismo di revisione a criteri oggettivi, idonei a conservare l'equilibrio del sinallagma contrattuale, evitando che il riferimento ai costi particolari dell'appaltatore possa traslare sulla stazione appaltante il rischio di impresa ovvero eventuali inefficienze della funzione produttiva del singolo operatore (cfr. Cons. St. sez. V, 14/12/2006, n. 7461).
Con l'entrata in vigore del codice dei contratti pubblici, nelle more della elaborazione dei costi standardizzati, le istruttorie in materia possono continuare a riferirsi all'indice Istat, come essenziale parametro di riferimento del calcolo revisionale. Peraltro, l'utilizzo di tale indicatore non esclude, in casi eccezionali e debitamente documentati, che la stazione appaltante tenga conto, nell'istruire il procedimento, di circostanze particolari afferenti ad un particolare settore merceologico, fermo restando che la salvaguardia dell'equilibrio del rapporto va comunque perseguito in maniera compatibile con l'esigenza di non sconvolgere il quadro finanziario del contratto (cfr. Cons. St., sez. V, 1/10/2010, n. 7254;sez. V, 19/6/2009, n. 4079) >>.
La materia in esame trova disciplina nell’art. 6 della l. n. 537 del 1993, il cui comma 4 disponeva che: <<tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e servizi sulla base dei dati di cui al comma 6 >>. Tale norma - rimasta inattuata - prevedeva che: <<per orientare le pubbliche amministrazioni nell’individuazione del miglior prezzo di mercato, l’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), avvalendosi, ove necessario, delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, cura la rilevazione e la elaborazione dei prezzi del mercato dei principali beni e servizi acquisiti dalle pubbliche amministrazioni, provvedendo alla comparazione, su base statistica, tra questi ultimi e i prezzi di mercato. Gli elenchi dei prezzi rilevati sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, per la prima volta entro il 31 marzo 1995 e successivamente, con cadenza almeno semestrale, entro il 30 giugno e il 31 dicembre di ciascun anno >>.
Come sopra riferito, la disciplina applicabile al caso di specie, contenuta nell’art. 6 l. n. 537/1993, rapportava la richiesta di revisione prezzi al meccanismo, indicato nel comma 6, rimasto inattuato, ma, al fine di colmare tale vuoto regolamentare, la prassi e la giurisprudenza amministrativa hanno consentito l’utilizzo di altri e diversi parametri, non dettagliatamente indicati all’interno della norma di riferimento, nessuno dei quali obbligatoriamente imposto ai contraenti.
Da ciò deriva, dunque, l’erroneità del provvedimento nella parte in cui ritiene, senza fornire alcuna specifica motivazione sul punto, che i parametri applicati da EPM siano diversi da quelli previsti dalla legge, che - lo si ripete - non individua un criterio alternativo rispetto a quanto disposto nel comma 6.
Pertanto erra la resistente Regione, laddove ritiene che i calcoli della EPM sarebbero errati perché non fondati sull’indice FOI pubblicato dall’ISTAT.
E’ vero, invece, che, per un verso, è la stessa Amministrazione, nel richiamare un orientamento dell’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici (AVCP) ad affermare che la revisione può “ragionevolmente” (ma non “necessariamente”) essere effettuata sulla base dell’indice FOI;per altro verso, l’Amministrazione non considera che la giurisprudenza amministrativa e l’AVCP, ritengono che, nell’ambito del subprocedimento di revisione prezzi, occorre valutare tutte le “circostanze del caso concreto”, dunque, anche a prescindere dalle astrazioni insite negli indici, al fine di quantificare correttamente gli incrementi dei costi sostenuti dall’appaltatore (cfr. TAR Puglia, Lecce, sez. II, 23 maggio 2006, n. 2958).
Appare pertanto evidente l’erroneità e l’irragionevolezza del provvedimento impugnato, nella misura in cui in esso si sostiene l’inapplicabilità, ai fini della revisione prezzi, di indici diversi rispetto al FOI - ISTAT, che costituisce soltanto uno (ma non l’unico) dei parametri potenzialmente utilizzabili dalla stazione appaltante per completare la propria istruttoria.
Ne consegue che la disamina della sopra richiamata normativa consente agevolmente di smentire la tesi della inidoneità delle istanze formulate dalla EPM al fine di interrompere i termini di prescrizione del diritto alla revisione azionato, posto che le istanze tempestivamente presentate dalla società ricorrente, così come articolate e formulate, si presentano, invece, senz’altro idonee ad chiedere l’esame della questione, in quanto le disposizioni regolatrici del compenso revisionale prescrivono che la esatta determinazione delle somme dovute sia effettuata dalla stazione appaltante, all'esito di un'istruttoria officiosa condotta dai dirigenti responsabili dell'acquisizione di beni e servizi in contradditorio con l'impresa (Cfr. TAR Campania - Napoli, Sez. I n.4600/2012).
Peraltro la decorrenza di un termine di prescrizione presuppone l’esistenza di un diritto soggettivo che, nella specie, si perfeziona nella sfera giuridica del contraente solo con la determinazione autoritativa da parte dell’amministrazione di riconoscimento dei presupposti per la concessione del compenso revisionale, posto che prima di tale momento la posizione giuridica soggettiva del contraente ha natura, come già detto, di interesse legittimo, non di diritto soggettivo.
In sostanza, i criteri applicati e la quantificazione operata dall'impresa nelle istanze di liquidazione del compenso revisionale avanzate nel corso degli anni costituiscono il nucleo centrale dell'istruttoria di competenza dei dirigenti e, per ciò stesso, sono perfettamente idonee (anche) ad avviare il relativo procedimento, assolvendo alla funzione di riconoscimento dei relativi debiti.
Inoltre, dalla documentazione versata in atti si evince, per un verso, che le istanze hanno ad oggetto le annualità successive alla prima, essendo questa l’unica che, per sua natura, va esclusa dalla revisione periodica dei prezzi (cfr. da ultimo Consiglio di Stato, sez. V, 28 marzo 2018, n. 1940);per altro verso, tutte le richieste sono state ritualmente notificate ben prima del termine quinquennale di prescrizione (e tale circostanza è peraltro incontestata e incontestabile), come dimostrato dalla documentazione allegata al ricorso introduttivo dell'originario giudizio.
Riguardo alle modalità di presentazione dell’istanza, il citato art. 6 della l. n. 537/1993 non pone particolari oneri formali alla presentazione della richiesta di revisione, essendo - come sopra rilevato - a carico della stazione appaltante - e nello specifico dei dirigenti responsabili dell'acquisizione di beni e servizi - l’obbligo di eseguire l’istruttoria sulla revisione prezzi richiesta, in applicazione di una clausola che deve ritenersi inserita ipso iure nei contratti pubblici afferenti prestazioni periodiche e continuative.
In sostanza l’avvio dell’istruttoria da parte dei dirigenti non necessita di un atto di impulso redatto dall’appaltatore in conformità a rigidi schemi, trattandosi di attività normativamente imposta a carico dell’Amministrazione (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. II, 30 agosto 2017 n. 4204).
Il dato testuale che emerge dalla disposizione di cui all’art. 6 l. n. 537/1993 esclude, altresì - sempre a differenza di quanto sostenuto nel provvedimento impugnato - che sulla ricorrente gravi l’obbligo di fornire “prova documentale ... di aver corrisposto e versato le somme richieste a titolo di “adeguamento ISTAT’”, affermandosi chiaramente che l’istruttoria volta alla revisione prezzi deve essere svolta dai dirigenti “sulla base dei dati di cui al comma 6” e, cioè, sulla base degli elenchi dei “prezzi del mercato dei principali beni e servizi acquisiti dalle pubbliche amministrazioni”, pubblicati sulla G.U.R.I. con cadenza semestrale.
Neanche è richiesto - come pure addotto nel provvedimento impugnato - che venga fornita la prova documentale dei maggiori oneri sostenuti dall’appaltatore, a meno che ovviamente quest’ultimo non pretenda un compenso revisionale che si discosta dagli indici ISTAT per ragioni particolari di mercato che vanno, in questo caso, adeguatamente giustificate e dimostrate da parte dell’interessato. C) Sempre nel provvedimento impugnato, si assume inoltre, che le istanze della EPM non sarebbero idonee ad interrompere i tempi di prescrizione anche per modalità e tempi di presentazione delle stesse. In particolare, l'Amministrazione assume che: "la revisione ha periodicità annuale e la relativa richiesta, adeguatamente motivata, deve comunque essere eventualmente formulata e avanzata dall'impresa esecutrice per ogni anno contrattuale già trascorso, ovviamente con riferimento a dopo il primo anno di servizio: quindi la prima richiesta può avvenire dal 3° anno dalla data contrattuale ossia dopo che si sono determinate le eventuali variazioni dell'indice FOI per l'anno successivo al primo, ossia relative al 2° anno di durata del contratto, e così via".
L’argomentazione di parte ricorrente trova adeguato riscontro documentale.
Infatti dalla documentazione allegata al ricorso risulta che il 1° A contratto è stato stipulato il 04.12.2000, e aveva validità quinquennale, sino al 31.12.2005.
Gli altri contratti sono stati stipulati, rispettivamente:1) il 20.06.2002, con scadenza il 31.12.2005;2) il 03.06.2003, con scadenza al termine della Legislatura (2005);3) il 26.10.2003, con scadenza al termine della legislatura (2005).
Le istanze di revisione prezzi sono state presentate dall'impresa ricorrente in data 19.06.2003 prot. 6086;1'11.02.2005 prot. 3526;1'11.02.2005 prot. 3527;il 02.02.2010 prot. 2010.0002726/A;il 23/11/2012 prot. 2012.002871370 e, infine, il 31.10.2012 prot. 2012.0027040/A.
Ne deriva, quindi, che, proprio in applicazione dei criteri indicati dall'Amministrazione, le istanze della EPM sono (tutte) tempestive ai fini dell'interruzione del termine quinquennale di prescrizione dettato dall’art. 2948, n. 4 c.c. (Cfr. C.d.S., III, 19.07.2011 n.4362).
Nel caso di specie, quindi, la clausola revisionale di cui all’art 19 del contratto del 4.12.2000 con decorrenza successiva al 1^ anno contrattuale non contenuta nei contratti stipulati in data 20.06.2002, 03.06.2003 te 26.10.2003, deve ritenersi inserita di diritto attesa - come già rilevato - la natura di norma imperativa della stessa, cui si applicano gli artt.1339 e 1419 del Codice Civile.
Con l’ultima censura (erroneamente rubricata sub E, anziché sub D) si deduce fondatamente che il meccanismo revisionale, con decorrenza successiva al 1^ anno, trova applicazione anche in relazione al contratto stipulato in data 04.12.2000, attesa la nullità dell'art.19 del contratto stesso che, al 1^ comma, disponeva la revisione prezzi dopo trenta mesi dall'inizio dell'appalto.
Infatti, come rilevato in giurisprudenza <<Il riferimento normativo alla clausola revisionale, avente carattere di norma imperativa cui si applicano gli artt. 1339 e 1419 c.c., non attribuisce alle parti ampi margini di libertà negoziale, ma impone di tradurre sul piano contrattuale l'obbligo legale, definendo anche i criteri e gli essenziali momenti procedimentali per il corretto adeguamento del corrispettivo. Tanto premesso, non è conforme alla predetta previsione legislativa la clausola del contratto di appalto di servizi che prevede la cadenza biennale della revisione e pone a carico dell'appaltatore le variazioni dei prezzi per il secondo anno contrattuale e quelle ricadenti entro la pattuita alea contrattuale del 10% >>(T.A.R. Puglia Bari Sez. I, 05-09-2012, n. 1634).
Nella fattispecie, quindi, il compenso revisionale relativo al contratto stipulato il 04.12.2000, decorre dal 2° anno contrattuale, attesa la nullità dell'art.19, comma 1^, del suddetto contratto.
In definitiva il ricorso è fondato e va, quindi, accolto con il conseguente annullamento della nota impugnata ed accertamento del diritto alla revisione del prezzo contrattuale nei termini su indicati.
Le spese giudiziali, come di norma, seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.