TAR Roma, sez. I, sentenza 2019-11-04, n. 201912632

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. I, sentenza 2019-11-04, n. 201912632
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201912632
Data del deposito : 4 novembre 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 04/11/2019

N. 12632/2019 REG.PROV.COLL.

N. 11816/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 11816 del 2010, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato G R, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Cipro, 77;

contro

-OMISSIS- e Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domiciliano “ex lege” in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

del decreto n. 573 adottato il 28 ottobre 2009 dalla -OMISSIS- e notificato il 15-01-2010, con il quale è stata respinta la domanda, presentata dal signor -OMISSIS-, di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio per l’infermità “-OMISSIS-” nonché di ogni altro atto a questo preordinato, connesso e consequenziale.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della -OMISSIS- e del Ministero dell'Economia e delle Finanze;

Vista la memoria del ricorrente;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 16 ottobre 2019 il dott. I C e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Il sig. -OMISSIS- precisava di avere svolto servizio alle dipendenze della Polizia di Stato dal 1971, dal 4 novembre 1996 presso la -OMISSIS- (“-OMISSIS-”), svolgendo mansioni di autista e tutela personalità, con orari di lavoro irregolari, anche notturni, e legati ad attività stressante ed evidenziava di essere stato ricoverato presso l’Ospedale S. Eugenio in Roma, il -OMISSIS-” e sottoposto a -OMISSIS-. Il successivo 11 luglio era ricoverato presso altro nosocomio della Capitale per -OMISSIS-, il 23 ottobre 2006 per un -OMISSIS-” - e il 29 maggio 2007 per un -OMISSIS-”.

Nel febbraio 2003 erano riconosciute anche le infermità “-OMISSIS-” e “-OMISSIS-”, con conseguente riconoscimento da causa di servizio, ascritte alla tabella A, Cat. VI, misura max, del d.p.r. n. 834/81.

Infine, la CMO, con verbale del 16 giugno 2008, riconosceva a carico del sig. -OMISSIS- – dal 30 aprile 2008 in quiescenza per limiti di età – l’infermità “-OMISSIS-”, ascritta alla Cat. V, Tab. A, secondo la motivazione riportata.

Era quindi da lui inoltrata domanda di riconoscimento da causa di servizio della patologia “-OMISSIS-”.

Inoltre, la Commissione Medico Ospedaliera (“CMO”) di “Roma Cecchignola”, il 13 dicembre 1999, aveva riconosciuto il sig. -OMISSIS- affetto da “-OMISSIS-”, con idoneità però al servizio in Polizia di Stato e giudizio ai fini dell’equo indennizzo per invalidità dipendente da causa di servizio, con infermità ascrivibile alla tabella B, misura massima, ai fini della pensione privilegiata.

In seguito all’entrata in vigore del d.p.r. n. 461/2011, si pronunciava l’istituito “Comitato di verifica”, esprimendo parere negativo sulla dipendenza da causa di servizio sia -OMISSIS-” come sopra descritte, riconoscendola solo per la “-OMISSIS-”.

Con successivo provvedimento dell’11 gennaio 2010, la -OMISSIS- comunicava che la relativa richiesta di equo indennizzo era stata respinta.

Precisando di avere prima adito il Giudice del Lavoro, che aveva declinato la sua giurisdizione a favore di quella del g.a., il sig. -OMISSIS-, con rituale ricorso in riassunzione a questo Tribunale, chiedeva l’annullamento del decreto in epigrafe, lamentando, in sintesi, quanto segue.

1) Violazione di legge e vizi nel procedimento – Eccesso di potere per erronea valutazione delle circostanze di fatto – Atto emesso sul presupposto di un parere viziato da errore o travisamento di fatti .”

Vi era stata un’erronea valutazione delle circostanze di fatto alla base del parere emesso dal Comitato di verifica in ordine al mancato riconoscimento dell’infermità “-OMISSIS-”.

Ciò perché il servizio di ordine pubblico svolto dal ricorrente lo aveva esposto ad agenti stressanti di tipo psicogeno e fisico, tali da potersi ritenere sicura (con)causa efficiente e determinate per l’insorgenza della stessa, secondo relazione medico legale di parte che allegava, trovando la cardiopatia, sia pure dipendente da fattori costituzionali ed esogeni, insorgenza nello “stress” da lavoro accompagnato da “strapazzi” fisici prolungati, con ansietà e iperattività da porre in relazione alla patologia invalidante in questione, come riconosciuto da giurisprudenza della Corte dei Conti che era richiamata.

2) Violazione di legge, ed in particolare dell’art. 3 L. 7 agosto 1990 n. 241 – mancanza o insufficienza della motivazione – mancanza della motivazione in tema di pubblico interesse concreto e attuale – Eccesso di potere per difetto di motivazione – Violazione dei principi del giusto procedimento ”.

L’Amministrazione aveva recepito acriticamente il parere del Comitato, senza indicazione sulle ragioni che l’avevano portata a disattendere le opposte conclusioni della CMO, e lo stesso Comitato non aveva motivato sul punto, non soffermandosi sulla considerazione degli eventi di servizio quali fattori concausali che avevano portato il ricorrente a disagi e disordini alimentari, ad orari spesso afisiologici, all’esposizione a fattori climatici e stress.

Se pure il parere del Comitato di verifica era ritenuto prevalente si sensi della normativa introdotta dall’art. 5 d.l. n. 387/87, conv. in l. n. 472/87, non per questo era ammissibile una conclusione priva di motivazione a sostegno del provvedimento finale negativo. Non era sufficiente allo scopo, secondo il ricorrente, il richiamo al tabagismo e alla necrosi di tessuto in zona circoscritta, se era assente la valutazione degli altri fattori concausanti sopra evidenziata.

Analoga considerazione doveva farsi per l’esclusione, con mera clausola di stile, dell’infermità “-OMISSIS-” che, se pur priva di evoluzione peggiorativa come osservato dal Comitato, non era sorretta da idonea motivazione in relazione al collegamento con la causa di servizio invece valutata con “nesso di causalità” dalla CMO, per cui era sempre necessaria una motivazione specifica in tal caso, come ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa.

Il ricorrente, pertanto, concludeva la sua esposizione, chiedendo l’annullamento dell’impugnato decreto e il riconoscimento delle infermità suddette, con conseguente concessione di un equo indennizzo, da liquidarsi anche in via equitativa.

Si costituivano in giudizio la -OMISSIS- e il Ministero dell'Economia e delle Finanze per resistere al ricorso.

In prossimità della trattazione di merito, parte ricorrente depositava una memoria a sostegno delle proprie tesi, insistendo anche per la nomina di CTU al fine di accertare le infermità e la reclamata dipendenza, e la causa era trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 16 ottobre 2019.

DIRITTO

Il ricorso è infondato per le seguenti ragioni.

Con il primo motivo, il ricorrente ha lamentato, nella sostanza, la erroneità dei presupposti di fatto su cui si sarebbe basato il Comitato di verifica, con conclusione recepita con il decreto impugnato, nel respingere l’istanza volta a ottenere il riconoscimento della dipendenza da fatti di servizio dell’infermità “-OMISSIS-”.

Secondo il parere del Comitato, l’infermità in questione non poteva riconoscersi dipendente da fatti di servizio “…-OMISSIS-i (-OMISSIS-), favorito da fattori di rischio individuali, congeniti o acquisiti, e frequentemente legato alle abitudini di vita del soggetto (soggetto tabagista), sull’insorgenza e decorso della quale il servizio prestato così come descritto agli atti non può aver svolto alcun ruolo, neppure sotto il profilo concausale efficiente e determinante, tenuto conto che non risulta essere stato caratterizzato da particolari abnormi responsabilità ovvero da eccezionali disagi tali da prevalere, rispetto agli elementi individuali favorenti, nell’insorgenza o nella successiva evoluzione dell’infermità”.

Al riguardo appare utile premettere le coordinate giurisprudenziali di riferimento che valgono a perimetrare l'ambito cognitivo consentito, nella materia in trattazione, al giudice amministrativo.

Sotto tale profilo può richiamarsi il consolidato indirizzo giurisprudenziale, dal quale il Collegio non ha motivo di discostarsi (per tutte: Cons. Stato,;
Sez. III, 31.1.19, n.770 e 29.12.17, n.6175;
Sez. IV, 25.3.14, n. 1454), per il quale gli accertamenti sulla dipendenza di una patologia da causa di servizio rientrano nella discrezionalità tecnica del Comitato di verifica, la cui valutazione conclusiva sul nesso eziologico tra l'attività lavorativa svolta e l'infermità sofferta dal pubblico dipendente, basato su cognizioni di scienza medico-specialistica e medico-legale, non è sindacabile nel merito in sede giurisdizionale, a meno che non emergano vizi del procedimento o vizi di manifesta irragionevolezza della motivazione per l'inattendibilità metodologica delle conclusioni ovvero per il travisamento dei fatti o, ancora, per la mancata considerazione di circostanze di fatto tali da poter incidere sulla valutazione finale, non avendo il giudice amministrativo la possibilità di sostituire le proprie valutazioni a quelle effettuate dalle competenti autorità (v. anche, da ultimo: Cons. Stato, Sez. IV, 17.6.19, n.4029 e n. 4031;
TAR Lazio, Sez. I quater, 8.10.19, n. 11617).

Sulla base di quanto premesso, il Collegio ritiene che non appare condivisibile la censura che lamenta il travisamento di fatti.

Nel caso di specie, il Comitato di verifica ha espresso la propria valutazione tecnico-discrezionale sulla insussistenza di influenza di causa, ovvero di concausa, efficiente e determinante del servizio concretamente prestato dal ricorrente

A tale conclusione il Comitato è giunto “… dopo aver esaminato e valutato, senza tralasciarne alcuno, tutti gli elementi connessi con lo svolgimento del servizio da parte del dipendente e tutti i precedenti di servizio risultanti dagli atti” , ivi comprese, quindi, rileva il Collegio, le indicazioni sulle modalità con cui il ricorrente svolgeva il proprio servizio (così come descritto agli atti), emergenti dai rapporti informativi sul servizio oltre che dalla stessa istanza avanzata dall’interessato per l’infermità e dalla documentazione allegata alla stessa.

Ad ogni modo, il Collegio rileva che la rappresentazione dell’attività di servizio del ricorrente, come descritta anche in questa sede, sia genericamente adattabile a tutto il personale impiegato in servizio di autista e tutela personalità. Non si individuano eventuali, significativi, episodi o specifiche circostanze di fatto, riferibili al servizio svolto, né eventuali fattori di stress aggiuntivi occorsi al ricorrente rispetto all’altro personale parimenti impiegato in servizio analogo (anche di vigilanza interna) che possano, anche astrattamente, ritenersi idonei a spiegare efficacia concausale nell’insorgenza della patologia in discorso e a smentire “ictu oculi” la motivata conclusione del Comitato.

Svolgere il servizio in condizioni climatiche spesso avverse, sottoponendo il proprio fisico a perfrigerazioni e/o a correnti d’aria umide o torride, essere sottoposti a una alimentazione “non ordinata”, essendo presumibile il consumo di pasti freddi fuori del normale orario, con attività svolta anche durante le ore notturne, secondo quanto ricordato dal ricorrente, costituiscono attività peculiari dell’attività dell’appartenente al Corpo di Polizia di Stato, preposto allo svolgimento del servizio di autista e di vigilanza armata per servizio di ordine pubblico, pur sempre nel rispetto delle disposizioni che disciplinano i relativi istituti, proprio per evitare abusi nell’impiego a discapito della salute del dipendente.

Pertanto la valutazione operata dal Comitato di verifica risulta ragionevole, poiché non sono emerse condizioni di lavoro (peraltro comuni agli altri agenti/assistenti in servizio, in assenza di indicazioni di senso opposto o di elementi comparatistici specifici) tali da aver certamente agito, come si sostiene in ricorso, nel determinismo invalidante quale causa efficiente e preponderante.

Come detto, il mero richiamo del ricorrente alle modalità di servizio svolte non inficia la coerenza logica e tecnica del parere citato, tanto più che la stessa consulenza tecnica di parte allegata al ricorso risulta sostanzialmente assertiva nella parte in cui individua il nesso causale (o quantomeno concausale efficiente e determinante) tra la patologia e lo svolgimento dell'attività lavorativa, genericamente richiamata quale “stress”, in tal modo non adempiendo a quell'onere probatorio, che, in assenza di un nesso di rischio specifico tra l'attività lavorativa svolta e le infermità dedotte, spetta al ricorrente.

Pertanto, le argomentazioni evidenziate da quest’ultimo sulla mancata valutazione da parte del Comitato dei fattori scatenanti (come derivanti dall’attività di servizio), risultano meramente affermate e non concretamente provate e non possono assumere rilievo a tal fine neanche le considerazioni di cui alla consulenza medico legale allegata perchè, in base alla consolidata giurisprudenza in materia, “… non sono motivi capaci di produrre l'illegittimità di un atto impugnato la contraddittorietà tra il parere del CVCS e … referti d’istituti di parte in ordine al caso di specie, o produzioni della scienza medica, atteso che la competenza a stabilire l'eventuale rapporto di derivazione tra prestazioni di servizio e insorgenza di una infermità ricade in via esclusiva sul comitato di verifica a norma del d. P.R. n. 461 del 2001, che disciplina in termini organici la materia delle cause di servizio ” (Cons. Stato, Sez II, 26.7.17, n.1810).

Sul punto può aggiungersi che la giurisprudenza ha reiteratamente affermato come la dipendenza da causa di servizio debba essere ancorata all'esistenza di specifici e concreti fatti che non possono coincidere con il normale svolgimento dell'attività di servizio, per quanto gravosa come quella di vigilanza di polizia con turni e/o scorta e tutela personalità, che, per sua stessa natura, include nella “normalità” anche carichi lavorativi differenziati rispetto a condizioni ottimali. Nella nozione di concausa efficiente e determinante di servizio possono farsi rientrare soltanto fatti ed eventi eccedenti le ordinarie condizioni di lavoro, eccezionalmente gravosi per intensità e durata, che vanno necessariamente e specificamente documentati, con esclusione, quindi, delle circostanze e condizioni del tutto generiche, quali inevitabili disagi, fatiche e momenti di stress, che costituiscono fattore di rischio ordinario in relazione alla singola tipologia di prestazione lavorativa. (TAR Lazio, n. 11617/19 cit.;
TAR Campania, Sa, Sez. I, 10.10.13, n.2034;
Na, Sez. VI, 28.11.17, n. 5629).

L’organo consultivo, per quanto riportato nel relativo parere, ha quindi valutato lo stato di servizio del ricorrente sulla base di quanto a corredo della pratica e le ha ritenuto, in maniera non illogica né irragionevole, insufficiente a giustificare la sussistenza di un nesso di causalità/concausalità fra il servizio prestato e l’infermità dal medesimo sofferta, con la conseguenza che sotto tale profilo risulta infondata la censura di travisamento dei presupposti.

In particolare, poi, riguardo al gravato decreto conclusivo del relativo procedimento, esso è da considerarsi adeguatamente motivato con il richiamo “per relationem” al parere negativo del Comitato di verifica per le cause di servizio, che ha a sua volta comunque preso in considerazione la patologia come riscontrata dalla CMO, esprimendo adeguate valutazioni in riferimento sia alla ordinaria eziopatogenesi che ai possibili legami con il servizio svolto dal ricorrente (Cons. Stato, Sez. IV, 7.11.12, n. 5675;
Sez. II, 15.7.15, n.2376) e richiamando esplicitamente di aver “preso atto del processo verbale n…del…della Commissione Medica Ospedaliera di Roma” e di averne esaminati tutti gli atti.

Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso, con cui è lamentata la carenza di motivazione, in quanto il parere espresso dal Comitato non aveva tenuto conto delle differenti conclusioni della CMO.

Al riguardo rileva il Collegio che la Commissione in questione - coerentemente con l’art. 11 del d. P.R. n. 461 del 2001- non ha formulato alcuna deduzione concernente la dipendenza da fatti di servizio della patologia sofferta dall’interessato, essendosi limitata a diagnosticarla, riconoscendo la relativa ascrivibilità a Tabella ai fini dell’equo indennizzo.

Valga poi osservare che, in base all’orientamento della giurisprudenza, il parere favorevole espresso dalla CMO sull'infermità denunciata dal pubblico dipendente non riveste alcun valore nel riconoscimento della dipendenza della stessa da causa di servizio, trattandosi di verifica esclusivamente demandata dalla legge vigente al giudizio tecnico-discrezionale del Comitato di verifica (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 26.7.17, n. 1810;
id. Sez. IV, 9.7.18, n. 4160;
id. Sez. III, 27.2.18, n. 1212;
e 29.12.17, n. 6175;
TAR Lazio, Roma, Sez. I quater, 28.4.17, n. 4987 e Sez. I bis, 20.3.18, n. 3130).

Peraltro, e per mera completezza espositiva, occorre soggiungere che nessuna incidenza sul contenuto della valutazione di discrezionalità tecnica attribuita al Comitato di verifica per le cause di servizio potrebbe dispiegare il verbale della CMO, anche qualora, nell'esplicitazione eziopatogenetica dell'infermità, dovesse esprimere un giudizio sulla sua correlazione all'attività di servizio, posto che alla Commissione spettano esclusivamente compiti di natura diagnostica e prognostica (in ordine alla stabilizzazione o all'ulteriore evoluzione dell'affezione morbosa, ai suoi esiti invalidanti e alla loro misura), mentre soltanto il Comitato è chiamato ad accertare la correlazione (esclusiva o concausale) dell'infermità allo svolgimento dell'attività di servizio. Ne consegue che l'Amministrazione può, senz'altro, conformarsi al parere del Comitato, senza dover dare alcun conto della preferenza accordata rispetto ad eventuali elementi di segno contrario rinvenibili nel verbale della CMO, attraverso una esplicita e dettagliata motivazione (TAR Lazio, n. 11617/19 cit.;
TAR Campania, Na, Sez. VII, 14.10. 13;
n.4588 e Sez. VI, 3.3.16, n.1166).

In altri termini, in tema di riconoscimento della dipendenza dell'infermità da causa di sevizio e di liquidazione dell'equo indennizzo la disciplina di settore non mette a disposizione dell'Amministrazione una serie di pareri pariordinati e resi da organi consultivi di diversa origine e competenza sui quali orientarsi, ma affida ad un solo organo, il Comitato di verifica per le cause di servizio, la competenza ad esprimere un giudizio conclusivo, per cui la non adesione al parere della CMO da parte del Comitato non richiede una espressa motivazione posta a confutazione delle conclusioni della Commissione (Cons. Stato, Sez. III, 15.7.13, n. 3864).

L’Amministrazione, quindi, deve prendere atto della determinazione dell'organo tecnico che si pronuncia complessivamente sulle risultanze del procedimento e, nell’adeguarsi alla sua valutazione, può non esprimere alcuna motivazione aggiuntiva in ordine alle ragioni di adesione al parere. Soltanto nei casi in cui, in base ad elementi di cui disponga e che non siano stati vagliati dal Comitato, ovvero in presenza di evidenti mancanze o violazioni delle regole procedimentali, ritenga di non poter aderire al parere del Comitato anzidetto, il Ministero deve farsi carico di una autonoma motivazione (TAR Lazio, Sez. I quater, 28.4.17, n. 4987 e 13.10.17, n. 10329), ma non appare questo il caso.

Quindi, per sconfessare la valutazione sul rapporto concausale resa dal Comitato di verifica, non è sufficiente il limitarsi a fornire una diversa analisi di parte, tendente a sostituire valutazioni proprie a quelle dell’organo tecnico a ciò deputato.

Quanto finora illustrato sui due motivi di ricorso vale a confutare anche l’ulteriore doglianza del ricorrente in ordine all’infermità “-OMISSIS-”, che il Comitato ha ritenuto non aver subito un’evoluzione peggiorativa di cui a un nesso eziologico tra infermità come riscontrata dalla CMO e attività di servizio, dato che “…gli elementi e le circostanze di fatto evidenziati non si prospettano in rapporto di valida efficienza eziopatogenetica con l’evoluzione dell’evento morboso”.

Ora, se è vero che anche l’aggravamento di una patologia già riconosciuta dipendente da causa di servizio impone di accertare se l’ulteriore peggioramento delle condizioni fisiche del dipendente sia riconducibile alle attività espletate per ragioni di lavoro, potendosi dare il caso (contrario) che la patologia, di cui si deduce l’aggravamento, abbia conosciuto un’evoluzione peggiorativa per cause indipendenti dallo svolgimento delle attività d’ufficio o in una fase temporale di interruzione delle stesse, è anche vero che in tale giudizio sulla nozione di concausa efficiente e determinante di servizio possono farsi rientrare soltanto fatti ed eventi eccedenti le ordinarie condizioni di lavoro, se particolarmente gravosi per intensità e durata e tali da costituire – secondo un criterio di prevalenza qualitativa, quantitativa e temporale rispetto alla gamma variegata del complesso delle prestazioni normalmente e naturalmente connesse al profilo professionale posseduto dal dipendente - uno specifico fattore di rischio invalidante. Tali fatti ed eventi devono essere necessariamente documentati, con esclusione – come detto - delle circostanze e condizioni connaturali e coerenti con la qualifica posseduta e le mansioni svolte, quali sono gli inevitabili disagi, fatiche e momenti di stress, che costituiscono fattore di rischio ordinario ( e non specifico), naturalmente connesso allo “status” di appartenente alle Forze di Polizia o Armate che esplica attività di autista e tutela personalità, anche se questo richiede, necessariamente, tipologie di prestazioni lavorative normalmente più impegnative rispetto ad altre categorie di pubblici dipendenti (TAR Toscana, Sez. I, 30.11.16, n. 1733;
TAR Lazio, Sez. I quater, 14.11.16, n. 11276 e T.A.R. Toscana, Sez. I 6.7.15 n. 1007).

Di conseguenza, in mancanza di un'adeguata dimostrazione di specifiche, circostanziate, prolungate e particolarmente gravose condizioni di impiego idonee ad evocare in via diretta - per la loro specifica, prolungata e significativa anomalia rispetto al pur gravoso quadro prestazionale ordinariamente connesso allo “status” posseduto - un collegamento qualificato con le infermità denunciate, sì da assurgere a fattore (con)causale del peggioramento stesse, le censure di eccesso di potere rivolte all’operato del Comitato di verifica sotto tale profilo sono da intendere prive di fondamento.

Che il Comitato abbia approfondito tutto il quadro clinico del ricorrente, poi, lo si evince dalla circostanza che nel medesimo parere ha invece riconosciuto l’evoluzione peggiorativa di altra infermità in rapporto di valida efficienza eziopatogenetica con gli elementi e le circostanze di fatto evidenziati.

Da ultimo, riguardo alla richiesta di CTU di cui alla memoria di parte ricorrente, deve rilevarsi che, in materia di riconoscimento della dipendenza di un'infermità da causa di servizio e concessione del relativo equo indennizzo, il giudice amministrativo, al fine di esercitare il sindacato sulla c.d. “discrezionalità tecnica” della p.a., se pur in astratto potrebbe avvalersi della consulenza tecnica d'ufficio, tuttavia deve valutare che tale strumento non sia utilizzato per supplire a un onere probatorio né per rimettere in discussione le conclusioni di un organo tecnico ritenute congrue (TAR Lazio, n. 11617/19 cit.;
Tar Campania, Na, Sez. VII, 3.5.17, n.2337).

Nel caso di specie, per quanto illustrato, le conclusioni del Comitato di verifica non sono palesemente errate o contraddittorie, per cui la richiesta CTU non può essere disposta.

Alla luce di quanto dedotto, quindi, il ricorso non può trovare accoglimento.

In ordine alle spese di lite, sussistono comunque i presupposti per compensarle eccezionalmente, tenuto conto della particolare natura della materia controversa.

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