TAR Napoli, sez. V, sentenza 2021-06-28, n. 202104462

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. V, sentenza 2021-06-28, n. 202104462
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 202104462
Data del deposito : 28 giugno 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 28/06/2021

N. 04462/2021 REG.PROV.COLL.

N. 01961/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1961 del 2020, proposto da
Comune di Sparanise, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato F F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Regione Campania, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato A M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, via Santa Lucia 81;
Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per Le Province di Caserta e Benevento, Provincia di Caserta, Ministero dell'Interno, Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Ente Idrico Campano, Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Caserta, Asl 104 - Caserta 1, non costituiti in giudizio;
Arpac, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Sara Cimino, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Consorzio Asi, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pasquale Tartaglione, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Garden S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Renato Labriola, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'annullamento:

a) del Decreto Dirigenziale n. 38 del 27/02/2020 con il quale la Regione Campania ha rilasciato alla ditta Garden s.r.l. “autorizzazione unica per la realizzazione e gestione di un nuovo impianto per la produzione di ammendanti agricoli da rifiuti non pericolosi, nonché per le emissioni in atmosfera ex art. 269 co. 2 da ubicare in Sparanise (CE) zona ASI”;

b) della determinazione conclusiva della conferenza del 12.02.2020 (prot. n. 93174 del 13/02/2020) e di tutti i verbali della Conferenza di Servizi relativi alle precedenti sedute del 3/04/2019 (prot. n. 216967 del 3/04/2019), del 9/10/2019 (prot. reg. n. 608478 del 10/10/2019) e del 27/01/2020 (prot. reg. n. 57209 del 28/01/2020);

c) del parere tecnico n. 16/NB/20 del 10/02/2020 (acquisito al prot. reg. n. 91166 del 12/02/2020) nella parte in cui l'ARPAC ha ritenuto il progetto conforme per gli aspetti di competenza;

d) del parere favorevole prot. n. 35526/UOPC2239 dell'11/02/2020 (acquisito al prot. reg. n. 89224 dell'11/02/2020) espresso dall'ASL Caserta;

e) dei pareri favorevoli prot. n. 9648-P del 15/07/2019 (acquisito al prot. reg. n. 450805 del 16/07/2019) e prot. n. 649-P del 16/01/2020 (acquisito al prot. reg. n. 35960 del 20/01/2020) espressi della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Caserta e Benevento;

f) del parere favorevole del Consorzio ASI di Caserta, ove acquisito per silenzio-assenso ai sensi dell'art. 14-ter comma 7 della Legge 241/1990 dall'Amministrazione procedente alla conferenza dei servizi del 12.02.20;

g) del decreto dirigenziale n. 148 del 5/11/2018 con il quale la Regione Campania ha stabilito di escludere dalla procedura di Valutazione di Impatto Ambientale, su conforme parere della Commissione V.I.A., V.A.S. e V.I. espresso nella seduta del 09/10/2018, il progetto proposto dalla Garden s.r.l.;

h) di tutti i verbali relativi ai lavori della Commissione VIA-VAS-VI ivi compreso quello relativo al parere espresso nella seduta del 9/10/2018;

i) di tutti gli atti presupposti, preordinati e connessi.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Campania, della Garden S.r.l., dell’Arpac e del Consorzio Asi;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza, tenutasi mediante collegamento da remoto ai sensi dell’art. 25, D.L. n. 137/2020 e del D.L. n. 44 del 2021, del giorno 1 giugno 2021 il dott. F M e trattenuta la causa in decisione sulla base degli atti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.- La società ricorrente ha dedotto in fatto le circostanze di seguito riportate:

con la richiesta acquisita al protocollo n. 269876 del 26/04/2018 contrassegnata con CUP 8254, la società Garden s.r.l. aveva trasmesso alla U.O.D. 92 – Staff Valutazioni Ambientali della Regione Campania l’istanza di verifica di assoggettabilità alla Valutazione di Impatto Ambientale, ai sensi dell’art. 20 del D. Lgs. 152/2006 e ss.mm.ii., del progetto volto alla realizzazione ed alla gestione di un nuovo impianto per la produzione di ammendanti agricoli da rifiuti non pericolosi (FORSU e strutturante) nella zona ASI del Comune di Sparanise (CE);

all’esito della condotta istruttoria, la Commissione VIA – VAS, con decreto dirigenziale n. 148 del 5/11/2018, aveva disposto l’esclusione dell’intervento dalla procedura di valutazione di impatto ambientale, cosicché la Garden S.r.l., con successiva istanza acquisita al protocollo regionale n. 824718 del 31/12/2018, aveva domandato il rilascio dell’autorizzazione unica ai sensi dell’art. 208 del D.lgs. n. 152/2006;

i lavori della convocata conferenza di servizi si concludevano con l’adozione, in data 12 febbraio 2020, della decisione finale che così disponeva: “ visti i pareri favorevoli di ARPAC, della Soprintendenza con prescrizioni, dell’ASL, dei VV.FF. di Caserta, vista le note dell’Ente Idrico Campano e del Consorzio ASI di Caserta che in ogni caso non hanno espresso il parere definitivo di competenza, visto il parere non favorevole del Comune di Sparanise nonché della Provincia di Caserta, sulla base delle posizioni prevalenti favorevoli di cui all’art. 14 ter, comma 7, della L. n. 241/1990, determina la conclusione motivata della conferenza di servizi con l’approvazione con prescrizioni del progetto presentato dalla ditta ai sensi dell’art. 14-quater della L. n. 241/1990 ”, prevedendo, tra l’altro, quale “ condizione risolutiva espressa ” l’obbligatoria stipula della convenzione con il Consorzio ASI;

alla decisione finale della conferenza seguiva l’adozione del decreto dirigenziale n. 38 del 27/02/2020 con il quale la Regione Campania aveva rilasciato l’autorizzazione unica.

Avverso tale provvedimento, è insorto il Comune di Sparanise articolando le censure di seguito riportate.

In primo luogo, l’autorizzazione concessa in favore della ditta Garden s.r.l. doveva ritenersi illegittima, in quanto la società richiedente non aveva conseguito la previa disponibilità/assegnazione dell’area da parte del consorzio ASI. Nonostante l’assenza di tale necessario presupposto fosse stata eccepita fin dalla prima riunione della conferenza dei servizi, la Regione non aveva dichiarato l’inammissibilità dell’istanza autorizzativa, decidendo viceversa di rilasciare l’autorizzazione con la prescrizione imposta alla società richiedente di “ trasmettere prima dell’avvio dell’esercizio dell’impianto la convenzione stipulata con il Consorzio ASI secondo la normativa di settore ”.

Pertanto, l’operato della resistente amministrazione non poteva non ritenersi illegittimo poiché aveva impartito una mera prescrizione, sospensivamente condizionante l’inizio dell’attività, sebbene la disponibilità/utilizzabilità dell’area consortile costituisse una condizione di procedibilità e ammissibilità del procedimento.

In secondo luogo, la concessa autorizzazione era stata rilasciata in assenza della necessaria ed imprescindibile valutazione circa l’idoneità localizzativa del sito, non avendo i preposti organi considerato né la presenza nelle immediate vicinanze di insediamenti abitativi, né il significativo impatto negativo del progetto sulle componenti ambientali individuate dal piano regionale di bonifiche delle aree già potenzialmente contaminate.

D’altronde, lo studio preliminare di Impatto Ambientale presentato dalla società aveva omesso qualsiasi valutazione in merito e, nonostante ciò, la Regione aveva ritenuto di escludere il progetto dalla VIA.

Tuttavia, nel corso del procedimento ex art. 208 T.U.A., tali criticità erano emerse, non solo su iniziativa del Comune, ma anche dell’Arpac, senza che con le diverse integrazioni documentali presentate dalla società quest’ultima avesse offerto delle valide giustificazioni confutative delle sollevate obiezioni. Concludeva, pertanto, osservando come in sede di screening V.I.A. i potenziali rilevanti impatti ambientali (emersi invece in sede di procedimento ex art. 208), in quanto non contenuti nello studio preliminare presentato dalla richiedente, non erano stati affatto vagliati.

Ne conseguiva che tanto il provvedimento di screening VIA n. 148 del 05.11.2018 quanto l’autorizzazione ex art. 208, che richiamava a fondamento dell’accertamento dell’idoneità localizzativa il provvedimento di screening VIA, avrebbero dovuto ritenersi illegittimi in quanto rilasciati sulla scorta di un’istruttoria assolutamente carente in ordine alla compatibilità localizzativa dell’impianto.

Censurava ancora il gravato provvedimento in quanto fondato sull’illegittimo parere rilasciato dalla competente Soprintendenza che, con la nota n.649 del 16.01.20, si era così determinata: “ è stato chiarito che le indagini archeologiche potranno essere effettuate in seguito all’acquisizione dell’autorizzazione unica per la realizzazione del progetto in epigrafe ma preliminarmente all’acquisizione del permesso di costruire ”.

Il parere reso dalla Soprintendenza era viziato da un’evidente illogicità poiché, da un lato, aveva subordinato il rilascio del nulla osta all’esecuzione dei prescritti saggi, da eseguire dopo il conseguimento dell’autorizzazione unica;
dall’altro, aveva sancito l’assenza del richiesto nulla osta archeologico in tal modo inficiando l’intera autorizzazione, il cui rilascio presupponeva necessariamente l’atto di assenso di tutte le Amministrazioni competenti all’approvazione del progetto.

Stigmatizzava ulteriormente la sostenuta illegittimità della determinazione conclusiva della conferenza dei servizi, essendo stata assunta dall’Amministrazione procedente sulla base di un mero principio maggioritario delle posizioni espresse dagli enti partecipanti, in assenza di una motivazione relativa agli elementi ostativi contenuti nei pareri negativi pervenuti.

Infine, sosteneva che l’autorizzazione ex art. 208 del D. Lgs. 152/2006 fosse stata rilasciata senza il doveroso accertamento della conformità del progetto con quello sottoposto a screening V.I.A, poiché la società richiedente aveva autocertificato un quantitativo di rifiuti da trattare differente da quello dichiarato nel progetto sottoposto a screening VIA, senza offrire in merito alcuna giustificazione.

Si costituivano sia l’ARPAC che la Regione Campania, insistendo per la reiezione del ricorso attesa l’infondatezza delle censure proposte dalla civica amministrazione.

Si costituiva anche la controinteressata Garden S.r.l. che, oltre a contestare la fondatezza dell’avversa prospettazione, eccepiva in via preliminare l’inammissibilità del ricorso per omessa e/o tardiva impugnazione dell’atto presupposto, ovverosia la D.D. n°148 del 05/11/2018 di non assoggettabilità del progetto in esame alla valutazione di impatto ambientale.

Si costituiva, infine, anche il Consorzio ASI, che confermava l’indisponibilità dell’area consortile da parte della controinteressata, non avendo corrisposto gli oneri concessori nella misura richiesta.

Respinta la domanda cautelare con l’ordinanza n. 1318/2020, previo scambio di memorie, all’udienza del giorno 1 giugno 2021 - tenutasi da remoto ai sensi dell'art. 25 del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, e del D.L. n. 44/2021 -, la causa è stata trattenuta in decisione.

2.- Va, preliminarmente, disattesa la richiesta di differimento, a data da destinarsi, della trattazione della controversia, presentata dalla controinteressata con la memoria depositata il 29 aprile 2021, avendo la medesima, in data 28/04/2021, inoltrato nuovamente al Consorzio Asi di Caserta la richiesta prenotativa ex art. 17 del regolamento Asi, al fine di giungere alla stipulazione della Convenzione finale di assegnazione del sito destinato alla realizzazione dell’autorizzato impianto.

Ad avviso del Collegio, sia la rilevanza degli interessi sensibili coinvolti nella presente controversia, sia l’assenza di una puntuale allegazione della controinteressata in ordine all’incidenza della richiesta presentata in ordine al vaglio delle censure articolate dal ricorrente Comune - che, per contro, appaiono di immediata delibazione -, inducono a ritenere contrario ai principi di economia processuale il differimento della trattazione di una causa ormai matura per la decisione.

3.- Tanto premesso, il gravame deve essere respinto in quanto in parte inammissibile ed in parte infondato.

4.- Destituita di fondamento deve giudicarsi la prima delle articolate doglianze con cui la civica amministrazione ha contestato la legittimità della concessa autorizzazione unica ambientale per aver la Regione Campania positivamente delibato il progetto presentato dalla Garden s.r.l., nonostante quest’ultima non avesse conseguito, anteriormente alla conclusione dell’indetta conferenza dei servizi, la disponibilità/assegnazione dell’area su cui doveva sorgere il progettato impianto da parte del Consorzio ASI.

Nonostante tale carenza fosse stata rilevata fin dalla prima riunione della conferenza dei servizi, l’amministrazione regionale, invece di dichiarare l’inammissibilità dell’istanza autorizzativa ovvero di attendere la conclusione dell’iter di assegnazione (come richiesto dallo stesso Consorzio ASI), aveva rilasciato l’autorizzazione con la specifica previsione di “ trasmettere prima dell’avvio dell’esercizio dell’impianto la convenzione stipulata con il Consorzio ASI secondo la normativa di settore ”.

Come anticipato, la censura non merita condivisione, osservando al riguardo il Collegio che l’indetta conferenza dei servizi, nel concludere positivamente il vaglio in ordine all’autorizzabilità del progetto presentato dalla controinteressata, aveva espressamente imposto alla competente autorità regionale la prescrizione dal seguente tenore “ si porrà la condizione risolutiva espressa della obbligatorietà alla stipula della Convenzione stipulata secondo la normativa di settore ” (cfr. verbale cds del 12.02.20).

In via generale si evidenzia che - contrariamente a quanto sostenutosi dal ricorrente - la giurisprudenza amministrativa ha ammesso da tempo l'istituto del provvedimento (di solito, abilitativo) condizionato, con ciò superando le perplessità espresse in passato dalla dottrina giuridica che costruiva l'atto amministrativo nell’ambito dogmatico della teoria generale degli atti giuridici (com'è noto, modellata su quella positiva del negozio giuridico di diritto tedesco), così contestando la possibilità di introdurre elementi accidentali nell'atto amministrativo.

La giurisprudenza, spinta da una prassi degli organi amministrativi sempre propensa all'utilizzo di provvedimenti di approvazione condizionati ad alcune prescrizioni introdotte dall'amministrazione, ha riconosciuto la legittimità di tale tipo di provvedimenti.

Ciò in quanto simili clausole accidentali, che esattamente vanno definite "prescrizioni", sono volte a semplificare la procedura poiché, se non fosse possibile approvare con condizioni un determinato progetto, occorrerebbe: 1) respingere l’istanza autorizzativa spiegando i punti che devono essere rivisti;
2) ripresentare il progetto;
3) riapprovare il progetto emendato. Un simile modus agendi si porrebbe in evidente contrasto con la regola generale prescrittiva del divieto di aggravamento del procedimento amministrativo di cui all'art. 1, co. 2, l. 241/90, laddove l’apposizione degli elementi accidentali consente, per contro, di esercitare in modo più penetrante ed efficiente quella potestà conformativa cui il ricorrente ritiene che la Regione abbia abdicato con il provvedimento impugnato. Se alla semplice alternativa approvare/non approvare si aggiunge, infatti, anche la possibilità di approvare con prescrizioni, si ampliano i poteri conformativi dell'amministrazione che ha la possibilità in questo modo di modellare in modo più incisivo la propria decisione alle particolarità del caso di specie (cfr.: sul punto, Consiglio Stato, sez. IV, 15 luglio 1993, n. 712;
Consiglio Stato, sez. V, 29 novembre 2004, n. 7762;
ma anche T.A.R. Lombardia - Brescia, sez. I, 02 novembre 2010, n.4520).

In altri e conclusivi termini, " costituisce un inutile aggravio procedurale (perché non bilanciato da una sufficiente ragione di interesse pubblico) l'arresto di un procedimento, che può invece proseguire sotto la condizione sospensiva del perfezionamento di altra procedura presupposta” (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 10 dicembre 2015, n. 5615;
sez. IV, 25 giugno 2013, n. 3447 Cons. Stato, Sez. IV, 19 aprile 2018, n. 2366;
Consiglio di Stato, sez. IV, 16/06/2020, n. 3869).

In ogni caso, sia che la prescrizione incida sulla legittimità del provvedimento cui è apposta, sia che essa attenga alla efficacia della stessa (come si dovrebbe ricavare dall'art. 1353 c.c.), la violazione delle prescrizioni (rectius, il mancato inveramento della condizione apposta al provvedimento abilitativo) avrà sempre e soltanto l'effetto di privare di titolo ciò che è stato realizzato sulla base del provvedimento cui era apposta la condizione non rispettata o non inverata, senza invalidare retroattivamente un altro provvedimento amministrativo privando di validità le precedenti determinazioni presupposte legittimamente (cfr.: T.A.R. Lombardia – Brescia, sez. I - 02/11/2010, n. 4520).

A riprova di quanto detto ed a titolo meramente esemplificativo, può richiamarsi la pacifica giurisprudenza del giudice di appello in ordine alla possibilità - per gli organi di controllo - di emanare decisioni positive 'condizionate', in realtà aventi natura di decisioni negative per il caso di mancata verificazione dell'evento della condizione apposta.

Infatti, l'esigenza di speditezza dell'azione amministrativa consente all'Autorità amministrativa di subordinare gli effetti positivi del proprio provvedimento alla verificazione di un evento (e, dunque, di una specifica condotta del richiedente), ritenuto indispensabile per una valutazione positiva della questione posta al suo esame.

Di conseguenza, non è di per sé vietato, anzi è ammissibile inserire nei provvedimenti autorizzatori, in via generale ed in mancanza di specifiche disposizioni di legge contrarie, prescrizioni specifiche sia a tutela di ulteriori interessi coinvolti dall’azione amministrativa, sia al precipuo scopo di attendere la conclusione di un procedimento presupposto condizionante l’efficacia della concessa autorizzazione.

In particolare, l’amministrazione, ove sussistano speciali circostanze, ben può imporre prescrizioni purché non contrastino con la natura e la tipicità del provvedimento, e quindi non siano tali da snaturare l'atto (negandone la funzione) ovvero imporre sacrifici ingiustificabili, sproporzionati o immotivati (cfr.: Consiglio di Stato, sez. VI, 6 novembre 2018, n. 6265;
cfr. anche Consiglio di Stato, sez. IV, 16 giugno 2020, n. 3869;
Consiglio di Stato, sez. VI, 26/10/2020, n.6523).

4.1.- Il Collegio condivide tale modo di procedere anche con specifico riguardo alla delimitazione delle conseguenze scaturenti dall’inadempimento delle imposte prescrizioni ovvero dalla mancata verificazione della indicata condizione.

In piena rispondenza all’esigenza di semplificazione, non aggravamento ed efficacia dell’azione amministrazione, ricorrendo le situazioni sopra descritte, non è necessaria l’adozione di nessun atto di autotutela incidente sull’autorizzazione condizionata, così da escludere l’obbligo per l’amministrazione di instaurare un procedimento di secondo grado volto ad evidenziare la ricorrenza del prevalente interesse pubblico al ritiro dell’originario provvedimento ampliativo.

Difatti, tale regola non opera e non può operare - per la stessa ratio tutoria cui è ispirata - nei casi in cui l'annullamento del provvedimento consegua automaticamente all'avverarsi di una condizione risolutiva che sia stata posta (in funzione di un controllo da esperire successivamente) fin da un momento anteriore all'adozione dell'atto.

Secondo tale modulo procedimentale semplificato, dunque, la rimozione consegue direttamente ed automaticamente - come fisiologico effetto del controllo, e dunque come atto dovuto – alla mancata ottemperanza della prescrizione condizionante apposta al titolo e rimasta inottemperata o non realizzata, non occorrendo alcuna ulteriore ed autonoma verifica dell'interesse pubblico al ritiro.

4.2.- Applicando i riportati principi al caso in esame, il Collegio ritiene di dover concludere che la condizione apposta dall’amministrazione regionale, recependo le indicazioni prescritte dalla propedeutica conferenza dei servizi, da un lato, non ha minato la certezza sui tempi e sugli effetti del provvedimento e, dall’altro, non ha affatto obliterato il requisito della disponibilità del sito localizzato per la realizzazione dell’impianto come condizione imprescindibile ai fini del rilascio della richiesta autorizzazione.

Invero, l'apposizione della condizione, come correttamente rilevato dalla difesa dell’amministrazione regionale, si era resa necessaria allo specifico fine di considerare, in motivazione e nel dispositivo, la circostanza che, nonostante il positivo vaglio del presentato progetto, il procedimento presupposto instaurato dalla controinteressata per conseguire la disponibilità della predetta area non era stato ancora definito a causa dei dissidi insorti con gli organi consortili in ordine all’interpretazione delle norme statutarie, tali da condurre successivamente all’insorgere di una controversia giudiziaria (giudizio n. 2013/2020 R.G. instaurato dinanzi all’intestato Tribunale)

Al fine di concludere il procedimento autorizzatorio di sua competenza nei tempi di legge, tenendo tuttavia conto della peculiarità della situazione venutasi a creare in conseguenza della mancata definizione del procedimento presupposto, l’amministrazione regionale, ritenuto sussistenti tutti i restanti requisiti rimessi al vaglio di sua competenza, ha apposto nel provvedimento la puntualizzazione che il ricorrente Comune ha inteso censurare con il divisato motivo di gravame.

L'elemento condizionante apposto, in ragione di quanto appena osservato, deve dunque essere dichiarato legittimo, poiché la predetta condizione non rende né incerti gli effetti tipici del provvedimento, né li distorce in modo incompatibile alla finalità per la quale il potere è stato attribuito all'amministrazione, sicché essa appare pienamente compatibile con le coordinate generali poste in apertura dell'esame del presente motivo di censura.

Ciò in quanto la ratio della prescrizione consisteva - a ben guardare - non già nell'abolire il controllo in ordine alla sussistenza di un atto presupposto (o nel renderlo meno efficace, fornendo un indebito vantaggio a chi tenti di beneficiare di situazioni non conformi alla legge), ma esclusivamente nel posticiparlo (in funzione acceleratoria) per poi farne eventualmente retroagire gli effetti.

Difatti, il mancato avveramento della condizione ex art. 1360 c.c. retroagisce al momento dell'adozione dell'atto, di cui determina un'inefficacia originaria, salve ipotesi eccezionali (riferite, ad esempio, all'operatività di condizioni risolutive incidenti su rapporti di durata) nella specie non ricorrenti, non discorrendosi affatto di condizione risolutiva applicata a rapporti di durata, connotati dall'esecuzione di prestazioni continuative o periodiche, idonee ad esaurirsi una volta eseguite, in ragione della realizzazione dell'interesse creditorio e della conseguente irretrattabilità degli effetti medio tempore prodotti.

Il rilascio del titolo autorizzativo, infatti, non costituiva un rapporto connotato da prestazioni continuative o periodiche eseguite per la realizzazione dell'interesse dell'Amministrazione procedente, traducendosi nell'autorizzazione allo svolgimento dell'attività realizzativa dell’impianto, nella misura in cui la stessa fosse stata resa possibile dalla conseguita disponibilità dell’area consortile, essendo state già reputati la sua realizzazione e l’esercizio dell’attività come compatibili con l'interesse pubblico perseguito dall’amministrazione competente;
circostanza non realizzabile qualora il titolare del titolo fosse rimasto inottemperante a quelle prescrizioni ritenute essenziali per lo svolgimento dell’attività di smaltimento.

Pertanto, retroagendo l'inefficacia dell’autorizzazione alla data di sua adozione, l'attività nel frattempo svolta non sarebbe risultata assentita da alcun titolo edilizio efficace e, come tale, avrebbe potuto essere sanzionata dall'Amministrazione regionale nell'esercizio del potere di vigilanza in materia ambientale, cosicché l’apposizione della condizione ben consentiva di realizzare il corretto contemperamento tra l’esigenza di definire nei termini di legge il procedimento autorizzatorio con la necessità di preservare in capo all’amministrazione procedente i poteri di controllo in ordine alla sussistenza, anche sopravvenuta, di tutti i presupposti necessari per il rilascio dell’autorizzazione ambientale.

In definitiva, la condizione apposta all’efficacia del provvedimento non ha né violato il principio di tipicità degli atti né eluso una norma imperativa, essendosi viceversa esclusivamente limitata a rinviare il momento nel quale effettuare le medesime valutazioni, circa l’effettiva sussistenza del richiesto presupposto, poste alla base dell'esercizio del potere amministrativo conferito dalla legge.

Per tali ragioni, la censura in esame deve essere respinta.

5.- Deve viceversa dichiararsi inammissibile la seconda censura sollevata dall’amministrazione comunale con cui quest’ultima ha revocato in dubbio la legittimità della rilasciata autorizzazione poiché, da un lato, la conferenza dei servizi aveva omesso la necessaria ed imprescindibile valutazione dell’idoneità localizzativa del sito individuato per la costruzione dell’impianto e, dall’altro, l’autorità decidente non aveva considerato i significativi impatti negativi del progetto sulle componenti ambientali individuate dal piano regionale di bonifiche.

L’inammissibilità della predetta censura emerge ove si considerino le fasi che hanno scandito l’iter procedimentale conclusosi con l’adozione dell’impugnata autorizzazione, atteso che la Garden s.r.l. aveva preliminarmente presentato l’istanza volta alla “verifica di assoggettabilità a VIA” (c.d. screening VIA). Il relativo sub-procedimento si era concluso con il Decreto Dirigenziale n. 148 del 05.11.2018 con cui la Regione Campania aveva escluso l’assoggettabilità del progetto alla valutazione di impatto ambientale.

Tuttavia, durante lo svolgimento della conferenza dei servizi convocata ai sensi dell’art. 208 d.lgs. 152/2006, sia il Comune di Sparanise che l’Arpac avevano rilevato dei profili di criticità inerenti alla localizzazione dell’impianto a causa dell’esistenza di svariati siti inquinati oggetto dell’obbligo di bonifica collocati in aree attigue a quella oggetto del progetto presentato.

Dei sollevati rilevati rilievi critici, nella seduta del 09.10.2019, l’amministrazione regionale procedente aveva investito il competente Ufficio Valutazioni Ambientali che espressamente aveva chiarito come i profili relativi all’impatto ambientale erano stati valutati, all’esito del sub-procedimento di screening, dalla Commissione VIA in data 09.10.2018 alla luce dello studio preliminare ambientale trasmesso dalla proponente, “ assoggettato agli obblighi di pubblicità di legge senza che siano pervenute osservazioni di sorta sia da parte del Comune di Sparanise che della Provincia di Caserta ” (cfr. verbale cds del 09.10.2019).

5.1- Così ricostruito l’iter procedimentale, reputa il Collegio che tutte le censure rivolte dal Comune di Sparanise avverso la localizzazione dell'impianto e la procedura di screening devono essere stigmatizzate come inammissibili in quanto, secondo la condivisibile e consolidata giurisprudenza, " le procedure di V.I.A. e di verifica di assoggettabilità a V.I.A. ("screening") sono dotate di autonomia, in quanto destinate a tutelare un interesse specifico (quello alla tutela dell'ambiente) e ad esprimere al riguardo una valutazione definitiva, di per sé potenzialmente lesiva dei valori ambientali, con conseguente immediata impugnabilità degli atti conclusivi, soggetti a pubblicazione, da parte dei soggetti interessati alla protezione di quei valori;
l'art. 20, d.lg. n. 152 del 2006, infatti, configura la stessa procedura di verifica di assoggettabilità a V.I.A. ("screening") come vero e proprio subprocedimento autonomo, caratterizzato dalla partecipazione dei soggetti interessati e destinato a concludersi con un atto avente natura provvedimentale. Da ciò consegue l'inammissibilità dei motivi di impugnazione avverso l'autorizzazione alla realizzazione di un impianto, volti a contestarne la legittimità sotto il profilo della mancata sottoposizione alla procedura di V.I.A.
" (T.A.R. Sardegna, sez. I, 11/07/2014, n. 599;
T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 15/03/2013, n. 713;
T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 26/09/2012, n. 1686)" TAR Sicilia - Catania, 29/04/2019, n. 956;
TAR Veneto, Sez. III, 5 febbraio 2013, n. 137 e 4 marzo 2013, n. 327, id. 16 febbraio 2012, n. 265;
Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 marzo 2009, n. 1213).

Con specifico riguardo alla fase di "screening" è stato, infatti, sottolineato (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. II, 7 settembre 2020, n. 5379), che essa svolge "una funzione preliminare per così dire di "carotaggio", nel senso che "sonda" la progettualità e solo ove ravvisi effettivamente una significatività della stessa in termini di incidenza negativa sull'ambiente, impone il passaggio alla fase successiva della relativa procedura;
diversamente, consente di pretermetterla, con conseguente intuibile risparmio, sia in termini di costi effettivi, che di tempi di attuazione.

Lo screening è dunque esso stesso una procedura di valutazione ambientale, realizzata preventivamente con riguardo a determinate tipologie di progetto rispetto alle quali alla valutazione vera e propria si giunge soltanto in via eventuale, in base cioè all'esito in tal senso della verifica di assoggettabilità.

Pertanto, se il progetto non ha impatti negativi e significativi sull'ambiente, l'autorità competente dispone l'esclusione dalla procedura di valutazione ambientale e, se del caso, impartisce le necessarie prescrizioni.

Incombe sull'Amministrazione titolare del potere l'obbligo di adottare una deliberazione " adeguatamente motivata in relazione a fattori di oggettiva pericolosità rivenienti dagli indici di cui all'Allegato V al Codice ambientale, stante che ciò implica solo il rinvio ad un più approfondito scrutinio della progettualità proposta, che dalle ragioni dello stesso non risulta comunque in alcun modo condizionat a" (cfr., Cons. Stato, Sez. II, sentenza n. 5379 del 2020).

Questo approccio è il diretto precipitato del principio di precauzione che " presuppone l'esistenza di un rischio specifico all'esito di una valutazione quanto più possibile completa, condotta alla luce dei dati disponibili che risultino maggiormente affidabili e che deve concludersi con un giudizio di stretta necessità della misura " (cfr., Cons. Stato, sez. III, sentenza n. 6655 del 2019;
Consiglio di Stato, sez. IV, 07/05/2021, n. 3596).

Da tanto discende, allora, che l’eventuale difetto istruttorio ovvero motivazionale connotante la preliminare fase di screening e la conseguente determinazione di non assoggettabilità devono necessariamente essere censurati con l’autonoma e tempestiva impugnazione di quest’ultima, cosicché sono inammissibili - poiché sollevate per la prima volta soltanto avverso gli atti conclusivi del procedimento di autorizzazione unica ex art. 208 TUA. - tutte le doglianze proposte contro la localizzazione dell'impianto e le valutazioni effettuate in sede di screening.

Come sopra evidenziato, l'impianto di recupero di rifiuti per cui è causa aveva già formato oggetto di positivo screening, anche con riguardo alla sua localizzazione, con la conseguenza che le censure relative alla sua localizzazione avrebbero, pertanto, dovuto essere sollevate dal Comune già a seguito dell'approvazione del decreto di screening n. 14/2018 che prevedeva la sua collocazione attuale, emergendo sin da allora la lesione lamentata dal Comune di Sparanise che, con l’odierno giudizio, per la prima volta, evidenzia l’incompatibilità di tale localizzazione con i limitrofi siti inquinati.

A conferma di tale circostanza giova rimarcare che in sede di screening deve essere valutata anche la compatibilità urbanistica dell'impianto e la portata del suo impatto ambientale in relazione alla sua localizzazione, alla tipologia di trattamento, all'impatto cumulato ed alla distanza rispetto all'abitazione più vicina.

Si tratta, invero, di profili già tutti emergenti nella fase procedimentale di screening, e quindi la loro omessa o errata valutazione a causa delle stigmatizzate lacune istruttorie avrebbe dovuto essere censurata mediante la specifica impugnazione della determinazione conclusiva di tale prima fase del procedimento autorizzatorio.

6.- Infondata è per contro la terza delle proposte doglianze con cui il ricorrente Comune ha contestato la legittimità dell’impugnata autorizzazione in ragione della condotta procedimentale tenuta dalla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Caserta e Benevento nell’ambito della convocata conferenza dei servizi.

Quest’ultima, con nota prot. n. 9648 del 15.07.2019, relativamente agli aspetti di tutela archeologica, aveva rilevato che l’impianto da realizzare ricadeva in un’area interessata dalla centuriazione romana, essendo stati rinvenuti in un’area vicina estesi resti di una necropoli, cosicché subordinava “ il rilascio del parere all’esecuzione di indagini preliminari allo scopo di verificare preventivamente l’interesse archeologico dell’area in oggetto ai sensi dell’art. 28 comma 4 del D. Lgs. 42/2004 ”, fissando anche le specifiche tecniche con cui eseguire i saggi.

Successivamente, a seguito dell’instaurata interlocuzione con la Garden s.r.l., la Soprintendenza, pur confermando il parere prot. n. 9648 del 15.07.2019, con atto n. 649 del 16.01.20, aveva espresso il seguente parere: “ è stato chiarito che le indagini archeologiche potranno essere effettuate in seguito all’acquisizione dell’autorizzazione unica per la realizzazione del progetto in epigrafe ma preliminarmente all’acquisizione del permesso di costruire ”.

Ad avviso del ricorrente, il parere così reso si palesava illegittimo e illogico, poiché la Soprintendenza, in tal modo operando, aveva omesso di esprimere il necessario nulla osta ai fini del rilascio dell’autorizzazione unica.

La descritta impostazione censoria non è condivisa dal Collegio, dovendosi rimarcare che l’autorizzazione unica ambientale ex art. 208 cit. può essere rilasciata anche se non sia stato ancora acquisito il nulla osta della Soprintendenza, atteso che quest'ultimo non costituisce un presupposto di legittimità dell’autorizzazione stessa, ma rappresenta una condizione di efficacia del titolo edilizio necessario per la realizzazione dei lavori, in tal modo condizionandone l'inizio, potendo pertanto essere conseguito anche in un secondo momento, purché, ben vero, anteriore all’inizio dell’attività costruttiva.

Pertanto, l'osservanza della normativa posta dal D.lgs. n. 42/2004 non può costituire parametro di legittimità dell’autorizzazione unica dato che la Regione, nel rilasciare il titolo abilitativo, era tenuta esclusivamente a verificare la conformità del progetto alla normativa ambientale.

Nel subordinare l’efficacia dell’autorizzazione, limitatamente alla realizzazione dell’attività edilizia, all’esito dei prescritti saggi, la preposta amministrazione si era posta in linea con i principi più volte affermati dalla giurisprudenza amministrativa, secondo cui l'accertamento dell'interesse storico e culturale implica l'applicazione di regole di carattere tecnico e specialistico, seppure caratterizzate da un margine di opinabilità, che devono fondarsi su un’istruttoria completa volta a verificare l’effettiva sussistenza dei presupposti nonché l'effettiva osservanza dei criteri di proporzionalità e ragionevolezza (cfr.: T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 24/02/2017, n.443;
Cons. Stato, Sez. VI, 13 maggio 2016 n. 1947).

Per assicurare tale corretto esercizio del potere vincolistico-inibitorio, l'articolo 28 del d. lgs. n. 42 del 2004, posto a fondamento del contestato parere, regolamenta i poteri cautelari e preventivi riconosciuti all'amministrazione, chiarendo che la Soprintendenza può ordinare l'inibizione o la sospensione di interventi anche quando non siano ancora intervenute la verifica o la dichiarazione di interesse culturale, prescrivendo, come nella specie, i necessari accertamenti.

In definitiva, nell’odierna fattispecie, la competente amministrazione, senza determinare un ingiustificato arresto procedimentale, non essendo ancora appurati i presupposti per apporre un vincolo indiretto, aveva correttamente esercitato i predetti poteri cautelari, inibendo l’attuazione di qualsiasi intervento edilizio in attesa del prescritto approfondimento istruttorio, senza tuttavia, medio tempore, impedire che il progetto fosse vagliato e positivamente delibato con specifico riguardo ai profili prettamente inerenti alla sua compatibilità ambientale.

7.- Analoga sorte compete anche alla quarta censura con cui il Comune ricorrente ha revocato in dubbio la legittimità della determinazione conclusiva della conferenza dei servizi in quanto assunta sulla base di un mero principio maggioritario delle posizioni espresse dagli enti partecipanti e, quindi, in violazione dell’art. 14 ter comma 7 della Legge 241/1990, che imponeva all’amministrazione procedente di operare una specifica valutazione ed un puntuale bilanciamento delle ragioni manifestate e degli interessi in gioco.

L'argomentazione non convince, e comunque, la critica non trova rispondenza nei documenti versati in atti.

Deve rammentarsi che l'autorizzazione unica ambientale costituisce il provvedimento finale di un procedimento nel quale convergono tutti gli atti di autorizzazione, di valutazione e di assenso afferenti i campi dell'ambiente, dell'urbanistica, dell'edilizia, delle attività produttive (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 4 luglio 2018, n. 4091).

La predetta autorizzazione non costituisce quindi la mera "sommatoria" dei provvedimenti di competenza degli enti chiamati a partecipare alla Conferenza di Servizi, ma è un titolo autonomo caratterizzato da una disciplina specifica che, per quanto qui interessa, consente la costruzione e la gestione dell'impianto alla stregua delle prescrizioni e delle condizioni imposte dall'autorizzazione medesima (cfr., in tal senso, il cit. art. 208, che, al comma 11, individua il contenuto "minimo" di tali prescrizioni, tra cui: "d) la localizzazione dell'impianto autorizzato;
g) le garanzie finanziarie richieste, che devono essere prestate solo al momento dell'avvio effettivo dell'esercizio dell'impianto;
h) la data di scadenza dell'autorizzazione, in conformità con quanto previsto al comma 12").

Inoltre, la propedeutica conferenza di servizi risulta caratterizzata da una struttura dicotomica, articolata in una fase che si conclude con la determinazione della conferenza con valenza endoprocedimentale, ed in una successiva fase che si conclude con l'adozione del provvedimento finale, con valenza esoprocedimentale ed esterna, riservata all'Autorità procedente previa valorizzazione delle risultanze della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti ivi espresse, regola, quest'ultima, dal contenuto flessibile, in quanto resta ferma l'autonomia del potere provvedimentale dell'Autorità, purché dotato di adeguata motivazione (cfr. Cons. Stato, sez, V, 12 novembre 2018, n. 6342, VI, 21 ottobre 2013, n. 5084).

Orbene, la Regione Campania, attraverso il richiamo dei pareri espressi nell’ambito della conferenza e mediante l’imposizione di specifiche prescrizione apposte all’atto quali condizioni risolutive della sua efficacia, non solo ha indicato le modalità operative necessarie per superare le criticità emerse in ordine alla disponibilità del sito ed alla sua possibile valenza archeologica, ma anche dimostrato di aver tenuto in debita considerazione le legittime preoccupazioni espresse dal Comune di Sparanise per gli effetti, pregiudizievoli per il territorio e la cittadinanza interessata, potenzialmente derivanti dalla realizzazione di un impianto, opportunamente evidenziando, mediante il richiamo ai pareri ed alla documentazione fornita dagli uffici tecnici ed dagli enti specializzati, come dette preoccupazioni fossero, in definitiva, infondate.

In sostanza, la Regione ha correttamente preso atto che la volontà emersa in sede di conferenza di servizi non era quella di impedimento definitivo alla realizzazione dell'impianto, il quale, al contrario, era ritenuto assentibile sia pure alla luce delle considerazioni riportate dagli organi tecnici.

Correttamente, poi, non ha attribuito prevalenza al parere contrario del Comune, nel senso di ritenerlo ostativo, all’uopo rilevando come la conferenza di servizi sia retta da un criterio maggioritario e, comunque, non conosca poteri di veto in capo alle singole Amministrazioni partecipanti. Peraltro, le Amministrazioni istituzionalmente preposte alla tutela della salute avevano espresso parere positivo al rilascio dell'autorizzazione e comunque il provvedimento impugnato si era basato su una articolata motivazione, che risulta adeguata, a supporto del rilascio dell'autorizzazione.

Infatti, il verbale della conferenza di servizi, seppure in forma succinta, aveva richiamato le motivate e prevalenti posizioni positive espresse in seno alla conferenza di servizi: tanto deve considerarsi sufficiente ai fini dell'assolvimento dell'onere di motivazione incombente in capo all'Amministrazione procedente.

La determinazione finale della conferenza di servizi, salvo il caso in cui emerga un fatto o un dato nuovo non ancora esaminato ovvero si riscontri una radicale carenza di istruttoria, non può che rifarsi agli elementi di assenso o dissenso emersi in sede di conferenza, ed è evidente che in casi come questi la motivazione debba trarsi per relationem senza che sia necessaria una rinnovata ed autonoma valutazione dei singoli pareri (cfr., ex pluribus, TAR Toscana, Sez. II, 19 maggio 2010, n. 1523;
T.A.R. Veneto, sez. II, 26/04/2019, n. 514).

Il rinvio ai prevalenti pareri espressi dagli enti portatori di interessi propri e specifici implicati nel procedimento de quo , nell’ambito di una valutazione complessiva in cui i profili localizzativi ed ambientali erano stati preventivamente vagliati nel precedente sub-procedimento di screening, poteva ritenersi sufficiente a realizzare la comparazione degli interessi rimessa all'amministrazione procedente, in tal modo evidenziando, chiaramente e coerentemente, la scelta regionale in tema di localizzazione e autorizzazione dell’impianto di smaltimento di rifiuti.

Invero, il provvedimento regionale, oltre a richiamare gli atti in cui si è articolato il complesso iter amministrativo e la documentazione prodotta nel corso dei vari passaggi istruttori, è risultata essere adeguatamente motivata, anche per relationem, con riferimento ai verbali delle sedute della conferenza di servizi ed alla totalità dei pareri espressi dalle amministrazioni ed uffici nel corso del procedimento, non essendo peraltro richiesto dalla legge, né essendo altrimenti ragionevole, pretendere che nella determina conclusiva vi sia una compiuta motivazione su tutti gli aspetti critici già affrontati e superati nel corso dei lavori.

Va rammentato, infatti, che l'autorizzazione integrata ambientale è un istituto introdotto nel nostro ordinamento dal D. Lgs. 18 febbraio 2005 n. 59, emanato in "attuazione integrale della direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento", che si propone, ai fini di maggiore efficacia ed efficienza, di sostituire con un unico titolo abilitativo i molti che, in precedenza, erano necessari per far funzionare un impianto industriale inquinante, consentendo, così, all'imprenditore che lo gestisce, di avere come interlocutore un unico ente pubblico con intuibile economia di tempo e di risorse nonché con l'eliminazione del rischio di valutazioni contraddittorie da parte di enti diversi, sia pure nell'ambito dell'esercizio delle (diverse) rispettive competenze. In tale prospettiva, il modulo impiegato della conferenza dei servizi, ai sensi dell'articolo 14 della legge 7 agosto 1990 n. 241, è funzionale alla confluenza, in un unico ambito, dell'apporto di tutte le amministrazioni interessate.

Neppure può reputarsi che il superamento del parere contrario dell'Amministrazione comunale avrebbe richiesto una motivazione rafforzata in virtù del preteso ruolo preminente dell'ente territoriale, atteso che una siffatta forza non gli è attribuita dalle richiamate previsioni, che assegnano alla Regione la competenza ad adottare il provvedimento finale. Trattasi di atto che costituisce espressione di un potere ampiamente discrezionale da esercitarsi sulla base delle risultanze emerse nella conferenza di servizi, come accaduto nel caso di specie, laddove il competente dirigente regionale ha aderito alla prevalente posizione favorevole espressa dagli altri organismi intervenuti nella conferenza di servizi (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 31 ottobre 2011, n. 712). Sul punto la giurisprudenza ha evidenziato che l'autorizzazione integrata ambientale, resa a seguito del meccanismo procedurale della conferenza di servizi, costituisce il momento di sintesi della pluralità degli interessi pubblici coinvolti e che il provvedimento finale rimane demandato, nella sua dimensione conclusiva, alla valutazione discrezionale della Regione, rispetto alla quale il Comune non vanta alcun potere di veto (cfr. T.A.R. Veneto, sez. III, 2.11.2016, n. 1225).

8- Infine, non può essere condiviso neppure l’ultimo motivo di ricorso con cui il Comune di Sparanise ha sostenuto che l’autorizzazione ex art. 208 del D. Lgs. 152/2006 fosse stata rilasciata senza il doveroso accertamento della conformità del progetto con quello soggetto a screening V.I.A.

Al riguardo, osserva il Collegio che, nel corso della prima seduta della Conferenza dei Servizi del 03.04.2019, l’ARPAC, nell’esprimere il parere tecnico di sua competenza, aveva rilevato che la capacità produttiva dell’impianto era pari a 36.400 tonnellate mentre “dalla relazione tecnica (febbraio 2019) la capacità prevista in R13 è pari a 29.500 tonn/anno”.

A fronte della richiesta di chiarimenti in ordine alla capacità impiantistica ed alla congruità del progetto rispetto a quello soggetto a screening VIA, la Garden S.r.l. aveva prodotto, in data 30.05.2019, un’autocertificazione in cui aveva dichiarato una capacità di 38.900 ton/annui.

Orbene, nel progetto allegato alla domanda di verifica di non assoggettabilità a VIA, la ricorrente aveva indicato soltanto il quantitativo massimo dei rifiuti trattabili nel costruendo impianto (50.000 t/a), senza distinguere fra le linee di recupero. Il provvedimento conclusivo del procedimento, con cui si era stabilita la non assoggettabilità a VIA, aveva preso atto di tale domanda esprimendosi quindi favorevolmente ad un trattamento riguardante complessivamente una quantità massima di rifiuti pari a 50.000 t/a, da effettuarsi indistintamente secondo le modalità indicate.

Una volta ottenuto il provvedimento VIA, la ricorrente ha presentato la domanda per il rilascio dell'autorizzazione unica di cui all'art. 208 del d.lgs. n. 152 del 2006. Nel corso del relativo procedimento, l’Arpac aveva richiesto un chiarimento sull’effettiva capacità impiantistica massima, trasmesso dalla Garden Srl con la dichiarazione del 30.5.2019, in cui aveva precisato che la capacità massima complessiva ammessa era di 50.000 t/a, prevedendo comunque che l’effettiva quantità dei rifiuti da trattare non avrebbe superato il limite annuo di 38.900 tonnellate.

Parte ricorrente, come anticipato, ha sostenuto che queste modifiche progettuali avrebbero dovuto indurre la Regione a riavviare ex novo il procedimento volto al rilascio dell'autorizzazione unica e, prima ancora, a sottoporre il progetto ad una nuova verifica di assoggettabilità a VIA.

Ritiene il Collegio che l'argomentazione di parte ricorrente sia del tutto infondata giacché non si vede per quale ragione la presentazione di una limitata modifica progettuale avrebbe dovuto far regredire il procedimento alla sua fase iniziale.

Le modifiche alla domanda possano determinare la necessità di riavvio del procedimento soltanto nel caso in cui esse provochino uno stravolgimento dei termini inizialmente prospettati, la valutazione delle quali richiederebbe quindi tempi non compatibili con quelli di conclusione del procedimento già avviato.

Nel caso di specie, come illustrato, le modifiche proposte, lungi dal comportare uno stravolgimento dei termini inizialmente prospettati dalla controinteressata, erano volte a specificare, nel rispetto del quantitativo massimo indicato nel progetto originario, i quantitativi massimi riferiti a ciascuna delle due linee di recupero (R 12 e R 13) già previste.

Parte ricorrente non ha dimostrato (e per la verità neppure allegato) che queste modifiche avessero determinato uno stravolgimento della domanda tale renderla non valutabile nel termine di conclusione del procedimento già avviato.

Pertanto, non vi era alcuna necessità di dare corso ad un nuovo procedimento.

Per quanto riguarda la ritenuta necessità di procedere ad una nuova verifica di assoggettabilità a VIA, si deve osservare che, in base all'art. 24, comma 9-bis, del d.lgs. n. 152 del 2006, solo le modifiche sostanziali comportano la necessità di una nuova effettuazione della valutazione.

L'art. 5, primo comma, lett. l-bis), del d.lgs. n. 152 del 2006 stabilisce poi che si ha modifica sostanziale di un progetto, opera o impianto solo nel caso in cui la variazione sia tale da incidere in maniera significativa e negativa sull'ambiente o sulla salute umana.

Applicando queste norme, la giurisprudenza ha chiarito che la necessità di rinnovazione della VIA o della verifica di assoggettabilità a VIA sorge solo nel caso di modifiche che comportino la realizzazione di un'opera radicalmente diversa da quella già esaminata, tale da indurre il peggioramento dell'impatto dell'opera stessa sull'ambiente (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 26 ottobre 2010, n. 1142;
id., sez. VI, 4 aprile 2008 n. 1414;
T.A.R. Lazio - Roma, sez. I, 15 luglio 2013, n. 6997).

Nel caso concreto, come detto, le modifiche progettuali valorizzate dal ricorrente riguardano soltanto la specificazione dei limiti massimi di trattamento per ciascuna delle linee di recupero già previste nel progetto originario, nel rispetto comunque del limite massimo complessivo di 50.000 t/a già indicato da quest'ultimo.

Anche in questo caso, parte ricorrente non ha né allegato né dimostrato che tali modifiche rivestissero un’incidenza significativa e negativa sull'ambiente o sulla salute umana. Non si può pertanto ritenere che, nel caso concreto, si dovesse procedere ad una nuova verifica di assoggettabilità a VIA.

In conclusione, per tutte le ragioni illustrate, il ricorso deve essere respinto.

9.- La complessità delle questioni affrontate induce il Collegio a disporre la compensazione delle spese di giudizio.

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