TAR Roma, sez. 1B, sentenza 2023-12-09, n. 202318520

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1B, sentenza 2023-12-09, n. 202318520
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202318520
Data del deposito : 9 dicembre 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 09/12/2023

N. 18520/2023 REG.PROV.COLL.

N. 02711/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2711 del 2019, integrato da motivi aggiunti, proposto da
F A, M A, E A, G B, P B, G C, R C, D C, G C, M C, G M C, R C, G C, Andrea D'Aversa, A D, G D M, L S D S, G E, M F, D F, L G, C G, R I, G I, V L, F M, G M, D M, A M, D N, M P, Lucio Pelle', G L P, M M P, M P, L P, G F Q, R R, G Rondella, Francesco Rossi, Roberto Saccoia, Gregorio Salomone, Eugenio Santarpia, Luca Saponaro, Sinesio Sardelletto, Sandro Sbordoni, Alberto Torsello, Cristian Travaglini Acquaviva, G Venneri, Luigi Viola, Luca Volpone, Giosuè Zamperla, rappresentati e difesi dall'avvocato Michela Scafetta, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero della Difesa, in persona del Ministro p.t. pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

- del silenzio illegittimamente serbato dal Ministero della Difesa sull’istanza presentata dagli odierni ricorrenti in data 8 gennaio 2019, volta ad ottenere il riconoscimento dei benefici di cui all’art. 1 comma 1 e segg. L. 29 marzo 2001 n. 86, nonché per l’accertamento dell’obbligo di provvedere della resistente P.A., mediante l’adozione di un provvedimento espresso e per il risarcimento del danno da ritardo causato dall’inattività del Ministero dell’Economia e delle Finanze;

- per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da Capasso Rocco, Cesarano Giovanni, Cicchinelli Marco, Gugliotta Carmelo, I Roberto, Mandorino G, P Giovanni Luca, Rossi Francesco, Sbordoni Sandro e Volpone Luca il 15.10.2019:

per l’annullamento

del provvedimento di cui al Prot. n. M-D E24094 REG2019 0052005 datato 18.6.2019, in corso di notifica ai ricorrenti, notificato ad oggi ai signori Capasso Rocco, Cesarano Giovanni, Cicchinelli Marco, Gugliotta Carmelo, Mandorino G, Rossi Francesco, Sbordoni Sandro e Volpone Luca, con il quale lo Stato Maggiore dell'Esercito Dipartimento Impiego del Personale – Ufficio Formazione e Politica d’Impiego ha stabilito che “giuste le Sentenze n. 1470/19 del Consiglio di Sato e n. 196/19 del T.A.R. Friuli Venezia Giulia, le S.A., nel confermare la validità del provvedimento d’impiego del personale riepilogato in Annesso, ne hanno disposto la conversione con efficacia “ex tunc” in provvedimento d'autorità(…) Hanno riconosciuto la parziale prescrizione del credito vantato dai ricorrenti (…)”;

del provvedimento prot. n. Prot. n. M_D E24094 REG2019 0062166, datato 18.7.2019, notificato ai signori I e P in data 30.7.2019, avente ad oggetto la medesima comunicazione del provvedimento che precede;


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 novembre 2023 il dott. C V e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con l’atto introduttivo del presente giudizio, notificato in data 20 febbraio 2019 e depositato il successivo 5 marzo 2019, i n. 51 militari in epigrafe generalizzati - in precedenza dislocati presso differenti Reggimenti e Reparti dell’Esercito ubicati presso varie sedi, le quali, in diverse epoche e con distinti provvedimenti di riordino adottati dal Ministero della Difesa, erano state soppresse - esponevano di avere “subito” il trasferimento ad altra sede di servizio e lamentavano l’illegittimità del silenzio – inadempimento serbato dall’Amministrazione intimata sull’istanza dai predetti avanzata in data 8 gennaio 2019, per ottenere la corresponsione dell’indennità di cui all’art. 1, comma 1, della legge n. 86 del 2001 a mente del quale “1. Al personale volontario coniugato e al personale in servizio permanente delle Forze armate, delle Forze di polizia ad ordinamento militare e civile e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, agli ufficiali e sottufficiali piloti di complemento in ferma dodecennale di cui al Codice dell'ordinamento militare emanato con decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, e, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 28, comma 1, del decreto legislativo 19 maggio 2000, n. 139, al personale appartenente alla carriera prefettizia, trasferiti d'autorità ad altra sede di servizio sita in un comune diverso da quello di provenienza, compete una indennità mensile pari a trenta diarie di missione in misura intera per i primi dodici mesi di permanenza ed in misura ridotta del 30 per cento per i secondi dodici mesi”.

Conseguentemente, chiedevano a questo Tribunale:

- di accertare “l’obbligo di provvedere della resistente P.A.”;

- di condannare “ la resistente P.A. ad emettere il provvedimento amministrativo ad hoc per il caso di specie”;

- di “accertare per l’effetto il diritto soggettivo” in capo ai predetti “a percepire il trattamento economico per il trasferimento d’autorità previsto dall’art. 1 primo comma e segg. L. 29 marzo 2001, n. 86 alla data di avvenuto trasferimento agli attuali reggimenti, oltre interessi legali e la rivalutazione, annullare il provvedimento impugnato”.

2. In punto diritto parte ricorrente deduceva:

I) Violazione dell’art. 1 comma 1 e segg. L. 83 del 29 marzo 2001, eccesso di potere per motivazione insufficiente ed incongrua, erroneità dei presupposti, illogicità, irrazionalità e travisamento dei fatti;

II) Eccesso di potere per incongruità, illogicità, irragionevolezza, manifesta ingiustizia. Eccesso di potere per errore e/o carenza nei presupposti di fatto, erronea valutazione e/o travisamento della situazione di fatto, difetto e insufficienza di istruttoria ed errore sul metodo di accertamento. Eccesso di potere per disparità di trattamento, ingiustizia manifesta e incongruità. Illegittimità derivata.

III) Violazione dell’art. 2, della l. n. 241 del 1990, nonché violazione dei principi di cui agli artt. 97 e 24 della costituzione. Eccesso di potere per sviamento. Eccesso di potere per disparità di trattamento, illogicità, carenza di istruttoria, irragionevolezza, omessa valutazione dei presupposti e contraddittorietà. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della l. 29 dicembre 2000, n. 401 e dell’art. 30 del d.lgs. 17 agosto 1999, n. 368.

Parte ricorrente, in particolare, menzionava il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale, in fattispecie analoghe a quella oggetto di causa, ove il trasferimento di unità di personale sia destinato a soddisfare prioritariamente un interesse dell'Amministrazione militare e dell'ordinamento in generale, la dichiarazione di gradimento del personale rispetto ad una nuova sede di possibile destinazione costituisce soltanto una mera manifestazione di assenso o di disponibilità alla nuova collocazione (Cfr. sez. IV, 19/12/2008, n. 6405 e, da ultimo, sez. IV 07/02/2011 n. 814;
più recentemente Cons. Stato, 1.3.2023, n. 2204).

La manifestazione di gradimento del dipendente interessato, pertanto, non consente di qualificare il trasferimento come “a domanda” ma al contrario ne conferma la natura di trasferimento “d’autorità” , in quanto motivato sulla base delle esigenze pubblicistiche che lo spostamento, a seguito della soppressione di un reparto preesistente, mira a soddisfare, esigenze che non corrispondono ad aspirazioni personali del militare ma ad un interesse di riorganizzazione della stessa Forza Armata che, per varie ragioni in concreto verificabili, non intende più conservare l’operatività di un certo Reparto o di una determinata sede.

3. Con atto depositato in data 23 maggio 2019 si costituiva con comparsa di stile il Ministero della Difesa, astenendosi - nel prosieguo della causa - dal produrre memorie e/o documenti.

4. Alla camera di consiglio del 14 giugno 2019 - nel corso della quale il Presidente indicava possibili profili di inammissibilità del ricorso, ai sensi dell’art. 73, u.c., c.p.a. la causa veniva rinviata su istanza del difensore dei ricorrenti.

5. Con motivi aggiunti depositati in data 15 ottobre 2019, previamente notificati in data 16 settembre 2019, soltanto alcuni dei ricorrenti originari (i cui nominativi sono meglio in epigrafe specificati) – pari a n. 10 – domandavano l’annullamento del provvedimento con cui, in data 18 giugno 2019, il Ministero della Difesa aveva convertito il provvedimento di impiego del personale riepilogato in Annesso in “provvedimento d’autorità” con efficacia ex tunc ma, nel contempo, aveva eccepito la parziale prescrizione del credito vantato dai ricorrenti.

6. Seguiva in data 28.4.2020 la produzione di una memoria da parte dei ricorrenti, volta a replicare ai profili di inammissibilità sollevati d’ufficio, e, ancora, il deposito di un’ “istanza di rinuncia al ricorso” da parte dei signori Cesarano, Gugliotta, Saponaro, Sbordoni e Quarticelli.

Alla camera di consiglio del 29 aprile 2020 la causa veniva trattenuta in decisione.

7. Con sentenza non definitiva n. 4806 del 7.5.2020 la Sezione dichiarava inammissibile il ricorso proposto dai ricorrenti avverso il silenzio ai sensi dell’art. 117 c.p.a., basandosi sui seguenti argomenti:

a) alcuna domanda risultava essere stata proposta, in termini diretti, per l’accertamento del diritto soggettivo alla corresponsione del trattamento economico di cui all’art. 1 della legge n. 86 del 2001;
al contrario, come sopra evidenziato, i ricorrenti avevano chiesto l’accertamento dell’illegittimità del silenzio dell’Amministrazione e la conseguente condanna di quest’ultima a provvedere, emettendo “il provvedimento amministrativo”; a seguito di tale domanda, l’accertamento del diritto risultava richiesto esclusivamente “per l’effetto” (tanto che il ricorso depositato è stato persistentemente iscritto nel ruolo camerale, senza contestazione alcuna ad opera degli interessati);

b) non si riscontravano, peraltro, motivi per ammettere che il rito sul silenzio potesse sfociare in udienza pubblica tramite la c.d. “conversione del rito”, di cui all’art. 117, comma 5, dato che tale conversione è prevista solo se nelle more risulti adottato un provvedimento (il cui intervento è, pertanto, meritevole di essere configurato quale “presupposto di fatto”, specificamente individuato dal legislatore ai fini della trasmigrazione del giudizio nelle forme ordinarie).

Per queste ragioni la sentenza non definiva l’intera controversia e disponeva, oltre che l’inammissibilità del ricorso ex art. 117 c.p.a., la conversione del rito ex art. 32 c.p.a., per la prosecuzione della causa secondo il rito ordinario e per la trattazione dei motivi aggiunti.

8. Poiché sulla base del tenore del provvedimento impugnato con i motivi aggiunti e dalle dichiarazioni di sopravvenuto difetto di interesse depositate per conto di diversi dei ricorrenti, sembrava doversi evincere che, almeno per una parte degli interessati, la pretesa al pagamento dell’indennizzo di cui all’art. 1, comma 1 e seguenti Legge n. 83 del 29 marzo 2001 fosse stata soddisfatta dal Ministero resistente, con le ordinanze collegiali n. 13553 del 2021 e n. 9126 del 2022, la Sezione richiedeva all’Amministrazione una relazione di aggiornamento sui fatti di causa idonea ad inquadrare le diverse posizioni dei militari ricorrenti (con riguardo alla data del trasferimento, ad eventuali somme riscosse titolo di indennità di trasferimento, alla rispettive assegnazioni dei diversi ricorrenti a nuova sede ecc.).

La richiesta istruttoria, tuttavia, restava priva di riscontro.

9. Quindi, con memoria versata in atti in data 29.5.2023, è stato il procuratore dei ricorrenti ad avere fornito alcune delle informazioni già sollecitate dal Collegio con le due ordinanze menzionate, indicando, in particolare, per ciascuno dei ricorrenti ancora interessati alla definizione della causa: il Comune di ubicazione della sede di servizio soppressa;
il Comune ove era ubicata la sede alla quale ciascun militare ricorrente era stato “illo tempore” assegnato;
la data del trasferimento di ciascun militare.

Nella medesima memoria parte ricorrente ha indicato i seguenti nominativi degli originari ricorrenti che non avevano più interesse alla definizione della presente causa, “avendo percepito l’indennità pretesa”: BOVENZI PASQUALE;
CAPASSO ROCCO;
CESARANO GIOVANNI;
CICCHINELLI MARCO;
CONVERTINO GIOVANNI;
D’AVERSA ANDREA;
DI MARCO GABRIELE;
GUGLIOTTA CARMELO;
INSIRELLO ROBERTO;
MANCUSO FELICE;
PETREMOLO GIOVANNI LUCA;
PUCCIO LORENZO;
QUARTICELLI GRAZIA FLORIANA;
RONDELLA GIUSEPPE;
SACCOIA ROBERTO;
SALOMONE GREGORIO;
SAPONARO LUCA;
SBORDONI SANDRO;
ZAMPERLA GIOSUE’.

10. In vista dell’udienza di merito il difensore dei ricorrenti ha depositato richiesta di passaggio in decisione senza discussione orale.

All’udienza pubblica del giorno 8 novembre 2023 il Collegio ha prospettato possibili profili di inammissibilità del ricorso collettivo e cumulativo e quindi, vista anche la richiesta di passaggio in decisione depositata per la parte ricorrente e viste le conclusioni delle parti, ha trattenuto la causa per la decisione.

11. La questione posta da parte ricorrente (irritualmente introdotta nelle forme del ricorso “contra silentium”, il che, come esposto, ha determinato la necessità di procedere alla conversione del rito con la sentenza non definitiva n. 4806/2020) riguarda la spettanza ai numerosi ricorrenti in epigrafe indicati (che non siano stati nelle more soddisfatti come da elenco fornito dalla stessa difesa dei ricorrenti, cfr. memoria del 30.5.2023) della indennità di trasferimento di cui all’art. 1, comma 1, Legge n. 86 del 2001 a mente del quale “1. Al personale volontario coniugato e al personale in servizio permanente delle Forze armate, delle Forze di polizia ad ordinamento militare e civile […OMISSIS…], trasferiti d'autorità ad altra sede di servizio sita in un comune diverso da quello di provenienza, compete una indennità mensile pari a trenta diarie di missione in misura intera per i primi dodici mesi di permanenza ed in misura ridotta del 30 per cento per i secondi dodici mesi”.

Va ricordato che per effetto della novella legislativa di cui al comma 163 dell’art. 1, L. 24 dicembre 2012, n. 228, è stato inserito il comma 1-bis nel tessuto dell’art. 1, comma 1, legge n. 86 cit. il quale prevede che, a decorrere dal 1° gennaio 2013, “1-bis. L'indennità di cui al comma 1 nonché ogni altra indennità o rimborso previsti nei casi di trasferimento d'autorità non competono al personale trasferito ad altra sede di servizio limitrofa, anche se distante oltre dieci chilometri, a seguito della soppressione o dislocazione dei reparti o relative articolazioni”.

Secondo la tesi ricorsuale, l’indennità “de qua” spetta agli interessati anche a seguito del mutamento della sede di servizio dovuto a soppressione del reparto di appartenenza e in presenza di clausole di gradimento della nuova sede, purché ricorrano gli ulteriori presupposti individuati dalla norma - ovvero una distanza fra la nuova e l'originaria sede di servizio superiore ai 10 chilometri e l'ubicazione in comuni differenti e non confinanti dovendosi così interpretare la formulazione normativa di “limitrofi” introdotta con il comma 1 bis dal 1 gennaio 2013 (vedi da ultimo Cons. Stato, II, 1.3.2023, n. 2204).

La posizione azionata da ciascuno dei ricorrenti nella presente causa sulla base della norma citata deve qualificarsi come di diritto soggettivo atteso che “l'indennità di cui si discute integra pacificamente una posizione di diritto soggettivo in capo all'avente titolo, che trova diretto fondamento nel dettato legislativo, e la conseguente attività amministrativa si presenta del tutto vincolata e subordinata alla mera verifica della sussistenza dei presupposti di legge, ne deriva che il momento dal quale il diritto può essere fatto valere deve essere individuato in ogni scadenza mensile successiva al trasferimento, fino alla scadenza dei ventiquattro mesi in cui, in base all'art. 1, comma 1, della L. n. 86 del 2001, deve essere corrisposta l'indennità in questione" (T.A.R. Napoli, sez. VII, n. 4627 dell'11/07/2022 che richiama, in proposito, Consiglio di Stato sez. IV, sent. 1470/2019, cit.).

12. Ciò premesso questo Collegio deve in primo luogo rilevare che il ricorso è stato proposto da un elevato numero di militari (ben 51) e che, di costoro, soltanto n. 10 hanno proposto successivamente motivi aggiunti (v. supra).

Secondo consolidata giurisprudenza ( ex multis Consiglio di Stato, Sez. III, 08/07/2014, n. 3471), chi agisce in giudizio per affermare un proprio diritto (quando si tratti di azione di accertamento di un diritto, come nella specie) deve contestualmente affermare i fatti costitutivi di quello, e cioè l'accadimento in concreto dei fatti previsti in astratto dalla norma, fermo restando che sarà poi questione di merito accertare se i fatti dedotti siano veramente accaduti e se integrino la fattispecie. Ove ciò non si verifichi, si determina una situazione di sostanziale difetto di uno dei requisiti legali della domanda (o condizione dell'azione) che è già di per sé ostativa ad un esame nel merito del ricorso individuale e che si aggrava naturalmente nel caso di ricorso collettivo.

In sostanza, anche in un'ottica non improntata al formalismo, la mancata specificazione, almeno nei tratti essenziali, dei fatti che connotano la posizione di ciascuno dei soggetti che ricorrono collettivamente, preclude al giudice amministrativo di entrare nel merito della pretesa e quindi, anche di esperire l'eventuale attività istruttoria necessaria per valutarne la fondatezza.

In effetti, nella specie, alcune rilevanti informazioni non erano presenti nell’inziale corredo di allegazioni e documenti forniti da parte ricorrente né sono state integrate in sede di proposizione dei motivi aggiunti poiché i dati in questione (sedi e reparti di rispettiva provenienza e di trasferimento, date dei rispettivi provvedimenti, esistenza di pagamenti ecc.) sono stati forniti (parzialmente) soltanto nell’approssimarsi dell’udienza di merito, con la menzionata memoria di parte ricorrente del 30.5.2023.

Invero, la mancata allegazione di fatti sui quali si assume che si fondi il diritto del quale si chiede il riconoscimento in giudizio, rende non percettibile la sussistenza del “titolo” e della connessa legittimazione, potendo determinare l’inammissibilità del ricorso.

13. Tuttavia, anche ove non si consideri e non si approfondisca tale aspetto e si vogliano ritenere sufficienti i dati forniti in corso di causa ai fini della definizione del ricorso collettivo proposto, il Collegio non può non osservare che, proprio sulla base degli elementi istruttori da ultimo allegati da parte ricorrente, ha trovato conferma, in modo palese, l’eterogeneità delle situazioni di fatto e dei rapporti di servizio afferenti a ciascun ricorrente.

In particolare: per i numerosi nominativi (n. 19) sopra elencati è venuto meno l’interesse al ricorso per intervenuto pagamento dell’indennità di trasferimento.

Tuttavia non è dato sapere le date dei rispettivi pagamenti e quindi il Collegio non è stato messo in condizione di conoscere se le erogazioni siano avvenute, almeno in alcuni casi, prima della proposizione dei motivi aggiunti, se non addirittura prima della proposizione del ricorso introduttivo.

Altro dato pacificamente acquisito alla causa riguarda la diversità e pluralità delle sedi di servizio soppresse che vengono in rilievo nella presente causa le quali riguardano comuni, in prevalenza, dell’Italia centrale (Chieti, L’Aquila, Firenze, Figline Valdarno ecc.) ma anche del nord (Pinerolo, Novara) e del sud (S. Stefano in Aspromonte). Del pari assolutamente eterogenei e sparsi in tutta Italia sono i reparti di prima destinazione individuati a seguito delle soppressioni dei precedenti reparti di rispettiva appartenenza.

E’ emerso, inoltre, che i vari trasferimenti risalgono a momenti molto diversi e si sono succeduti a notevole distanza di tempo gli uni dagli altri (vedi la memoria citata pag. 4 e ss.). Si hanno infatti ordini di trasferimento risalenti al luglio e all’ottobre del 2012 (Acconcia, Davide, Di Stefano, Fusco, Izzo, Lamparelli ed altri), per arrivare al trasferimento più recente che è datato 15.2.2015 (Medde), a sua volta preceduto da diverse date “intermedie” (anni 2013 e 2014) con riguardo ad altri interessati (Nicosia, Sbardelletto, Torsello ecc.).

In un caso poi il trasferimento risalirebbe addirittura all’1.10.2010 (Mandorino).

Non ci si può, infine, astenere dall’osservare che i motivi aggiunti (depositati il 15.10.2019) sono stati proposti soltanto da alcuni degli originari ricorrenti (precisamente dieci) e che con essi è stato impugnato il provvedimento dello Stato Maggiore dell’Esercito (Dipartimento Impiego del Personale) prot. n. 0052005 del 18.6.2019, destinato a numerosi Comandi e Reggimenti militari (e non ai singoli dipendenti), nel quale si prende atto delle sentenze del Consiglio di Stato n. 1470/2019 e del TAR Friuli Venezia Giulia n. 196/2019, contenenti affermazioni di principio che paiono confermare (anche) la tesi degli odierni ricorrenti affermando tuttavia, nel contempo, che i crediti all’indennità di trasferimento sono soggetti a prescrizione quinquennale e che, pertanto, spetta l’indennità in questione “ nella misura dovuta per la parte non prescritta”.

14. Considerati gli elementi sopra enucleati, ad avviso del Collegio, l’inammissibilità del gravame nel suo complesso e degli stessi motivi aggiunti emerge e va dichiarata in applicazione dei principi che presiedono alla proposizione del ricorso collettivo e cumulativo.

Al riguardo occorre tenere presente che, secondo principi consolidati elaborati dalla giurisprudenza, il ricorso giurisdizionale collettivo, presentato da una pluralità di soggetti con un unico atto, è ammissibile nel solo caso in cui siano riscontrabili, cumulativamente, un requisito di segno negativo, consistente nell’assenza di una situazione di conflittualità di interessi, anche solo potenziale, per effetto della quale l’accoglimento della domanda di alcuni dei ricorrenti sarebbe logicamente incompatibile con l’accoglimento delle istanze degli altri, nonché un requisito di segno positivo, consistente nell’identità delle posizioni sostanziali e processuali dei ricorrenti, essendo necessario che le domande giurisdizionali siano identiche nell’oggetto, che gli atti impugnati abbiano lo stesso contenuto e che vengano censurati per gli stessi motivi (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 18 marzo 2021, n. 2341).

Orbene, sul piano della identità delle posizioni sostanziali e processuali quanto esposto nel precedente paragrafo induce a ritenere che tale identità non sia stata integrata nella specie, fin dall’originaria proposizione del gravame e che, per effetto del successivo evolversi della vicenda processuale, tale carenza di unitarietà delle posizioni e degli interessi si sia venuta ad aggravare ulteriormente.

E’ sufficiente rammentare le poc’anzi menzionate differenze tra i reparti di rispettiva appartenenza oggetto di soppressione e tra le date dei vari trasferimenti per rendersi conto che tali differenze di fatto non possono non riflettersi sulle situazioni sostanziali e sulle posizioni processuali facenti capo a ciascuno dei ricorrenti, differenziandole fortemente. La diversità di date, in primo luogo, espone all’eccezione di prescrizione alcune delle posizioni azionate e non altre: vi sono trasferimenti risalenti al 2010, 2012, al 2013 e al 2014 rispetto ai quali la prescrizione quinquennale potrebbe apparire in effetti maturata al momento della notificazione all’atto interruttivo del 7.1.2019 (doc. 1 ric.), mentre altrettanto non può dirsi per i trasferimenti attuati negli anni successivi.

Non solo.

Le date incidono anche sul diverso regime giuridico applicabile a taluni ma non ad altri ricorrenti.

Infatti si applica soltanto dall’1.1.2013 il comma 1-bis dell’art. 1 legge n. 86 del 29 marzo 2001 a mente del quale “ 1-bis L'indennità di cui al comma 1 nonché ogni altra indennità o rimborso previsti nei casi di trasferimento d'autorità non competono al personale trasferito ad altra sede di servizio limitrofa, anche se distante oltre dieci chilometri, a seguito della soppressione o dislocazione dei reparti o relative articolazioni 4.”. Come recentemente osservato dal TAR Sardegna, Sez. I, con sentenza del 22/08/2023, n. 627, “ Secondo un ormai consolidato e convincente indirizzo giurisprudenziale, dal quale non vi è ragione di discostarsi, il citato comma 1-bis va interpretato con le categorie del comma 1, dando rilievo all'ambito comunale;
in sostanza, in caso di soppressione, se la nuova sede è posta in comune non confinante (cioè non limitrofo) l'indennità spetta (Cons. Stato, Sez. II, n. 6219 del 26.6.2023Cons. Stato, Sez. II, Sent., (data ud. 21/03/2023) 26/06/2023, n. 6219;
id., n. 743 del 23.1.2023, cit., e n. 6836 del 4.8.2022);
invece se la nuova sede è ubicata in comune confinante (limitrofo) non spetta anche se la seconda sede dista più di 10 km (Cons. Stato, Sez. IV, 12.4.2019, n. 2383;
più risalenti: Cons. Stato, Sez. IV, nn. 4344/2018, 4350/2018, 4351/2018, 4352/2018, 4353/2018, 4354/2018, 4355/2018, 4609/2018 e 4619/2018;
Cons. Stato, Sez. II, 4.8.2022, n. 6836, cit.)”.

Consegue da ciò che la contemporanea presenza di trasferimenti ante 2013 e trasferimenti post 2013 esclude l’identità delle posizioni giuridiche azionate alla luce della disposizione legislativa sopravvenuta.

A maggior ragione ove si ponga attenzione al passaggio della sentenza della Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 29 gennaio 2016, n. 1 (v. par. 5.1), laddove si afferma, ben più radicalmente, che “dal 1 gennaio 2013, la soppressione (o la diversa dislocazione) dei reparti (e delle relative articolazioni), cui consegua il trasferimento d'autorità del personale interessato alla movimentazione, ai sensi del menzionato comma 1-bis, in nessun caso può consentire il pagamento di qualsivoglia emolumento (previsto a titolo di rimborso spese o indennità), collegato a tale mutamento di sede di servizio”.

Sotto altro aspetto deve anche considerarsi la non identità di motivi tra tutti i (residui) ricorrenti atteso che, come già detto, soltanto alcuni dei ricorrenti originari hanno proposto anche i motivi aggiunti così differenziando e incrementando l’ambito delle proprie censure e allegazioni rispetto a quello proprio dei restanti ricorrenti che, non avendo tutti rinunciato o manifestato il venir meno del loro interesse alla decisione, versano in una differente posizione processuale anche sotto tale profilo.

Peraltro le allegazioni di parte ricorrente non sono state in grado di indicare le ragioni alla base del rifiuto ministeriale di pagare le indennità riferite a ciascuno dei ricorrenti.

E’ rimasto cioè oscuro e non distinto caso per caso, anche con riguardo a ricorrenti che hanno conservato l’interesse alla pronuncia di questo TAR, se l’indennità non sia stata a corrisposta per intervenuta prescrizione (possibilità plausibile in rapporto alla motivazione esposta nell’atto impugnato con i motivi aggiunti) ovvero perché ritenuta non spettante in radice in relazione alle diverse circostanze dei vari casi ovvero perché il credito era stato estinto per intervenuto pagamento.

Può dunque concludersi, prima e a prescindere dalla improcedibilità per sopravvento difetto di interesse delle varie domande facenti capo ai ricorrenti sopra nominati che hanno ricevuto il pagamento in corso di causa, che sia il ricorso e che i motivi aggiunti proposti sono inammissibili per (palese) carenza del requisito di segno positivo che deve necessariamente sorreggere la proposizione del ricorso collettivo e cumulativo (avente cioè ad oggetto diverse domande volte alla tutela dei plurimi e distinti diritti soggettivi rispettivamente azionati dai vari titolari) e, cioè, del requisito consistente nell’identità delle posizioni sostanziali e processuali dei ricorrenti, essendo necessario che le domande giurisdizionali siano identiche nell’oggetto, che gli atti impugnati abbiano lo stesso contenuto e che vengano censurati per gli stessi motivi (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 18 marzo 2021, n. 2341).

Quanto al ricorso cumulativo, seppur con argomenti riferiti nella specie ivi trattata ad un ricorso collettivo impugnatorio per la tutela di interessi legittimi (e non avente ad oggetto diritti soggettivi come nel caso qui in disamina), l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Ad. Plen. n. 5 del 2015).

ha avuto modo di chiarire che “Nel processo amministrativo impugnatorio (...) la regola generale è che il ricorso abbia ad oggetto un solo provvedimento e che i vizi – motivi si correlino strettamente a quest’ultimo, salvo che tra gli atti impugnati esista una connessione procedimentale o funzionale (da accertarsi in modo rigoroso onde evitare la confusione di controversie con conseguente aggravio dei tempi del processo, ovvero l’abuso dello strumento processuale per eludere le disposizioni fiscali in materia di contributo unificato), tale da giustificare la proposizione di un ricorso cumulativo (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 26 agosto 2014, n. 4277;
Sez. V, 27 gennaio 2014, n. 398;
Sez. V, 14 dicembre 2011, n. 6537)”
.

Alla luce di quanto esposto, anche a seguito della conversione del rito, il ricorso (al pari dei motivi aggiunti) si rivela inammissibile, come anticipato, perché proposto in violazione dei principi che presiedono alla proposizione del ricorso collettivo e cumulativo, in considerazione: dell’eterogeneità delle situazioni fattuali e dei rapporti giuridici alla base delle pretese avanzate dai vari ricorrenti;
del diverso regime giuridico applicabile “ratione temporis” alle diverse situazioni;
dell’eterogeneità delle posizioni dei ricorrenti;
della eterogeneità dei motivi facenti capo solo ad una parte dei ricorrenti (stante la proposizione dei motivi aggiunti soltanto da parte di alcuni di essi).

15. In conclusione, il ricorso e i motivi aggiunti sono inammissibili per le ragioni sopra esposte.

Può disporsi la compensazione delle spese processuali in considerazione della complessiva vicenda processuale.

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