TAR Roma, sez. I, sentenza 2019-12-09, n. 201914067

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. I, sentenza 2019-12-09, n. 201914067
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201914067
Data del deposito : 9 dicembre 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 09/12/2019

N. 14067/2019 REG.PROV.COLL.

N. 07253/2017 REG.RIC.

N. 07800/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7253 del 2017, integrato da motivi aggiunti, proposto da
Aruba S.p.A. e Aruba Pec S.p.A., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dagli avv.ti A S e A B, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Lorenzo Magalotti, 15;

contro

Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui è domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;



sul ricorso numero di registro generale 7800 del 2017, proposto da
Aruba S.p.A. e Aruba Pec S.p.A., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dagli avv.ti A S e A B, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Lorenzo Magalotti, 15;

contro

Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui è domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

quanto al ricorso n. 7253 del 2017:

con ricorso introduttivo e motivi aggiunti:

- del provvedimento sanzionatorio n. 26626 adottato dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato in data 30 maggio 2017, notificato in data 15 giugno 2017;

- di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale ivi compresi il provvedimento di avvio del procedimento istruttorio PS/10339 comunicato alle ricorrenti in data 8 novembre 2016, il provvedimento di rigetto della proposta con impegni adottato dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato in data 1° febbraio 2017, la comunicazione di chiusura dell'istruttoria in data 15 marzo 2017;

quanto al ricorso n. 7800 del 2017:

con ricorso introduttivo e motivi aggiunti:

- del provvedimento sanzionatorio n. 26626 adottato dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato in data 30 maggio 2017, notificato in data 15 giugno 2017;

- di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale ivi compresi il provvedimento di avvio del procedimento istruttorio PS/10339 comunicato alle ricorrenti in data 8 novembre 2016, il provvedimento di rigetto della proposta con impegni adottato dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato in data 1° febbraio 2017, la comunicazione di chiusura dell'istruttoria in data 15 marzo 2017.


Visti i ricorsi i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’AGCM;

Visti tutti gli atti delle cause;

Relatrice la dott.ssa Laura Marzano;

Uditi, nell'udienza pubblica del giorno 20 novembre 2019, i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.


FATTO

Aruba commercializza on line in Italia e all’estero, sul sito aruba.it, servizi c.d. IP ( Internet Protocol ) tra i quali servizi di registrazione di nomi a dominio, servizio hosting, data center, cloud etc.;
commercializza, altresì, sul medesimo sito prodotti della controllata Aruba Pec, quali posta elettronica certificata, firme digitali, fatturazione PA, conservazione sostitutiva di documenti.

A seguito di n. 4 segnalazioni – delle quali n. 2 da parte di consumatori - pervenute a partire dal 24 dicembre 2015, l’Autorità avviava, in data 8 novembre 2016, il procedimento PS 10339 ipotizzando la violazione della normativa prevista dal Codice del Consumo sulla base di quattro differenti condotte:

1. per aver proceduto al rinnovo di identiche promozioni senza soluzione di continuità;

2. per non avere avvertito i consumatori del diritto di recesso loro spettante;

3. per avere inserito nella procedura di acquisto servizi opzionali preselezionati;

4. per aver previsto l’attivazione del rinnovo automatico dei contratti in base a specifiche modalità di pagamento scelte dal consumatore.

All’esito del procedimento, nel corso del quale le società presentavano memorie e veniva richiesto il parere dell’AGCom, rigettata la proposta di impegni presentata in data 27 dicembre 2016, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato adottava la delibera n. 26626 in data 30 maggio 2017, con cui accertava la sussistenza delle quattro ipotizzate condotte, ne vietava la continuazione o diffusione e irrogava sanzioni pecuniarie che le ricorrenti prontamente pagavano.

Le condotte accertate e sanzionate venivano così descritte:

a) (par. II.5) Nella presentazione delle offerte i Professionisti indicano la durata delle promozioni pubblicizzate per i servizi offerti. Tali promozioni, però, vengono frequentemente rinnovate alla scadenza, ovvero presentate come valevoli sino a una certa data, ma una volta scadute vengono riproposte alle medesime condizioni, per analoghi periodi successivi a seguire, in violazione degli artt. 20, 23 comma 1, lettera g) del Codice del Consumo;
sanzione irrogata ad Aruba e Aruba pec, in solido, € 240.000,00;

b) (par. II.6) Nella fase precontrattuale i Professionisti non adempiono ad alcuni obblighi previsti dal Codice del Consumo: il diritto di recesso senza costi e/o penali entro 14 giorni dalla conclusione del contratto relativamente alla fornitura di servizi, non è indicato né sul web né nelle condizioni generali di contratto, né dunque riconosciuto. Nel caso dell'acquisto di prodotti Aruba il diritto di ripensamento e il rimborso per le relative somme anticipate, invece, sono riconosciuti al consumatore;
non vengono indicati i costi, in caso di ripensamento, rimborsati o al contrario addebitati al consumatore (es. costi di personalizzazione del prodotto, spese di spedizione ed altro), in violazione degli artt. 49 comma 1, lettera h), 52 comma 1, 53 comma 1, 56 del Codice del Consumo;
sanzione irrogata ad Aruba e Aruba pec, in solido, € 230.000,00;

c) (par. II.7a) Nella procedura d'ordine online Aruba ha posto in essere la seguente condotta: l'inserimento di alcuni servizi opzionali preselezionati, non scelti dal consumatore e disattivabili solo su sua iniziativa, in violazione degli artt. 26 comma 1 lettera J) (fino al 13 giugno 2014) e art. 65 (successivamente) del Codice del Consumo;
sanzione irrogata soltanto ad Aruba € 300.000,00;

d) (par. II.7b) Nella procedura d'ordine online i Professionisti hanno posto in essere la seguente condotta: l'attivazione della modalità di rinnovo automatico del contratto nel momento in cui il consumatore sceglie determinati mezzi di pagamento, quali carta di credito o Paypal , nonostante, nella fase iniziale della procedura d'ordine, gli sia stata data la possibilità di determinare la durata del proprio contratto, scegliendo una delle opzioni proposte dal sistema (da un minimo di 1 anno ad un massimo di 5 anni). Tale procedura, così predisposta da Aruba e Aruba pec, induce il consumatore a ritenere erroneamente che il contratto da lui sottoscritto (ad esempio per i servizi hosting, data center e posta elettronica certificata) sia a tempo determinato secondo la durata da lui prescelta, ma al momento della conclusione dell'ordine, selezionando i suddetti mezzi di pagamento viene attivata la modalità di rinnovo automatico del contratto, in contrapposizione alla propria scelta iniziale di durata determinata. Tale modalità è visualizzata sul modulo web di acquisto come opzione “preflaggata” immodificabile, senza che il consumatore l'abbia volontariamente e specificamente scelta, con la conseguenza che egli è costretto a subire il rinnovo automatico in relazione alla scelta dei suddetti mezzi di pagamento. Questa condizione non è indicata nella conferma d'ordine che il professionista invia automaticamente tramite posta elettronica al consumatore una volta concluso l'acquisto. Condotta in violazione degli artt. 20, 24, 25 comma 1, lettera d) e 26 comma 1, lettera f) del Codice del Consumo;
sanzione irrogata Aruba e Aruba pec, in solido, € 230.000,00.

Il provvedimento in discorso, unitamente agli atti presupposti, è stato impugnato dalle società Aruba S.p.A. e Aruba PEC S.p.A. con un primo ricorso, notificato via pec in data 26 luglio 2017 e depositato il successivo 27 luglio, all’Autorità sia presso la sede sia presso l’Avvocatura dello Stato, nonché con un secondo identico ricorso, notificato questa volta a mezzo del servizio postale in data 1 agosto 2017 e depositato il successivo 7 agosto.

Il ricorso (trattasi di identico gravame) è affidato ai seguenti motivi.

1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 27 del Codice del Consumo e dell’art. 9 del Regolamento di cui alla delibera AGCM del 1° aprile 2015 n. 25411;
eccesso di potere per sviamento, contraddittorietà, disparità di trattamento;
carenza di istruttoria, travisamento dei fatti, irragionevolezza manifesta.

Sarebbe illegittimo e immotivato il rigetto degli impegni. Inoltre, avendo sanzionato distintamente 4 diverse condotte, anche nel rigetto degli impegni l’Autorità avrebbe dovuto, per ciascuna delle predette condotte, separatamente valutare l’istanza di definizione con impegni e motivare il diniego, senza utilizzare la ritenuta “manifesta scorrettezza” di una condotta per rigettare l’istanza relativamente ad un’altra condotta. Infine, il provvedimento di rigetto sarebbe illegittimo per disparità di trattamento, avendo l’AGCM in altri casi accolto proposte di definizione con impegni da soggetti già precedentemente sanzionati, di dimensioni ben maggiori e per comportamenti dalla potenzialità lesiva enormemente superiore rispetto a quella contestata alle ricorrenti.

2. Violazione e falsa applicazione dell’art. 14 L. 689/81;
eccesso di potere per sviamento, decadenza dal potere sanzionatorio, tardività della contestazione.

L’Autorità avrebbe contestato gli illeciti alle ricorrenti ben oltre il termine previsto dall’art. 14 della L. 689/81, ossia novanta giorni dalla conoscenza del fatto. Nel caso di specie la prima segnalazione pervenuta all’Autorità è del 24 dicembre 2015, l’ultima del maggio 2016, relativa a condotte ante dicembre 2015;
viceversa la contestazione dei presunti illeciti alle ricorrenti è avvenuta solo in data 8 novembre 2016. D’altra parte, ove le contestazioni effettuate si ritenessero fondate per il periodo successivo all’8 agosto 2016 (90 giorni prima dell’8 novembre 2016, data di contestazione alle ricorrenti), le eventuali sanzioni andrebbero ridotte in maniera corrispondente alla diminuzione della durata dell’illecito.

3. Violazione e falsa applicazione degli artt. 20, 23, 24, 25, 26, 49, 52, 53, 56, 65 del Codice del Consumo;
eccesso di potere per sviamento;
difetto di istruttoria;
insussistenza delle violazioni contestate.

In ogni caso non sussisterebbero le violazioni al Codice del Consumo contestate dall’Autorità, per le ragioni partitamente esposte per ciascuna condotta.

4. Violazione e falsa applicazione dell’art. 27 del Codice del Consumo;
violazione dell’art. 11 L. 689/81;
violazione dei principi di proporzionalità e parità di trattamento;
eccesso di potere per carenza di istruttoria, travisamento dei fatti e sviamento;
difetto di motivazione.

In subordine, la quantificazione delle sanzioni irrogate sarebbe errata e illegittima sotto numerosi profili.

Con motivi aggiunti notificati il 13 settembre 2017 le ricorrenti hanno integrato il terzo motivo di ricorso, in particolare soffermandosi sulla quarta condotta, ossia “Rinnovo automatico del contratto in ragione della scelta di specifici metodi di pagamento”.

L’AGCM si è costituita formalmente soltanto nel secondo dei rubricati giudizi.

In vista della trattazione del merito la parte ricorrente ha depositato in entrambi i giudizi identica memoria conclusiva.

All’udienza pubblica del 20 novembre 2019 l’Avvocatura dello Stato ha verbalizzato la propria costituzione formale anche sul secondo ricorso, non sollevando obiezioni sulla intervenuta notifica di due identici gravami, e ha svolto le sue difese oralmente, alle quali la parte ricorrente ha replicato nel corso della discussione.

All’esito le cause sono state trattenute in decisione.

DIRITTO

1. Preliminarmente deve essere disposta la riunione dei giudizi atteso che l'unica contesa sostanziale ha dato vita a due processi solo formalmente distinti;
invero qualora la stessa causa venga proposta due volte davanti al medesimo ufficio giudiziario ed entrambi i procedimenti siano pendenti, i due giudizi (identici) devono essere riuniti, anche d'ufficio, onde prevenire l'inutile ripetizione di attività processuali ed eventuali contrasti di giudicati (v. T.A.R. Liguria, Sez. I, 6 ottobre 2017, n. 750).

2. Passando all’esame del merito, quanto al primo motivo il Collegio rileva che l’Autorità ha motivato il rigetto degli impegni presentati in data 27 dicembre 2016, “in quanto essi risultano relativi a condotte, che per varietà e numerosità delle violazioni contestate, nonché per manifesta gravità e scorrettezza di alcune di esse — servizi “preflaggati” e rinnovo automatico del contratto sulla base degli strumenti di pagamento scelti -, ove venissero accertate, potrebbero integrare fattispecie per le quali l'articolo 27, comma 7, come anche richiamato dall'articolo 66, comma 3, del Codice del Consumo, non può trovare applicazione”.

Osserva il Collegio che la riportata motivazione, incentrata sulla particolare rilevanza delle fattispecie oggetto di esame, è espressione dell’ampio potere discrezionale di cui l’Autorità dispone nell'accogliere o nel respingere le offerte di impegno a cessare dal comportamento scorretto, da parte dei soggetti che risultano destinatari dell'apertura di una procedura di infrazione.

Tale lata discrezionalità si estrinseca, più nel dettaglio, in una duplice direzione: anzitutto nell'accertare se il caso, per la sua gravità intrinseca e per la natura manifesta della scorrettezza accertata, merita in ogni caso la finalizzazione del procedimento sanzionatorio, che resterebbe altrimenti inibita dall'accettazione della dichiarazione di impegno;
in secondo luogo, nella valutazione dei contenuti specifici della dichiarazione espressiva dello ius poenitendi (cfr., ex multis , Cons. Stato, 21 marzo 2018, n. 1820;
T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 22 marzo 2018, n. 3186).

La suddetta discrezionalità non viene meno a seguito dell’interlocuzione procedimentale in concreto intervenuta, che non è idonea a creare uno specifico affidamento del professionista in ordine all’accettazione degli impegni (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 22 luglio 2019, n. 9700).

Invero, in presenza di pratiche scorrette non può essere disconosciuto il diritto dell’Autorità, corrispondente ad un suo ampio spazio di discrezionalità amministrativa, di scegliere di proseguire il procedimento e di concluderlo con un provvedimento sanzionatorio, che rappresenta il modo più appropriato per enunciare principi e regole di condotta utili a prevenire future pratiche commerciali scorrette, analoghe a quelle già in istruttoria (cfr. Cons. stato, Sez. VI, 21 marzo 2018, n. 1820).

Nel caso di specie l’Autorità ha infatti motivato l'interesse a procedere all'accertamento delle infrazioni, avuto riguardo alla manifesta gravità e scorrettezza di alcune di esse, specificamente indicate, senza che fosse necessario valutare gli impegni proposti con riferimento a ciascuna delle condotte.

Né è ravvisabile la dedotta disparità di trattamento rispetto ad altre ipotesi in cui l’AGCM ha accolto proposte di definizione con impegni sia perché non emerge dal ricorso la predicata identità di situazioni sia in considerazione della fisiologica complessità e peculiarità delle valutazioni compiute in materia dall’Autorità, in relazione alle quali, pur in presenza di elementi di analogia, risulta ordinariamente esclusa l’identità dei casi, così che il richiamo alle diverse decisioni assunte in altri procedimenti non è idoneo di per sé a tradursi, come tertium comparationis, in un vizio di legittimità della valutazione negativa intervenuta in una diversa ipotesi (cfr. per il principio, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 9 gennaio 2015, n. 238).

Il motivo è, dunque, infondato.

3. Con il secondo motivo le ricorrenti lamentano la violazione del termine di novanta giorni dalla conoscenza del fatto, previsto dall’art. 14 L. 689/81 che, a loro dire, invaliderebbe l’intero procedimento o, quanto meno, la parte con la quale sono state sanzionate le condotte relative al periodo antecedente all’8 agosto 2016 (coincidente con i 90 giorni prima dell’8 novembre 2016, data di contestazione). La parte ricorrente fa presente che la prima segnalazione pervenuta all’Autorità in relazione alle condotte di Aruba è del 24 dicembre 2015, l’ultima del maggio 2016, relativa a condotte anteriori al dicembre 2015 laddove la contestazione dei presunti illeciti alle ricorrenti è avvenuta solo in data 8 novembre 2016, ossia dopo 11 mesi dalla prima segnalazione.

Aggiunge che, essendo il sito aruba.it ininterrottamente visibile ed accessibile on line, 24 ore su 24 per 365 giorni l’anno, e riportando le condizioni di contratto per ogni prodotto e servizio in vendita, sarebbe stato onere dell’AGCM accedere tempestivamente al sito internet e fare le opportune verifiche così come sarebbe stato suo onere dedicarsi alla lettura di testi contrattuali, sempre visibili sul sito internet aruba.it, non essendo a suo dire necessarie indagini fattuali.

La tesi non merita condivisione in quanto, nel caso di specie, erano contestate quattro condotte che, pur essendo autonome funzionalmente, erano comunque collegate tra loro e presentavano una complessità tale da necessitare, prima di procedere alla formale contestazione, di verifiche e approfondimenti adeguati e puntuali anche nell’interesse delle parti coinvolte.

In proposito il Collegio richiama la giurisprudenza della Sezione, da cui non ravvisa motivi per discostarsi, secondo cui il fatto che l'AGCM deliberi l'avvio dell'istruttoria a distanza di vari mesi dalla segnalazione della possibile infrazione non può in alcun modo essere considerato come una violazione dei diritti delle imprese coinvolte, né un superamento dei termini procedimentali, in quanto la stessa valutazione dell'esigenza di avviare o meno l'istruttoria può presentarsi complessa;
inoltre, anche a voler ritenere applicabile l'invocato termine di 90 giorni, previsto dal comma 2 dell'art. 14, L. 689/1981, esso comunque decorre non già dalla notizia del fatto sanzionabile, ma dall'acquisizione della piena conoscenza della condotta illecita (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 25 ottobre 2018, n. 10328).

Dunque anche il secondo motivo deve essere respinto.

4. Con il terzo motivo, articolato nel ricorso introduttivo e ampliato nei motivi aggiunti, la parte ricorrente si sofferma sulle singole condotte accertate dall’Autorità, proponendo argomentazioni volte a sconfessarne partitamente la scorrettezza.

4.1. Quanto alla prima condotta, ossia alla ripetizione di identiche promozioni senza soluzione di continuità, la parte ricorrente sostiene che l’AGCM avrebbe interpretato ed applicato in modo errato l’art. 23, comma 1, lett. g) del Codice del Consumo;
infatti nessuna delle promozioni di Aruba conterrebbe dichiarazioni tali da lasciar intendere al consumatore che, scaduta la promozione, il prodotto/servizio non sarebbe più stato disponibile o la promozione non sarebbe stata resa più disponibile alle medesime condizioni. Inoltre le promozioni avevano una durata da un minimo di 15 giorni ad un massimo di due mesi, ossia una durata non qualificabile “molto limitata nel tempo” come invece richiesto dalla norma in esame.

La censura è del tutto infondata atteso che l’Autorità ha espressamente rilevato, dalle evidenze istruttorie, che l'attività promozionale condotta da Aruba e Aruba pec tra il 2014 e il 2016 è stata sostanzialmente improntata alla logica della ripetizione anche prolungata delle offerte, presentate in promozione al fine di attrarre il consumatore, inducendolo però ogni volta a ritenere che, essendo l'offerta temporanea, questi dovesse assumere una decisione immediata per poter usufruire della promozione, che non sarebbe stata più disponibile (cfr. par. 75). Mentre, in merito alle nuove campagne promozionali, avviate da Aruba e Aruba pec a partire dal 1° dicembre 2016, l’AGCM ha constatato che le promozioni erano o totalmente nuove o prive del carattere della ripetibilità.

Né coglie nel segno la tesi della parte ricorrente per cui la ripetizione delle promozioni non avrebbe creato alcun danno ai consumatori atteso che, per giurisprudenza costante, ai fini della configurazione dell’illecito non occorre l’analisi degli effetti prodotti dalla condotta, essendo invece sufficiente che, sulla base di un giudizio prognostico, la stessa sia ritenuta idonea ad incidere potenzialmente sulle scelte dei consumatori;
ciò in quanto nell'assetto di interessi disciplinato dal D.Lgs. 206/2005, le norme a tutela del consumo delineano una fattispecie «di pericolo», essendo preordinate a prevenire le possibili distorsioni delle iniziative commerciali nella fase pubblicitaria, prodromica a quella negoziale, sicché non è richiesto all'Autorità di dare contezza del maturarsi di un pregiudizio economico per i consumatori, essendo sufficiente la potenziale lesione della loro libera determinazione (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 6 febbraio 2017, n. 1877).

Correttamente l’Autorità ha ritenuto la condotta in rassegna contraria alla diligenza del professionista ai sensi dell’art. 20, comma 2, del Codice del Consumo, in quanto non conforme al livello di competenza e attenzione ragionevolmente esigibili in base ai principi di correttezza e di buona fede che dovrebbero generalmente informare le condotte commerciali di un operatore dello specifico settore di attività.

Al riguardo il Collegio ricorda la funzione del Codice del Consumo, quale immediato presidio del libero orientamento delle scelte del consumatore, ovvero della sua libertà di scelta nell'ambito economico, in quanto " l'onere di completezza e chiarezza informativa previsto dalla normativa a tutela dei consumatori richiede che ogni messaggio rappresenti i caratteri essenziali di quanto mira a reclamizzare e sanziona la loro omissione, a fronte della enfatizzazione di taluni elementi, qualora ciò renda non chiaramente percepibile il reale contenuto ed i termini dell'offerta o del prodotto, così inducendo il consumatore, attraverso il falso convincimento del reale contenuto degli stessi, in errore, condizionandolo nell'assunzione di comportamenti economici che altrimenti non avrebbe adottato ” (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 8 gennaio 2013, n. 106).

Grava, dunque, sul soggetto che offre un prodotto o una prestazione l'onere di rendere disponibili tutte le informazioni rilevanti ai fini dell'adozione di una scelta consapevole da parte del consumatore, secondo una valutazione ex ante che prescinde sia dall'idoneità della condotta ingannevole rispetto alle effettive competenze dei soggetti che sono specificamente venuti in contatto con l'operatore, sia dal concreto danno ad essi procurato dovendo pertanto le complessive condizioni dell’offerta essere chiaramente ed immediatamente percepibili da parte del consumatore (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 15 luglio 2016, n. 8159).

4.2. In merito alla pratica sub b), ossia al mancato adempimento degli obblighi sul diritto di ripensamento, le ricorrenti sostengono che la violazione non sussisterebbe poiché i Professionisti avrebbero addirittura ampliato le tutele previste dal Codice del Consumo riconoscendo a tutti i clienti indistintamente la facoltà di recedere dai contratti in qualsiasi momento e senza penali. Si tratterebbe di facoltà più favorevole al consumatore rispetto al diritto di ripensamento, potendo essere esercitata ben oltre i 14 giorni dalla conclusione del contratto.

Anche detta censura è del tutto infondata.

Invero, come correttamente osservato dall’Autorità, il ripensamento costituisce una tutela particolare per il cliente nei cosiddetti contratti a distanza o fuori dai locali commerciali, in quanto riconosce al consumatore la facoltà di poter sciogliere unilateralmente il vincolo contrattuale entro 14 giorni dalla sottoscrizione del contratto senza andare incontro a penali e senza dover addurre motivazioni (par. 80) mentre la disciplina generale relativa al recesso, prevista dall'art. 1373 c.c., non presuppone un effetto retroattivo ma produce la sua efficacia ex nunc e diviene irrevocabile nel momento in cui viene esercitato e divenuto produttivo di effetti (par. 81).

Ciò posto, il tipo di recesso previsto da Aruba, su cui non vi è contestazione, si riferisce alla cessazione unilaterale da parte del consumatore durante la fase di esecuzione del contratto, con la conseguenza che le obbligazioni assunte con la sottoscrizione vanno rispettate;
l’Autorità ha, infatti, rilevato che, nel caso specifico, la disattivazione del servizio aveva efficacia entro 30 giorni dalla ricezione della comunicazione del cliente e l'eventuale rimborso riguardava il rateo dell'importo pagato corrispondente al numero dei giorni non utilizzati a cui erano detratti i costi sostenuti e/o da sostenere.

Osserva il Collegio che, con tutta evidenza, si tratta di istituto totalmente diverso dal diritto di ripensamento, in cui, entro 14 giorni dalla sottoscrizione del contratto, il consumatore ha la facoltà dì revocare l'ordine, ottenendo la restituzione dell'intero prezzo pagato: tale ontologica e sostanziale differenza dei due istituti e dei relativi effetti non può dunque essere elisa, come erroneamente sostenuto dalla parte ricorrente, dal fatto che il recesso previsto da Aruba avesse efficacia ex tunc .

Condivisibilmente l’Autorità ha, pertanto, ritenuto che alla mancata informazione contrattuale in merito alla facoltà del cliente di esercitare il diritto di ripensamento non si può supplire con la mera assunzione di un comportamento "disponibile", come sostenuto dai Professionisti, che avrebbero, comunque, accolto "nella maggior parte dei casi" le richieste di recesso, tenuto anche conto che, in assenza di informazione sul ripensamento, non tutti i consumatori che intendono sciogliere il rapporto contrattuale appena concluso sono indotti a "tentare" di chiederne comunque la cessazione (cfr. par. 87).

Né rileva la circostanza, valorizzata dalla parte ricorrente, che l’83,7% dei clienti Aruba è costituito da professionisti e imprese ai quali non si applica il Codice del Consumo in punto di informativa precontrattuale sul recesso;
invero, come già visto, ciò che rileva ai fini della configurazione dell’illecito non è l’analisi degli effetti prodotti dalla condotta, ma la sua idoneità ad incidere potenzialmente sulle scelte dei consumatori, a prescindere dal numero di questi che, di fatto, resti attinto dalla suddetta condotta. Inoltre le disposizioni in materia di pubblicità ingannevole non hanno la mera funzione di assicurare una reazione alle lesioni arrecate agli interessi del consumatore, ma si collocano su di un più avanzato fronte di prevenzione, essendo le stesse tese ad evitare effetti dannosi anche soltanto ipotetici;
pertanto la giurisprudenza ha escluso la necessità che risulti un pregiudizio economico derivante dalla pubblicità ingannevole (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 23 luglio 2019, n. 9835;
id. 14 novembre 2018, n. 10968;
id. 22 giugno 2018, n. 7000).

Ne consegue che la significatività statistica del dato percentuale dei consumatori o clienti destinatari della pratica non può assurgere ad elemento negativo e ostativo all'integrazione della fattispecie di una pratica commerciale scorretta;
in ogni caso è da escludere che l'assenza di serialità della pratica ne precluda la configurabilità come pratica “scorretta” o “aggressiva” ai sensi del Codice (cfr. da ultimo: T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 18 novembre 2019, n. 1316).

4.3. In ordine ai servizi opzionali “preflaggati”, (pratica sub c) è risultato che l' Antivirus , l' Antispam e il Backup forniti nel modulo d’ordine sono stati introdotti nel 2011, mentre la Whols Privacy nel 2012, e sono stati mantenuti nella medesima modalità nella procedura d'ordine online fino all'avvio del procedimento (8 novembre 2016), e ripristinati per il solo mese di marzo 2017.

L’Autorità ha fatto presente che con l'art. 65 del Codice del Consumo - novellato dal D.Lgs. 21/2014 di recepimento della Direttiva 2011/83/UE, novella entrata in vigore il 13 giugno 2014 e, quindi, applicabile ai contratti conclusi dopo tale data - per la prima volta è stato definito e descritto in maniera puntuale questo tipo di violazione, stabilendo che non possono essere introdotte opzioni “preflaggate” nei contratti e nelle forniture, per evitare le quali il consumatore debba essere costretto a rifiutarle, nel caso specifico a deselezionarle. Pertanto ha ritenuto che dal 14 giugno 2014 Aruba è responsabile della violazione consistente nell'aver predisposto un sistema in cui i suddetti servizi sono preselezionati e in tal modo venduti senza ottenere il consenso espresso del consumatore anche per il prezzo aggiuntivo, rispetto alla remunerazione concordata per la prestazione principale. Viceversa, per il periodo precedente al 14 giugno 2014, il sistema di preselezione dei servizi opzionali secondo l’Autorità ha rappresentato un indebito condizionamento del consumatore, idoneo a limitarne la libertà di scelta, inducendolo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso, in quanto si è tradotto nella richiesta del pagamento per servizi che il consumatore non ha indicato.

La parte ricorrente con il ricorso introduttivo contesta le conclusioni dell’Autorità con argomentazioni analoghe a quelle già svolte in sede procedimentale;
infatti esclude vi sia violazione perché il consumatore avrebbe la possibilità di deselezionare tali servizi, perché Aruba era sempre disponibile a rimuoverli anche dopo il pagamento e la conclusione del contratto, infine perché il presunto consenso doveva ritenersi espresso dal consumatore in ragione dei numerosi passaggi necessari per giungere alla conclusione del contratto e della richiesta finale di conferma del complesso della fornitura, inclusiva degli stessi.

Osserva il Collegio che si tratta di argomentazioni, già ritenute non valide dall’Autorità, che, diversamente da quanto opinato dalla parte ricorrente, non escludono ma confermano la scorrettezza della pratica;
invero Aruba attivava servizi opzionali “preflaggati” (fatto non contestato) che il consumatore non poteva evitare se non rifiutando espressamente la preselezione ( opt out ) tuttavia in assenza di sufficiente chiarezza informativa, con la conseguenza che il consumatore finiva con l’essere indotto ad accettare forniture non richieste e con l’essere costretto all’ulteriore disagio di dover esercitare successivamente il diritto di recesso.

Si tratta, a parere del Collegio, di una condotta che correttamente è stata ritenuta una violazione dell'art. 26, comma 1, lettera f) del Codice del Consumo fino al 13 giugno 2014 mentre, a partire da tale data, una violazione dell'art. 65 dello stesso Codice, che aveva ormai positivizzato il divieto di introdurre opzioni “preflaggate” nei contratti e nelle forniture, per evitare le quali il consumatore debba essere costretto a rifiutarle, nel caso specifico a deselezionarle ( opt out ).

4.4. In ordine alla condotta sub d), concernente i rinnovi automatici, la parte ricorrente contesta che sia stata posta in essere una modalità aggressiva di acquisizione del consenso al rinnovo automatico e sostiene che le conclusioni dell’Autorità sarebbero errate e frutto di sviamento in quanto non vi sono norme che pongono limiti di alcun tipo alla validità o legittimità di una clausola che preveda il rinnovo automatico del contratto. Inoltre non potrebbe sostenersi che la scelta della durata del contratto venga modificata per effetto della introduzione di una clausola che prevede il rinnovo automatico del contratto operata attraverso la scelta di una specifica modalità di pagamento atteso che, con o senza il rinnovo automatico, il contratto resta sempre a tempo determinato, così come la sua durata resta sempre quella scelta dal consumatore.

Sarebbe illogica anche l’affermazione per cui “La preflaggatura del rinnovo automatico non è liberamente scelta dal consumatore, che non può sottrarsi a tale modalità, se non cambiando mezzo di pagamento e optando per il bonifico bancario o il bollettino postale” atteso che, anche in questo caso, nessuna norma del Codice del Consumo pone in capo al professionista l’obbligo di applicare identiche clausole contrattuali in presenza di modalità di pagamento diverse. Non sussisterebbe neanche la violazione degli obblighi informativi sul rinnovo automatico. Il provvedimento sarebbe contraddittorio anche tenuto conto che riconosce che successivamente all’apertura dell’istruttoria (parr. 48,49, 50 e 116) le ricorrenti hanno posto fine all’asserita violazione.

Nei motivi aggiunti la parte ricorrente ha ribadito che la clausola di rinnovo automatico non sarebbe contraria alla diligenza professionale, come conferma il fatto che essa non è in alcun modo limitata dal nostro ordinamento, aggiungendo che l’Autorità non avrebbe motivato sul perché detta clausola sarebbe idonea a falsare il comportamento del consumatore e sul perché rappresenterebbe una violazione dell’art. 24 del Codice del Consumo.

Si tratta di censure complessivamente infondate.

Invero, ciò che l’Autorità contesta alle ricorrenti non è l’aver previsto la clausola di rinnovo automatico del contratto bensì le modalità aggressive e ingannevoli con le quali detta clausola veniva di fatto imposta al consumatore: la doglianza della parte ricorrente inerente la liceità in valore assoluto della clausola di rinnovo automatico è, dunque, eccentrica rispetto all’oggetto dell’accertamento in esame.

L’Autorità ha, infatti, accertato che la modalità di acquisizione del consenso al rinnovo automatico del contratto era aggressiva, in quanto secondo la procedura d'ordine online , al consumatore era offerta la possibilità di scegliere la durata preferita del proprio contratto, selezionando una delle opzioni predisposte (da 1 a 5 anni), ma, di fatto, nella fase finale della procedura di acquisto, tale scelta veniva modificata dal Professionista se il consumatore optava per un mezzo di pagamento (carta di credito o Paypal ), al quale era automaticamente connessa l'attivazione del rinnovo tacito. Infatti la “preflaggatura” del rinnovo automatico non era liberamente scelta dal consumatore, che non poteva sottrarsi a tale modalità, se non cambiando mezzo di pagamento e optando per il bonifico bancario o il bollettino postale.

Il provvedimento aggiunge che il mancato riferimento dell'attivazione del rinnovo automatico nella conferma d'ordine, inviata all'indirizzo email del cliente, in cui, invece, veniva riportata la durata del contratto inizialmente prescelta, non consentiva al consumatore di essere adeguatamente informato neppure a posteriori in merito a tale attivazione se non un paio di settimane prima del primo rinnovo attraverso una specifica comunicazione.

Osserva il Collegio che le valutazioni dell’Autorità appaiono persuasive laddove osservano che il prolungamento della durata contrattuale prescelta tramite rinnovo contrattuale, non deciso liberamente dal consumatore, determinava una fornitura non richiesta per un periodo ulteriore rispetto a quello prescelto. Condivisibilmente tale condotta è stata ritenuta una pratica commerciale scorretta in violazione degli artt. 20, 24, 25 comma 1, lettera d) e 26, comma 1, lettera f) del Codice del Consumo in quanto contraria alla diligenza professionale che può legittimamente attendersi da un operatore nel settore dell' information technology , nonché idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore inducendolo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso, tenuto conto delle caratteristiche dell'attività svolta e del fatto che Aruba, congiuntamente con “Aruba pec”, rappresenta, con 4.700.000 utenti, un operatore importante nel contesto del mercato italiano di riferimento.

In definitiva, l’accertamento che ha condotto all’adozione del provvedimento impugnato non era volto a porre in discussione la liceità della clausola di rinnovo automatico in sé considerata, bensì le complessive modalità operative in concreto seguite dal professionista per imporla al consumatore, sfruttando la posizione di asimmetria e di oggettiva debolezza nella quale viene a trovarsi lo stesso, perché ritenute idonee ad integrare una pratica commerciale scorretta e aggressiva ai sensi del Codice del Consumo.

In definitiva, si può convenire con l’AGCM sul fatto che le modalità di imposizione del rinnovo contrattuale automatico realizzavano una fattispecie di pratica commerciale scorretta, ai sensi degli artt. 20, 24, 25 comma 1 e 26 comma 1, lett. f) del Codice del Consumo, essendo in esse presenti gli elementi che la connotano, quali quello “strutturale”, rappresentato dall’indebito condizionamento, e quello “funzionale”, consistente nell’effetto distorsivo che la pratica induceva sulla libertà di scelta del consumatore (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 4 luglio 2012, n. 3904).

5. Con il quarto subordinato motivo la parte ricorrente censura la quantificazione delle sanzioni irrogate in quanto, a suo dire, sarebbe errata e illegittima sotto numerosi profili.

Innanzitutto l’Autorità avrebbe dovuto tener conto delle dimensioni economiche dell’impresa e modulare le sanzioni in relazione a dette dimensioni. Aruba ha fatturato nel 2015 € 80.000.000,00: di tale fatturato solo il 16% circa deriva da rapporti con consumatori mentre l’84% deriva da transazioni con professionisti o imprese.

In ogni caso i consumatori, rientranti nel suddetto 16% dei clienti, avrebbero ricevuto un ridottissimo pregiudizio dalle condotte ritenute illegittime, tanto che in 18 mesi l’Autorità ha ricevuto soltanto 4 segnalazioni per un danno, ipotizzabile per l’utente, di pochi euro.

In secondo luogo non avrebbe tenuto conto del comportamento delle ricorrenti che si sono immediatamente attivate per eliminare ogni possibile conseguenza derivante dalle condotte censurate, fin dall’8 novembre 2016, non appena ricevuta notizia dell’avvio dell’istruttoria;
infatti è stata immediatamente cessata la ripetizione di identiche promozioni e sono state avviate le attività tecniche per modificare le procedure di acquisto e/o gli stessi modelli contrattuali.

La quantificazione delle sanzioni sarebbe errata perché l’Autorità ha assunto come base di calcolo la somma dell’intero fatturato delle ricorrenti, anziché il fatturato derivato dai soli prodotti o servizi interessati dalla pratica contestata;
richiama a sostegno di tale tesi, Cons. Stato. 5 marzo 2015, n. 1104).

Il motivo è infondato.

Osserva il Collegio che, nella determinazione della sanzione, l’Autorità si è attenuta ai parametri di riferimento individuati dall’art. 11 della legge n. 689/81, in virtù del richiamo previsto all'articolo 27, comma 13, D.Lgs. n. 206/05: nello specifico, alla gravità della violazione, all’opera svolta dall’impresa per eliminare o attenuare l’infrazione, alla personalità dell’agente e alle condizioni economiche dell’impresa.

Con specifico riferimento alla gravità e alla durata, il provvedimento appare motivato sia nella parte specificamente dedicata alle singole sanzioni sia, più in generale, nei paragrafi dedicati all’esame della ricorrenza delle singole pratiche.

Esaminando le singole censure svolte dalla ricorrente il Collegio osserva quanto segue.

E’ infondata l’affermazione per cui l’Autorità non avrebbe tenuto conto dell’opera posta in essere per la eliminazione o l’attenuazione delle conseguenze della violazione e della impossibilità di presentare impegni;
la Sezione ha già avuto modo di chiarire che il comportamento meramente interruttivo non può essere ascritto ad un’ipotesi di ravvedimento operoso, il quale presuppone non il semplice venir meno della pratica commerciale scorretta ma una condotta attiva, tesa ad eliminare le conseguenze della precedente condotta, comportamento assente nel caso di specie (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 8 febbraio 2018, n. 1523).

Quanto alla censura inerente il fatturato considerato, innanzitutto l’Autorità ha preso atto che il bilancio di Aruba chiuso il 31 dicembre 2015 presentava ricavi delle vendite e prestazioni pari ad oltre 80 milioni di euro, mostrando un aumento di circa il 13% rispetto all'esercizio precedente e il bilancio di Aruba pec presentava ricavi delle vendite e prestazioni pari ad oltre 16 milioni di euro, cifra anch'essa in aumento di circa il 20% rispetto all'esercizio precedente.

Corretto appare il riferimento al fatturato di entrambe le imprese coinvolte, atteso che in materia di pratiche commerciali scorrette le sanzioni devono essere adeguate ed efficaci e, dunque, devono assolvere ad una concreta funzione dissuasiva (cfr., ex multis , T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 11 marzo 2016, n. 3101, che richiama pure l’orientamento della Corte di Giustizia UE, 16 aprile 2015, C-388/13).

Ciò cui, invero, deve tendere la sanzione è evitare che essa, perdendo altrimenti il suo scopo, divenga null’altro che un semplice “costo aziendale” agli occhi del soggetto cui è comminata, il quale pertanto (in tale prospettiva) non avrebbe alcuna particolare induzione al mutamento delle proprie condotte, potendo agilmente “assorbire” il suo peso afflittivo con elementari spostamenti o adeguamenti dei propri fattori produttivi (cfr. Cons. Stato, n. 1820/2018, cit.).

Come rilevato dalla difesa erariale nel corso della discussione orale, la pronuncia del Consiglio di Stato richiamata dalla parte ricorrente è rimasta isolata, tanto che la giurisprudenza è granitica nel ritenere che, nell’individuare le “condizioni economiche dell’impresa”, correttamente si fa riferimento alla sua dimensione economica e quindi al suo fatturato (cfr. da ultimo: Cons. Stato, Sez. VI, 1 ottobre 2019, n. 6566 che richiama id. 5 agosto 2013, n. 4085;
1id. 2 luglio 2011, n. 4202;
id. 8 marzo 2006, n. 1269).

E’ stato, invero, chiarito, con orientamento dal quale la Sezione non ravvisa elementi per discostarsi, che: “ i) «indice dell’effettiva condizione economica del professionista è il fatturato complessivamente realizzato nell’ultimo anno, in quanto esso fornisce un indice della specifica dimensione economica»;
ii) «diversamente, il dato dei soli ricavi introitati per il settore o per la vendita del prodotto interessato dalla condotta ingannevole è indicativo della mera condizione economica strettamente connessa alla condotta illecita e dipendente dalla buona riuscita o meno della pratica commerciale scorretta»;
iii) «attribuire rilevanza al fatturato quale parametro di commisurazione del quantum sanzionatorio consente il dispiegarsi dell’effetto deterrente e dissuasivo della sanzione medesima che deve, infatti, essere adeguata ed efficace per disincentivare condotte qualificabili come pratiche commerciali scorrette»;
iv) «viceversa, ‘ancorare’ l’ammontare della sanzione ai ricavi realizzati attraverso la vendita del prodotto oggetto della pratica commerciale scorretta potrebbe non dissuadere dal reiterare la condotta anti–consumeristica, laddove gli utili derivanti dal settore o prodotto rappresentino una minima parte di un fatturato complessivo ben più ampio ed esteso»
” (così Cons. Stato, Sez. VI, 7 marzo 2019, n. 1585 che richiama id. 16 agosto 2017, n. 4011).

Né può ritenersi sussista la dedotta sproporzione delle sanzioni irrogate atteso che le stesse rappresentano, complessivamente considerate, circa lo 0,26% del fatturato.

Neanche può essere condivisa la censura per cui i consumatori avrebbero ricevuto un ridottissimo pregiudizio dalle condotte ritenute illegittime, tanto che l’Autorità ha ricevuto soltanto 4 segnalazioni, atteso che la tutela offerta dal codice del consumo, in materia di pratiche ingannevoli e scorrette, ha natura preventiva ed è finalizzata ad evitare che gli effetti dannosi, anche soltanto ipotetici, possano prodursi in danno della generalità dei consumatori, dotati di media accortezza e non solo nei confronti di quelli dotati di maggiore avvedutezza o di particolari cognizioni merceologiche (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 10 gennaio 2019, n. 337).

Infine, per ragioni analoghe a quelle espresse al precedente punto 2, non può essere condotto un giudizio comparativo con la sanzione irrogata in altri casi stante l’assenza di identità di situazioni e la fisiologica complessità e peculiarità delle valutazioni compiute dall’Autorità nella quantificazione delle sanzioni.

In definitiva l’AGCM ha tenuto conto di tutte le circostanze caratterizzanti il caso di specie ed ha determinato le sanzioni nell’esercizio di una discrezionalità sindacabile, in sede giurisdizionale, solo nei limiti del travisamento o della macroscopica illogicità o della manifesta mancanza di proporzione, tale da indurre violazione dei criteri di determinazione della sanzione individuati all’art. 11 della L. 689/81, nel caso di specie non ravvisabili.

Conclusivamente, per quanto precede, il ricorso è infondato e va respinto.

6. Con riferimento al secondo ricorso deve osservarsi che il principio ne bis in idem , posto dall'art. 39 cod. proc. civ. e rispondente ad irrinunciabili esigenze di ordine pubblico processuale, non consente che il medesimo giudice o giudici diversi statuiscano due volte su identica domanda, e determina l'improcedibilità del processo che nasca dall'indebita reiterazione di controversia già in corso, imponendo la cancellazione dal ruolo della causa che risulti posteriormente iscritta (cfr. Cass. sez. lav., 3 aprile 2014, n. 7813).

Ne discende che il ricorso iscritto al n. 7800/2017 R.G. deve essere dichiarato improcedibile.

7. Le spese di entrambi i giudizi possono essere compensate stante la sostanziale assenza di attività difensiva scritta dell’amministrazione.

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