TAR Catania, sez. IV, sentenza 2022-03-30, n. 202200900
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Pubblicato il 30/03/2022
N. 00900/2022 REG.PROV.COLL.
N. 00768/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 768 del 2021, integrato da motivi aggiunti, proposto da -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di titolare dell’Azienda Agricola -OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati L A, G R, G I e C U M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
- il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
- l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa ope legis dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
- l’AGEA - Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura- in persona del legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa ope legis dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
- l’Assessorato Regionale dell'Agricoltura, dello Sviluppo Rurale e della Pesca Mediterranea - Dipartimento Regionale Agricoltura- -OMISSIS-, in persona dell’Assessore pro tempore rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l’annullamento
con riferimento al ricorso introduttivo del giudizio :
- dell’informativa interdittiva n. -OMISSIS-del 05.04.2021 comunicata al ricorrente in data 06.04.2021, con cui la -OMISSIS-ha adottato una informazione antimafia ai sensi degli artt. 84 comma 4, 89 bis e 91 comma 6 del d. lgs 159/2011 nei confronti della Azienda Agricola -OMISSIS-;
- del verbale del gruppo informativo antimafia interforze del 11.03.2021, richiamato nel provvedimento interdittivo;
- della nota del 09.04.2021 con cui l’Autorità Nazionale Anticorruzione ha comunicato alla ricorrente di aver proceduto all’annotazione nel casellario informatico del succitato provvedimento interdittivo;
con riferimento al primo ricorso per motivi aggiunti :
- del rapporto informativo della -OMISSIS-, recante prot. n. 51709 del 25 maggio 2021;
- della nota di Agea prot. n. -OMISSIS-del 31 maggio 2021, recante il provvedimento di decadenza dei contributi erogati e intimazione di restituzione delle somme indebitamente percepite adottato a carico della ditta ricorrente;
con riferimento al secondo ricorso per motivi aggiunti :
dell’informativa interdittiva n. -OMISSIS-del 21.09.2021, con cui la -OMISSIS-ha adottato una informazione antimafia ai sensi degli artt. 84 comma 4, 89 bis, 91 e 94 del d.lgs 159/2011 nei confronti della Azienda Agricola -OMISSIS-;
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Agea - Agenzia per Le Erogazioni in Agricoltura - e di Anac - Autorità Nazionale Anticorruzione e di Ministero dell'Interno - -OMISSIS-e di Ufficio Territoriale del Governo Catania e di Regione Siciliana - Assessorato Regionale Agricoltura Sviluppo Rurale e Pesca Mediterranea e di Regione Siciliana - Ispettorato Agricoltura Catania;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 dicembre 2021 e nella camera di consiglio riconvocata del 27 gennaio 2022, il dott. E C;
Uditi all’udienza pubblica del 16 dicembre 2021 i difensori delle parti, come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso ritualmente notificato e depositato, -OMISSIS-, nella qualità di titolare dell’omonima impresa agricola, domandava l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia cautelare degli effetti, dell’informativa interdittiva antimafia n. -OMISSIS-del 05.04.2021 (e degli atti ad essa presupposti), nonché della nota del 09.04.2021 con cui l’Autorità Nazionale Anticorruzione ha comunicato alla ricorrente di aver proceduto all’annotazione nel casellario informatico del succitato provvedimento interdittivo.
Il -OMISSIS-motivava la decisione sulla base di taluni elementi ritenuti indicativi di un pericolo di infiltrazione mafiosa (motivi che, seppur integrati da ulteriori elementi, fondano anche l’interdittiva n. -OMISSIS-del 21.09.2021 impugnata con il secondo ricorso per motivi aggiunti, che verranno esposti nella parte narrativa dedicata e ciò in ossequio al principio di sinteticità degli atti).
La ricorrente lamenta l’illegittimità della predetta informativa interdittiva antimafia per i seguenti motivi di diritto:
1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 27, 41, 97 della costituzione;violazione e falsa applicazione degli artt. 83 e ss. del d. lgs. 159/2011;violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della l. 241/90;eccesso di potere per difetto e carenza di motivazione, difetto d’istruttoria, difetto dei presupposti ed illogicità, violazione del principio di proporzionalità, ingiustizia manifesta.
Il provvedimento interdittivo si fonderebbe esclusivamente sulla circostanza che il marito della ricorrente (dott. -OMISSIS-) sarebbe un soggetto controindicato in grado di condizionare negativamente l’impresa della moglie (-OMISSIS-).
La difesa del ricorrente, in particolare, rileva: i) che il -OMISSIS- non riveste e non ha mai rivestito alcun ruolo all’interno della ditta ricorrente;ii) che la Prefettura non avrebbe fornito alcun principio di prova idoneo a far ritenere che il suddetto Dott. -OMISSIS- svolga un ruolo determinante nella vita dell’azienda;iii) che, in ogni caso, l’episodio di natura penale richiamato nell’informativa (condanna per rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento aggravato ex art. 7 l. n. 203/91 per aver agevolato la consorteria mafiosa) sarebbe privo del requisito dell’attualità in quanto verificatosi nel lontano -OMISSIS-, e che, nel corso degli anni, lo stesso ha tenuto una condotta specchiata e del tutto scevra da addebiti;iv) che il rapporto di coniugio, al pari di altri legami parentali, qualora non risulti suffragato da ulteriori elementi indiziari di un rischio di permeabilità mafiosa non può in nessun caso supportare un provvedimento di tale natura;v) che gli ulteriori elementi posti a fondamento dell’interdittiva (i.e. l’istanza della Procura di -OMISSIS-di condanna del -OMISSIS- per concorso esterno in associazione mafiosa per aver candidato alle -OMISSIS- nel -OMISSIS- soggetti legati a -OMISSIS-a, nonché la presenza nell’azienda della ricorrente del dipendente, sig. -OMISSIS-, coniuge convivente di -OMISSIS-, arrestata nel -OMISSIS- e poi condannata per favoreggiamento nei confronti del proprio amante – -OMISSIS-, latitante per reati di mafia) sono collegati anch’essi ad episodi risalenti nel tempo e non sono comunque sufficienti a sorreggere l’interdittiva;
2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 24, 41 e 97 della costituzione. violazione e falsa applicazione dell’art.3 legge 241/90. violazione e falsa applicazione dell’art. 84 comma 4 del d.lvo n.159/2011. violazione e falsa applicazione dell’art 89 bis e 91 del d.lvo 159/11. violazione e falsa applicazione dell’art. 83 comma 3 del d.lvo 159/2011. eccesso di potere per irragionevolezza ed illogicità, motivazione insufficiente - illogica, ingiustizia manifesta e difetto d’istruttoria. violazione e falsa applicazione della circolare del ministero dell’interno 18 novembre 1998, n. 559. violazione e falsa applicazione dell’art. 24 della l.n.241/90 e dell’art.3 d.m n.415/94.
Il provvedimento interdittivo impugnato sarebbe stato adottato in violazione della normativa antimafia e, in particolare, dei limiti previsti dalla stessa nell’individuazione tassativa delle ipotesi di esenzione o comunque dei casi in cui non deve procedersi alla verifica antimafia: i) in primo luogo, perché l’attività agricola svolta dalla ricorrente (nella forma di impresa individuale) sarebbe riconducibile alla figura del piccolo imprenditore di cui all’art. 2083 c.c. e, conseguentemente, assimilabile allo svolgimento di attività artigianale;ii) in secondo luogo, perché l’ammontare del contributo richiesto dalla ricorrente, pari ad € 40.000,00, non giustifica l’avvio dell’iter di acquisizione della documentazione antimafia, (sia comunicazione che informativa) trattandosi di importo di gran lunga inferiore rispetto al limite di 150.000,00 euro, oltre il quale occorre procedere alla richiesta di documentazione antimafia.
Più specificatamente, il provvedimento impugnato sarebbe, dunque, stato adottato in violazione dell’art. 83, comma 3, del D.Lgs. 159/2011 secondo cui “La documentazione antimafia (comunicazione o informazione) non deve essere acquisita nei seguenti casi (art. 83, co. 3 D. Lgs. 159/2011): (…) 4. per la stipulazione o approvazione di contratti e per la concessione di erogazioni a favore di chi esercita attività agricole o professionali, non organizzate in forma di impresa, nonché a favore di chi esercita attività artigiana in forma di impresa individuale e attività di lavoro autonomo anche intellettuale in forma individuale;5. per provvedimenti, gli atti, i contratti e le erogazioni il cui valore complessivo non supera i 150.000 Euro” .
Si costituivano in giudizio, con atto di mera forma del 20 maggio 2021, le Amministrazioni intimate con il patrocinio della Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania.
Con il primo ricorso per motivi aggiunti, depositati il 21 giugno 2021, la ricorrente impugnava la nota di Agea prot. n. -OMISSIS-del 31.05.2021, recante il provvedimento di decadenza dei contributi erogati e intimazione di restituzione delle somme asseritamente indebitamente percepite in ragione dell’interdittiva emessa, insistendo, quanto alla presunta inapplicabilità della normativa antimafia, sul fatto che l’attività agricola svolta nella forma dell’impresa individuale non rientrerebbe nelle ipotesi di cui all’art. 83, c. 3 bis, d.lgs. n. 159/2011, sostenendo che gli aiuti comunitari erogati per singola annualità sono inferiori a 150.000 euro e chiedendo, in subordine, di sollevare la questione di costituzionalità della citata norma e, per il resto, ribadendo le censure contenute nel ricorso introduttivo.
Con memoria del 24 maggio 2021, le Amministrazioni resistenti contestavano tutto quanto chiesto, formulato ed eccepito chiedendo il rigetto del ricorso in quanto infondato in fatto e in diritto.
In particolare, si sosteneva che: i) il provvedimento prefettizio è il risultato di una approfondita attività istruttoria ed è adeguatamente motivato;ii) si fonda su un quadro indiziario da cui emerge il rischio di permeabilità mafiosa della ditta (quanto meno in base al principio del “più probabile che non” );iii) per le domande di pagamento presentate sino al 18/11/2017 la normativa antimafia poneva un importo minimo dei contributi subordinati alla necessità del rilascio del provvedimento informativo-interdittivo, pari a Euro 150.000;detta soglia è stata abbassata a Euro 25.000 dall’art. 1, c. 1142, l. n. 205/2017 e ciò a valere per le istanze di contributi presentate sino al 31/12/2021 (v. d.l. n. 183/2020).
Con Ordinanza n. -OMISSIS-, il Tar adito – ritenendo sussistente il profilo del fumus boni iuris quanto al deficit motivazionale in ordine al coinvolgimento del coniuge della ricorrente nell’azienda agricola o all’esistenza di elementi che rendessero attuale il pericolo di infiltrazione mafiosa - accoglieva la domanda cautelare “(…) limitatamente all’obbligo di restituzione dei contributi, con l’onere dell’Amministrazione di P.S. di riesaminare la vicenda ai fini del rilascio di una nuova informativa che tenga conto dell’effettiva titolarità e/o cogestione dell’azienda agricola, del coinvolgimento del coniuge della ricorrente nell’attività e nella gestione dell’azienda, delle frequentazioni di entrambi i coniugi, dei dipendenti e dei parenti dei dipendenti, con personaggi appartenenti alla criminalità organizzata (…)” .
A seguito del remand, il -OMISSIS-emetteva l’informativa interdittiva n. -OMISSIS-del 21 settembre 2021, nei confronti della Azienda Agricola -OMISSIS-.
Il -OMISSIS-motivava la decisione sulla base di taluni elementi ritenuti indicativi di un pericolo di infiltrazione mafiosa:
a) l’Azienda Agricola avrebbe chiesto finanziamenti per complessivi euro 760.659,21, “cifra che si può ritenere incompatibile con aziende di limitate dimensioni” ;b) la ditta opererebbe anche in un settore economico-imprenditoriale ritenuto “ad alto rischio di infiltrazione come quello della ristorazione”;c) la ricorrente risulta essere coniuge convivente “ di -OMISSIS- (…), condannato per favoreggiamento e rivelazione di segreto d’ufficio nell’ambito dell’inchiesta volta ad acclarare le cointeressenze tra -OMISSIS- siciliana ed ambienti della locale politica” ;in particolare, il predetto -OMISSIS- avrebbe “informato (…) il noto boss mafioso -OMISSIS- e l’imprenditore -OMISSIS-di notizie riservate, relative ad indagini in corso nei loro confronti, per gravi fatti di mafia (…)” ;d) il -OMISSIS- nel 2010 sarebbe stato indagato per concorso esterno nell’indagine denominata “-OMISSIS- Bis” , indagine che, sebbene conclusa con un provvedimento di non luogo a procedere in ragione del principio del ne bis in idem, evidenzierebbe, in occasione delle -OMISSIS- del -OMISSIS-, l’esistenza di “alcuni soggetti legati a -OMISSIS- ed accettati da -OMISSIS- nelle liste a lui collegate” ;e) che il -OMISSIS- sarebbe l’effettivo dominus dell’impresa e ciò emergerebbe dai dati indicati nel profilo facebook di "-OMISSIS-" e dalla denominazione commerciale dell’azienda “Tenuta -OMISSIS-” , desumibile dal link del sito internet dell’azienda;f) la ricorrente avrebbe avuto “cointeressenze con -OMISSIS-, avendo detenuto, fino al -OMISSIS-, quote di partecipazione in aziende di proprietà del medesimo” ;g) la moglie di un dipendente dell’azienda sarebbe stata condannata per aver favorito la latitanza di un noto boss mafioso (in particolare, il Sig. -OMISSIS-, coniuge della sig. -OMISSIS- la quale, condannata per favoreggiamento in quanto amante del latitante -OMISSIS-, avrebbe ospitato quest’ultimo presso la propria abitazione);h) la convivenza tra i coniugi -OMISSIS- costituirebbe un indice di presunzione di cogestione della società che conseguentemente sarebbe “soggetta a rischio di condizionamenti” .
Avverso tale provvedimento - ritenendolo illegittimo – l’odierna ricorrente proponeva ricorso per motivi aggiunti (del 12 ottobre 2021), ricalcando sostanzialmente le stesse censure spiegate nell’atto introduttivo del giudizio e, più specificatamente:
1) violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 27, 41, 97 della costituzione;violazione e falsa applicazione degli artt. 83 e ss. del d. lgs. 159/2011;violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della l. 241/90;eccesso di potere per difetto e carenza di motivazione, difetto d’istruttoria, difetto dei presupposti ed illogicità, violazione del principio di proporzionalità, ingiustizia manifesta. elusione dell’OCI di codesto T.A.R. n. -OMISSIS- , atteso che la -OMISSIS-, in esecuzione dell’Ordinanza del TAR, avrebbe dovuto, procedere ad una nuova istruttoria, finalizzata all’individuazione di elementi – connotati dal carattere dell’attualità – idonei a dimostrare la concretezza del pericolo di infiltrazione mafiosa.
Di contro, l’Amministrazione di P.S. si sarebbe limitata a reiterare le argomentazioni contenute negli atti originariamente impugnati senza procedere ad alcuna attività istruttoria;ed infatti, “ la nuova interdittiva” richiamerebbe gli stessi documenti richiamati dalla “prima interdittiva” (ossia le riunioni del Gruppo Informativo Antimafia e i rapporti informativi).
Veniva poi sostenuto: i) che l’unico dominus dell’impresa è -OMISSIS-;di contro il -OMISSIS- rivestirebbe, all’interno dell’azienda, semplicemente “il ruolo tecnico di collaboratore familiare dell’impresa agricola e in quanto tale ha tutto l’interesse a promuovere l’attività e i prodotti dell’azienda” ;ii) che l’unica condotta contestata al -OMISSIS- risale a circa vent’anni addietro e che in questo lasso temporale lo stesso avrebbe tenuto una condotta “specchiata” .
In vista dell’udienza, le parti depositavano memorie con cui insistevano nelle proprie richieste ed eccezioni e confutando le difese avversarie.
All’udienza del 16 dicembre 2021, la causa veniva trattenuta in decisione e quindi alla riconvocata del 27 gennaio 2022 veniva definitivamente decisa.
DIRITTO
Interesse al ricorso. Esame congiunto delle censure.
In punto di interesse rileva preliminarmente il Collegio che seppure vi è stata una seconda interdittiva emessa a seguito del remand in sede cautalare, ciò nonostante gli effetti negativi discendenti già dalla prima intedittiva giustificano l’esame nel merito anche del ricorso introduttivo (contenente peraltro censure tralatiziamente ripetute anche nei motivi aggiunti).
D’altra parte, il Collegio procede all’esame congiunto dei motivi di ricorso (introduttivo e aggiunti) stante la stretta connessione logico-giuridica delle censure mosse ai provvedimenti impugnati che determina di fatto una sostanziale inscindibilità delle stesse, e ciò sempre nel pieno rispetto del principio della domanda (e del diretto corollario processuale della corrispondenza tra chiesto e pronunciato) e dell’obbligo del giudice di esaminare tutti i vizi di legittimità costitutivi il thema decidendum (in termini vedi Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 5 del 2015).
Sulla titolarità effettiva dell’impresa.
Preliminarmente, il Collegio procede all’esame della censura con cui viene contestato (finanche con il secondo ricorso per motivi aggiunti) il fatto che al -OMISSIS- è stato riconosciuto il ruolo di effettivo titolare dell’impresa.
La censura è infondata.
Mette conto evidenziare in primo luogo che sia dal profilo social dell'interessato che dal sito dell'impresa in esame risulta che il -OMISSIS- è l’effettivo titolare dell’impresa (nel profilo facebook di "-OMISSIS-" si legge "titolare presso Tenuta -OMISSIS-" );in secondo luogo, sempre sotto tale profilo, si evidenzia che, parte ricorrente, riconosce il ruolo “da protagonista” svolto dal -OMISSIS- all’interno dell’impresa.
Il Collegio osserva al riguardo che sebbene, nel ricorso introduttivo del giudizio veniva negata qualsiasi forma di interferenza dello stesso nelle attività imprenditoriali della moglie, nel ricorso per motivi aggiunti, si afferma che "la scelta – di indicare il nome di -OMISSIS- quale titolare dell’azienda agricola - è legata a ragioni di marketing pubblicitario, essendo comunque il cognome di -OMISSIS- dotato di una certa notorietà e diffusione ed in quanto tale dunque idoneo a promuovere ed attirare l'attenzione sui prodotti commercializzati dall'azienda ricorrente (...)" .
Tale scelta comprova – come correttamente rilevato dalla difesa erariale – “l'animus mostrato dalla titolare dell'azienda agricola consistente nella volontà di identificare la sua impresa con la persona del marito” .
Alla luce di quanto sopra esposto, la censura è destituita di fondamento prima ancora che in diritto, in punto di fatto, risultando incontrovertibile l’identificazione e l’immedesimazione organica di -OMISSIS- nell'impresa agricola di -OMISSIS-.
Sulla attività d’impresa svolta dalla -OMISSIS- – le limitate dimensioni eliminerebbero in “nuce” la possibilità per l’azienda di essere colpita da informativa. Sulla manifesta infondatezza della prospettata questione di costituzionalità dell’art. 83, c. 3 bis, d.lgs. n. 159/2011.
L’odierna ricorrente contesta (sia con il ricorso introduttivo del giudizio che con il primo ricorso per motivi aggiunti) che l’azienda agricola in questione non poteva essere destinataria di informativa interdittiva sia per le limitate dimensioni della stessa che per l’entità del contributo richiesto al di sotto dei minimi previsti dalla legge per l’emissione di un siffatto provvedimento restrittivo.
Anche questa censura è infondata.
Invero, ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 83, c. 1 [che rinvia all’art. 67, ivi compresa la lett. g] c. 3, lett. e) e c. 3 bis d.lgs. n. 159/2011, una azienda quale quella ricorrente, che, per lo svolgimento della propria attività, a tutti gli effetti di imprenditore, sia pur agricolo (v. art. 2135 c.c.), richiede contributi comunitari finalizzati al sostegno dell’agricoltura biologica e allo sviluppo di attività anche extragricole – v. ristorazione e residenzialità - (per importi complessivi di oltre Euro 700.000,00 Euro), non può certo ottenerne l’erogazione senza superare il vaglio della regolarità della documentazione antimafia.
D’altra parte, quanto alla manifesta infondatezza della questione di incostituzionalità dell’art. 83, c. 3 bis, d.lgs. n. 159/2011, prospettata in relazione alla presunta natura della ricorrente quale “piccola impresa individuale operante in campo agricolo”, senza concessione di terreni demaniali e dunque in tesi estranea al fenomeno della c.d. “-OMISSIS-” (ferma restando l’erronea interpretazione offerta dalla ricorrente della norma citata), il Collegio si limita a riportare testualmente il contenuto della sentenza della Corte Cost. n. 57/2020 (resa peraltro in un giudizio in cui la parte privata era difesa proprio da uno dei difensori dell’odierna parte ricorrente): “ La Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere (istituita con legge 19 luglio 2013, n. 87), nella relazione conclusiva del 7 febbraio 2018, ha rilevato che sono vulnerabili anche i mercati privati e in particolare i «settori connotati da elevato numero di piccole imprese, basso sviluppo tecnologico, lavoro non qualificato e basso livello di sindacalizzazione, dove il ricorso a pratiche non propriamente conformi con la legalità formale diviene prassi diffusa» (pag. 22). Soggiunge la Commissione che «[q]ui le mafie possono offrire diversi tipi di servizi alle imprese, come la protezione, l’elusione della libera concorrenza, il contenimento del conflitto con i lavoratori, l’immissione di liquidità. Tuttavia, nei mercati privati è possibile ravvisare anche le forme più evidenti di imprenditoria mafiosa, quando sono gli stessi boss, famiglie o affiliati ad assumere in vario modo il controllo delle imprese, investendo in attività legali i capitali ricavati da estorsioni e traffici illeciti. Le imprese mafiose rivelano un’elevata capacità di realizzare profitti proprio per la possibilità di avvalersi di mezzi preclusi alle imprese lecite nella regolamentazione della concorrenza, nella gestione della forza lavoro, nei rapporti con lo Stato, nella disponibilità di risorse finanziarie».
… Ne emerge un quadro preoccupante non solo per le dimensioni ma anche per le caratteristiche del fenomeno, e in particolare – e in primo luogo − per la sua pericolosità (rilevata anche da questa Corte: sentenza n. 4 del 2018). Difatti la forza intimidatoria del vincolo associativo e la mole ingente di capitali provenienti da attività illecite sono inevitabilmente destinate a tradursi in atti e comportamenti che inquinano e falsano il libero e naturale sviluppo dell’attività economica nei settori infiltrati, con grave vulnus, non solo per la concorrenza, ma per la stessa libertà e dignità umana. Le modalità, poi, di tale azione criminale non sono meno specifiche, perché – si desume sempre dalla giurisprudenza citata nella relazione – esse manifestano una grande “adattabilità alle circostanze”: variano, cioè, in relazione alle situazioni e alle problematiche locali, nonché alle modalità di penetrazione, e mutano in funzione delle stesse. ”.
Cenni di carattere generale sull’informativa antimafia – quadro normativo e giurisprudenziale.
Come è noto, l’interdittiva antimafia è il provvedimento con il quale il Prefetto, con l'obiettivo di tutelare l'economia da infiltrazioni della criminalità organizzata, esclude un imprenditore – che non risulta essere "affidabile" e, conseguentemente, non merita “la fiducia” delle Istituzioni - dalla possibilità di essere titolare di rapporti contrattuali con le Pubbliche Amministrazioni o di fruire di sovvenzioni pubbliche.
La ratio dell’istituto deve individuarsi nella salvaguardia dell'ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della Pubblica Amministrazione.
Ai fini dell'adozione del provvedimento interdittivo (quale provvedimento rimesso alla discrezionalità dell’Amministrazione di P.S.), rileva il complesso degli elementi concreti emersi nel corso del procedimento istruttorio, secondo una valutazione complessiva e unitaria, atteso che una visione “parcellizzata” di un singolo elemento, o di più elementi, non può che far perdere a ciascuno di essi la sua rilevanza nel suo legame sistematico con gli altri.
È estranea al sistema delle informative antimafia, non trattandosi di provvedimenti nemmeno latamente sanzionatori, qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio , poiché simile logica vanificherebbe la finalità anticipatoria dell'informativa, che è quella di prevenire un grave pericolo e non già quella di punire, nemmeno in modo indiretto, una condotta penalmente rilevante.
Il rischio di inquinamento mafioso deve essere valutato in base al criterio del "più probabile che non" , alla luce di una regola di giudizio, cioè, che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall'osservazione dei fenomeni sociali, qual è, anzitutto, anche quello mafioso.
Pertanto, gli elementi posti a base dell'informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione.
Quanto ai rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell'impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni mafiose, l'Amministrazione può dare loro rilievo laddove tale rapporto, per la sua natura, intensità, o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere, per la riferita logica del "più probabile che non" , che l'impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti) ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto con il proprio congiunto.
Nei contesti sociali in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all'interno della famiglia si può verificare una "influenza reciproca" di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza.
Una tale influenza può essere desunta non dalla considerazione (che sarebbe in sé errata e in contrasto con i principi costituzionali) che il parente di un mafioso sia anch'egli mafioso, ma per la doverosa considerazione, per converso, che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della “famiglia” , sicché in una “famiglia” mafiosa anche il soggetto che non sia attinto da pregiudizio mafioso può subire, nolente, l'influenza del “capofamiglia” e dell'Associazione.
Hanno, dunque, rilevanza circostanze obiettive (a titolo meramente esemplificativo, ad es., la convivenza, la cointeressenza di interessi economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti, che pur non abbiano dato luogo a condanne in sede penale) e rilevano le peculiari realtà locali, ben potendo l'Amministrazione evidenziare come sia stata accertata l'esistenza - su un'area più o meno estesa - del controllo di una 'famiglia' e del sostanziale coinvolgimento dei suoi componenti (a fortiori se questi non risultino avere proprie fonti legittime di reddito).
Con specifico riferimento poi alla questione del presunto requisito dell’attualità (e concretezza) dei fatti di reato risalenti nel tempo, la giurisprudenza più accorta ha avuto modo di rimarcare che i fatti sui quali si fonda l’interdittiva antimafia possono anche essere risalenti nel tempo nel caso in cui vadano a comporre un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l'esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata (cfr. Cons. St., sez. III, 2 gennaio 2020, n. 2 – Pres. Frattini, Est. Ferrari);ed infatti, “Il mero decorso del tempo, di per sé solo, non implica, (…), la perdita del requisito dell’attualità del tentativo di infiltrazione mafiosa e la conseguente decadenza delle vicende descritte in un atto interdittivo, né implica l’inutilizzabilità di queste ultime quale materiale istruttorio ai fini di un nuovo provvedimento”, occorrendo, piuttosto, la sussistenza di fatti nuovi di segno opposto ai precedenti e consolidati nel tempo in modo “da far virare in modo irreversibile l'impresa dalla situazione negativa alla fuoriuscita definitiva dal cono d'ombra della mafiosità”(cfr. Cons. Stato, sez. III, n. 4323/2015).
In altri termini: “il rischio di inquinamento mafioso si può considerare superato non solo e non tanto per il trascorrere di un considerevole lasso di tempo dai fatti contestati senza che sia emersa alcuna evenienza negativa, quanto anche e soprattutto per il sopraggiungere di fatti positivi… idonei a dar conto di un nuovo e consolidato operare del soggetto cui è stato ricollegato il pericolo, che persuasivamente e fattivamente dimostri l'inattendibilità della situazione rilevata in precedenza” (cfr. Cons. Stato, sez. III, n. 553/2015;TAR Campania, Napoli, sez. I, n. 653/2012;n. 103/2016;n. 1184/2016;n. 3462/2016).
È stato, peraltro, precisato al riguardo che il requisito dell’attualità (del fatto di reato) non è previsto dalla legge (v. art. 91, c. 6, d.lgs. n. 159/2011), la quale si limita a prevedere che la condanna per uno dei delitti-spia, quale che sia il tempo in cui è intervenuta, debba essere presa in considerazione dal Prefetto ai fini del rilascio dell'informativa;una diversa lettura interpretativa della disposizione normativa equivarrebbe a introdurre un elemento della fattispecie inesistente nel testo legislativo (cfr Cons. St., sez. III, 9 ottobre 2018, n. 5784 - Pres. Frattini, Est. Realfonzo).
Ricadute applicative dei dedotti principi generali al caso di specie.
Tutto ciò premesso e ribadito, osserva il Collegio che (in disparte l’osservazione meramente incidentale che la scelta della Prefettura non è stata quella di adottare il modello procedimentale di cui all’art. 67, cc. 4-8, d.lgs. n. 159/2011, in ragione della reale titolarità dell’impresa), l’orientamento giurisprudenzale sopracitato cui accede il Collegio, secondo cui ai fini di cui all’art. 91 d.lgs. n. 159/2011, il requisito dell’attualità (del fatto di reato comportante condanna per uno dei delitti-spia nei confronti di soggetto in grado di condizionare le scelte dell’impresa – nel caso di specie -OMISSIS- rispetto all’azienda formalmente intestata alla moglie), non è previsto dalla legge, richiede quindi che la condanna non sia l’unico elemento su cui si fonda l’interdittiva, ma sia corroborato da ulteriori elementi, così da comporre un complessivo quadro indiziario, che secondo la regola del “più probabile che non” (i.e. del 50% +1) possa far ritenere attendibile l'esistenza del pericolo concreto ed attuale del condizionamento da parte della criminalità organizzata.
Invero, ciò che conta ai fini dell'adozione dell'informativa antimafia interdittiva, non è tanto la prova delle attualità delle infiltrazioni mafiose, ma semplicemente la visione "d'insieme" dei vari elementi dai quali è deducibile il tentativo di ingerenza o una concreta verosimiglianza dell'ipotesi di condizionamento sull’impresa da parte di soggetti uniti da legami con cosche mafiose, nonché dell'attualità e concretezza del rischio (T.A.R. Calabria - Reggio Calabria, sez. I, n. 400 del 2 luglio 2018).
In altre parole il requisito dell’attualità, rectius della concretezza, attiene al giudizio di pericolo in ordine all’infiltrazione mafiosa.
Proprio in tale ottica il Collegio aveva disposto il remand, che però (tranne per quanto attiene al profilo della titolarità dell’impresa, questione però assorbita dal modello procedimentale utilizzato) non ha fornito elementi nuovi idonei a sorreggere il formulato negativo giudizio prognostico in ordine alla permeabilità dell’impresa rispetto alla mafia.
Detto giudizio, ad avviso del Collegio, è viziato da difetto di istruttoria e motivazione e sia pur sotto tali limitatissimi motivi, non può che condurre all’accoglimento del ricorso, per come integrato dai motivi aggiunti.
La gravità degli episodi criminali di cui si è reso responsabile il sig. -OMISSIS-, proprio in quanto risalenti nel tempo, al fine di condurre al giudizio negativo in ordine al pericolo attuale di infiltrazione mafiosa nell’attività economico-imprenditoriale esercitata dalla ricorrente, moglie di -OMISSIS- – per come evidenziato nell’ordinanza cautelare di remand n. -OMISSIS-- avrebbero dovuto essere suffragati da ulteriori elementi che nel caso di specie non si possono certo rinvenire solo: nel fatto che la -OMISSIS- ha detenuto fino al -OMISSIS-, quote di partecipazione in aziende di proprietà di -OMISSIS-(l’imprenditore intraneo a -OMISSIS-a e favorito, unitamente al boss -OMISSIS-, dal -OMISSIS-) o al fatto che tra i dipendenti dell’impresa ricorrente vi era – fino al -OMISSIS-- il Sig. -OMISSIS-, la cui moglie - -OMISSIS- – è stata arrestata nel -OMISSIS- per aver favorito la latitanza del suo amante (-OMISSIS-), noto boss mafioso.
Si richiedeva, in altre parole, ai fini della coerenza della motivazione del provvedimento interdittivo rispetto alle risultanze istruttorie (condanna di -OMISSIS- per concorso esterno in associazione mafiosa), una rinnovata istruttoria e una più approfondita e concreta disamina dell'attualità del pericolo di infiltrazione mafiosa, che avrebbe potuto essere desunta dalle non troppo risalenti “frequentazioni di entrambi i coniugi, dei dipendenti e dei parenti dei dipendenti, con personaggi appartenenti alla criminalità organizzata”.
Di contro nessuna nuova istruttoria è stata posta in essere dalla -OMISSIS-come emerge, tra l’altro, dalla circostanza per cui le riunioni del Gruppo Informativo Antimafia e i rapporti informativi richiamati sono gli stessi in entrambi i provvedimenti interdittivi impugnati.
Alla luce di quanto sopra esposto, il ricorso, per come integrato dai motivi aggiunti, va accolto nei ristretti limiti di cui in motivazione.
L’esito della controversia e la possibile riedizione del potere nell’ottica anche di una eventuale nuova informativa interdittiva antimafia, giustificano l’integrale compensazione delle spese processuali tra le parti.