TAR Napoli, sez. II, sentenza 2013-12-04, n. 201305485

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. II, sentenza 2013-12-04, n. 201305485
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201305485
Data del deposito : 4 dicembre 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02931/2009 REG.RIC.

N. 05485/2013 REG.PROV.COLL.

N. 02931/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2931 del 2009, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
P Gennaro, rappresentato e difeso dall'avv. P K M, con la quale elettivamente domicilia in Napoli, viale Gramsci n. 10;

contro

Comune di Casoria, in persona del Sindaco legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso, congiuntamente e disgiuntamente, dagli avvocati G C e M I e domiciliato, ai sensi dell’art. 25, comma primo, c.p.a., presso la Segreteria del T.A.R. Campania in Napoli, piazza Municipio;

per l'annullamento

quanto al ricorso introduttivo: dell’ordinanza dirigenziale del Comune di Casoria n. 92 dell’11.11.2009, con la quale il Dirigente dell’

VIII

Settore “Pianificazione territorio” ha ordinato al sig. G P la demolizione di opere abusive realizzate alla via V Trav. Arpino 102, n- 29 (sopraelevazione di 2° piano su preesistente immobile);

quanto ai primi motivi aggiunti: del provvedimento del Comune di Casoria prot. n.U/262 P.T. del 19.2.2009 di rigetto dell’istanza di condono edilizio presentata dal sig. G P il 9.12.2004 prot. 26858;

quanto ai secondi motivi aggiunti: 1) dell’ordinanza del Comune di Casoria n. 13 del 26.1.2011, con la quale il Dirigente dell’

VIII

Settore “Pianificazione e controllo del territorio” ha ordinato l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere realizzate abusivamente dal sig. P;
2) del rapporto del Comando di Polizia Locale n. 39 del 7.4.2010, ove lesivo;
3) di ogni altro atto preordinato, connesso o conseguente;

quanto ai terzi motivi aggiunti: 1) del silenzio diniego serbato dal Comune di Casoria in relazione alla istanza di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. 380/2001 presentata dal ricorrente in data 18.5.2011;
2) in subordine, per la declaratoria di inefficacia delle ordinanze del Comune di Casoria n. 92 dell’11.11.2009 e n. 13 del 26.1.2011, già impugnate:

nonché in subordine per la restituzione delle somme pagate dal ricorrente a titolo di oblazione ed oneri concessori, ai sensi della legge n. 47/85 e s.m.i. e della legge n. 326/2003.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti ed i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Casoria;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Data per letta nell’udienza pubblica del 24 ottobre 2013 la relazione del dott. F G e uditi, per il ricorrente, l'avv. P K M e, per l'amministrazione resistente, l'avv. G C;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso notificato il 30 aprile e depositato il 28 maggio 2009, il sig. G P impugnava il provvedimento del 19 febbraio 2009, prot. U/262 P.T., con cui il Comune di Casoria aveva rigettato la sua istanza di condono edilizio (prot. 26858 del 9 dicembre 2004) concernente opere abusive realizzate in via Traversa Arpino 102, n. 29, al fine di ottenere l’annullamento del diniego o, in subordine, la restituzione della somma versata a titolo di oblazione ed oneri concessori, pari a € 13.103,00, maggiorata degli interessi.

Con successivo ricorso per motivi aggiunti, notificato l’8 gennaio e depositato il 29 gennaio 2010, il ricorrente impugnava l’ordinanza comunale n. 92 dell’11 novembre 2009, recante l’ordine di demolizione delle suddette opere.

Il Comune di Casoria si costituiva per resistere in giudizio con memoria depositata il 17 febbraio 2010.

La domanda cautelare di sospensione dei provvedimenti impugnati, proposta col ricorso ed i motivi aggiunti, veniva respinta con ordinanza n. 430 del 19 febbraio 2010 .

Nel corso del giudizio il sig. P proponeva altri due ricorsi per motivi aggiunti.

Col primo, notificato il 1° aprile e depositato il 20 aprile 2011, impugnava, unitamente al presupposto rapporto del comando di polizia locale, l’ordinanza del Comune di Casoria n. 13 del 26 gennaio 2011 di acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere abusive;
col secondo, notificato il 29 ottobre e depositato il 25 novembre 2011, impugnava il silenzio diniego serbato dal Comune sulla sua istanza di accertamento di conformità presentata il 18 maggio 2011 ai sensi dell’articolo 36 del D.P.R. n. 380/01, chiedendo in subordine la declaratoria di inefficacia delle ordinanze n. 92 del 2009 e n. 13 del 2011, già impugnate coi precedenti ricorsi per motivi aggiunti.

Reiterava altresì la domanda di restituzione dell’importo a suo tempo versato per oblazione ed oneri concessori.

Alle camere di consiglio del 19 maggio e del 22 dicembre 2011, fissate per l’esame delle domande cautelari proposte con i due nuovi ricorsi per motivi aggiunti, la causa era cancellata dal ruolo su richiesta del difensore del ricorrente.

In vista dell’udienza di discussione il ricorrente produceva una memoria illustrativa a sostegno delle proprie ragioni.

Alla pubblica udienza del 24 ottobre 2013 la causa era trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. - E’ controversa in giudizio la legittimità dei provvedimenti in epigrafe con cui il Comune di Casoria ha denegato il condono edilizio richiesto dall’odierno ricorrente per le opere abusivamente realizzate al secondo piano dello stabile sito in via Traversa Arpino 102, n. 29, e ne ha successivamente ordinato la demolizione e disposto l’acquisizione al patrimonio comunale;
è altresì impugnato il silenzio diniego che si sarebbe formato sull’istanza di rilascio di permesso di costruire in sanatoria per accertamento di conformità, presentata in relazione alle medesime opere.

In via subordinata, è stata chiesta la condanna dell’amministrazione intimata alla restituzione al ricorrente della somma di € 13.103,00, oltre interessi, versata a titolo di oblazione ed oneri concessori ai fini del rilascio del condono edilizio.

2. - Ai fini di una migliore comprensione della vicenda, occorre premettere una sintetica ricostruzione dei fatti per cui è causa:

- con ordinanza dirigenziale n. 409 del 3 settembre 2004, il Comune di Casoria, visti i verbali di accertamento del Comando dei Vigili Urbani, sezione abusivismo edilizio, del 23 - 25 agosto 2004, nn. 394 e 395, ingiungeva ai sigg. G P e R L, in qualità di proprietari, la demolizione delle opere edilizie abusive realizzate su un immobile situato in via Zona Arpino 102 V^ Trav., n. 29, riportato in catasto al foglio di mappa n. 10, particella n. 733/sub 2, così descritte: « verbale n. 395: realizzavano l’armatura in legno e ferro per un solaio posto al secondo piano della propria abitazione. Verbale n. 395: getto in c.a. per la copertura e i pilastri di un 2^ piano a farsi. Superficie impegnata circa 100 mq »;

- con ordinanza dirigenziale n. 429 del 15 ottobre 2004, il Comune impartiva loro un secondo ordine di demolizione, rilevando che a seguito di un nuovo sopralluogo effettuato il 4 ottobre 2004 (verbale n. 440) i Vigili Urbani avevano accertato che gli intimati « in prosieguo alle opere edilizie già oggetto di ordinanza di demolizione ad horas, realizzavano la tompagnatura al prospetto principale, laterale dx e posteriore di un secondo piano a farsi. Ponevano in opera il massetto di pendenza e l’impermeabilizzazione al solaio di copertura »;

- i suddetti provvedimenti venivano impugnati dagli interessati davanti a questo Tribunale con ricorso che, depositato il 29 novembre 2004, era iscritto a ruolo al n. 12806/04;
il giudizio si concludeva con decreto di perenzione n. 4189 del 20 aprile 2007;

- nelle more, il sig. P presentava al Comune di Casoria domanda di sanatoria dell’abuso edilizio ai sensi del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, acquisita al protocollo comunale il 9 dicembre 2004 col n. 26858;
la descrizione sintetica dell’illecito edilizio per cui si chiedeva la sanatoria, contenuta nella domanda, era la seguente: « trasformazione del piano sottotetto mediante demolizione della porzione di solaio inclinato (falda) e ricostruzione della stessa adeguandola all’altezza della porzione dritta di metri 2,60. – Ampliamento dello stesso piano sottotetto mediante la realizzazione di solaio di copertura ad una altezza costante di metri 2,80 circa da coprire l’intero terrazzo che precedentemente era scoperto che di fatto ha ampliato, nel suo insieme, l’intera unità immobiliare avente accesso dal piano rialzato, in quanto ricavando un ulteriore piano abitabile con un incremento di mc 143,05 è stata modificata la consistenza della stessa »;

- con provvedimento del Settore Pianificazione Territoriale del 19 febbraio 2009, prot. n. U/262 P.T., previo preavviso di diniego (12 gennaio 2009, prot. n. U/0037 P.T.), il Comune denegava il condono edilizio così motivando: « la struttura esistente alla data del sequestro operato dai VV.UU. in data 23-25/08/04, era la seguente: verbale n. 394: “armatura in legno e ferro per un solaio posto al 2^ piano della propria abitazione. Verbale n. 395: getto in c. a. per la copertura e i pilastri di un 2^ piano a farsi, superficie impegnata circa 100 mq”;
vista la legge regionale n. 10, art. 3, co. 2, lett. b che testualmente recita: “si considerano ultimate le opere edilizie completate al rustico comprensive di mura perimetrali e di copertura e concretamente utilizzabili per l'uso cui sono destinate entro e non oltre il 31.3.2003”. La struttura in questione non presentando le predette caratteristiche alla data del 23-25/08/04, non può costituire oggetto di istanza di condono edilizio ai sensi della legge n. 326/03
»;

- col ricorso introduttivo del presente giudizio, notificato il 30 aprile e depositato il 28 maggio 2009, il sig. P impugnava il diniego;

- con ordinanza dirigenziale n. 92 dell’11 novembre 2009 (previo avviso di avvio del procedimento del 13 ottobre 2009 prot. U/2017/PT), il Comune ordinava al sig. P la demolizione delle opere abusive, consistenti nella « sopraelevazione di 2° piano su preesistente immobile », realizzate sul fabbricato in questione;

- con un primo ricorso per motivi aggiunti, notificato l’8 gennaio e depositato il 29 gennaio 2010, il ricorrente impugnava l’ordinanza di demolizione;

- con ordinanza dirigenziale n. 13 del 26 gennaio 2011, a seguito dell’accertamento dell’inottemperanza all’ordinanza di demolizione n. 92 del 2009 (giusta rapporto del Comando di Polizia Locale del 7 aprile 2004, prot. n. 39), il Comune di Casoria ordinava l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale « delle opere realizzate abusivamente alla 5^ trav. Arpino 102, n° 29 ed in particolare la sopraelevazione del 2° piano su preesistente immobile», precisando che «dette opere realizzate al secondo piano, oggetto della presente ordinanza di acquisizione, risultano accatastate, unitamente al restante fabbricato, al N.C.E.U., al foglio di mappa 10 p.11a n. 733 sub 102, per cui si procederà d'ufficio al frazionamento catastale se risulterà necessario per la trascrizione di tale unità presso l'Ufficio del Registro Immobiliare »;

- con un secondo ricorso per motivi aggiunti, notificato il 1° aprile e depositato il 20 aprile 2011, il sig. P impugnava anche questa ordinanza ed il presupposto verbale di accertamento;

- con istanza del 18 maggio 2011 il sig. P chiedeva il rilascio, per le opere abusive in questione, del permesso di costruire per accertamento di conformità ex art. 36 del D.P.R. n. 380/01;

- con un terzo ricorso per motivi aggiunti, notificato il 29 ottobre e depositato il 25 novembre 2011, il sig. P impugnava il silenzio diniego formatosi sull’istanza di accertamento di conformità;

- con nota del 3 gennaio 2012, prot. U/03/PT del Servizio Abusivismo Edilizio, il Comune riscontrava negativamente la richiesta di permesso di costruire ex art. 36 del D.P.R. n. 380/01, prot. gen. 17449 del 20 maggio 2011, « in quanto il richiedente non ha titolo a tale richiesta, essendo il secondo piano acquisito al patrimonio comunale con ordinanza dirigenziale n° 13 del 26/01/2011 »;

- nella memoria difensiva depositata il giudizio in data 23 settembre 2013, il ricorrente rilevava la tardività del provvedimento di rigetto (cfr. punto 8 della memoria).

3. – Le domande di annullamento dei suddetti provvedimenti, proposte con il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti, sono infondate per le seguenti ragioni.

4. – Il ricorso introduttivo censura il diniego di condono edilizio (prot. n. U/262 P.T. del 19 febbraio 2009) con tre ordini di doglianze (il quarto motivo di ricorso è dedicato alla domanda restitutoria).

Col primo motivo, il ricorrente sostiene che l’amministrazione sarebbe caduta in errore nel ritenere che la struttura non sarebbe stata suscettibile di condono perché priva delle caratteristiche richieste dall’art. 3, secondo comma, lett. b, della legge regionale della Campania n. 10 del 2004 affinché le opere edilizie possano dirsi ultimate («si considerano ultimate le opere edilizie completate al rustico comprensive di mura perimetrali e di copertura e concretamente utilizzabili per l’uso cui sono destinate»). Il Comune, infatti, avrebbe dovuto interpretare e armonizzare la norma regionale con i principi fondamentali del testo unico dell’edilizia e, dunque, considerare che, in base all’art. 31 del D.P.R. n. 380/01, le opere abusive a uso residenziale (come quella di cui si tratta) s’intendono ultimate quando sono stati completati il rustico e la copertura, sì da rendere immodificabile la volumetria impegnata.

Con il secondo motivo di impugnazione, strettamente connesso al precedente, il ricorrente analogamente denuncia il contrasto della motivazione del diniego di condono edilizio con quanto chiarito sul concetto di ultimazione delle opere abusive dalla circolare del Ministero del LL.PP. n. 3357/25 del 30.7.1985, del pari in riferimento alla nozione di rustico (comprendente la muratura portante, o l’intelaiatura in cemento armato o travi in acciaio, e le tamponature perimetrali).

Entrambi i motivi sono infondati.

Per costante e condivisibile indirizzo giurisprudenziale, che il ricorrente stesso non manca di ricordare, per edificio completato al rustico si intende quello che è già munito delle tompagnature esterne, difettando soltanto delle finiture.

Nel caso in esame, i Vigili urbani hanno verificato che ancora nell’agosto del 2004 la struttura esistente consisteva soltanto in un’armatura di ferro e legno e getto in cemento armato per copertura e pilastri, con accertamento di fatto che è contestabile unicamente con querela di falso (che non risulta proposta), poiché contenuto in verbale di polizia locale assistito da fede privilegiata.

La realizzazione in prosieguo delle tompagnature (e di altre opere) è stata accertata dai Vigili urbani nel successivo verbale di sopralluogo del 4 ottobre 2004, che, come ricordato, fonda la seconda ordinanza di demolizione n. 429 del 15 ottobre 2004.

Correttamente, dunque, l’amministrazione ha respinto la domanda di condono in difetto dei requisiti di legge.

Da ciò il rigetto delle censure.

Col terzo motivo di impugnazione il ricorrente sostiene che in considerazione del lungo lasso di tempo trascorso tra la data di presentazione della domanda di condono e quella di emanazione del provvedimento di diniego (circa cinque anni) il Comune avrebbe dovuto motivare le ragioni di interesse pubblico sottese al diniego, dimostrandone la prevalenza rispetto all’interesse privato all’ottenimento della sanatoria.

La doglianza è priva di pregio.

Il rilascio del provvedimento di condono edilizio è rigorosamente subordinato alla sussistenza dei presupposti eccezionalmente previsti dal legislatore per la sanatoria di opere illegittime. Il tempo che intercorre tra la presentazione della domanda di condono edilizio e il provvedimento che definisce il procedimento è elemento estraneo alla fattispecie normativa che fissa e circoscrive le condizioni di ammissione al condono, sicché se queste non sono soddisfatte il diniego è atto dovuto, quale che sia il tempo trascorso dalla domanda e senza che vi sia necessità di motivazione sulle ragioni d’interesse pubblico sottese al diniego.

E’ il caso di sottolineare che nella fattispecie si verte di domanda di condono presentata ai sensi del d.l. n. 269 del 2003, convertito con legge n. 326 del 2003 (terzo condono edilizio), nel qual caso l’art. 7 della legge regionale della Campania n. 10 del 2004 configura il comportamento inerte tenuto dal Comune come mero silenzio-inadempimento ( ex ceteris , cfr. TAR Campania, Napoli, sez. II, 31 maggio 2010, n. 10983).

Per queste ragioni, conclusivamente, la domanda di annullamento proposta col ricorso introduttivo deve essere respinta, mentre della domanda di restituzione di somme si tratterà più avanti.

5. – Venendo al primo ricorso per motivi aggiunti, proposto avverso l’ordinanza di demolizione n. 92 dell’11 novembre 2009, esso è affidato ad un primo motivo di violazione dell’art. 10 l. 241/90 e di difetto di motivazione, in relazione alla dedotta violazione dell’obbligo di valutazione delle controdeduzioni presentate dal ricorrente in sede endoprocedimentale, ed a tre successivi motivi con cui si fanno valere contro l’ordine di demolizione, come ragioni d’invalidità derivata, le censure proposte col ricorso introduttivo contro il diniego di condono (anche in questo caso vi è un ultimo motivo dedicato alla richiesta di restituzione delle somme versate a titolo di oblazione ed oneri concessori, che sarà esaminata in prosieguo).

La prima doglianza è infondata, non essendo utilmente predicabile, ai sensi dell’art. 21 octies l. 241/90, alcun vizio procedimentale o formale a fronte del carattere doveroso e vincolato del diniego di condono edilizio, che è correttamente motivato sull’accertata insussistenza del requisito di legge dell’avvenuta realizzazione dell’abuso entro la data del 31 marzo 2003.

Gli ultimi tre motivi sono infondati per le ragioni che si sono esposte nel precedente paragrafo con riferimento al ricorso introduttivo.

6. - Col secondo ricorso per motivi aggiunti, come si è visto, il ricorrente ha impugnato l’ordinanza dirigenziale (n. 13 del 26 gennaio 2011) di acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere realizzate abusivamente «ed in particolare la sopraelevazione del 2° piano su preesistente immobile», nonché il presupposto verbale di accertamento dell’inottemperanza all’ordinanza di demolizione n. 92 del 2009.

Il ricorso è affidato a tre motivi di censura (anche qui il quarto è dedicato alla stessa domanda restitutoria).

Col primo mezzo di gravame sostiene che, come già avrebbe errato l’ordinanza n. 92 del 2009 ad imporgli la demolizione della sopraelevazione di 2° piano su preesistente immobile senza considerare la preesistenza di una parte conforme alla normativa edilizia ed urbanistica vigente, così pure il provvedimento di acquisizione al patrimonio comunale avrebbe illegittimamente riguardato l’intera sopraelevazione al secondo piano, senza tener conto che a difettare del titolo edilizio non sarebbe la sopraelevazione per intero, ma solo la modificazione ad essa apportata.

Infatti, la sopraelevazione, nella sua originaria conformazione, risulterebbe al catasto sin dalla costruzione del fabbricato, prima come sottotetto (fol. n. 10, particella n. 133, sub. n. 102) e poi come ambiente residenziale (fol. 10, p.11a 733, sub. 4), e sarebbe confermata da un atto notarile di divisione depositato agli atti di causa.

L’acquisizione gratuita al patrimonio comunale, perciò, non potrebbe riguardare che la sola parte del manufatto realizzata senza le prescritte autorizzazioni e non anche quella parte sorretta da regolare titolo abilitativo, senza che a ciò possa ostare la circostanza che l’errata misura dell'area d’acquisire sia già contenuta nell'ordine di demolizione. L’indicazione nell'ordine di demolizione della misura dell'area in questione, infatti, sarebbe meramente indicativa, poiché equivarrebbe ad una sorta di avvio del procedimento finalizzato all'acquisizione gratuita delle aree stesse.

Inoltre, il Comune avrebbe proceduto ad una indebita inversione procedimentale, in quanto, anziché procedere, ai sensi dell'art. 31, commi 3 e 4, del DPR 380/2001, prima all’esatta individuazione delle aree oggetto di abuso e solo dopo adottare il vero e proprio provvedimento di acquisizione, che dà atto della esatta determinazione dell'area acquisita al patrimonio, al contrario ha dapprima disposto l'immissione nella proprietà dell'intera sopraelevazione e solo in seguito avvisato che, successivamente, “si procederà d'ufficio al frazionamento catastale se risulterà necessario per la trascrizione di tale unità presso l'Ufficio del Registro Immobiliare”.

Col secondo motivo di impugnazione il ricorrente, insistendo sul fatto che le opere abusive consisterebbero esclusivamente in modifiche apportate al secondo piano della propria unità immobiliare consistenti nella copertura del terrazzo a livello e nella demolizione della porzione di solaio inclinato e ricostruzione della stessa adeguandola all'altezza della porzione di solaio non inclinata, sostiene la incongruità, abnormità e sproporzione della scelta del Comune di procedere alla loro acquisizione gratuita del patrimonio comunale, in quanto: a) la demolizione della porzione di solaio inclinato e la sua ricostruzione con adeguamento all'altezza della porzione di solaio non inclinata rientrerebbero nel novero delle opere edilizie minori, eseguibili sulla scorta di una semplice d.i.a., per le quali non sarebbe sufficiente l'applicazione di una sanzione pecuniaria;
b) quanto alla copertura del terrazzo posto a livello, l'acquisizione di diritto dell'opera abusiva al patrimonio del Comune non sarebbe un esito necessitato dell’inadempimento dell’ordine di demolizione, in quanto essa non concreta l'unico presupposto e condizione per la demolizione del manufatto abusivo ad opera del Comune, che può quindi avvenire indipendentemente dall'intervenuta acquisizione dell'area da parte dell’amministrazione;
inoltre (per vero, la censura è formulata prima) la acquisizione di diritto dell'immobile al patrimonio comunale non opera in via automatica per la semplice inottemperanza all'ordine di demolizione nel termine di novanta giorni, ma richiede il formale accertamento della mancata demolizione con atto redatto dal competente ufficio comunale, notificato al proprietario autore dell'abuso, la trascrizione nei registri immobiliari del titolo di acquisizione dell'immobile e degli estremi sostanziali e catastali che lo individuano.

Col terzo motivo d’impugnazione il ricorrente reitera, come ragioni di invalidità derivata dell’ordinanza di acquisizione, le censure a suo tempo proposte contro il rigetto della domanda di condono edilizio (ricorso introduttivo) e l'ordinanza di demolizione (primo ricorso per motivi aggiunti).

Nessuna di queste doglianze merita di essere accolta.

Procedendo in ordine inverso, per ragioni logiche, all’esame dei predetti motivi di ricorso, deve infatti osservarsi che:

- il terzo motivo ripropone censure che si sono già esaminate e respinte;

- il secondo motivo è in parte irricevibile, laddove introduce in via tardiva e surrettizia censure rivolte, in realtà, non all’ordinanza di acquisizione, ma a quella di demolizione (è questo il caso della censura della scelta di sanzionate l’abbattimento e ricostruzione di una porzione di solaio con la demolizione, anziché con una misura afflittiva pecuniaria);

- il secondo motivo è, per il resto, infondato: l'inottemperanza all'ordine di demolizione costituisce presupposto e condizione per l’acquisizione del bene al patrimonio comunale che è non solo gratuita, ma “di diritto” (cfr. art. 31, comma 3, d.p.r. n. 380/01) e di conseguenza il provvedimento comunale di acquisizione non soltanto costituisce un atto dovuto, ma ha carattere meramente dichiarativo, in quanto l’acquisizione avviene, per l’appunto, automaticamente per effetto dell'accertata inottemperanza all'ordine di demolizione (cfr., ex ceteris , T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 20 febbraio 2013, n. 918;
3 maggio 2010, n. 2399;
8 gennaio 2010, n. 23;
T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 7 maggio 2008, n. 3548);
nel caso di specie, l’accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione è avvenuto, come precisato nell’ordinanza di acquisizione senza trovare alcuna contestazione in giudizio, col rapporto del Comando di Polizia Locale prot. n. 39 del 7 aprile 2010, notificato all’odierno ricorrente in data 26 aprile 2010;

- il primo motivo di censura non tiene conto, infine, della necessità di interpretare il disposto dell’ordinanza di acquisizione alla luce della serie provvedimentale che ne è presupposto e della relativa vicenda edilizia. Il provvedimento impugnato, infatti, allorché dispone « l’acquisizione gratuita al patrimonio di questo Comune …. delle opere realizzate abusivamente alla 5^ trav. Arpino 102 n° 29 ed in particolare la sopraelevazione del 2° piano su preesistente immobile », si riferisce alle opere abusive sanzionate dalla presupposta ordinanza di demolizione n. 92 del 2009 (il cui contenuto è richiamato per sommi capi nel preambolo), la quale, a sua volta, aveva ordinato la demolizione delle opere edilizie di sopraelevazione «meglio descritte in narrativa» e cioè delle opere che avevano formato oggetto della domanda di condono rigettata col provvedimento del 19 febbraio 2009. Ebbene, la domanda di condono (come si è dettagliatamente visto nel secondo paragrafo della presente decisione), facendo seguito a due precedenti ordinanze di demolizione del 2004 non osservate, aveva (giova ripeterlo) chiesto la sanatoria della « trasformazione del piano sottotetto mediante demolizione della porzione di solaio inclinato (falda) e ricostruzione della stessa adeguandola all’altezza della porzione dritta di metri 2,60. – Ampliamento dello stesso piano sottotetto mediante la realizzazione di solaio di copertura ad una altezza costante di metri 2,80 circa da coprire l’intero terrazzo che precedentemente era scoperto che di fatto ha ampliato, nel suo insieme, l’intera unità immobiliare avente accesso dal piano rialzato, in quanto ricavando un ulteriore piano abitabile con un incremento di mc 143,05 è stata modificata la consistenza della stessa » (sottolineatura aggiunta). Le opere abusive sono, dunque, consistite nella trasformazione in un ulteriore piano abitabile dell’intera area sovrastante il secondo piano, compreso il precedente sottotetto (di cui il ricorrente assume essere già stato condonato il cambio di destinazione d’uso in residenziale, a seguito della sua istanza di condono del 28.2.1995: ma in realtà tale istanza, allegata in copia tra i documenti di cui al n. 1 della sua produzione del 19 maggio 2011, ha testualmente a oggetto il “cambio di destinazione delle tre unità artigianali in tre unità abitative”), in parte mediante la demolizione e la trasformazione del sottotetto stesso, in parte mediante la realizzazione di ulteriore superficie coperta;
il risultato è stato un’entità edilizia nuova (in sostituzione dell’originario sottotetto è stata realizzata una volumetria con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile, che non costituisce mero volume tecnico;
l’ulteriore piano abitabile così fabbricato è riprodotto, in modo chiaro e inequivocabile, nella documentazione fotografica al n. 2 della summenzionata produzione di parte ricorrente del 19 maggio 2011), la quale, realizzata in assenza di permesso di costruire, è stata sanzionata, perciò, con l’ordine di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi non ottemperato dal ricorrente: sicché può concludersi che l’ordinanza impugnata ha correttamente individuato il bene da acquisire al patrimonio comunale.

7. – Con il terzo ricorso per motivi aggiunti, infine, il ricorrente ha impugnato il silenzio diniego che si sarebbe formato sulla sua istanza del 18 maggio 2011 di rilascio del permesso di costruire per accertamento di conformità, ex art. 36 del D.P.R. n. 380/01, per le opere abusive in questione, chiedendo l’accertamento della sussistenza della loro conformità alla disciplina edilizia ed urbanistica esistente e, in via subordinata, la declaratoria dell’inefficacia dell’ordinanza di demolizione n. 92 del 2009 e della conseguente ordinanza di acquisizione al patrimonio comunale del 2011 per effetto della stessa presentazione dell’istanza di accertamento di conformità.

Per quanto riguarda la domanda proposta avverso il silenzio, il ricorso è tuttavia improcedibile, poiché l’istanza di sanatoria ex art. 36 è stata negativamente riscontrata dal Servizio Abusivismo Edilizio dell’amministrazione intimata con provvedimento di diniego espresso del 3 gennaio 2012, prot. U/03/PT, che non è stato ritualmente impugnato in giudizio;
al riguardo, si palesano inammissibili le censure allo stesso rivolte con semplice memoria difensiva non notificata (quella depositata il 23 settembre 2013 in vista dell’udienza di discussione).

Pera quanto riguarda la domanda subordinata, essa è infondata, non soltanto perché, per consolidata giurisprudenza da cui non vi è ragione di discostarsi, l’istanza di accertamento di conformità ex art. 36 del D.P.R. n. 380/01 produce unicamente effetti sospensivi dell’ordinanza di demolizione, la quale riprende efficacia col suo rigetto (cfr., ex multis , TAR Campania Napoli, sez. II, 3 maggio 2013, n. 2289;
26 giugno 2012, n. 3017;
C.d.S., sez. VI, 5 aprile 2013, n. 1885), ma perché l’istanza in questione è stata presentata quando il termine concesso per la demolizione era trascorso da anni e già era stata disposta l’acquisizione del bene al patrimonio pubblico.

8. – Resta infine da esaminare la domanda di restituzione delle somme versate a titolo di oblazione e a titolo di oneri concessori.

Preliminarmente, va dato conto dell’esistenza di un indirizzo giurisprudenziale che, con riferimento al caso in cui la richiesta di restituzione delle somme versate a titolo di oblazione segua al diniego di condono, ha sostenuto (propugnando una lettura costituzionalmente orientata in senso restrittivo dell’art. 35, comma 16, della legge n. 47/85, secondo cui «ogni controversia relativa all'oblazione è devoluta alla competenza dei tribunali amministrativi regionali») che, una volta esaurito il procedimento col diniego definitivo, l’amministrazione non sarebbe qualificata da alcun potere autoritativo e che perciò, trovandosi le parti in posizione sostanzialmente paritaria, si verterebbe di una fattispecie di ordinario indebito oggettivo demandata alla cognizione del giudice ordinario (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VII, 11 novembre 2011, n. 5288;
Cass. SS.UU., 15 dicembre 2008, n. 29291;
più di recente, cfr. TAR Campania, Napoli, sez. II, 6 settembre 2013, n. 4199).

Si tratta di un orientamento meritevole di riconsiderazione, sia perché l’univoco dettato della legge («ogni controversia») non sembra consentire interpretazioni manipolative che spetterebbero semmai alla Corte costituzionale, sia perché è lecito dubitare della conformità di tale indirizzo ermeneutico al canone di ragionevolezza, in quanto la ritenzione delle somme a titolo di oblazione versate in eccedenza rispetto al dovuto è ingiustificata (lo spostamento patrimoniale è privo di causa) non meno che quella delle somme versate per lo stesso titolo in vista di un provvedimento di condono che venga ad essere in seguito negato, ambedue i versamenti presentando il medesimo collegamento con l’esercizio della stessa potestà amministrativa, quale che ne sia in concreto l’esito ultimo (un provvedimento di contenuto positivo o negativo).

Va ritenuta, pertanto, la giurisdizione sulla domanda di ripetizione dell’oblazione.

Analogamente non può condividersi il ragionamento secondo cui, anche per ciò che riguarda l’avvenuto versamento di somme a titolo di oneri concessori in collegamento alla richiesta di rilascio di titolo edilizio in sanatoria ai sensi della legislazione sul condono edilizio, il diniego di sanatoria comporterebbe la non ravvisabilità dello stretto collegamento funzionale tra il rilascio del permesso di costruire e gli oneri in parola, con conseguente spettanza al giudice ordinario delle controversie al riguardo (nonostante la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo già fissata nell’art. 16 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, ed ora enucleabile dall’art. 133, comma 1 lett. f), c.p.a.).

Anche la controversia sulla ripetizione degli oneri concessori rientra pertanto nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, conformemente a un più generale indirizzo in materia (cfr. Cass. SS.UU. 26 maggio 2009, n. 12114;
T.A.R. Brescia sez. I, 31 gennaio 2011, n. 188;
T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, 11 ottobre 2013, n. 4560).

Nel merito, la domanda di ripetizione di quanto pagato a titolo di oblazione non può essere accolta, potendo essere esperita soltanto nei confronti dell’ accipiens e tale non essendo, tuttavia, il Comune intimato.

Legittimato passivo rispetto alla richiesta di restituzione delle somme versate a titolo di oblazione, infatti, non è il Comune intimato, bensì l'Amministrazione finanziaria statale dotata di specifiche attribuzioni in materia (cui il ricorso non è stato notificato) che, ai sensi del D.M. 7 marzo 1997, è individuata nella sezione distaccata della Direzione regionale delle entrate nella cui circoscrizione è ubicato l'immobile per il quale è stata presentata domanda di concessione o di autorizzazione in sanatoria (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, n. 5288/2011 cit.;
T.A.R. Lazio, Latina, 25 maggio 2008, n. 1243;
T.A.R. Lazio, Roma, 28 novembre 2007, n. 11908), competente anche sulle istanze di rimborso a seguito di diniego di concessione o autorizzazione edilizia in sanatoria (arg. ex art. 1, comma 2, D.M. cit.). Tanto più ciò è vero, in quanto la stessa documentazione prodotta in giudizio dal ricorrente attesta l’avvenuto versamento dell’oblazione ad amministrazione diversa dal Comune.

Diversamente deve dirsi per la domanda di ripetizione delle somme versate, invece, al Comune a titolo di oneri concessori per un ammontare complessivo di € 4.632,00, come risulta dalle ricevute di versamento postale prodotte in allegato al ricorso introduttivo (cfr. docc. n. 5 della produzione di parte: un versamento di € 500,00 in data 7.12.04 e due distinti versamenti di € 2.066,00 ciascuno nella stessa data del 6.6.07) e non contestate.

Gli oneri concessori costituiscono un corrispettivo di diritto pubblico connesso al rilascio del titolo edilizio, ragion per cui, quando tale rilascio è denegato, difetta il titolo in forza del quale esso possa essere trattenuto dal Comune che intanto lo abbia incassato.

La domanda di ripetizione dell’indebito va, perciò, accolta.

Quanto alla domanda di pagamento dei relativi interessi, sulla somma sopra indicata devono essere riconosciuti gli interessi corrispettivi (art. 1282 c.c.), i quali sono fondati sulla naturale fecondità del denaro e prescindono pertanto da profili di colpa, che rileverebbero, invece, in presenza di interessi con funzione risarcitoria quali quelli moratori (art. 1224 c.c.);
essi decorrono dal momento in cui il credito è liquido ed esigibile (art. 1282 c.c.) e dunque, nel caso di specie, dalla data del 5 marzo 2009, corrispondente a quella della notifica del provvedimento di rigetto della domanda di condono edilizio.

9. – Per le suddette ragioni, il ricorso, integrato dai motivi aggiunti, va accolto limitatamente alla domanda di ripetizione delle somme versate dal ricorrente a titolo di oneri concessori per la domanda di condono edilizio prot. n. 26858 del 9 dicembre 2004 e respinto per il resto.

Per l’effetto, il Comune di Casoria deve essere condannato al pagamento in favore del ricorrente della somma di € 4.631,55, oltre gli interessi corrispettivi su di essa maturati, al tasso legale, a far data dal 5 marzo 2009 fino a quella dell’effettivo soddisfo.

10. – Le spese di giudizio possono essere integralmente compensate tra le parti, in ragione della loro reciproca soccombenza.

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