TAR Palermo, sez. IV, sentenza 2024-09-06, n. 202402509

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Palermo, sez. IV, sentenza 2024-09-06, n. 202402509
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Palermo
Numero : 202402509
Data del deposito : 6 settembre 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 06/09/2024

N. 02509/2024 REG.PROV.COLL.

N. 01140/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1140 del 2022, proposto da
Ade S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato P G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Palermo, via della Libertà n. 39;

contro

il Ministero dell'Interno - Questura di Palermo, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Palermo, via Mariano Stabile 182;

per l'annullamento

del provvedimento CAT. 11. E/2022, adottato ai sensi dell'art. 100 T.U.L.P.S. dal Questore di Palermo in data 1 maggio 2022 e notificato all'odierno ricorrente in data 5 maggio 2022 con cui è stata decretata la sospensione per sette giorni della licenza intestata a Durante Liborio per tenere trattenimenti musicali e danzanti nel locale denominato “FABRIC RISE UP” sito in Palermo, via Ugo La Malfa n.95, nonché la licenza per la somministrazione di alimenti e bevande Scia n. 2011/0313635;

di tutti gli altri atti presupposti e/o connessi e/o conseguenziali;

nonchè per l'annullamento

del diniego reso dalla Questura di Palermo sull'istanza di accesso agli atti, trasmessa via pec in data 31.05.2022 ed esitata dalla detta Amministrazione in data 16.06.2022

e per la condanna

nei confronti della Questura di Palermo all’esibizione della documentazione richiesta dall'odierna ricorrente con la summenzionata istanza di accesso.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno - Questura Palermo;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 aprile 2024 la dott.ssa Giulia La Malfa e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con l’odierno ricorso la Ade S.r.l. ha chiesto l’annullamento del provvedimento con cui la Questura di Palermo ha disposto, nei suoi confronti, la sospensione della licenza per tenere trattenimenti musicali e danzanti, per un periodo di sette giorni.

In particolare, il provvedimento ha tratto fondamento da un intervento del personale di P.G. per una rissa che ha coinvolto alcuni avventori del locale.

Successivamente, con istanza avanzata il 31 maggio 2022 la società ricorrente ha chiesto l’accesso alla documentazione istruttoria acquisita nel procedimento, la cui ostensione è stata parzialmente negata dall’amministrazione, che ha opposto il segreto istruttorio.

A sostegno dell’impugnazione, la Ade s.r.l. ha articolato tre motivi di impugnazione, che possono essere così sintetizzati.

In relazione al diniego opposto rispetto alla propria istanza di accesso, ha lamentato la violazione del diritto di difesa, da ritenersi prevalente rispetto alle esigenze di segretezza invocate dall’amministrazione.

Quanto al provvedimento di sospensione, ha dedotto l’insussistenza dei presupposti richiesti dall’art. 100 TULPS, trattandosi di un episodio isolato, del quale è fornita una diversa ricostruzione rispetto alla versione offerta dall’amministrazione.

Infine, ha lamentato il carattere sproporzionato della misura rispetto alle esigenze di pubblica sicurezza perseguite, in quanto suscettibili di essere soddisfatte con strumenti alternativi maggiormente rispettosi della libertà di iniziativa economica del privato.

Ha pertanto chiesto l’accertamento dell’illegittimità del diniego opposto rispetto all’istanza di accesso, nonché l’annullamento del provvedimento impugnato.

Si è costituita in giudizio la Questura di Palermo, eccependo in via preliminare l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse e deducendone nel merito l’infondatezza.

DIRITTO

Preliminarmente, deve essere rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse all’annullamento del provvedimento di sospensione, sollevata dall’Avvocatura dello Stato.

Sebbene la sospensione abbia esaurito i propri effetti, infatti, permane un interesse della società ricorrente all’annullamento, sia in quanto l’art. 100, comma 2 TULPS, consente all’amministrazione di innestare sulla sospensione un’eventuale revoca della licenza in caso di reiterazione delle violazioni, sia perché, in ogni caso, la ricorrente ha manifestato, con memoria del 3 aprile 2024, un interesse risarcitorio (cfr. Cons. di Stato, Ad. Plen., 13 luglio 2022, n. 6).

Quanto al merito della controversia, occorre muovere dall’esame della domanda di accesso, in quanto strumentale rispetto alla cura dell’interesse finale della ricorrente all’annullamento del provvedimento di sospensione della licenza.

La pretesa ostensiva della società ricorrente era infatti stata solo parzialmente soddisfatta, mediante l’esibizione degli atti del procedimento amministrativo di cui all’art. 100 TULPS, con esclusione degli atti formati dalla p.g., in quanto coperti dal segreto istruttorio e, come tali, trasmessi alla Procura della Repubblica.

La domanda è infondata, in quanto i documenti richiesti sono oggettivamente sottratti all’accesso, ai sensi dell’art. art. 24, comma 1, l. n. 241/1990.

Come noto, la legge 241/90, pur affermando l’ampia portata della regola dell’accesso, definisce determinate categorie di documenti che sono sottratte alla divulgazione. In particolare, ai sensi dell’art. 24 della legge n. 241/1990 il diritto di accesso “ è escluso per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi dell'articolo 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, nonché nei casi di segreto o di divieto di divulgazione altrimenti previsti dall'ordinamento ”.

Il codice di procedura penale riconduce nell’ambito dei segreti sottratti all’accesso ai documenti quello relativo agli “ atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria ” (art. 329 cod. proc. pen.).

In particolare, la norma definisce il perimetro del c.d. segreto investigativo, posto a tutela dell’attività di indagine, in quanto la prematura diffusione dell’istruttoria penale potrebbe consentire all’indagato di sottrarre elementi utili ai fini dell’accertamento della verità.

Al riguardo, deve escludersi che le esigenze difensive invocate dalla ricorrente siano in grado di prevalere sul segreto istruttorio.

La disciplina introdotta con l’art. 329 cod. proc. pen., infatti, consente una momentanea compressione del diritto di difesa, a tutela del preminente interesse investigativo;
al contempo, la norma si premura di individuare un punto di equilibrio tra le contrapposte esigenze, differendo alla fase successiva alla chiusura delle indagini la discovery degli atti investigativi, che fino a tale momento rimangono pertanto secretati.

A tal fine, non vale invocare l’accesso c.d. difensivo di cui al comma 7 del citato art. 24 legge n. 241 del 1990, in quanto incapace di prevalere su ogni ipotesi di esclusione dall’accesso, comprese le fattispecie connesse alla riservatezza delle informazioni pubbliche.

Deve essere infatti condiviso l’indirizzo giurisprudenziale che circoscrive la prevalenza dell’accesso difensivo alle sole ipotesi di esclusione connesse all’esigenza di tutelare la riservatezza dei terzi, prevista dal comma 6, lettera d) della cennata disposizione (cfr. Cons. di Stato, Sez. VI, ordinanza del 7 febbraio 2014, n. 600).

Tale interpretazione muove, innanzitutto, dalla ratio legis sottesa all’intervento legislativo , evincibile dai lavori preparatori che riconducono espressamente la portata del comma 7 al rapporto tra accesso e riservatezza, senza menzionare le altre ipotesi di esclusione.

Al contempo, si propone un’interpretazione sistematica della disposizione, nel rapporto che si instaura tra i due diversi periodi di cui si compone: il primo periodo, che sancisce la prevalenza dell’accesso difensivo, deve essere interpretato sulla base di quanto dispone il secondo periodo che, occupandosi di attenuarne la portata solo con riferimento ad alcune categorie di dati personali (i dati sensibili, i dati giudiziari e i dati sensibilissimi), circoscrive l’applicazione della regola a tale categoria di documenti.

Nella prospettiva storico-teleologica, infine, si osserva che il carattere incondizionato della prevalenza dell’accesso difensivo darebbe luogo a conclusioni irragionevoli, “ finendo per tutelare la riservatezza delle informazioni private e personali in misura maggiore rispetto alla riservatezza delle informazioni pubbliche, che sarebbero cedevoli rispetto all’accesso difensivo indipendentemente da ogni concreto bilanciamento tra opposti interessi e senza tener conto del dominante rilievo e della portata stessa dell’interesse pubblico sotteso all’ipotesi legislativamente prevista di esclusione ”.

L’art. 24, comma 1, legge n. 241 del 1190, pertanto, ha oggettivamente sottratto all’accesso determinati documenti, rispetto ai quali la ponderazione tra contrapposti interessi è compiuta in astratto dal legislatore, a beneficio del superiore interesse pubblico.

Del resto, nel caso di specie, l’interesse del ricorrente a contestare la temporanea sospensione della licenza non può che restare recessivo rispetto al prevalente interesse dello Stato alla tutela dell’ordine pubblico e alla prevenzione e alla repressione della criminalità sotteso al segreto.

Nel caso di specie, la Questura, nella ricerca di un punto di equilibrio tra il diritto di difesa e interesse investigativo, ha consentito l’ostensione degli atti compiuti nell’ambito della sua attività istituzionale, pur sempre qualificabili come atti amministrativi anche se riguardanti lo svolgimento di attività di vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti, i quali rimangono tali anche dopo l'inoltro di una denunzia all'autorità giudiziaria;
ha pertanto escluso l’accesso solamente con riferimento agli atti compiuti dalla polizia giudiziaria, attratti nel perimetro applicativo del segreto istruttorio di cui all’art. 329 cod. proc. pen.

La soluzione seguita dalla Questura, del resto, è coerente con l’indirizzo giusrisprudenziale seguito dalla Corte di Cassazione Penale che, nel definire i limiti del segreto di cui all’art. 329 cod. proc. pen., ha distinto gli atti formati direttamente dal P.M. o dalla polizia giudiziaria e gli altri atti di origine extraprocessuale comunque confluiti nel procedimento. Al riguardo, si evidenzia che “ Se per gli atti di indagine in senso stretto formati dal P.M. o dalla p.g. (esami di persone informate, interrogatori di indagati, confronti, ricognizioni, ecc.) nessun problema - a questi fini - si pone, atteso che si tratta di necessità, sempre e comunque, di atti ricadenti nel primo comma dell'art. 329 c.p.p., diverso - e differenziato - non può non essere il discorso per la categoria dei documenti che pur siano entrati nel contenitore processuale. Essi, invero, ai fini del segreto, rientrano nella previsione di legge ove abbiano origine nell'azione diretta o nell'iniziativa del P.M. o della p.g., e dunque quando il loro momento genetico, e la strutturale ragion d'essere, sia in tali organi. Ma tale conclusione di certo non può valere ove si tratti di documenti aventi origine autonoma, privata o pubblica che essa sia, non processuale, generati non da iniziativa degli organi delle indagini, ma da diversa fonte soggettiva e secondo linee giustificative a sè stanti. Non possono, dunque, rientrare nella categoria del segreto, ai fini in esame, i documenti che non siano stati compiuti dal P.M. o dalla p.g., come recita l'art. 329 c. p.p., comma 1, ma siano entrati nel procedimento per disposta acquisizione ” (Cass., Sez. I Penale, 4 aprile 2011, n. 13494).

La domanda di accesso deve essere, pertanto, respinta.

Analogamente, deve essere rigettata la domanda tesa all’annullamento del provvedimento di sospensione della licenza commerciale, adottato ai sensi dell’art. 100 TULPS.

Al riguardo, deve preliminarmente osservarsi che la misura della sospensione non ha natura sanzionatoria, ma persegue una finalità preventiva, essendo finalizzata ad impedire, attraverso la chiusura temporanea dell'esercizio, il protrarsi di una situazione di pericolosità sociale. L’art. 100, nel disciplinarne i presupposti legittimanti, ne consente l’adozione ogniqualvolta l’esercizio costituisca un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica, sempreché adeguatamente accertato sulla base di specifici e obiettivi dati di fatto acquisiti.

Di tali principi ha fatto corretta applicazione l’Amministrazione procedente che, nel disporre la sospensione della licenza, ha analiticamente descritto il supporto fattuale delle proprie valutazioni, fondate su specifici e concreti eventi idonei a delineare un quadro di pericolosità dell’attività per l’incolumità della collettività e, in particolare, degli avventori del locale.

In particolare, il divieto ha tratto fondamento da una lite avvenuta presso l’esercizio commerciale, nella quale due clienti avevano riportato delle lesioni.

Al riguardo, la società ricorrente, nel contestare il travisamento dei fatti, si è limitata a difendere il corretto comportamento tenuto dai gestori del locale, prontamente intervenuti a sedare la lite. Nessuna contestazione è sorta, dunque, in relazione al fatto oggettivo dell’aggressione, la cui dinamica è invece confermata dalla convergente versione resa negli scritti difensivi.

Giova, tuttavia, rimarcare la natura preventiva della misura, la cui adozione prescinde dall’accertamento della personale responsabilità dell’esercente, quale autore materiale di condotte direttamente lesive dei beni giuridici tutelati, rendendosi sufficiente che le situazioni potenzialmente rischiose per l'ordine pubblico e la sicurezza dei cittadini abbiano trovato occasione nello svolgimento dell’attività economica oggetto di licenza di pubblica sicurezza.

Ciò che rileva, dunque, è che la lite si sia accesa all’interno del locale, sotto la vigilanza del gestore, mentre era in corso una serata, cagionando lesioni ad alcuni dei soggetti aggrediti.

Sulla base di tale, non controverso, quadro fattuale la Questura ha, del tutto ragionevolmente, inteso sterilizzare tale situazione, obiettivamente pericolosa per la sicurezza pubblica, suscettibile di degenerare, ove non contenuta, in nuovi episodi di violenza.

Neppure rileva il carattere isolato della rissa, che secondo la ricorrente non potrebbe costituire il legittimo presupposto della sospensione, in quanto l’art. 100 TULPS richiederebbe il ricorrere di plurimi episodi tumultuosi.

La manifestazione di “tumulti o gravi disordini” costituisce infatti solo uno dei presupposti alternativi che legittimano l’esercizio del potere di sospensione che può, in ogni caso, essere disposta qualora il locale “ costituisca un pericolo per l’ordine pubblico, per la moralità pubblica e il buon costume o per la sicurezza dei cittadini ”, come reso evidente dall’utilizzo della congiunzione concessiva “ comunque ”.

La possibilità di valorizzare, ai fini dell’applicazione della misura, anche singoli episodi trova, del resto, conferma nel secondo comma della medesima disposizione, laddove la reiterazione dei fatti giustifica l’esercizio del più severo potere di revoca della licenza.

Deve pertanto ritenersi che anche un singolo episodio può giustificare l’adozione della misura preventiva di cui all’art. 100 TULPS allorquando costituisca un oggettivo pericolo per la sicurezza pubblica (Cons. di Stato, Sez. I, parere del 20 aprile 2023, n. 594).

E ciò che ha indotto all’adozione del provvedimento in esame è stata proprio la cura dell’ordine e della sicurezza pubblica, espressamente richiamato dalla Questura, in quanto, precludendo, per un breve periodo, l’accesso al locale è stata anche rimossa l’occasione di successive aggregazioni ed è stato segnalato che il locale è soggetto di particolare attenzione da parte delle autorità, producendo un effetto dissuasivo rispetto a future condotte violente.

Sul punto, la misura adottata risulta ragionevole e proporzionata, in quanto l’episodio, sebbene isolato, è idoneo a giustificare l’esercizio del potere di sospensione, in quanto riveste i caratteri di gravità e allarme per la collettività richiesti dalla giurisprudenza, tenuto conto della pluralità dei soggetti coinvolti e delle lesioni personali riportate dai soggetti aggrediti, tali da mettere a rischio la sicurezza pubblica e l’incolumità dei clienti. Come evidenziato dalla Questura, inoltre, il gestore non ha segnalato l’accaduto alle Forze dell’ordine, ma si è limitato a costringere fuori dal locale i soggetti coinvolti, alimentando ulteriori sviluppi della contesa all’esterno, al di fuori di ogni vigilanza.

Sul punto, la circolare del Ministero del 17 luglio 2019 sugli indirizzi applicativi relativi al potere di sospensione e revoca di cui all’art. 100 TULPS chiarisce che “ l'esistenza di una situazione di pericolo può emergere allorquando risulti che, congiuntamente ad altre situazioni rilevanti, il gestore dell'esercizio pubblico, ovvero il personale addetto ai servizi di controllo agli ingressi delle attività di intrattenimento e spettacolo, abbiano omesso di richiedere l'intervento delle Forze dell'ordine relativamente ad atti di violenza o di aggressione accaduti all'interno del locale o nelle sue pertinenze (citato TAR Lazio, Latina, Sez. 1, 7 dicembre 2017, n. 51;
TAR Piemonte, Sez. II, 13 giugno 2018, n. 774;
citato TAR Lombardia, Sez. I, 6 febbraio 2019, n. 880)
”.

Quanto infine alla dedotta lesione dell’iniziativa economica del gestore, si osserva che, pacificamente, il diritto a svolgere l'attività commerciale può legittimamente subire limitazioni nel bilanciamento degli interessi ove entri in conflitto con il bene primario della sicurezza della collettività (Consiglio di Stato, sez. III, 16 dicembre 2019, n. 8503).

Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

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