TAR Bari, sez. III, sentenza 2010-12-02, n. 201004057
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N. 04057/2010 REG.SEN.
N. 00703/2005 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 703 del 2005, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
C P F, rappresentato e difeso dagli avv. A L D, P S, con domicilio eletto presso A L D in Bari, via F.S. Abbrescia, 83/B;
contro
Comune di Adelfia, rappresentato e difeso dall'avv. F R, con domicilio eletto presso F R in Bari, via A. Gimma n. 147;
per l'annullamento
1) del decreto n.2 del 31.01.2005 con il quale il Dirigente Settore Espropriazioni del Comune di Adelfia ha disposto l’occupazione d’urgenza di un suolo di proprietà del ricorrente in Adelfia nell’ambito dei lavori di riqualificazione della zona nord-est del borgo antico rione di Montone;
2) delle deliberazioni della Giunta comunale n.172 del 6.10.2004 e n.15 del 21.01.2005 ancorché non conosciute che hanno approvato il relativo progetto con valenza di dichiarazione di pubblica utilità;
3) delle delibere di C.C. n.11 del 22 gennaio 2004 e n.26 del 14 settembre 2004 non conosciute nel loro contenuto;
4) di tutti gli atti connessi, presupposti e conseguenti, compresa la delibera della GC n.14 del 21 gennaio 2005, anche questa sconosciuta nel suo contenuto;
nonché per l’accertamento e relativa condanna al risarcimento del danno da illegittima occupazione, unitamente ad interessi e rivalutazione
- quanto ai motivi aggiunti:
5) del decreto di esproprio n.11 del 1 luglio 2009 a firma del Dirigente Ufficio Espropriazioni del Comune di Adelfia
6) di tutti gli atti connessi, presupposti e conseguenti.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Adelfia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 novembre 2010 il dott. Paolo Amovilli e uditi per le parti i difensori A L D e F R;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Espone il ricorrente di esser comproprietario di alcune aree site presso il Comune di Adelfia e di essere casualmente venuto a conoscenza che parte di esse - e precisamente quelle contraddistinte catastalmente al Fg. 26 p.lle 1050, 656, 954 e 1014 - risultavano interessate da un procedimento preordinato all’espropriazione per pubblica utilità, senza mai aver ricevuto alcuna comunicazione al riguardo.
Con ricorso notificato il 27 aprile 2005, ritualmente depositato , l'odierno ricorrente, come sopra rappresentato e difeso, impugna i provvedimenti in epigrafe indicati, chiedendone l’annullamento, deducendo le seguenti censure:
I. Violazione di legge, art 16 e 17 d.p.r.327/2001 e 3, 7 e 8 l.241/90 e s.m., violazione “giusto procedimento”. Eccesso di potere per difetto di valido ed efficace presupposto. Illegittimità derivata;
II. Violazione di legge, art 18 e 19 d.p.r. 327/2001;principi generali in tema di approvazione di progetti di opere pubbliche;eccesso di potere per difetto di presupposto e travisamento;
III. Violazione e falsa applicazione art 16 l.109/2004;eccesso di potere per difetto di presupposto;
IV. Illegittimità derivata;
V. Violazione e falsa applicazione art 22 d.p.r. 327/2001 e giusto procedimento;eccesso di potere per difetto di istruttoria.
Avanzava inoltre domanda di risarcimento del danno sofferto per l’illegittima occupazione, unitamente ad interessi e rivalutazione, demandando CTU per la valutazione del valore venale delle aree e della quantificazione del danno.
Si costituiva il Comune intimato, eccependo la non annullabilità dei provvedimenti ex adverso impugnati in applicazione dell’art 21-octies l.241/90 e s.m., non avendo parte ricorrente assolto all’onere probatorio di indicare nell’atto di ricorso gli elementi conoscitivi che avrebbe potuto addurre in sede di contraddittorio procedimentale, nonché l’avvenuta notificazione del decreto di occupazione d’urgenza.
Con motivi aggiunti l’odierno ricorrente estendeva il gravame al decreto di esproprio, nelle more emanato dal Comune.
Il ricorso è fondato e va accolto, sia quanto alla domanda di annullamento che a quella di condanna.
Risulta principio consolidato in giurisprudenza (anche di questa Sezione sent. 24 giugno 2010, n.2665) come in seno al procedimento ablatorio l’ordinamento intenda riconoscere e valorizzare le garanzie partecipative dei proprietari espropriandi sia in riferimento alla fase iniziale di apposizione del vincolo, sia a quella di dichiarazione della pubblica utilità (sia essa esplicita od implicita) in considerazione sia dell’ampia discrezionalità di cui dispone l’amministrazione nella localizzazione, sia della lesività dell’effetto finale consistente nella definitiva privazione del diritto di proprietà ( ex multis Consiglio di Stato sez VI 11 febbraio 2003, n.736, id. IV 30 luglio 2002, n.4077, id. IV 26 settembre 2001 n.5070, id. IV 15 maggio 2008 n.2249, id IV 29 luglio 2008 n.3760).
Il riconoscimento della indefettibilità del contraddittorio procedimentale, da prima riconosciuto in sede pretoria con fondamentale arresto dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (19 giugno 1986 n.6), ha poi definitivamente ricevuto positiva disciplina in sede di approvazione del vigente t.u. in materia di espropriazioni per pubblica utilità approvato con d.p.r. 8 giugno 2001 n.327.
Per tanto costituisce ius receptum che va garantita “mediante la formale comunicazione dell'avviso di avvio del procedimento, la possibilità di interloquire con l'amministrazione procedente sulla sua localizzazione e, quindi, sull'apposizione del vincolo, prima della dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza e, quindi, dell'approvazione del progetto definitivo” ( ex multis Consiglio Stato, sez. IV, 29 luglio 2008, n. 3760 )
Ciò premesso, nella fattispecie ablatoria per cui è causa, l’autorità comunale con le impugnate deliberazioni G.C. 172/2004 e 14/2005 ha approvato per ben due volte il progetto definitivo dei lavori di “riqualificazione della zona nord-est del borgo antico rione di Montone” con valore implicito di dichiarazione di pubblica utilità (art. 12 d.p.r. 327/2001.) senza stimolare alcun contraddittorio con i proprietari risultanti dai dati catastali, che, quali l’odierno ricorrente, subiscono direttamente gli effetti sfavorevoli dell’occupazione preordinata all’espropriazione.
Completamente priva di pregio è l’eccezione sollevata dalla difesa comunale circa la non annullabilità dei provvedimenti gravati ai sensi dell’art 21-octies l.241/90 e s.m.
Infatti, venendo in questione nell’ambito del procedimento espropriativo, atti endo-procedimentali (come la dichiarazione di pubblica utilità e il vincolo preordinato all’esproprio) immediatamente lesivi espressione di ampia discrezionalità amministrativa circa la localizzazione delle opere, non è applicabile il primo allinea del comma secondo dell’art 21-octies, il cui presupposto è strettamente ancorato alla natura vincolata dell’attività, bensì il secondo allinea secondo cui “Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato” con la conseguenza che l’onere della prova circa l’irrilevanza, in chiave prognostica, della mancata partecipazione sussiste solo e soltanto in capo all’amministrazione resistente ( ex plurimis T.A.R. Puglia Bari sez II, 8 febbraio 2010, n.264, T.A.R. Campania Napoli sez IV, 10 novembre 2006, n.9458)
Le affermazioni difensive comunali si arrestano invece su un piano del tutto generico ed apodittico, lungi dal fornire la prova di cui è onerata l’Amministrazione, senza alterare minimamente l’elemento basilare consistente nell’utilità di un confronto dialettico pieno ed effettivo con gli interessati sulle scelte ampiamente discrezionali di localizzazione delle opere pubbliche e di pubblica utilità, nell’interesse oltre che del ricorrente, della stessa Autorità espropriante.
Ne consegue la fondatezza dell’assorbente motivo di violazione del “giusto procedimento”, sia secondo la normativa di settore di cui al t.u. espropriazioni che in base agli art 7 e 8 l.241/90 e s.m.
Ritiene peraltro il Collegio fondata anche la censura di non conformità del progetto approvato con le specifiche disposizioni del PRG.
Infatti la realizzazione del “verde attrezzato”, non contemplata nello strumento urbanistico generale, necessitava di una preventiva variazione del PRG stesso, naturalmente anche nelle forme semplificate di cui agli art 18 e 19 d.p.r 327/2001- dovendosi la dichiarazione di pubblica utilità coordinarsi con la pianificazione urbanistica mediante preventiva apposizione del vincolo preordinato all’esproprio valido ed efficace (art 8 d.p.r 327/2001.) - forme tuttavia completamente omesse dall’Autorità espropriante.
Per i suesposti motivi la domanda di annullamento di cui al ricorso principale ed ai motivi aggiunti è fondata e va accolta, con conseguente annullamento della dichiarazione implicita di pubblica utilità e, per illegittimità derivata, del decreto di esproprio e dell’intera procedura espropriativa per cui è causa.
Rimangono assorbite le ulteriori censure dedotte.
Merita altresì accoglimento l’istanza risarcitoria.
Deve premettersi che il ricorrente non ha avanzato domanda di reintegrazione in forma specifica vale a dire di restituzione del fondo illegittimamente occupato e detenuto dall’amministrazione - come possibile secondo l’effetto ripristinatorio tipico del giudicato di annullamento del decreto di esproprio (Consiglio di Stato Adunanza Plenaria 29 aprile 2005 n.2) o secondo l’opzione per il risarcimento del danno in forma specifica ex art 2058 c.c. - bensì di sola domanda di risarcimento in forma generica o per equivalente in ragione dell’illegittima occupazione, demandando interamente a CTU la valutazione del valore venale dei suoli occupati e del risarcimento del danno.
La prevalente giurisprudenza del G.A.(Consiglio di Stato sez V 7 aprile 2009 n.2144, id IV 13 gennaio 2010 n.92, C.G.A. 25 maggio 2009 n.486, T.A.R. Lazio sez II 16 aprile 2010 n.7262) ritiene che spetti al danneggiato vittima dell’illegittimo potere ablatorio la scelta tra risarcimento in forma specifica, consistente nella restituzione del fondo previa riduzione in pristino stato - che per effetto della recente dichiarazione di incostituzionalità della c.d. “acquisizione sanante” di cui all’art 43 d.p.r.327/2001 (sent. Corte Cost. 8 ottobre 2010 n.293) non può trovare più alcun ostacolo da parte dell’Autorità espropriante - e risarcimento per equivalente, secondo il valore venale del bene, unitamente all’ulteriore e distinto pregiudizio consistente nel mancato godimento del medesimo (T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 17 agosto 2010 , n. 3403, TAR Reggio Calabria sez I 1 luglio 2010 n.1418) .
Non ignora il Collegio la sussistenza di orientamento negativo di tale opzione, di segno decisamente minoritario, per il rilievo che a seguito del venir meno nel nostro ordinamento degli istituti dell’occupazione acquisitiva ed usurpativa - in quanto in contrasto insanabile con la tutela del diritto di proprietà riconosciuta dall’art.1 Protocollo Addizionale della Carta Europea dei diritti dell’Uomo (CEDU) ( ex multis T.A.R. Lazio Roma sez II bis, 2 ottobre 2009, n.9557, Consiglio di Stato sez IV 27 marzo 2009, n.1858) - il privato espropriato non avrebbe mai diritto al risarcimento del danno consistente nel valore del bene appreso, non avendone mai perso la proprietà per effetto di occupazione sine titulo (T.A.R. Puglia Bari sez I 9 settembre 2009 n.2065) e potendone pertanto richiedere (soltanto) la restitutio in integrum , secondo i principi da tempo affermati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ( ex multis 22 dicembre 2009 Guiso-Gallisay/Italia).
Ritiene il Collegio di voler aderire all’orientamento maggioritario, richiamandosi alle prospettive civilistiche in tema di attuazione della tutela risarcitoria, laddove non emergono ostacoli ex art 2058 c.c. in ordine alla possibilità per il privato danneggiato di chiedere il risarcimento per equivalente, in luogo della reintegrazione in forma specifica, ovvero della restituzione del bene (Cassazione civ. sez III 21 maggio 2004, n.9709, T.A.R. Lazio sez II 16 aprile 2010 n.7262, Consiglio di Stato sez V 7 aprile 2009 n.2144) con implicita rinuncia abdicativa al diritto di proprietà (C.G.A. 25 maggio 2009 n.486). Tale conclusione naturalmente non muta a seguito della dichiarazione di incostituzionalità dell’art 43 t.u. espropriazioni, atteso che l’istituto della c.d. acquisizione sanante non aveva la funzione di comprimere la facoltà di scelta del privato, bensì di attribuire all'Amministrazione, quando ne ricorrevano le condizioni di interesse pubblico, il potere di paralizzare la domanda di reintegrazione in forma specifica e di convertire la domanda nella forma del risarcimento per equivalente;ma da ciò non poteva nemmeno prima farsi discendere che il privato deve necessariamente limitarsi a chiedere la restituzione del bene o il risarcimento del danno in forma specifica, essendogli preclusa la strada del risarcimento per equivalente, trattandosi di conclusione che, oltre a non trovare alcun fondamento nel testo della legge, sarebbe aberrante sotto il profilo del rispetto del principio di legalità, in quanto da un comportamento illecito o illegittimo dell'Amministrazione pubblica scaturirebbe non solo la perdita di un diritto sostanziale ma anche una limitazione al diritto di azione sul piano processuale, e ciò senza alcuna apparente ragione di interesse pubblico (in questi esatti termini quanto all’art 43 t.u. Consiglio Stato, sez. V, 07 aprile 2009, n. 2144).
Deve pertanto affermarsi anche dopo la cancellazione dall’ordinamento dell’”acquisizione sanante”, il diritto del proprietario di un bene occupato sine titulo nell’ambito di procedimento ablatorio annullato dal G.A., alla scelta del risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali (Corte europea dei diritti dell’uomo 22 dicembre 2009 Guiso-Gallisay/Italia) patiti in forma generica o per equivalente, in luogo della restitutio in integrum .
In aggiunta al danno pari al valore di mercato dei suoli di proprietà del ricorrente, va altresì risarcito il pregiudizio consistente nel mancato godimento del bene per tutto il periodo di protrazione dell’illecita occupazione, che in mancanza di indicazioni e deduzioni più puntuali da parte del soggetto danneggiato, deve ritenersi debba calcolarsi (come recentemente statuito da questo Tribunale sez. I, 17 agosto 2010 , n. 3403) assumendo a valore - base quello di mercato del bene, e applicando ad esso il tasso di interesse legale, da ritenersi quale presumibile e normale indice di redditività dell'immobile.
Il valore base del suolo “deve essere attualizzato anno per anno, con utilizzo dell'indice ISTAT e solo sul relativo risultato deve essere computato il danno per la perdita della possibilità di utilizzo del bene, calcolato attraverso il tasso di interesse legale, che rappresenta la commisurazione equitativa dei c.d. frutti civili, in mancanza di una più puntuale dimostrazione dei frutti e di altra utilità perduti. A tali importi devono aggiungersi poi gli interessi legali per il ritardo nell'erogazione delle somme, da computarsi anno per anno, partendo dal primo anno di scadenza dell'occupazione sino al soddisfo. Nell'operare tali pagamenti dovranno naturalmente essere sottratte le eventuali somme già versate a titolo di indennità di occupazione per gli anni presi in considerazione.” (T.A.R. Puglia Bari I, 17 agosto 2010, n. 3403).
Pertanto, alla luce dei principi sopra esposti, ritiene il Collegio che possa, anche nel caso in esame, farsi utilmente ricorso alla speciale previsione dell'articolo 34 comma 4 c.p.a. (prima contenuta nell’art 35, comma 2 d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80) in base al quale "in caso di condanna pecuniaria il giudice in mancanza di opposizione delle parti, stabilire i criteri in base ai quali il debitore deve proporre a favore del creditore il pagamento di una somma entro un congruo termine. Se le parti non giungono ad un accordo, ovvero non adempiono agli obblighi derivanti dall’accordo concluso, con il ricorso previsto dal Titolo I del Libro IV, possono essere chiesti la determinazione della somma dovuta, ovvero l’adempimento degli obblighi ineseguiti”
All'uopo devono stabilirsi i seguenti criteri direttivi che dovranno orientare l'Amministrazione comunale intimata nel formulare la suddetta proposta di definizione dell'importo del risarcimento dovuto entro giorni 60 (sessanta) dalla comunicazione (o dalla notifica di parte, se anteriore) della presente sentenza:
- l'ammontare del risarcimento dovrà corrispondere al valore di mercato del suolo all'epoca dell'atto di irreversibile trasformazione dell'immobile;
- la stima del valore di mercato del suolo andrà stabilita dal Comune obbligato al risarcimento, in contraddittorio con la parte ricorrente, sulla base degli elementi in possesso della stessa amministrazione e di quelli che verranno forniti dalla controparte, nonché delle informazioni che potranno essere acquisite presso uffici fiscali o da altri pubblici ufficiali, in ordine ai prezzi ed alle valutazioni dei beni (avuto riguardo, in particolare, ad atti di cessione, a procedimenti relativi all'applicazione di imposte e tributi ovvero a procedimenti in sede giudiziaria, per beni ubicati nella zona ed aventi analoghe caratteristiche di destinazione urbanistica, di utilizzazione, di stato e conformazione dei luoghi);
- il valore venale dell'area dovrà determinarsi tenendo conto prioritariamente della (eventuale) edificabilità legale del fondo, salva la considerazione del profilo della cd. "edificabilità di fatto" in via solo residuale e integrativa, secondo l'insegnamento della Corte di cassazione (cfr. Cass. civ., Sez. I, 11 febbraio 2005 n. 2871 nella parte in cui ha affermato che “nel sistema di disciplina della stima dell'indennizzo espropriativo introdotto dall'art.