Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-05-09, n. 202304665
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Pubblicato il 09/05/2023
N. 04665/2023REG.PROV.COLL.
N. 00876/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 876 del 2019, proposto da
A M, rappresentata e difesa dagli avvocati A I e F G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Barano D'Ischia, in persona del Sindaco
pro tempore,
non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Sesta) n. 03774/2018, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 13 febbraio 2023 il Cons. Annamaria Fasano e dato atto che nessuno è comparso per le parti in collegamento da remoto attraverso videoconferenza, con l'utilizzo della piattaforma " Microsoft Teams ";
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. A M propone appello avverso la sentenza n. 3774 del 2018 del T.A.R. per la Campania, che ha respinto il ricorso dalla stessa proposto per l’annullamento del provvedimento n. 44 dell’8.07.2013, con cui il Comune di Barano d’Ischia ha ordinato la demolizione di una serie di opere realizzate in difformità dal permesso di costruire n. 12/2011, rilasciato su un fabbricato sito alla via Vittorio Emanuele n. 5.
2. L’appellante, in qualità di proprietaria del suddetto immobile sito in zona vincolata, costituito da due corpi di fabbrica, aveva realizzato alcuni interventi di recupero-adeguamento-ampliamento, assentiti con permesso di costruire n. 12/2011, con autorizzazione paesaggistica n. 5/2011 e relativo parere di compatibilità paesaggistica reso dalla Soprintendenza di Napoli prot. n. 29779/10 del 20 gennaio 2011, con autorizzazione sismica n. 1978/11 del 5 settembre 2011.
Il progetto originario prevedeva la realizzazione di un soppalco, di un portico di 30 mq e sovrastante terrazzo di collegamento tra i due originari corpi di fabbrica, di una scala esterna di collegamento con sottostante bagno e di altre opere minori di sistemazione degli spazi esterni.
Al termine dei lavori, l’Amministrazione accertava la realizzazione di alcune opere difformi dal titolo abilitativo, e irrogava la sanzione demolitoria con ordinanza n. 44 dell’8.5.2013. In particolare, il Comune contestava la sostituzione del soppalco con un solaio di 30 mq;la chiusura del portico con infissi;l’ampliamento del prospetto posteriore con tamponatura della soletta di collegamento al portico;l’apertura di un vano finestra;il frazionamento interno in due unità abitative al piano terra ed al piano primo.
3. La sig.ra Mattera impugnava l’ordine di demolizione dinanzi al T.A.R. per la Campania denunciando: i ) la violazione art. 7 della L. n. 241/1990 e violazione del principio del giusto procedimento, per omessa comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio; ii) la violazione e falsa applicazione degli artt. 31 e 34 D.P.R. n. 380/01 e difetto di motivazione e di istruttoria, per l’irrogazione della più grave sanzione demolitoria a fronte di interventi realizzati in difformità dal titolo, senza dare conto dell’interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione stessa, né del presunto contrasto delle opere eseguite con la normativa urbanistica vigente; iii) l’incompetenza per violazione dell’art. 51 della L.142/1990 dell’organo burocratico che aveva adottato l’atto; iv) la violazione dell’art. 1 della L.R. n. 10/1982 e dell’art.82, lett. b), d) ed e-9) del D.P.R. n. 616/1977, poiché il provvedimento sanzionatorio era stato emanato senza la preventiva acquisizione del parere della Commissione Edilizia Integrata per i Beni Ambientali.
4. Il Tribunale amministrativo regionale per la Campania, con la sentenza n. 3774 del 2018, respingeva il ricorso, assumendo che non vi era stata alcuna violazione delle garanzie partecipative, in quanto l’irrogazione della sanzione demolitoria si configurava quale atto dovuto e strettamente vincolato rispetto ai presupposti di fatto e di diritto. Gli atti impugnati risultavano completi con riferimento all’istruttoria, con descrizione puntuale delle nuove opere, costituenti incremento di superfici e volumi, realizzate in zona vincolata senza autorizzazione paesaggistica né permesso di costruire. Secondo il Collegio di prime cure, ne derivava la corretta applicazione della sanzione demolitoria prevista dall’art. 31 D.P.R. n. 380/2001, in ragione della qualificazione in termini di “variazione essenziale” delle opere realizzate su immobili sottoposti a vincolo paesistico, non essendo compatibile la diversa sanzione pecuniaria prevista dall’art. 34 D.P.R. n. 380/2001. Infine, il T.A.R. respingeva l’assunto vizio di incompetenza, poiché era l’art. 6, comma 2 della L. n. 127/1997, che modificando l’art. 51 della L. n. 142/1990 attribuiva ai dirigenti la competenza ad emanare gli atti in materia edilizia, mentre il successivo art. 2 della L. n. 191/1998 ricomprendeva tra gli atti di gestione anche i provvedimenti repressivi degli abusi edilizi. Si rilevava infondato anche il motivo relativo alla mancata acquisizione del parere della C.E.I., sempre in ragione dell’ineluttabilità della sanzione demolitoria soprattutto perché si trattava di opere edilizie abusive su area vincolata, dal momento che il parere paesaggistico non avrebbe avuto alcuna capacità di incidere sull’irrogazione dell’ordine di ripristino.
5. A M, con ricorso in appello notificato nei termini e nelle forme di rito, ha impugnato la suddetta pronuncia, lamentando varie censure illustrate con un unico articolato motivo: “ Error in procedendo e iudicando. Erroneità dei presupposti di fatto e di diritto. Travisamento. Omessa pronuncia su punti decisivi della controversia. Eccesso di potere giurisdizionale”.
6. Il Comune di Barano d’Ischia, benchè ritualmente evocato, non si è costituito in giudizio.
7. All’udienza straordinaria del 13 febbraio 2023, la causa è stata assunta in decisione.
DIRITTO
8. L’appellante, con un unico motivo sviluppato in più censure, denuncia “ Error in procedendo e iudicando. Erroneità dei presupposti di fatto e di diritto. Travisamento. Omessa pronuncia su punti decisivi della controversia. Eccesso di potere giurisdizionale”.
8.1. In particolare, A M lamenta l’ error in iudicando in cui sarebbe incorso il giudice di primo grado nella reiezione del primo motivo di ricorso, poiché l’art. 7 della L. n. 241/90 dovrebbe essere applicato anche ai procedimenti sanzionatori, nei quali non sono ravvisabili quelle particolari esigenze cautelari legislativamente previste, che potrebbero giustificare l’omissione della comunicazione di avvio del procedimento.
8.1.1. L’assunto non è fondato.
L’indirizzo condiviso della giurisprudenza amministrativa ritiene che i provvedimenti aventi natura di atto vincolato, come l’ordinanza di demolizione, non devono essere preceduti dalla comunicazione di avvio del procedimento, non essendo prevista la possibilità per l’Amministrazione di effettuare valutazioni di interesse pubblico relative alla conservazione del bene. L’ordine di demolizione conseguente all’accertamento della natura abusiva delle opere edilizie, come tutti i provvedimenti sanzionatori edilizi, è un atto dovuto e, in quanto tale, non deve assicurare le garanzie partecipative, trattandosi di una misura sanzionatoria per l’accertamento dell’inosservanza di diposizioni urbanistiche secondo un procedimento di natura vincolata precisamente tipizzato dal legislatore e rigidamente disciplinato dalla legge;pertanto, trattandosi di un atto volto a reprimere un abuso edilizio, esso sorge in virtù di un presupposto di fatto, ossia l’abuso, di cui il ricorrente deve essere ragionevolmente a conoscenza, rientrando nella propria sfera di controllo (Cons. Stato n. 6490 del 2021;Cons. Stato n. 4389 del 2019;Cons. Stato n. 2681 del 2017). In sostanza, l’esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce manifestazione di attività amministrativa doverosa, non risultando pertanto rilevanti le supposte violazioni procedimentali che avrebbero precluso un’effettiva partecipazione degli interessati al procedimento, non potendosi in ogni caso pervenire all’annullamento dell’atto alla stregua dell’art. 21 octies l. 7 agosto 1990, n. 241 (Cons. Stato, n. 1958 del 2023).
8.2. La ricorrente lamenta che le contestate difformità non avrebbero comportato alcuna alterazione planivolumetrica, ma le opere in esame sarebbero poste in durevole rapporto di subordinazione rispetto all’immobile principale, sicchè la loro esecuzione sarebbe stata finalizzata a renderne possibile una migliore utilizzazione. Inoltre, le opere sarebbero di modesta consistenza tale da non determinare alcun carico urbanistico o alterare in modo significativo l’assetto del territorio. In sostanza, secondo l’appellante, le opere avrebbero natura obiettiva di pertinenza e gli interventi di recupero realizzati rientrerebbero tra gli interventi assoggettati a semplice denuncia di inizio attività.
Secondo l’appellante, nella fattispecie, il Comune risulta sprovvisto di un valido strumento urbanistico generale e la normativa regionale (L.R. n. 17/82) ammetterebbe la realizzazione di opere di ordinaria e straordinaria manutenzione, di restauro, di risanamento conservativo e di ristrutturazione, che non comportino aumento delle volumetrie e delle superfici utili preesistenti. Analoga previsione sarebbe, infine, contenuta nell’art. 9 del P.T.P. del 1999 dell’Isola di Ischia, che peraltro escluderebbe l’assoggettamento ad autorizzazione paesaggistica degli interventi summenzionati.
Le opere in questione risulterebbero, pertanto, conformi alla normativa urbanistica e paesistica vigente, e in relazione alle stesse potrebbe essere rilasciato il titolo in sanatoria ex art. 36 d.P.R. 380/01, previo pagamento della relativa oblazione, o applicarsi la sanzione pecuniaria prevista dall’art. 37 del d.P.R. n. 380/01.
A M denuncia, inoltre, il difetto di motivazione dell’ordinanza gravata, per essere la stessa priva di una specifica motivazione in ordine all’interesse pubblico attuale e concreto alla demolizione, stante il decorso di un considerevole lasso di tempo dalla realizzazione delle opere.
8.2.1. Le esposte critiche non possono trovare accoglimento.
Esaminando le doglianze secondo criteri di priorità logica, va scrutinato il motivo con cui si denuncia il difetto di motivazione dell’atto impugnato, che questo Collegio non condivide, rammentando che, stante la natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e indirizzo, l’ordinanza di demolizione non richiede una motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso, né alcuna comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né il decorso del tempo può incidere sull’ineludibile doverosità degli atti volti a perseguire l’illecito attraverso l’adozione della relativa sanzione. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso (Cons. Stato, n. 998 del 2022).
Con riferimento alla questione dedotta, in maniera approfondita nello sviluppo illustrativo del mezzo, circa la conformità delle opere abusive agli strumenti urbanistici, va evidenziato che, come accertato dal giudice di prima istanza, gli interventi edilizi sanzionati non risultano supportati neppure da una D.I.A., così come sono del tutto sprovvisti della autorizzazione paesistica. L’art. 27 del d.P.R. n. 380 del 2001 (nella specie ha trovato applicazione l’art. 31 del d.P.R. cit.) non distingue tra opere per cui è necessario il permesso di costruire e quelle per cui sarebbe necessaria la semplice D.I.A. in quanto impone di adottare un provvedimento di demolizione per tutte le opere che siano, comunque, costruite senza titolo in aree sottoposte a vincolo paesaggistico.
In sostanza, le opere abusive realizzate in zona sottoposta a vincolo paesistico, quand’anche si dovessero ritenere, come sostiene l’appellante, avere natura precaria o pertinenziale e, quindi, assentibili con mera D.I.A., si considerano comunque eseguite in totale difformità dalla concessione, il che comporta che l’applicazione della sanzione demolitoria è comunque doverosa, ove non sia stata ottenute alcuna previa autorizzazione paesaggistica. Ciò, in quanto, tutte le opere realizzate sull’area sottoposta a vincolo, anche se trattasi di volumi tecnici e anche se considerate eventuali pertinenze, per ragioni di esigenza di tutela del paesaggio, devono essere sottoposte alla previa valutazione degli organi competenti (Cons. Stato, n. 8785 del 2022).
8.3. La ricorrente censura la sentenza gravata nella parte in cui ha ritenuto legittimo l’assoggettamento delle difformità in esame all’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, qualificandole come “variazioni essenziali” per via della loro realizzazione su immobile sottoposto a vincolo paesistico. Sostiene che, al contrario, la normativa applicabile sarebbe dovuta essere quella dell’art. 34 del D.P.R. n. 380/2001, in quanto quella in esame si rivela essere una difformità “parziale”, realizzata nel sostanziale rispetto della tipologia edilizia progettata. Il T.A.R. avrebbe errato, pertanto, nel ritenere che la disciplina di settore, ossia l’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, sanziona con la demolizione la realizzazione senza titolo di nuove opere in zone vincolate, affermando che, come disposto dall’art. 32, comma 3, del d.P.R. n. 380/01, qualunque intervento effettuato su immobili sottoposti a vincolo paesistico è da qualificarsi come ‘variazione essenziale’, e, in quanto tale, è suscettibile di essere demolito ai sensi dell’art. 31, comma 1, d.P.R. n. 380/2001.
8.3.1. La tesi difensiva non persuade.
Si rinvia, circa la qualifica di ‘variazione essenziale’, a quanto sopra illustrato, non essendo contestato che le opere sono state realizzate in assenza dei prescritti titoli abilitativi.
Come correttamente precisato dal Collegio di prime cure, nella specie, trova applicazione l’art. l’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001, che sanziona con la demolizione le opere abusive in zone vincolate. L’ultimo comma dell’art. 32 del d.P.R. n. 380 del 2001 stabilisce chiaramente che gli interventi abusivi su beni vincolati sono considerati come eseguiti in ‘totale difformità’ dalla concessione, rappresentando una variazione essenziale e, in quanto tale, sono suscettibili di essere demoliti ai sensi dell’art. 31, comma 1, e dell’art. 32, comma 3, del d.P.R. n. 380 cit.
Da siffatti rilievi consegue che, in presenza di opere edificate senza titolo edilizio, e a maggior ragione in zona vincolata, l’ordinanza di demolizione, sia essa ai sensi del citato art. 31, di cui si è fatta applicazione nel provvedimento impugnato, che dell’art. 27 d.P.R. n. 380 del 2001, è da ritenersi provvedimento rigidamente vincolato. Oltre al fatto che nel vagliare un intervento edilizio consistente in una pluralità di opere, come qui accaduto, deve effettuarsi una valutazione globale delle stesse, atteso che le opere vanno considerate nel loro complesso (Cons. Stato, n. 1350 del 2021);infatti, la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprendere l’effettiva portata dell’operazione (Cons. Stato n. 4142 del 2021). In caso di abuso edilizio non è dato scomporne una parte per negare l’assoggettabilità ad una determinata sanzione demolitoria, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio deriva non da ciascun intervento a sé stante, bensì dall’insieme delle opere nel loro contestuale impatto edilizio e nelle reciproche interazioni (Cons. Stato n. 7426 del 2021).
8.4. Con l’ultima doglianza, l’appellante denuncia che l’ordinanza impugnata ha come motivazione unicamente la asserita realizzazione delle opere in contestazione e non reca, nel contempo, alcun richiamo ai titoli abilitativi rilasciati all’appellante e non precisa in alcun modo in cosa consisterebbe la difformità tra le opere accertate e quelle di cui ai titoli abilitativi. In presenza di tale omissione al Tribunale amministrativo e alla difesa dell’Ente era preclusa una integrazione in sede giudiziale della motivazione dell’atto amministrativo impugnato.
8.4.1. La critica va respinta.
Come sopra precisato, l’ordine di demolizione è un atto dovuto e vincolato e, in quanto tale, non necessita di una motivazione aggiuntiva, oltre all’indicazione dei presupposti di fatto e alla individuazione degli abusi edilizi, che nella specie non è in contestazione. Nell’adozione di un ordine di demolizione, l’Amministrazione è tenuta a giustificare la sussistenza dei presupposti del provvedere, descrivendo l’entità e la consistenza delle opere edili, nonché contestando la loro abusività, stante l’integrazione dell’illecito civile in contestazione (Cons. Stato, n. 7027 del 2022).
Nella fattispecie, a seguito dell’accertamento operato sui luoghi dalla Polizia Municipale di Barano d’Ischia in data 9.5.2013, è stata contestata all’appellante la realizzazione, in sostituzione della prevista area soppalcata, di un solaio intermedio di complessivi mq.30;la trasformazione del previsto portico di mq 30 in ambienti abitativi mediante chiusura dello stesso con infissi;l’ampliamento sul piano posteriore di mq 3,75 e del bagno sottoscala di mq. 1, 40, specificando che trattasi di opere realizzate in zona vincolata senza autorizzazione paesaggistica e permesso di costruire.
Ne consegue la legittimità del provvedimento sanzionatorio, tenuto conto che “ l’ordinanza di demolizione ha natura di atto dovuto e rigorosamente vincolato, dove la repressione dell’abuso corrisponde per definizione all’interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi illecitamente alterato, con la conseguenza che essa è già dotata di un’adeguata e sufficiente motivazione, consistente nella descrizione delle opere abusive e nella constatazione della loro abusività” (Cons. Stato, n. 903 del 2019). Né si può predicare che nel corso del giudizio vi sia stata una integrazione postuma della motivazione, rappresentando le deduzioni difensive dell’Amministrazione l’esplicazione di mere difese a fronte delle contestazioni espresse dall’appellante per sostenere l’illegittimità dell’atto impugnato.
9. In definitiva l’appello va respinto.
Nulla va disposto per le spese di lite, in mancanza di attività difensiva della parte intimata.