Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2021-05-31, n. 202104142
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Pubblicato il 31/05/2021
N. 04142/2021REG.PROV.COLL.
N. 07287/2020 REG.RIC.
N. 00213/2021 REG.RIC.
N. 01625/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7287 del 2020, proposto da
Società Agricola Agribio di Chianese Pietro s.a.s., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati G P e G S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Teverola, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avvocato S C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via G. Antonelli n. 49;
Regione Campania, Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Caserta, non costituite in giudizio;
sul ricorso numero di registro generale 213 del 2021, proposto da
Società Agricola Agribio di Chianese Pietro s.a.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati G P e G S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Teverola, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato S C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. S C in Roma, via G. Antonelli n. 49;
nei confronti
Regione Campania, non costituita in giudizio;
sul ricorso numero di registro generale 1625 del 2021, proposto da
Società Agricola Agribio di Chianese Pietro s.a.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati G P e G S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Teverola, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato S C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. S C in Roma, via G. Antonelli n. 49;
Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
Regione Campania, Ministero dell'Interno, Ministero della Difesa, Stazione dei Carabinieri di Teverola, non costituiti in giudizio;
per la riforma
quanto al ricorso n. 7287 del 2020:
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Terza) n. 3670/2020, resa tra le parti
quanto al ricorso n. 213 del 2021:
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Sesta) n. 06203/2020, resa tra le parti
quanto al ricorso n. 1625 del 2021:
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Terza) n. 805/2021, resa tra le parti
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Teverola e del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 maggio 2021 il Cons. E F e uditi per le parti gli Avvocati G P, G S e S C;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. Deve preliminarmente osservarsi che i tre appelli indicati in epigrafe sono, da un punto di vista oggettivo, strettamente connessi, in quanto inerenti all’attività agrituristica avviata dalla società appellante in modo che l’Amministrazione comunale di Teverola (CE) ha ritenuto, sotto le plurime angolazioni sottese a ciascuno dei provvedimenti impugnati in primo grado, difforme dai pertinenti parametri di legittimità.
Tale connessione oggettiva, di conserva con quella di carattere soggettivo che palesemente emerge dalla indicazione in epigrafe delle parti del giudizio, è quindi sufficiente a giustificare la trattazione congiunta dei medesimi appelli, cui si procederà con la presente sentenza, che non potrà non risentirne dal punto di vista della sua estensione motivazionale, in (si ritiene) giustificata deroga dal canone di sinteticità di cui all’art. 3, comma 2, c.p.a..
2.1. Con la sentenza n. 3670 del 27 agosto 2020, oggetto dell’appello iscritto presso questo giudice con il n. 7287/2020, il T.A.R. per la Campania ha respinto il ricorso proposto dalla Società Agricola Agribio di Chianese Pietro s.a.s. avverso l’ordinanza n. 16 del 9 ottobre 2019, con la quale il Comune di Teverola (CE) ha ordinato la chiusura della struttura agrituristica denominata “La Sosta”, sulla scorta dei verbali con i quali la Polizia municipale aveva accertato che l’attività ricettiva veniva esercitata in assenza di connessione con l’attività agricola prevalente, come previsto dall’art. 7 l.r. Campania n. 15/2008 e dall’art. 2 del relativo Regolamento attuativo n. 18/2009.
2.2. Il provvedimento comunale deriva infatti dall’accertamento condotto dalla Polizia municipale, come riferito con i verbali n. 3 e n. 4, redatti all’esito dei sopralluoghi effettuati il 6 e l’11 settembre 2019, dai quali risulta che <<In entrambi i sopralluoghi non sono stati rinvenuti operai intenti all’attività agricola, alcun attrezzo agricolo, né locali /fabbricati destinati alla custodia di macchine agricole e alle funzioni strumentali necessarie per lo svolgimento dell’attività agricola, quale conservazione prodotti agricoli, scorte occorrenti all’attività, abitazione dell’imprenditore agricolo e/o familiari e/o abitazioni/spogliatoi dei dipendenti addetti alle attività agricole. ...I terreni limitrofi all’immobile in questione, all’atto dei sopralluoghi, si presentavano incolti ...>>.
Aggiunge inoltre l’Amministrazione comunale che in occasione dei sopralluoghi risultano “non realizzati i corpi strutturali indispensabili per l’attività agricola (…) destinati alla lavorazione e deposito dei prodotti agricoli nonché al deposito dei mezzi agricoli;inoltre parte del fondo non pavimentata risulta del tutto incolta e priva di qualsiasi trattamento che possa far ipotizzare il loro utilizzo sia presente che futuro”.
2.3. Il T.A.R. ha ravvisato l’infondatezza delle censure attoree, essenzialmente intese a dedurre la sottoposizione del procedimento applicativo della sanzione irrogata alle garanzie contemplate dalla l. n. 689/1981 e la sussistenza del requisito della connessione dell’attività ricettiva a quella agricola, contestata dall’Amministrazione.
2.4. Mediante i motivi di appello, l’odierna a società appellante, ed originaria ricorrente, contesta le conclusioni cui è giunto il giudice di primo grado, anche lamentando l’omesso esaustivo esame di alcuni degli originari profili di censura, chiedendo conseguentemente la riforma della sentenza appellata ed il conclusivo accoglimento della domanda di annullamento proposta in primo grado.
2.5. Resiste all’appello il Comune di Teverola, il quale espone le ragioni che militano, a suo avviso, a favore della correttezza della determinazione provvedimentale oggetto di controversia.
3.1. Ritiene la Sezione di muovere dall’esame delle censure intese a contestare il modus procedendi seguito dall’Amministrazione comunale, ad iniziare da quella – che la parte appellante assume non avere costituito oggetto di espressa pronuncia da parte del T.A.R. - diretta ad evidenziare che l’impugnata ordinanza n. 16 del 9 ottobre 2019, di chiusura ad horas dell’attività agrituristica, è stata adottata quando l’Amministrazione aveva già dato avvio (con il verbale della P.M. n. 4 del 27 settembre 2019) allo speciale procedimento di cui all’art. 12 l.r. n. 15/2008, in contraddittorio con la deducente: in tal modo, lamenta la società appellante, “il Comune di Teverola ha inopinatamente adottato un autonomo provvedimento di chiusura, con sostanziale duplicazione di quello già previsto dal procedimento in itinere ”.
3.2. Il motivo non è meritevole di accoglimento.
3.3 Deve osservarsi che l’ordinanza impugnata non assume, come afferma la parte appellante, carattere “duplicativo” di un diverso ipotetico procedimento finalizzato all’applicazione della sanzione da essa comminata alla società Agribio, il quale avrebbe trovato avvio con il citato verbale n. 4/2019, inserendosi essa stessa, piuttosto, nel procedimento attivato con il suddetto verbale ed essendo finalizzata all’esercizio del potere sanzionatorio stimolato dall’accertamento/contestazione, formalizzati con il medesimo verbale, della fattispecie di cui all’art. 12, comma 1, l.r. n. 15/2008 (sotto il particolare profilo della carenza dei requisiti relativi al rapporto di connessione dell’attività agrituristica con l’attività agricola ed al carattere prevalente di quest’ultima, ex art. 10 l.r. cit.).
Inoltre, deve escludersi che nel citato verbale sia ravvisabile la fonte di un ipotetico auto-vincolo assunto dall’Amministrazione in ordine all’osservanza, ai fini dell’applicazione della sanzione inibitoria, dello schema procedimentale delineato dalla l. n. 689/1981, dal momento che esso si limita a richiamare le disposizioni di cui agli artt. 16 e 18 l. n. 689/1981, senza alterare expressis verbis il loro proprio spettro applicativo (coincidente, ai sensi dell’art. 12, con “le violazioni per le quali è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro”).
4.1. Deduce ancora la parte appellante che l’Amministrazione, ai fini dell’applicazione della sanzione de qua, avrebbe dovuto osservare il procedimento delineato dalla l. n. 689/1981, fondando la sua ricostruzione ermeneutica, intesa a sostenere la doverosa applicazione della legge citata alla fattispecie sanzionatoria in esame, sulla correlazione tra le pertinenti disposizioni di cui alle ll.rr. nn. 13/1983 e 15/2008.
4.2. Rileva la Sezione che la corretta analisi delle stesse norme invocate dalla parte appellante conduce ad esiti interpretativi opposti a quelli da essa sostenuti.
4.3. In primo luogo, infatti, l’art. 12, comma 7, l. n. 15/2008 dispone che “l’irrogazione delle sanzioni è disposta in osservanza della legge regionale 10 gennaio 1983, n. 13” (la quale contiene effettivamente plurimi rinvii alla l. n. 689/1981).
Ebbene, deve osservarsi che la locuzione “in osservanza” sottende il mero rinvio alle disposizioni delle l.r. n. 13/1983, in mancanza di alcuna volontà ampliativa/integrativa dello spettro applicativo di ciascuna di esse: mediante la suddetta formula, quindi, il legislatore regionale ha inteso solo ribadire l’applicazione delle norme previgenti, se e nella misura in cui debbono trovare applicazione, secondo il loro significativo originario, alle fattispecie da esso disciplinate con la legge sopravvenuta.
In tale contesto interpretativo, assume quindi rilievo dirimente il disposto dell’art. 1 l.r. n. 13/1983, a mente del quale “la presente legge regionale si applica in tutti i casi in cui leggi regionali o norme statali anche emanate anteriormente all’istituzione delle Regioni a statuto ordinario, in materia di competenza propria o delegata, prevedano l’irrogazione, da parte della Regione stessa ovvero di Enti da essa individuati, delegati o subdelegati, di sanzioni amministrative pecuniarie, originariamente amministrative o divenute tali per effetto della depenalizzazione di cui alla L. 24 novembre 1981, n. 689”: deve invero osservarsi che la limitazione della sfera applicativa della l.r. n. 13/1983 alle sole “sanzioni amministrative pecuniarie” induce insuperabilmente ad escludere la sua riferibilità alla sanzione inibitoria oggetto della presente controversia (senza trascurare che, ai sensi dell’art. 15 l.r. n. 13/1983, “alle sanzioni amministrative accessorie (quale potrebbe astrattamente considerarsi quella de qua , n.d.e. ) a sanzioni amministrative pecuniarie, diverse dal sequestro e dalla confisca amministrativa, si applicano il primo e secondo comma dell'art. 20 della L. 24 novembre 1981, n. 689”, i quali sono tuttavia estranei al thema decidendum ).
4.4. Infine, quanto alla dedotta violazione delle garanzie partecipative previste in via generale dall’art. 7 l. n. 241/1990, deve osservarsi che la società interessata ha concretamente goduto delle connesse prerogative partecipativo-difensive: ciò alla luce, da un lato, della facoltà in tal senso espressamente riconosciutale con il citato verbale, dall’altro lato, del fatto che, come risulta dalla documentazione versata in atti, la società appellante ha ricevuto dal Comune di Teverola, in data 9 settembre 2009, la nota prot, n. 1863, recante la comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio incentrato sulla violazione delle disposizioni di cui alla l.r. n. 15/2008, anche concretamente fruendo, mediante la produzione di una apposita memoria difensiva, della chance partecipativa che le è stata in tal modo offerta.
5. Devono adesso esaminarsi i motivi di appello volti a contestare la legittimità del provvedimento inibitorio, impugnato in primo grado, ed insieme la correttezza della sentenza appellata, che non avrebbe erroneamente rilevato i vizi in quella sede lamentati.
6.1. Prima ancora, tuttavia, occorre nuovamente richiamare e meglio illustrare, anche alla luce del pertinente quadro normativo, le ragioni sulle quali si fonda il provvedimento originario.
6.2. Mediante quest’ultimo, come si è detto, l’Amministrazione ha negato la sussistenza dei presupposti legittimanti l’esercizio dell’attività agrituristica da parte della società ricorrente nell’ambito di un fabbricato rurale ubicato in Teverola alla S.P. 341 di Terra di Lavoro ex S.S. 7 bis km. 9 + 380, sotto l’insegna “La Sosta”, essendo carente il rapporto di connessione tra attività agricola ed attività recettiva, così come il carattere prevalente della prima rispetto alla seconda.
6.3. Deve premettersi che il requisito de quo è contemplato dall’art. 10 l.r. Campania n. 15/2008, ai sensi del quale:
“1. L’attività di agriturismo è esercitata in rapporto di connessione con l’attività agricola che rimane prevalente.
2. Ai fini della presente legge il carattere di prevalenza dell’attività di coltivazione del fondo, della silvicoltura e dell’allevamento di animali rispetto all’attività agrituristica si intende realizzato quando il tempo-lavoro impiegato nelle attività agricole è superiore a quello impiegato nell’attività agrituristica sulla base delle tabelle di cui al comma 5.
3. L’attività agricola si considera comunque prevalente quando le attività di ricezione e di somministrazione di pasti e bevande interessano un numero non superiore a dieci ospiti o è data ospitalità ai campeggiatori utilizzando fino a cinque piazzole.
4. La connessione dell’attività agrituristica si realizza quando l’azienda agricola, in relazione alla sua estensione, alle sue dotazioni strutturali, alla natura e alla varietà delle coltivazioni e degli allevamenti praticati, agli spazi disponibili, agli edifici in essa ricompresi, al numero degli addetti e al grado del loro impegno agricolo, è idonea anche allo svolgimento dell’attività agrituristica, nel rispetto delle disposizioni della presente legge e del regolamento.
5. Le tabelle tempo-lavoro sono individuate dal regolamento e sono aggiornate ogni tre anni. Gli aggiornamenti sono adottati dalla Giunta regionale, sentito il comitato tecnico regionale di cui all’articolo 15”.
Ai fini della individuazione del contenuto del rapporto di “connessione” di cui al citato comma 4, inoltre, è inoltre opportuno richiamare il disposto dell’art. 2 l. cit., ed in particolare:
- il comma 1, il quale stabilisce che “per attività agrituristiche si intendono le attività di ricezione e di ospitalità esercitate dagli imprenditori agricoli, singoli o associati, di cui all'articolo 2135 del codice civile ed all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228, attraverso l’utilizzazione della propria azienda in rapporto di connessione rispetto all’attività di coltivazione del fondo, silvicoltura, allevamento di animali e attività connesse”;
- il comma 3, il quale dispone che “rientrano fra le attività agrituristiche:
a) dare ospitalità in alloggi o in spazi aperti destinati alla sosta di campeggiatori;
b) somministrare pasti e bevande, ivi comprese quelle a carattere alcolico e superalcolico, costituiti in misura prevalente da prodotti propri, come definiti dal comma 4, nonché da prodotti di aziende agricole presenti nel territorio regionale, con preferenza per i prodotti tipici e tradizionali e per quelli a marchio DOP, IGP, IGT, DOC e DOCG;
c) organizzare degustazioni di prodotti aziendali, ivi compresa la mescita di vino;
d) organizzare, direttamente o mediante convenzioni con gli enti locali, attività ricreative, culturali, didattiche, di pratica sportiva, nonché attività escursionistiche e di ippoturismo, anche all’esterno dei beni fondiari nella disponibilità dell’impresa, finalizzate alla valorizzazione e alla conoscenza del territorio e del patrimonio rurale ed alla migliore fruizione degli stessi beni”;
- il comma 4, ai sensi del quale “sono considerati prodotti propri i cibi e le bevande prodotti, lavorati e trasformati nell’azienda agricola, nonché quelli ricavati da materie prime dell’azienda agricola ed ottenuti attraverso lavorazioni esterne”.
6.4. Dalle norme indicate si evince quindi che, secondo il legislatore regionale, il rapporto tra attività agricola ed attività agrituristica non ha carattere meramente statico-quantitativo, né la seconda deve risolversi in una mera attività ricettiva priva di qualsivoglia collegamento con la prima, ma deve tradursi nell’esercizio delle medesime attività “in connessione” tra loro, ovvero garantendo che tra l’attività di ospitalità turistica e quella agricolo-produttiva si realizzi una piena integrazione, apprezzabile, tra l’altro, dal punto di vista della destinazione dei prodotti agricoli al consumo da parte degli ospiti (secondo i parametri delineati dall’art. 3 del Regolamento attuativo n. 18/2009), della conoscenza da parte di questi ultimi delle attività che si svolgono nell’azienda agricola e della condivisione attiva e partecipativa delle tradizioni e delle costumanze proprie dell’ambiente e della comunità rurale.
6.5. Ciò premesso, l’Amministrazione appellata, sulla scorta dell’istruttoria compiuta dalla P.M., ha di fatto negato (prima ancora che il rapporto di prevalenza dell’attività agricola rispetto a quella agrituristica) la stessa esistenza di una attività agricola in “connessione” con la quale quella agrituristica sarebbe stata suscettibile di legittimo esercizio.
Come si evince dall’ordinanza impugnata in primo grado, e dal presupposto verbale della P.M., redatto all’esito dei due sopralluoghi svolti presso la struttura de qua, infatti, essa ha evidenziato:
- il mancato rinvenimento di “operai intenti all’attività agricola”, di attrezzi agricoli, di “locali /fabbricati destinati alla custodia di macchine agricole e alle funzioni strumentali necessarie per lo svolgimento dell'attività agricola, quale conservazione prodotti agricoli, scorte occorrenti all’attività, abitazione dell’imprenditore agricolo e/o familiari e/o abitazioni/spogliatoi dei dipendenti addetti alle attività agricole”;
- il fatto che i “terreni limitrofi all’immobile in questione, all’atto dei sopralluoghi, si presentavano incolti”;
- la mancata realizzazione dei “corpi strutturali indispensabili per l’attività agricola (…) destinati alla lavorazione e deposito dei prodotti agricoli nonché al deposito dei mezzi agricoli”;
- il fatto che “parte del fondo non pavimentata risulta del tutto incolta e priva di qualsiasi trattamento che possa far ipotizzare il loro utilizzo sia presente che futuro”.
Deve in proposito rilevarsi che, sebbene il provvedimento impugnato si fondi essenzialmente sulla esclusione di ogni attività di carattere agricolo, l’analisi che seguirà non potrà trascurare i profili relativi alla connessione tra attività agricola ed attività ricettiva così come quello della prevalenza della prima rispetto alla seconda, atteso che l’eventuale carenza di tali requisiti, pur in presenza di una eventuale attività agricola di carattere “minimale”, denoterebbero comunque l’assenza di ogni interesse della parte appellante all’accoglimento del gravame, a fronte del carattere vincolato del provvedimento impugnato (che nell’assenza dei suddetti requisiti di connessione e prevalenza, anche se non adeguatamente esplicitata, troverebbe comunque idoneo fondamento).
In ogni caso, sempre al fine di evidenziare che l’analisi che segue non potrà che essere condotta “a tutto campo”, e quindi anche in relazione ai suddetti requisiti di connessione/prevalenza, non può non osservarsi che la sentenza appellata ha fondato la reiezione del ricorso introduttivo anche sull’assenza degli stessi (come si evince, tra l’altro, dal seguente passaggio motivazionale: “Conclusivamente, la ricettività agrituristica è ammessa solo ed esclusivamente a condizione che vi sia un rapporto di stretta derivazione dall’attività agricola, che la prima sia alla seconda complementare, senza mai sovvertire a favore dell’ospitalità il rapporto di connessione tra l’una e l’altra attività (specialmente, ma non solo, quanto al tempo-lavoro impiegato”), elevandolo a presupposto fondante la legittimità del provvedimento impugnato in primo grado, e che la stessa parte appellante fonda la sua difesa, oltre che sull’esistenza di una attività agricola connotata da profili di effettività ed attualità, sulla sua (asserita) prevalenza rispetto a quella (complementare) agrituristica.
7. Ciò premesso, e prima di affrontare i temi di censura sottoposti dalla parte appellante all’esame del giudice di appello, deve precisarsi che la verifica relativa alla sussistenza dei presupposti legittimanti l’adozione dell’ordinanza impugnata deve essere condotta con immediato riferimento alla situazione di fatto esistente alla data della sua adozione e dello svolgimento dell’attività istruttoria che l’ha preceduta, quale cioè è stata accertata dall’Amministrazione e posta a fondamento della misura inibitoria contestata: ne consegue che anche le allegazioni della parte appellante devono essere attentamente “filtrate” alla stregua del suddetto criterio temporale, non assumendo rilievo ai fini della decisione elementi probatori (addotti a favore della predicata sussistenza dei requisiti legittimanti lo svolgimento dell’attività agrituristica) di cui sia incerta la collocazione cronologica, ciò anche al fine di evitare ogni impropria commistione tra elementi sintomatici dell’eccesso di potere – per inadeguatezza istruttoria del provvedimento impugnato – astrattamente suscettibili di fondare la proposta domanda di annullamento ed attività postuma di adeguamento da parte della società appellante alle pertinenti prescrizioni di legge (le quali, in ogni caso, potrebbero venire eventualmente in rilievo, nella pertinente sede amministrativa, al fine di accertare la sussistenza dei presupposti per il venir meno della misura inibitoria, anche considerando che la stessa ordinanza impugnata prescrive la chiusura dell’attività recettiva non in maniera illimitata ed irreversibile, ma “fino a quando sussistono le violazioni” contestate: verifica che la parte appellante, peraltro, risulta anche aver richiesto con nota prot n. 5994 del 4 settembre 2020, sul cui esito nessuna allegazione è stata formulata dalle parti).
8. Sempre in via preliminare, deve chiarirsi che, tenuto conto della motivazione articolata che sorregge il provvedimento impugnato (il quale ritrae dai plurimi elementi raccolti in sede istruttoria la conclusione della insussistenza del ridetto carattere di “connessione” tra attività agricola ed attività agrituristica), anche l’invocato sindacato giurisdizionale deve svolgersi secondo una prospettiva unitaria e non parcellizzata, al fine di verificare la complessiva tenuta del ragionamento deduttivo che ha condotto l’Amministrazione alla sua adozione.
9. Ciò premesso, può senz’altro procedersi all’esame dei motivi di appello, anche opportunamente raggruppandoli laddove attinenti ad aspetti unitari e/o interdipendenti.
10.1. In primo luogo, la parte appellante richiama la perizia asseverata del 24 ottobre 2019, laddove, tra l’altro, attesta che le sole produzioni di cipolle e broccoli comportano una forza lavoro complessiva annua di 3.687 ore/anno, ovvero prevalente rispetto a quella, pari a 1.980 ore/anno, impiegata nello svolgimento dell’attività agrituristica, nonché il parere pro veritate in data 1° settembre 2020, a firma dell’agronomo dott. R S, laddove attesta che gli indicati quantitativi di produzione agricola (relativi al solo fondo oggetto d’ispezione) risultano da soli sufficienti a garantire il rispetto del suddetto rapporto di prevalenza.
La parte appellante, a dimostrazione dell’effettivo svolgimento e della consistenza dell’attività agricola svolta dall’azienda, richiama inoltre i molteplici documenti versati agli atti del giudizio, già in primo grado, ovvero: a) le riproduzioni fotografiche dei campi e delle relative coltivazioni;b) i contratti e le fatture relative all’acquisto di sementi, concimi, alberi da piantumazione, nonché alla vendita del prodotto agricolo raccolto;c) i contratti di assunzione del personale addetto all’attività agricola e le relative buste paga;d) i certificati di regolarità contributiva;e) l’elenco e le riproduzioni fotografiche di tutti gli attrezzi di proprietà dell’azienda, così come dei veicoli iscritti al P.R.A., con indicazione del luogo di deposito degli stessi;f) le fatture per costo di manutenzione dei mezzi ed altro.
Allega inoltre la parte appellante che gli addebiti mossi sono frutto di accertamenti episodici (2 sopralluoghi, in circa 1 anno di attività, effettuati in data 6 e 9 settembre 2019 e limitati all’attività ricettiva) e svolti in orari (ore 12:30 e 17:30) nei quali il personale addetto all’attività agricola ha già lasciato i luoghi di lavoro o, al più, risulta occupato nella pausa pranzo.
Aggiunge la parte appellante che il lavoro nei campi non solo si svolge in aree non già necessariamente a ridosso della struttura destinata alla ricettività, ma ha una durata di poco più di 6 ore giornaliere, ha inizio, specie nel periodo estivo, fin dalle primissime ore del mattino e, comunque, risulta caratterizzato, per espressa disposizione di legge e di CCNL, da assoluta flessibilità, altresì evidenziando che l’impresa agricola si articola in diversi fondi ove viene impiegato il personale agricolo, che tuttavia non sono stati interessati dagli indicati sopralluoghi.
Espone ancora la parte appellante che l’imprenditore agricoltore, in assenza di locali diretti ad ospitare i mezzi agricoli, li conserva in altro luogo nella propria disponibilità per sottrarli al rischio di furto ed all’azione degli agenti atmosferici, ed evidenzia che il complesso delle macchine e degli attrezzi in dotazione risulta composto da: 1) trattrice agricola usata marca Fiat modello 640 frutteto;2) fresatrice automatica marca Maschio ml180;3) fresatrice fissa marca Rathowatoor modello pesante ml 160;4) trincia sarmenti idraulica e trinciasiepi marca;5) aratro a dischi produzione artigianale;6) atomizzatore marca Sae serie progress turbomatic;7) motosega;8) tagliasiepi a scoppio a mano;9) decespugliatore a scoppio;10) tosaerba a scoppio;11) gruppo elettrogeno 220/380 marca Mosa;12) aratro;13) zaino a spalle per i piccoli interventi;14) diverse zappe e vanghe mangano di legno artigianale.
Infine, deduce la parte appellante che, relativamente al terreno oggetto d’ispezione, la richiamata perizia agronomica e gli ulteriori documenti prodotti in giudizio comprovano come lo stesso, dopo la coltivazione delle cipolle, sia stato preparato per la semina dei broccoli, altresì rilevando che in relazione alla produzione delle cipolle sono stati versati in atti il contratto di vendita stipulato già nel mese di marzo 2019, con l’azienda che ha poi acquistato il prodotto raccolto, la fattura di acquisto dei bulbi da semina di marzo 2019, i documenti di trasporto e la fattura di vendita delle cipolle di settembre 2019, mentre, quanto alla produzione dei broccoli, la stessa è anzitutto attestata dalle riproduzioni fotografiche che documentano la preparazione dei suoli, le operazioni di semina, la crescita degli indicati orticoli, senza trascurare le fatture di acquisto delle sementi e di vendita del prodotto raccolto.
10.2. Ritiene la Sezione che i suindicati elementi non siano complessivamente idonei ad inficiare i presupposti sui quali si fonda l’ordinanza impugnata.
10.3. Non assume rilievo decisivo, in primo luogo, la perizia agronomica del 24 ottobre 2019, a firma del dott. agronomo R S.
La stessa invero, anche ai fini della quantificazione delle ore/lavoro dedicate al funzionamento dell’impresa agricola e della dimostrazione del rapporto di prevalenza dell’attività agricola rispetto a quella ricettiva, si fonda su dati di carattere prevalentemente teorico, relativi essenzialmente all’estensione dell’azienda agricola ed alla natura delle colture, mentre non è corredata da congrui elementi dimostrativi della corrispondenza del “potenziale” aziendale, in tal modo determinato, alla effettiva operatività dell’impresa agricola Agribio, decisiva al fine di verificare il concreto rispetto dei menzionati requisiti di “connessione” e di “prevalenza” tra le due attività che qui vengono in rilievo (ciò senza tacere che alla suddetta perizia non sono allegate le “tabelle di calcolo” cui il perito rinvia nel corpo della relazione, mentre il criterio di calcolo applicato è specificato solo nel parere pro-veritate redatto in data 1° settembre 2020).
10.4. Deve infatti osservarsi, al fine di giustificare l’esposta conclusione, che:
- la perizia agronomica fa riferimento anche a terreni la cui disponibilità è stata acquisita in concomitanza con l’adozione dell’ordinanza impugnata e/o degli accertamenti propedeutici (vedasi i terreni situati nel Comune di Carinola concessi in affitto con contratto in data 1° ottobre 2019);
- la documentazione fotografica allegata alla perizia non dà conto di una attività agricola in essere, ma rappresenta solo fondi recentemente lavorati, non idonei a comprovare lo svolgimento sugli stessi di pregresse lavorazioni agricole ad opera della società appellante;
- la stessa perizia, con riferimento al terreno acquistato in data 1° febbraio 2019 (uno dei tre terreni dichiaratamente nella disponibilità dell’azienda), indica genericamente “impiantato astoni pesche quest’anno (poi si innesteranno)”, senza produrre alcuna pertinente documentazione;
- la perizia non contiene alcun elemento utile a dimostrare la data di acquisizione dei mezzi agricoli in essa menzionati né il loro pregresso utilizzo ai fini dello svolgimento dell’attività agricola da parte della società appellante (l’unico documento allegato, relativo alla trattrice, reca il riferimento alla data del 30 settembre 2019, quando cioè gli accertamenti della P.M. erano già stati svolti);
- le uniche buste-paga relative alla manodopera agricola sono riferite al mese di settembre 2019 e non consentono di verificare il quantum dell’impegno dei lavoratori nel periodo pregresso, anche al fine di apprezzare l’effettiva consistenza delle prestazioni agricole, quale indice della produttività aziendale.
Da questo punto di vista, non può non osservarsi che, sebbene l’art. 10, comma 2, l.r. n. 15/2008 faccia riferimento, ai fini della verifica del carattere di prevalenza dell’attività di coltivazione del fondo, della silvicoltura e dell’allevamento di animali rispetto all’attività agrituristica, alla superiorità del tempo-lavoro impiegato nelle attività agricole rispetto a quello impiegato nell’attività agrituristica sulla base delle tabelle di cui al comma 5, il punctum dolens dell’appello, come meglio si dirà infra , è appunto la dimostrazione della effettiva entità della superficie aziendale in atto ( recte , alla data degli accertamenti) utilizzata per lo svolgimento dell’attività agricola.
- la fattura relativa alla vendita di cipolle reca la data del 18 settembre 2019, risultando quindi anch’essa concomitante con gli accertamenti svolti dalla P.M., mentre la fattura relativa all’acquisto dei semi per la coltivazione dei broccoletti reca la data del 14 ottobre 2019.
In ogni caso, l’importo della fattura, pari ad € 14.784,94, non consente da solo di verificare la “prevalenza” dell’attività agricola alla data dello svolgimento degli accertamenti che hanno messo capo all’adozione dell’ordinanza impugnata, anche alla luce del flusso di clienti dell’attività recettiva documentata con le “schedine” trasmesse alla piattaforma “alloggiati web” e del costo a notte, quale si evince dalle fatture dei pernottamenti prodotte in primo grado.
In proposito, sebbene non possa trascurarsi che l’attività agrituristica svolge talvolta la (legittima) funzione di integrare i redditi dell’imprenditore agricolo, non può non osservarsi che la mera coltivazione di cipolle, per di più vendute a terzi, non consente di configurare la necessaria “connessione” tra l’attività agricola e quella agrituristica, tenuto conto che, ai sensi del citato art. 10, comma 4, l.r. n. 15/2008, l’”idoneità” dell’azienda agricola “anche allo svolgimento dell’attività agrituristica” deve essere verificata, tra l’altro, in relazione “alla natura e alla varietà delle coltivazioni e degli allevamenti praticati”;
- sussistono ragionevoli dubbi in ordine alla coerenza tra il costo della manodopera per le 3.867 ore/lavoro (che secondo i calcoli dell’agronomo sono necessarie per la coltivazione del fondo oggetto di ispezione) ed il ricavo della vendita della relativa produzione agricola: basti pensare che, a fronte di un costo orario di € 6.93 (evincibile dalle citate buste-paga), si perverrebbe ad un costo annuo complessivo di € 26.798,31, mentre l’azienda ha ricavato dalla vendita delle cipolle (la cui semina è avvenuta nel mese di marzo e la raccolta nel mese di settembre) la ben inferiore cifra di € 14.784.94, né la conclusione muta sommando tale importo a quello ricavato dalla vendita dei broccoletti avvenuta nel mese di febbraio del 2020, per un importo complessivo di € 3.120 (cfr. fatture prodotte in primo grado);
- il numero annuo di ore indicate nelle buste paga prodotte in primo grado è complessivamente pari a 1.495, ben inferiore a quello indicato dall’agronomo, a dimostrazione di una produttività effettiva (quindi di una superficie utilizzata) ben inferiore a quella “teorica”.
Da questo punto di vista, deve osservarsi che sebbene, ai sensi del già richiamato art. 10, comma 2, l.r. n. 15/2008, “il carattere di prevalenza dell’attività di coltivazione del fondo, della silvicoltura e dell’allevamento di animali rispetto all’attività agrituristica si intende realizzato quando il tempo-lavoro impiegato nelle attività agricole è superiore a quello impiegato nell’attività agrituristica sulla base delle tabelle di cui al comma 5”, non può attribuirsi carattere dirimente al dato statistico ricavabile dalle tabelle, laddove lo stesso non trovi coerente rispondenza nelle effettive modalità di conduzione dell’azienda agricola, quali risultano dai documenti versati in giudizio.
10.5. In sintesi, deve osservarsi che dalla citata perizia, e dai documenti ad essa allegati, non è dato evincere congrui elementi dimostrativi di una attività agricola in essere, alla data di adozione dell’ordinanza impugnata, e della sua prevalenza, sempre in relazione all’epoca suddetta, rispetto all’attività “accessoria” di carattere agrituristico.
Deve inoltre osservarsi che l’assunto secondo cui lo stesso terreno oggetto di ispezione sarebbe stato interessato, all’epoca degli accertamenti, dall’avvicendamento delle colture cipolle/broccoli è intimamente contraddetto dall’affermazione, rilevabile dal verbale di sopralluogo, secondo cui lo stesso si presentava “incolto”, così come dalla documentazione fotografica acquisita in occasione dei sopralluoghi e raffiguranti una situazione del fondo limitrofo all’immobile destinato all’esercizio dell’attività ricettiva tutt’altro che compatibile con l’attuale ed effettivo svolgimento dell’attività agricola.
Analoghe considerazioni devono formularsi in ordine alla documentazione fotografica prodotta in giudizio dalla parte appellante (sia in primo che in secondo grado), non recando essa alcun elemento identificativo dei luoghi rappresentati, mentre, da un punto di vista temporale, essa è in gran parte espressamente riferita a periodi successivi a quello in cui si è svolto l’accertamento comunale, oltre a rappresentare terreni apparentemente non interessati da una attività di coltivazione in atto (in quanto privi di colture e/o in stato di evidente trascuratezza colturale).
Le stesse fatture relative all’acquisto di concimi, così come quelle relative all’acquisto di broccoletti, portainnesti, gasolio per uso autotrazione ed al servizio di pulizia della rete fognaria e smaltimento fanghi sono riferibili al mese di aprile 2020 e successivi, ovvero a periodo di gran lunga successivo a quello di adozione dell’ordinanza impugnata.
10.6. I rilievi che precedono consentono di superare le questioni relative alle modalità temporale di svolgimento del lavoro agricolo ed alla dedotta limitatezza del sopralluogo rispetto all’effettiva estensione aziendale, anche alla luce del fatto che, come dedotto dalla stessa parte appellante, l’attività di coltivazione (di cipolle e broccoli) in corso alla data dell’accertamento avrebbe riguardato lo stesso terreno oggetto di ispezione: ciò che tuttavia, alla luce dei rilievi che precedono, non risulta congruamente dimostrato.
Nessuna effettiva censura viene poi articolata con riferimento all’affermazione, recata dal provvedimento impugnato, relativa al mancato rinvenimento dell’”abitazione dell’imprenditore agricolo e/o familiari e/o abitazioni/spogliatoi dei dipendenti addetti alle attività agricole”, non essendo sufficiente l’assunto attoreo secondo cui il primo piano non sarebbe accessibile agli ospiti, dovendo escludersi, sulla scorta della descrizione della relativa suddivisione emergente dal verbale di sopralluogo (da cui si evince l’univoca destinazione anche del primo piano all’ospitalità alberghiera), sostanzialmente affine a quella del piano terra (come peraltro puntualmente evidenziato dalla sentenza appellata: “mostrandosi sotto questo aspetto non credibile che, nel piano superiore, vi sia l’abitazione dell’imprenditore agricolo e l’alloggio dei dipendenti, costituiti da una serie di camere matrimoniali suddivise e arredate come al piano terra”), che il primo piano fosse oggettivamente destinato all’abitazione dell’imprenditore e/o della sua famiglia.
Nemmeno sono condivisibili, sul punto, le deduzioni di parte appellante intese a contestare la sentenza appellata laddove sosterrebbe che essa non potesse adibire ad uso agrituristico l’intero corpo B realizzato, ovvero anche il piano primo, atteso che la mancata destinazione del primo piano alle esigenze abitative dell’imprenditore agricolo viene in rilievo, nel corpo motivazionale del provvedimento impugnato, quale ulteriore indice, destinato a coordinarsi ed integrarsi con gli altri, del mancato svolgimento dell’attività agricola principale (e quindi non per affermare l’illegittimità in sé dell’utilizzazione del primo piano per le finalità turistico-alloggiative).
Da questo punto di vista, non si rivela decisivo che solo le camere poste al piano terra (anche sulla scorta della SCIA agrituristica d’inizio attività prot. n. 24365/2018) siano utilizzate per la finalità alloggiativa, mentre quelle poste al primo piano sarebbero interdette all’accesso degli ospiti della struttura, ove non si dimostri che le stesse siano effettivamente funzionali all’abitazione dell’imprenditore agricolo e dal medesimo utilizzate: circostanza che, come si è detto, risulta smentita dalla divisione del primo piano, analoga a quella del piano terra, univocamente predisposto per le esigenze degli alloggiati (divisione la cui conformità edilizia, in termini di corrispondenza di quanto realizzato al relativo progetto, quale emerge anche dall’ordinanza di demolizione n. 17/2009 che non formula sul punto alcuna contestazione, non ne preclude la valutazione sotto il diverso profilo, che qui viene in rilievo, della sussistenza di un effettivo rapporto di connessione con l’attività agricola).
11.1 Con diverso ordine di censure, la parte appellante deduce che l’attività agrituristica in parola è svolta nelle medesime consistenze in cui è stata avviata con regolare SCIA, di talché l’atto gravato integra una forma di illegittimo esercizio di autotutela: essa lamenta altresì che, su tale punto, la sentenza di primo grado non reca alcuna espressa pronuncia.
Evidenzia in particolare la parte appellante che, già all’atto della presentazione delle SCIA edilizie ed in seguito di quella agrituristica (prot. 24365 del 24 agosto 2018), era ben noto all’Amministrazione che l’attività sarebbe stata esercita in assenza di manufatti, pertinenze e comodi rurali (previsti dal P.d.C. n. 36/2015, ma non completati).
Sostiene quindi la parte appellante che l’Amministrazione, attraverso il provvedimento di sospensione impugnato, ha finito per considerare abusivo esercizio dell’attività quanto dalla stessa legittimamente autorizzato, in forza di plurimi titoli ampiamente consolidati.
Deduce ancora la parte appellante che l’Amministrazione, consapevole che l’ordinanza di sospensione impugnata era diretta ad inibire un’attività pienamente conforme a titoli ampiamente consolidati, avrebbe in seguito deciso di rimuovere in autotutela (con nota prot. n. 670/2020) proprio quelle SCIA edilizie che hanno consentito di convertire la struttura realizzata (c.d. corpo B) al contestato utilizzo agrituristico (ovvero: 1) la SCIA edilizia prot. n. 3250 del 27.04.2018”, presentata “in variante al P.d.C. n. 36 del 27.02.2015 L.R. 15/2008 per l’utilizzo a fini agrituristici degli esistenti locali rurali con integrazioni di servizi igienici sanitari”;2) la “SCIA edilizia prot. n. 6139 del 21.08.2018”, avente ad oggetto “Rilievo di una struttura per l’utilizzo a fini agrituristici L.R. 15/2008. Lavori eseguiti in variante al P.d.C. n. 36/2015 relativi al corpo B, conformemente all’art. 22 comma 2 del DPR 380/2001”;3) la SCIA edilizia prot. n. 6183 del 23.08.2018” per “l'agibilità ai sensi del D.P.R. 380/2001 e succ.ve modifiche ed integrazioni” dei medesimi locali).
11.2. Nemmeno tali motivi possono ritenersi fondati.
11.3. Deve premettersi che il suindicato provvedimento di autotutela costituisce oggetto del giudizio introdotto con l’appello n. 213/2021, per cui sullo stesso (e sulle censure proposte al fine di ottenerne l’annullamento) si dirà meglio infra .
Quanto ai surriportati motivi di appello, deve osservarsi, in primo luogo, che non risponde al contenuto della sentenza appellata una radicale omissione di pronuncia in ordine alla censura intesa a lamentare che il provvedimento impugnato costituirebbe un illegittimo esercizio del potere di autotutela, avendo il giudice di primo grado osservato che “il cennato rapporto (di connessione e prevalenza, n.d.e. ) deve esistere al momento iniziale e permanere nello svolgimento dell’attività agrituristica, non bastando quanto denunciato nella relazione agronomica ma occorrendo mantenere costantemente la stessa condizione di prevalenza dell’attività agricola”: in tal modo, la sentenza impugnata ha posto esattamente in rilievo che l’Amministrazione non ha inteso incidere, con l’ordinanza n. 16/2019, sul titolo originario legittimante (sul piano edilizio e commerciale) lo svolgimento dell’attività agrituristica, ma inibirne l’esercizio, sulla scorta di elementi successivamente rilevati (e non emergenti dall’esame della documentazione annessa alla s.c.i.a. originaria).
In secondo luogo, deve osservarsi che il provvedimento impugnato non si prefigge di porre in evidenza ipotetici illeciti di carattere edilizio (né, quindi, di intervenire, in forma occulta ed indiretta, sui titoli edilizi precedentemente formatisi, anche in riferimento all’unico fabbricato rurale – corrispondenza al corpo “B” - nel quale si svolge l’attività agrituristica), incentrandosi come si è detto su una più ampia analisi dei presupposti legittimanti l’attività stessa, così come normativamente delineati e disciplinati.
Infine, occorre evidenziare, in chiave reiettiva. che l’Amministrazione non ha inteso contestare - nè sub specie di abuso edilizio né in termini di violazione della disciplina regionale in materia agrituristica - la mancata realizzazione dei fabbricati accessori destinati all’esercizio dell’attività agricola, ma solo ricavare dalla assenza di quei manufatti un elemento dimostrativo (tra gli altri menzionati nel provvedimento impugnato) della assenza dei requisiti legittimanti l’attività ricettiva da parte dell’azienda agricola appellante: né il fatto che l’Amministrazione fosse consapevole, all’atto del perfezionamento della s.c.i.a. concernente l’attività agrituristica, della mancata realizzazione di quegli immobili può essere considerato indice della predicata finalità di autotutela del provvedimento impugnato, dovendo ribadirsi che questo deriva da una molteplicità di elementi dimostrativi (della assenza dei requisiti legittimanti l’attività agrituristica), di cui la carenza di locali adibiti alla custodia dei mezzi agricoli è solo una componente (senza trascurare che per l’Amministrazione non ha assunto rilievo l’assenza in sé di quei manufatti, ma la mancata disponibilità delle macchine agricole che in quei locali dovrebbero trovare ricovero).
Analoghe considerazioni, come già accennato, devono svolgersi con riguardo alla disposizione delle camere al primo piano, non avendo l’Amministrazione inteso contestare alcuna difformità di tipo edilizio, ma solo evidenziare che la stessa fosse incompatibile con le esigenze abitative dell’imprenditore agricolo e dei suoi collaboratori: profilo in ordine al quale, come si è detto, la parte appellante non svolge alcuna puntuale deduzione.
Quanto infine al verbale dei Carabinieri del N.A.S. di Caserta in data 8 febbraio 2020, se da un lato deve darsi ragione alla parte appellante laddove sostiene che dall’affermazione dei militari, secondo cui “trattasi di struttura ricettiva (agriturismo) nella quale viene effettuata attività di solo alloggio, svolta nei locali meglio illustrati nella planimetria esibita e consegnata in copia dalla parte che si allega integralmente al presente verbale”, non è ricavabile alcun decisivo elemento nel senso dell’esclusione di ogni attività agricola (come invece ritenuto dal T.A.R.), nemmeno lo stesso può essere decisivamente invocato a favore della tesi di parte appellante, laddove si afferma che “nell’occorso, si è constatato che presso i fondi di interesse della struttura in disamina, vi è in corso la coltura di orticoli (broccoli)”, trattandosi di accertamento successivo rispetto alla data dei sopralluoghi eseguiti dal Comune di Teverola.
12. In conclusione, l’appello iscritto al n. 7287/2020 deve essere complessivamente respinto, ferma la rilevanza che le allegazioni documentali della parte appellante, e le attività agricole che le stesse sono destinate ad attestare, potranno eventualmente avere in sede di verifica da parte dell’Amministrazione (sollecitata, come si è detto, dalla medesima appellante con nota prot. n. 5994 del 4 settembre 2020) in ordine alla persistenza delle ragioni ostative allo svolgimento dell’attività agrituristica da parte della stessa, accertate ratione temporis con l’ordinanza impugnata.
13. Con la sentenza oggetto dell’appello n. 213/2021, il T.A.R. per la Campania si è pronunciato, previa riunione, sui quattro ricorsi proposti dalla Società Agricola Agribio di Chianese Pietro s.a.s. avverso:
a) l’ordinanza n. 17 dell’11 ottobre 2019 a firma del Responsabile dell’Area Tecnica del Comune di Teverola ed il relativo verbale n. 03/19 redatto dalla Polizia Municipale di Teverola e richiamato nella summenzionata ordinanza n. 17/2019;
b) il provvedimento prot. n. 670 del 27 gennaio 2020 dell’Area Tecnica del Comune di Teverola, a firma del Responsabile del servizio, diretto “all’annullamento in autotutela” delle SCIA edilizie: prot. n. 3250 del 27 aprile 2018, prot. n. 6183 del 23 agosto 2018 e prot. n. 6139 del 21 agosto 2018;
c) il provvedimento prot. n. 3487/2020 a firma del Responsabile p.t. dell'Area Tecnica del Comune di Teverola;
d) il silenzio rigetto formatosi sull’istanza di permesso di costruire in sanatoria-accertamento di conformità, ex art. 36 del D.P.R. 380/2001, assunta al protocollo n. 8045 del 15 novembre 2019 del Comune di Teverola;
e) il provvedimento prot. n. 3198 del 7 maggio 2020 a firma del Responsabile p.t. dell'Area Tecnica del Comune di Teverola.
In particolare, con la sentenza appellata, il T.A.R. ha dichiarato l’improcedibilità del ricorso R.G. n. 49/2020 (proposto avverso il provvedimento sub a) così come del ricorso R.G. n. 1044/2020 (relativamente al provvedimento sub d), mentre ha statuito l’infondatezza di quest’ultimo ricorso (relativamente al provvedimento sub e), così come del ricorso R.G. n. 1520/2020 (avente ad oggetto il provvedimento sub b) e del ricorso R.G. n. 2817/2020 (avente ad oggetto il provvedimento sub c).
14. L’esame dei motivi di appello – cui resiste l’appellato Comune di Teverola - esige la previa ricostruzione della cornice fattuale entro la quale si iscrive la presente controversia, non senza aver prima evidenziato che essa attiene agli aspetti edilizi della tormentata (in senso giuridico) relazione tra la società Agribio ed il Comune di Teverola.
15.1. In primo luogo, merita rilevare che la suddetta società, al fine di realizzare le opere edilizie presso il fondo di sua proprietà, situato in zona E – agricola, ed esercitarvi l’attività agrituristica, di cui si è detto nell’esame dell’appello n. 7287/2020, si muniva dei seguenti titoli edilizi:
- permesso di costruire n. 115/2009 in data 4 giugno 2009, rilasciato in favore del sig. M P e successivamente volturato a favore della società Agribio, avente ad oggetto la realizzazione di un fabbricato rurale con annesse pertinenze dei fondi agricoli composto da tre corpi di fabbrica (rispettivamente indicati in progetto con le lettere A, B e C);
- permesso di costruire n. 34/2014, in variante al p.d.c. n. 115/2019, rilasciato dal Comune di Teverola in data 19 settembre 2014;
- permesso di costruire n. 36/2015, in variante al p.d.c. n. 34/2014, rilasciato dal Comune di Teverola in data 27 febbraio 2015;
(Va detto per inciso che, per effetto degli indicati titoli, veniva assentita la realizzazione di un corpo di fabbrica destinato ad alloggiare l’imprenditore agricolo e la manodopera aziendale (corpo B), poi divenuto sede dell’attività agrituristica, e due ulteriori e distinte strutture (A e C), destinate rispettivamente alla conservazione e lavorazione dei prodotti agricoli ed al ricovero dei mezzi e delle macchine aziendali (cd. comodi agricoli)).
- D.I.A. prot. 5538 del 10 agosto 2018, avente ad oggetto una diversa distribuzione interna del fabbricato rurale;
- S.C.I.A. prot. 2024 del 4 ottobre 2017, in variante al permesso di costruire n. 36/2015;
- S.C.I.A. prot. 3250 del 27 aprile 2018, in variante al permesso di costruire n. 36/2015, per l’utilizzo ai fini agrituristici degli esistenti locali rurali con integrazione dei servizi igienici sanitari ex l.r. Campania n. 15/2008;
- S.C.I.A prot. n. 6139 del 21 agosto 2018, avente ad oggetto “Rilievo di una struttura per l’utilizzo ai fini agrituristici L.R. 15/2008” Lavori eseguiti in variante al P.d.C. n. 36/2015 relativi al corpo “B”, conformemente all’art. 22, comma 2, del DPR 380/2001”, con la quale si richiedeva la proroga del p.d.c. n. 36/2015 per l’edificazione dei comodi agricoli;
- S.C.I.A. prot. n. 6183 del 23 agosto 2018, avente ad oggetto l’agibilità del corpo di fabbrica B;
- S.C.I.A prot. 24365/2018 del 24 agosto 2018 (presentata al SUAP, quindi non di carattere edilizio ma qui menzionata per completezza) per l’apertura dell’attività di agriturismo denominata “La Sosta”.
15.2. Deve a questo punto illustrarsi l’attività di controllo e repressiva posta in essere dal Comune di Teverola e culminata nell’adozione dei provvedimenti oggetto del presente giudizio.
15.3. In primo luogo, in data 15 giugno e 7 settembre 2018, il medesimo Comune diffidava la ricorrente dal proseguire i lavori denunciati con le S.C.I.A. n. 6139/2018 e n. 3250/2018: detti provvedimenti inibitori venivano annullati dal T.A.R. per la Campania con la sentenza n. 3259 del 14 giugno 2019.
15.4. Successivamente, e precisamente in data 6 settembre e 11 settembre 2019, il Comune di Teverola, attraverso la P.M., effettuava due sopralluoghi (quegli stessi che mettevano capo all’ordinanza inibitoria n. 16/2019, oggetto del giudizio di appello n. 7287/2020), all’esito dei quali venivano rilevate: 1) l’effettuazione di attività agrituristica in violazione dell’art. 7 della l.r. 15/2008 e dell’art 2 del relativo regolamento di attuazione n. 18/2009 (per tale aspetto, come si è detto, il Comune provvedeva con la citata ordinanza n. 16/2019);2) la presenza di abusi e difformità delle opere riscontrate rispetto ai titoli rilasciati.
Le risultanze dei predetti sopralluoghi venivano trasfuse nel verbale n. 4 dell’11 settembre 2019, col quale veniva contestato alla società Agribio che l’attività ricettiva era esercitata in assenza del rapporto di connessione con l’attività agricola, in violazione delle norme sopra richiamate, e nel verbale n. 3 dell’11 settembre 2019, recante l’elencazione delle difformità dei lavori realizzati rispetto ai titoli rilasciati.
15.5. A seguito del verbale n. 4/2019, come si è detto, veniva adottata l’ordinanza n. 16 del 9 ottobre 2019, con la quale il Comune di Teverola disponeva la chiusura dell’attività agrituristica ai sensi dell’art. 7 della l.r. n. 15/2008 (oggetto della sentenza n. 3670/20209, cui si riferisce l’appello n. 7287/2020), mentre, a seguito del verbale n. 3/2019, veniva adottata l’ordinanza di demolizione n. 17 dell’11 ottobre 2019, impugnata dinanzi al T.A.R. con il predetto ricorso R.G. n. 49/2020.
In particolare, mediante quest’ultima ordinanza, il Comune di Teverola ingiungeva alla società ricorrente la demolizione delle seguenti opere, realizzate in difformità dai titoli posseduti:
<<[1] al piano terra del corpo B il porticato sul confine est di mq. 34,50 mq circa in progetto previsto aperto è stato chiuso con tende avvolgibili in materiale plastica trasparente e adibito a reception, ciò comporta un utilizzo improprio dell’area destinata da progetto a porticato, inoltre comporta un aumento di volume residenziale dichiarato;
[2] sottostante la rampa della scala in c.a. per l’accesso al piano superiore è stato rilevato un wc di circa mq 4,00 che comporta un aumento del volume residenziale dichiarato;
[3] al piano terra dell’immobile B sono stati rilevati n. 10 vani ad uso residenziale, a doppio posto letto, con annesso WC aventi ciascuna una superficie di mq. 23,00, l’ultimo vano a piano terra sul confine ovest in progetto previsto destinato a deposito di circa mq. 41 circa, ed altezza mt. 3,00 circa con annesso WC è stato trasformato a vano residenziale, come peraltro indicato nella domanda presentata al SUAP, e pertanto comporta un aumento del volume residenziale dichiarato (al momento del sopralluogo non è stato possibile accertare all’interno in quanto occupato da ospiti come dichiarato dal dipendente della struttura);
[4] sul lato ovest a piano terra nell’area di cortile è stato realizzato un manufatto di mq. 12,70 circa ed altezza di mt. 3,00 circa, realizzato con strutture in legno e copertura in lamiere, destinato a locale tecnologico, con annesso containers di mt. 6,10x2,40 ed altezza di mt. 3,00 circa adibito a deposito. Tale struttura non è stata indicata e autorizzata con nessun titolo edilizio (pertanto risulta priva di autorizzazione urbanistica e strutturale);
[5] le falde laterali del sottotetto abitabile a piano primo sui lati est ed ovest in progetto previste di larghezza mt. 1,00 circa, sul posto sono state rilevate di dimensioni mt. 0,30 circa;
[6] la conformazione del balcone lato sud risulta rettangolare e completamente calpestabile mentre da progetto era previsto a tratti calpestabili e tratti non calpestabili in quanto coperti da manto di tegole, pertanto risulta aumentata la superficie non residenziale per mq. 24,00 circa;
[7] sui lati sud e nord non risulta realizzata la parte di balcone sporgente prevista coperta con tegole;
[8] il piano primo, trovasi composto da n. 11 vani destinati ad alloggio residenziale con annesso wc, come riportato sui grafici di progetto;
[9] a piano primo sul lato est, sul terrazzo adiacente la scala, su cui in progetto è prevista la realizzazione di un pergolato, lo stesso è stato invece in parte coperto con una tettoia a falde inclinate in legno lamellare e tegole di mq. 48,00 circa, e la copertura della scala di mq. 15,00 circa è stata realizzata a falde in legno lamellare e tegole, non conforme a quanto rilevato sui grafici allegati ai titoli edilizi abilitativi afferenti all’immobile di che trattasi;
[10] risulta non realizzato l’ascensore previsto da progetto così come indicato nella Segnalazione Certificata di inizio attività presentata il 21 agosto 2018 prot. 6139>>.
15.6. In data 15 novembre 2019 la società ricorrente presentava, per le opere interessate dal citato provvedimento demolitorio, domanda di permesso di costruire in sanatoria ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001.
15.7. In data 27 gennaio 2020 il Comune emetteva il provvedimento n. 670 del 27 gennaio 2020, di annullamento in autotutela delle S.C.I.A. edilizie (prot. 3250 del 27 aprile 2018, prot. 6183 del 23 agosto 2018 e prot. 6139 del 21 agosto 2018): trattasi del provvedimento impugnato dinanzi al T.A.R. con il ricorso R.G. n. 1520/2020.
15.8. In data 7 maggio 2020 l’Ente adottava il provvedimento n. 3198, di rigetto (espresso) della domanda di permesso in sanatoria (l’atto veniva impugnato con motivi aggiunti al ricorso R.G. n. 1044/2020, inizialmente proposto avverso il silenzio-rigetto sull’istanza di accertamento di conformità).
15.9. Con il provvedimento n. 3487/2020, infine, il Comune di Teverola dichiarava l’irricevibilità della domanda di permesso di costruire relativa ai due comodi rurali (corpi A e C) presentata dalla società Agribio in data 10 gennaio 2020.
16. Come si è detto il T.A.R., con la sentenza appellata, ha statuito l’infondatezza/improcedibilità della domanda di annullamento proposta avverso i provvedimenti suindicati: la complessità dell’iter motivazionale che ha condotto il giudice di primo grado alla suddetta conclusione, riflesso anche della pluralità dei provvedimenti impugnati e dei ricorsi rispettivamente proposti avverso gli stessi, consiglia di analizzarne i passaggi contestualmente all’esame dei motivi di appello intesi a dimostrarne la complessiva erroneità ed al cui accoglimento si oppone invece l’appellato Comune di Teverola.
17.1. La prima serie di motivi di appello concerne la statuizione reiettiva del gravame avente ad oggetto il provvedimento di annullamento in autotutela delle S.C.I.A. edilizie presentate dalla società appellante e dianzi indicate.
Il T.A.R., in sede di decisione (congiunta) dei predetti ricorsi, dopo aver evidenziato che “tutti i provvedimenti impugnati (…) traggono spunto dalla constatazione (verbali n. 3 e n. 4 dell’11 settembre 2020) che presso il fabbricato (in origine) rurale (corpo B) situato in zona agricola si svolge un’attività ricettiva che non si pone in rapporto di connessione con l’esercizio di un’attività agricola in violazione, quindi, delle norme edilizie ed urbanistiche e della legge regionale n. 15/2008”, ha premesso all’analisi delle censure attoree il richiamo testuale ed integrale della sentenza n. 3670/2020, con la quale, come si è detto, nel respingere il ricorso proposto dalla società Agribio avverso l’ordinanza n. 16/2019, disponente la chiusura dell’attività agrituristica, aveva escluso la sussistenza dei presupposti legittimanti l’esercizio di quest’ultima, relativi alla sua connessione con l’attività agricola ed alla prevalenza di quest’ultima rispetto alla prima: l’assenza, nella fattispecie esaminata, dei suddetti requisiti legittimanti lo svolgimento dell’attività agrituristica da parte della società appellante è stata quindi ribadita dal giudice di primo grado in occasione dell’esame dei motivi di censura formulati avverso i provvedimenti intervenuti in materia edilizia, dianzi menzionati.
Il giudice di primo grado ha altresì escluso che l’intervento di autotutela attuato dal T.A.R. avverso le S.C.I.A. edilizie, innanzi menzionate, potesse ritenersi confliggere con le previsioni (anche in punto di termine entro il quale l’annullamento andrebbe disposto) che presidiano l’esercizio del relativo potere, a tutela dell'affidamento maturato in capo all’interessato.
17.2. Col primo motivo di appello, l’odierna appellante censura tali capi motivazionali della sentenza appellata, allegando che essa ha dimostrato, attraverso ampia documentazione nonché mediante le plurime perizie asseverate, l’effettività e la prevalenza dell’attività agricola svolta, alla stregua del rapporto del monte ore/lavoro dedicato all’attività agricola rispetto a quello dedicato all’attività ricettiva: essa lamenta quindi che la sentenza n. 3670/2020, oggetto dell’appello n. 7287/2020, non ha compiuto una analisi completa e corretta della suddetta documentazione, ed in particolare della relazione agronomica del 24 ottobre 2019, e che il giudice di primo grado, invece di compiere una analisi autonoma della stessa e delle ulteriori allegazioni probatorie effettuate nell’ambito del presente giudizio, si è limitato a rinviare al citato precedente.
Deduce ancora la parte appellante che, come sarebbe stato evidenziato da codesto Consiglio di Stato in sede cautelare, i rilievi dell’Ente non escludono “l’esistenza dei presupposti per l’attività di agriturismo, ma semmai fanno emergere un utilizzo ulteriore della struttura”: lo stesso giudice di appello avrebbe poi rilevato “perplessità in ordine alla congruità della sanzione della chiusura disposta” (ordinanza cautelare di appello n. 3774/2020) e ravvisato la fondatezza delle “censure volte a evidenziare l’eccesso di potere insito nella riqualificazione di attività “affittacamere” rispetto alla incontestata legittimazione e titolarità per la attività di agriturismo” (decreto cautelare del Presidente della III Sezione del Consiglio di Stato n. 2895/2020).
Deduce quindi la parte appellante che erroneamente il T.A.R., sul presupposto dell’assenza di una prevalente attività agricola, ha respinto la domanda di annullamento avverso il provvedimento di autotutela avente ad oggetto le S.C.I.A. che hanno legittimato sul versante edilizio le modifiche funzionali all’attivazione dell’agriturismo.
Essa ribadisce inoltre la censura volta a dedurre lo sforamento del termine di diciotto mesi previsto dall’art. 21 nonies l. n. 241/1990, non potendo esso trovare giustificazione, come affermato dal T.A.R., nelle “false rappresentazioni” imputabili al proponente, sia in virtù della pacifica esistenza dell’azienda agricola, sia in virtù del fatto che l’affermazione della sussistenza dei presupposti per integrare l’attività con l’agriturismo non potrebbe integrare una ipotesi di “falsa rappresentazione”, la quale è costituita solo dalla inveritiera allegazione di circostanze fattuali che si prestano alla dicotomia “vero-falso”.
Infine, allega la parte appellante che non potrebbe assumere rilievo nemmeno la circostanza, evidenziata dal T.A.R., secondo cui la società Agribio sarebbe stata edotta delle criticità rilevate dalla P.A. mediante i precedenti atti con i quali essa ha inteso inibire l’attività agrituristica, ma annullati dal T.A.R. con sentenza passata in giudicato, con la loro conseguente inidoneità ad indebolire l’affidamento tutelato dal termine dei 18 mesi ex art. 21 nonies l. n. 241/1990.
17.3. I motivi innanzi sintetizzati, nella loro complessiva articolazione, non sono meritevoli di accoglimento.
17.4. Deve premettersi che il mancato svolgimento da parte della società Agribio di una effettiva attività agricola viene in rilievo, nella presente sede e dal punto di vista dell’Amministrazione, al fine di dimostrare l’insussistenza dei presupposti per la legittima realizzazione delle iniziative edilizie (oggetto di S.C.I.A.) che, essendo localizzate in zona agricola ed essendo funzionali all’avvio di una attività agrituristica, presuppongono lo svolgimento di una attività agricola prevalente.
Ciò premesso, già le considerazioni svolte dalla Sezione in occasione dell’esame dei motivi di appello formulati avverso la sentenza n. 3670/2020 inducono a respingere le censure, in questa sede formulate avverso la sentenza qui appellata, intese a ribadire l’esistenza dei presupposti – inerenti alla connessione con l’attività agricola ed alla prevalenza di quest’ultima – legittimanti l’esercizio dell’attività agrituristica.
Ad integrazione dei rilievi innanzi formulati, deve aggiungersi che non sono idonei ad apportare un contributo decisivo alla tesi attorea gli ulteriori documenti prodotti nell’ambito di questo giudizio (come, ad esempio, quelli relativi all’incremento della manodopera agricola), siccome inerenti a periodi successivi a quello in cui si colloca l’accertamento del Comune di Teverola (ed a fortiori la presentazione delle S.C.I.A. oggetto del provvedimento di annullamento in autotutela di cui qui si discute), risultando quindi privi di rilevanza, in base al principio secondo cui tempus regit actum , al fine di dimostrare (in senso affermativo) la legittimità dei titoli edilizi e (in chiave negativa) quella dell’impugnato provvedimento di autotutela: deve anzi evidenziarsi che anche gli elementi documentali più datati, forniti dalla parte appellante a dimostrazione dell’esercizio dell’attività agricola ed inerenti essenzialmente alla produzione delle cipolle (iniziata nel mese di marzo 2019 con la semina dei relativi bulbi) o all’impianto del pescheto, sono successivi alla data di presentazione dei suddetti atti edilizi, compresa nel periodo aprile-agosto 2018.
Deve altresì osservarsi che il riferimento fatto dall’Amministrazione, con i provvedimenti oggetto del presente giudizio, alla mancata realizzazione dei cd. comodi rurali, al medesimo fine di ribadire la non configurabilità di una attività agricola principale (rispetto a quella, necessariamente complementare, di tipo agrituristico), ha carattere meramente integrativo nell’ambito del complessivo ordito motivazionale di quei provvedimenti, sì che non sono idonei a sancirne l’illegittimità i rilievi attorei tesi ad evidenziare che sarebbe la stessa Amministrazione comunale ad impedire, con i suoi provvedimenti, la realizzazione delle suddette strutture, del tutto compatibili con la destinazione agricola di zona.
Da questo punto di vista, invero, sebbene sia dubbio che la mancata completa esecuzione dei pregressi titoli edilizi, relativamente ai suddetti comodi, sia elevabile a fattispecie di abuso edilizio, nondimeno, essa non può non assumere rilievo, sempre sul piano edilizio, al fine di dimostrare l’insussistenza dei presupposti per la legittima realizzazione delle iniziative edilizie che, come si è detto, assumono quale loro presupposto il legittimo svolgimento dell’attività agrituristica.
Peraltro, da questo punto di vista, la parte appellante, che lamenta l’attività oppositiva comunale rispetto alla realizzazione dei cd. comodi rurali, non spiega le ragioni per le quali essi non siano stati realizzati, allorché vigevano i titoli edilizi che li avevano assentiti.
17.5. Nemmeno condivisibili sono le deduzioni con le quali la parte appellante lamenta il contrasto dell’impugnato provvedimento di autotutela rispetto ai precedenti cautelari di questa Sezione, riferendosi essi al provvedimento adottato dall’Amministrazione in ordine alla (diversa) attività di “affittacamere” imputata alla società appellante (in ordine al quale si dirà in occasione dell’esame dell’appello n. 1625/2021).
17.6. Infondato, altresì, è il motivo di appello inteso a lamentare la violazione del termine entro il quale deve essere esercitato il potere di autotutela, ai sensi dell’art. 21 nonies , comma 1, l. n. 241/1990, a mente del quale “il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21- octies , comma 2, può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell’articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge”: disposizione da leggere in correlazione con l’art. 2, comma 4, d.lvo n. 222/2016, a tenore del quale “nei casi del regime amministrativo della Scia, il termine di diciotto mesi di cui all’articolo 21- nonies , comma 1, della legge n. 241 del 1990, decorre dalla data di scadenza del termine previsto dalla legge per l’esercizio del potere ordinario di verifica da parte dell’amministrazione competente. Resta fermo quanto stabilito dall’articolo 21, comma 1, della legge n. 241 del 1990”, e con tale ultima disposizione, secondo cui “con la segnalazione o con la domanda di cui agli articoli 19 20 l’interessato deve dichiarare la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti. In caso di dichiarazioni mendaci o di false attestazioni non è ammessa la conformazione dell’attività e dei suoi effetti a legge o la sanatoria prevista dagli articoli medesimi ed il dichiarante è punito con la sanzione prevista dall’articolo 483 del codice penale, salvo che il fatto costituisca più grave reato” (deve solo aggiungersi che la norma è specificata, con riferimento alla S.C.I.A. in ambito edilizio, dall’art. 23, comma 1, d.P.R. n. 380/2001, secondo cui “il proprietario dell’immobile o chi abbia titolo per presentare la segnalazione certificata di inizio attività, almeno trenta giorni prima dell’effettivo inizio dei lavori, presenta allo sportello unico la segnalazione, accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che asseveri la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie”).
Il T.A.R. ha respinto la censura volta a lamentare il superamento del termine suindicato rilevando che “nella fattispecie, come detto più volte, l’interessata ha dichiarato la perdurante destinazione agricola del fondo e la mera trasformazione di alcuni alloggi in camere ad uso agrituristiche nel rispetto della normativa della l.r. n. 15/2008 in assenza dei presupposti ivi previsti”, aggiungendo che “sempre con riguardo al “fattore tempo” e al preteso consolidarsi di un legittimo affidamento in capo all’interessato alla conservazione del titolo vale rammentare (cfr. ricostruzione in fatto che precede) che l’amministrazione aveva diffidato (nota n. 4528 del 15 giugno 2018 e nota n. 6452 del 7 settembre 2018) la ricorrente dal proseguire le opere denunciate con SCIA;ciò, nondimeno, detti provvedimenti sono stati impugnati e annullati dal T.A.R. (sentenza n. 3259/2019) per sforamento del termine di 30 giorni fissato dall’art. 19, comma 3 della legge n. 241/1990 (avendo, tuttavia, in quella sede il T.A.R. chiarito la permanenza del potere di autotutela in capo all’amministrazione). In altri termini, la ricorrente era perfettamente consapevole delle criticità rilevate dall’amministrazione”.
Come anticipato, la sentenza, sotto entrambi i profili motivazionali menzionati, non è inficiata dalle doglianze attoree.
Dal primo punto di vista, invero, assume preliminare rilievo il disposto del già richiamato art. 21, comma 1, l. n. 241/1990, ai sensi del quale, come si è visto, “con la segnalazione o con la domanda di cui agli articoli 19 e 20 l’interessato deve dichiarare la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti”.
Coerentemente con la natura dell’istituto disciplinato, in cui l’asse dei principi di legalità e buon andamento dell’attività amministrativa è spostato dal potere di controllo della P.A. (di carattere eventuale e successivo) alla auto-responsabilità del privato, la norma pone in risalto la connotazione dichiarativa della S.C.I.A. in ordine alla sussistenza dei presupposti e dei requisiti legittimanti l’esercizio dell’attività che ne costituisce oggetto.
Nella fattispecie in esame, la sussistenza di profili “falsamente rappresentativi” è quindi ravvisabile:
- con riferimento alla S.C.I.A. prot. n. 3250 del 27 aprile 2018, nell’affermazione secondo cui le opere segnalate “non comportano mutamento urbanisticamente rilevante della destinazione d’uso” (laddove, una volta esclusa l’esistenza dei presupposti per il legittimo esercizio dell’attività agrituristica, la prevista trasformazione non può non confliggere con la destinazione agricola di zona), nonché in quella secondo cui l’intervento è funzionale all’”utilizzo ai fini agrituristici degli esistenti locali rurali con integrazioni di servizi igienico sanitari” (una volta esclusa la sussistenza dei presupposti per la configurazione di una attività agrituristica così come normativamente definita), ed infine nella asseverazione della conformità urbanistica delle opere (esclusa dalla già evidenziata carenza dei presupposti legittimanti l’attività agrituristica);
- con riferimento alla S.C.I.A. prot. n. 6139 del 21 agosto 2018, nell’affermazione secondo cui “sono state realizzate, in variante al p.d.c. n. 36 del 27/02/2015, opere (oggetto della presente segnalazione) che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d’uso e la categoria edilizia” (laddove, in carenza dei presupposti dell’attività agrituristica, l’intervento si configura come idoneo ad alterare i parametri urbanistici di zona e la relativa destinazione d’uso), nonché nell’asseverazione della conformità urbanistica delle opere (per le ragioni già evidenziate);
- con riferimento alla S.C.I.A. prot. n. 6183 del 23 agosto 2018, relativa all’agibilità del fabbricato contrassegnato dalla lettera B, nella stessa attestazione di agibilità da essa recata: invero, con riferimento a tale elemento dichiarativo, non può sostenersi, come fa la parte appellante, l’inerenza della attestazione alla sfera valutativa, con la conseguente non applicabilità del discrimen “vero-falso”, costituendo l’agibilità, con particolare riguardo al profilo relativo alla “conformità dell’opera al progetto presentato” ( ex art. 24, comma 1, d.P.R. n. 380/2001), l’esito di una attività di mero accertamento.
Da questo punto di vista, lo stesso T.A.R. ha evidenziato, con statuizione non specificamente impugnata, da un lato, che “la conformità dei manufatti alle norme urbanistiche ed edilizie (messa in discussione dall’Amministrazione sotto il profilo della contestata violazione della l.r. n. 15/2008, n.d.e. ) costituisce il presupposto indispensabile per il legittimo rilascio del certificato di agibilità, come si evince dagli artt. 24 comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001 e 35, comma 20, l. n. 47 1985, in quanto, ancor prima della logica giuridica, è la ragionevolezza ad escludere che possa essere utilizzato, per qualsiasi destinazione, un fabbricato non conforme alla normativa urbanistico - edilizia e, come tale, in potenziale contrasto con la tutela del fascio di interessi collettivi alla cui protezione quella disciplina è preordinata”, dall’altro lato, che “vale, inoltre, osservare che nel provvedimento di annullamento della SCIA si fa anche riferimento alla intervenuta realizzazione di opere in difformità dai titoli edilizi rilasciati” (analiticamente elencate dalla sentenza e sulle quali si dirà meglio infra).
In ogni caso, deve osservarsi che la sentenza appellata, al fine di giustificare l’annullamento della S.C.I.A. sulla agibilità, evidenzia che esso costituisce “la conseguenza logica della non utilizzabilità dei locali a fini agrituristici per effetto dell’annullamento della presupposta SCIA n. 3250 del 27 aprile 2018 la quale riguarda la realizzazione di opere non conformi alla normativa urbanistica per effetto della violazione della l.r. n. 15/2008”: il giudice di primo grado, in tal modo, ha individuato un presupposto autonomo per l’annullamento della S.C.I.A. in tema di agibilità, quale effetto necessariamente consequenziale dell’annullamento della precedente S.C.I.A. edilizia, che non risulta attinto dalle censure di parte appellante.
Come si evince dai rilievi che precedono, quindi, la falsità rappresentativa (addotta dal T.A.R. al fine di escludere l’applicabilità del citato termine decadenziale ai fini dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio) non concerne, come assume la parte appellante, l’affermazione della “sussistenza dei presupposti per integrare l’attività con l’agriturismo”, di carattere asseritamente valutativo e quindi non tacciabile di falsità, ma quella della configurabilità di una attività agrituristica, esclusa in radice e già su un piano astratto dalla oggettiva carenza del suo presupposto tipico, relativo allo svolgimento, a monte, di una attività agricola, con la quale la prima dovrebbe essere “connessa” al fine di salvaguardarne l’indefettibile carattere di prevalenza.
Può quindi prescindersi dall’approfondimento della questione della sussistenza in capo alla parte appellante di un legittimo affidamento alla luce delle diffide ad eseguire i lavori ad essa indirizzate (e successivamente annullate dal T.A.R.), in ordine alla quale deve solo osservarsi che l’idoneità delle diffide ad impedire la maturazione dell’affidamento è correlata al loro contenuto comunicativo piuttosto che alla loro rispondenza ai requisiti di legge (tanto più in quanto, come nella specie, il loro annullamento giurisdizionale è esclusivamente derivato dalla mancata osservanza del termine entro cui doveva essere notificato dall’Amministrazione l’ordine di non eseguire i lavori oggetto di segnalazione).
Può altresì prescindersi dalla censura intesa a sottolineare il carattere parziale oltre che modesto delle difformità rispetto al titolo edilizio, inidonee in quanto tali, ad avviso della parte appellante, a giustificare l’esercizio del potere di autotutela, il quale, come si è detto, rinviene aliunde il suo fondamento legittimante.
Quanto invece alla deduzione di parte appellante, secondo cui farebbe difetto l’interesse pubblico necessariamente sotteso al potere di autotutela, deve solo osservarsi che essa non ha specificamente censurato la statuizione del giudice di primo grado, secondo cui “deve escludersi che, in capo al privato che abbia scorrettamente prospettato le circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto illegittimo a lui favorevole, possa formarsi una posizione di affidamento legittimo, talché l’interesse al mantenimento in vita del titolo edilizio risulta recessivo di fronte all’interesse pubblico al ripristino della legalità violata (T.A.R. Basilicata, Potenza n. 725/2018)”.
17.7. Infondato è anche il motivo di appello col quale viene lamentato che l’annullamento della S.C.I.A. edilizia prot. n. 3250 del 27 aprile 2018, comportante la mera ristrutturazione interna del corpo B, con la sola integrazione di servizi igienici, risulterebbe in sé illegittimo anche a prescindere dalla destinazione agrituristica, essendo la mera ristrutturazione interna, prevista in S.C.I.A., sicuramente consentita nell’esistente immobile alloggiativo conforme alla destinazione agricola dell’area.
In primo luogo, invero, deve osservarsi che l’intervento di ristrutturazione oggetto della S.C.I.A. suindicata è strettamente connesso alla destinazione agrituristica dell’immobile, ergo alla sussistenza dei presupposti per il legittimo svolgimento della relativa attività, atteso che, in mancanza (della legittima previsione) della suddetta destinazione, vengono in evidenza, quali fattori ostativi all’intervento e come puntualmente evidenziato dall’Amministrazione, i limiti che l’art. 30 delle NTA del PUC del Comune di Teverola pone alla realizzazione di volumi residenziali funzionali alla conduzione del fondo (quantificati nel provvedimento di annullamento impugnato in mc. 500).
Inoltre, il suindicato motivo di appello non tiene conto dei plurimi motivi di illegittimità della S.C.I.A. de qua , anche indipendenti dalla contestazione comunale dei presupposti per il legittimo svolgimento dell’attività agrituristica, quali:
- il contrasto del previsto numero (42, a fronte di 21 alloggi) di posti letto destinati all’attività agrituristica con il numero massimo degli stessi (20) previsto dall’art. 30 bis delle NTA del PUC. A tale proposito, non è condivisibile il rilievo della parte appellante, inteso ad evidenziare che l’art. 30 bis delle NTA non pone alcun limite massimo al numero di alloggi realizzabili, atteso che il provvedimento impugnato fa riferimento al numero di posti letto (e non di alloggi), né l’assunto comunale è inficiato dalla deduzione attorea secondo cui dovrebbe aversi riguardo all’”effettivo numero di camere poste a servizio dell’attività alloggiativa”, sia perché la valutazione della legittimità del titolo edilizio deve incentrarsi su ciò che esso prevede (e non su ciò che è stato di fatto realizzato o alla parte di esso che viene in concreto utilizzata), sia perché, in ogni caso, anche considerato il numero “effettivo” di alloggi utilizzati, che la parte appellante non indica precisamente e che, come emerge dalla S.C.I.A. prot. n. 24365 del 24 agosto 2018, è pari a 12 alloggi, resta ugualmente superato il suindicato numero massimo di posti letto previsto dalla citata disciplina urbanistica).
- la non conformità degli alloggi con i requisiti dimensionali di cui all’art. 22 del RUEC (a questo riguardo, peraltro, sebbene non decisivo alla luce della articolata motivazione del provvedimento impugnato, appare persuasiva la deduzione attorea, intesa ad evidenziare che gli alloggi, nelle loro attuali dimensioni, risultavano già assentiti con il p.d.c. n. 36/2015);
- la mancata produzione di un Piano di Sviluppo Aziendale, come richiesto dall’art. 30 bis delle NTA del PUC ai fini della nuova edificabilità funzionale all’esercizio dell’attività agrituristica.
Deve solo aggiungersi che, al fine di escludere la sussistenza dei presupposti per l’esercizio dell’attività agrituristica (condizionante, come si è detto, la legittimità della S.C.I.A. suindicata), il Comune, con l’impugnato provvedimento di annullamento, ha altresì posto l’accento sulla mancata realizzazione dei corpi di fabbrica A (destinato alla lavorazione e deposito dei prodotti agricoli) e C (destinato al deposito dei mezzi agricoli), oltre che sulla sussistenza di ulteriori profili di difformità dello stato dei luoghi rispetto ai titoli precedentemente rilasciati: ebbene, se con riguardo al primo profilo nessuna censura è stata articolata dalla parte appellante, con riferimento al secondo essa si limita genericamente ad affermare il carattere “minimale” delle difformità ed a sostenere che le stesse attengono a “procedimenti che sono ontologicamente estranei all’attività di autotutela”, laddove, tenuto conto che le difformità contestate afferiscono al medesimo fabbricato (B) oggetto delle S.C.I.A. in questione, l’assentibilità di un nuovo intervento non può che essere subordinata alla regolare realizzazione dell’immobile interessato (fermo restando quanto si dirà infra, anche al fine di escludere il rilievo “minimale” delle difformità in discussione).
17.8. Ugualmente infondato è il motivo di appello inteso a lamentare che le contestate irregolarità nello svolgimento dell’attività agrituristica non sono mai state accertate secondo il procedimento tipico di cui alla l.r. n. 15/2008, ma affidate “a sopralluoghi parziali e pregiudiziali, condotti da personale della polizia municipale privo delle necessarie competenze in materia”.
Deve in proposito osservarsi che l’assenza delle condizioni per lo svolgimento dell’attività agrituristica è stata adeguatamente accertata con i sopralluoghi del 6 settembre e dell’11 settembre 2019, le cui risultanze sono trasfuse nei rispettivi verbali, come rilevato da questa Sezione in occasione dell’esame dell’appello n. 7287/2020: senza tacere che la parte appellante non specifica in questa sede in cosa consista, e sotto quale profilo debba ritenersi violato, il “procedimento tipico di cui alla l.r. n. 15/2008” (non senza omettere di osservare che, laddove essa intenda riferirsi al criterio delle ore/lavoro ovvero alla mancata osservanza del procedimento ex l. n. 689/1981, si sono già illustrate le ragioni della non condivisibilità dei rilievi critici de quibus ).
17.9. Per concludere l’esame dei motivi di appello inerenti al provvedimento di annullamento in autotutela delle S.C.I.A. edilizie, non può essere condiviso quello inteso a contestare l’annullamento della S.C.I.A. prot. n. 6183/2018, concernente l’agibilità del corpo B, sia in ragione dell’illegittimo annullamento delle due S.C.I.A. legittimanti l’intervento di ristrutturazione e la sua ricognizione, sia per la totale assenza di rilievi, sul versante igienico sanitario, idonei a mettere in dubbio l’agibilità dell’immobile.
Basti all’uopo richiamare quanto osservato dal T.A.R. con il passaggio motivazionale, non puntualmente censurato dalla parte appellante, nel senso che “va respinta la censura relativa alla pretesa mancanza di un accertamento circa la salubrità dei locali in riferimento all’annullamento della SCIA relativa all’agibilità dell’immobile (n. 6183/2018). L’annullamento è, infatti, la conseguenza logica della non utilizzabilità dei locali a fini agrituristici per effetto dell’annullamento della presupposta SCIA n. 3250 del 27 aprile 2018 la quale riguarda la realizzazione di opere non conformi alla normativa urbanistica per effetto della violazione della l.r. n. 15/2008”.
18.1. Devono adesso esaminarsi i motivi di appello rivolti avverso la statuizione reiettiva, recata dalla sentenza appellata, in relazione alla domanda di annullamento avverso il provvedimento dichiarativo della inammissibilità della domanda di p.d.c. del 10 gennaio 2020, avente ad oggetto i previsti comodi agricoli, impugnato con il ricorso n. 2817/2020, ovvero i due corpi di fabbricati A e C (da adibire, il primo, alla lavorazione di prodotti agricoli, a deposito prodotti agricoli e a spogliatoi con annessi servizi igienici, ed il secondo a deposito di mezzi agricoli con annessi servizi igienici).
18.2. A fondamento della pronuncia reiettiva, il T.A.R. ha evidenziato che “la ricorrente non può chiedere di realizzare nuovi volumi senza prima aver conformato a legge quanto già realizzato nel fondo mediante, da un lato, la demolizione delle opere abusive, dall’altro lato, la riconduzione del fabbricato esistente ad una reale destinazione agricola (cui quella ricettiva è solo complementare) ovvero, ancora, la riduzione dei volumi asserviti alla destinazione residenziale”, aggiungendo che “ciò vale anche a respingere la censura di violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990 in quanto non si vede come la partecipazione al procedimento avrebbe potuto portare ad un esito diverso del provvedimento (cfr. art. 21 octies della medesima legge)”.
18.3. La domanda di riforma della sentenza appellata è, in parte qua, meritevole di accoglimento.
18.4. Deve premettersi che il provvedimento dichiarativo della inammissibilità della istanza di permesso di costruire si fonda, da un lato, sul rilievo inerente alla adozione dell’ordinanza di demolizione n. 17/2019, allo stato oggetto di giudizio, dall’altro lato, sull’esigenza di procedere alla acquisizione al patrimonio comunale dell’area di sedime del fabbricato oggetto di abuso e di un’area pari a dieci volte la superficie di sedime, ex art. 31 d.P.R. n. 380/2001.
18.5. Ebbene, è meritevole di accoglimento la censura intesa ad evidenziare che l’autonomia tra i corpi di fabbrica oggetto dell’istanza di permesso di costruire e quello (contrassegnato dalla lettera B) interessato dal contestato abuso non consente di subordinare l’ottenimento del titolo edilizio alla eliminazione delle difformità interessanti quest’ultimo: peraltro, non può non osservarsi che la realizzazione dei comodi rurali è funzionale, nell’ottica della realizzazione dei presupposti per il legittimo esercizio dell’attività agrituristica (in connessione con una prevalente attività agricola), al ripristino dei presupposti per il legittimo svolgimento di quest’ultima, che la stessa Amministrazione, con l’ordinanza n. 16/2019, ha posto come condizione per la ripresa dell’attività agrituristica.
18.6. Nemmeno può attribuirsi valenza giustificativa del provvedimento di diniego all’esigenza acquisitiva dell’area di sedime e di altra idonea a soddisfare il suindicato parametro di legge, non essendo dimostrato che la stessa non sia realizzabile nonostante la realizzazione dei comodi rurali oggetto dell’istanza di permesso di costruire.
18.7. Allo stesso modo, non può attribuirsi rilievo ostativo al rilascio del titolo edilizio al fatto che l’attività agricola non fosse svolta alla data di presentazione della relativa istanza, essendo la realizzazione delle strutture ad essa strumentali propedeutica all’avvio della medesima attività (la quale, secondo le stesse affermazioni comunali, è condizionata dalla disponibilità dei suddetti comodi rurali) ed al suo proficuo esercizio.
18.8. Resta conseguentemente assorbita la censura intesa a lamentare la mancata comunicazione del cd. preavviso di rigetto, mentre, per quanto concerne la deduzione attorea intesa a sottolineare il carattere “modestissimo” delle contestate difformità, essa può essere adeguatamente approfondita in occasione dell’esame dei motivi di appello concernenti la statuizione reiettiva recata dalla sentenza appellata con riferimento alla domanda di annullamento (proposta con i motivi aggiunti al ricorso n. 1044/2020) avente ad oggetto il provvedimento di diniego dell’istanza di accertamento di conformità presentata dalla società ricorrente (prot. n. 3198 del 7 maggio 2020).
19.1. Deve in proposito premettersi che il diniego si fonda sui seguenti rilievi/circostanze:
- la mancata realizzazione dei fabbricati A e C impedisce di configurare la connessione dell’attività agrituristica con l’attività agricola prevalente;
- la difformità dello stato dei luoghi rispetto ai titoli edilizi rilasciati, non essendo stati realizzati i predetti corpi di fabbrica;
- come risulta dalla comunicazione in data 4 febbraio 2021 del Comando Stazione dei Carabinieri di Teverola, la società esercita l’attività di “affittacamere”, “che non ha nulla a che fare con l’attività agrituristica” (alla suddetta comunicazione hanno fatto seguito le ordinanze n. 3 del 14 febbraio 2021 e n. 4 del 17 febbraio 2020 di cessazione dell’attività di “affittacamere”, oggetto dell’appello n. 1625/2021, su cui infra );
- non risulta presentata alcuna autorizzazione sismica, che deve precedere il rilascio del titolo edilizio.
19.2. Ebbene, deve essere preliminarmente respinta la censura intesa ad evidenziare che “la dimostrata correttezza della destinazione agrituristica travolge le fondamentali ragioni anche di tale rigetto”: come più volte ribadito, deve escludersi che, alla data di realizzazione degli abusi (rilevante secondo il criterio della cd. doppia conformità di cui all’art. 36 d.P.R. n. 38072001), sussistessero i presupposti per il legittimo svolgimento dell’attività agrituristica.
Consegue da tale rilievo che, anche dal punto di vista della conformità urbanistica, non potrebbe farsi leva, come assume la parte appellante, sulle “puntuali disposizioni edilizie dello strumento urbanistico locale che avrebbero consentito di conformare le modeste opere in discussione sotto tale profilo (legittima destinazione agrituristica)”.
19.3. Ciò premesso, devono esaminarsi i motivi di appello incentrati sulla tesi secondo la quale, da un lato, “gran parte delle opere in contestazione risultava, in realtà, regolarmente assentita”, dall’altro lato, “soggiacendo al regime abilitativo della SCIA, poteva certamente essere conformata mediante il versamento di semplice sanzione pecuniaria nella misura prevista dall’art. 37 comma 4 del DPR 380/2001”: non senza aver preliminarmente evidenziato che il carattere vincolato del potere nella specie esercitato non consente di dare spazio alla doglianza attorea secondo cui “le errate conclusioni cui approda la sentenza impugnata neppure si fondano su una puntuale istruttoria della proposta conformativa da parte dell’UTC (che trincerandosi dietro le ingiuste contestazioni del corretto esercizio dell’attività agricola, ha disatteso ogni verifica) ma si basano sulle argomentazioni difensive postume dell’avvocato dell’ente”.
19.4. Ebbene, iniziando dal “locale destinato a deposito (di circa mq 41 ed altezza mt 3,00 circa con annesso wc posto al piano terra)”, il T.A.R. ha così motivato:
“in relazione alla contestazione di aver adibito il deposito (di 41 mq.) situato a piano terra ad alloggio residenziale l’istante invoca le previsioni <<di cui all’art. 3 l. n. 96/2006 “Possono essere utilizzati per attività agrituristiche gli edifici o parte di essi già esistenti nel fondo. Le Regioni disciplinano gli interventi per il recupero del patrimonio edilizio esistente dell’imprenditore agricolo ai fini dell’esercizio di attività agrituristiche, nel rispetto delle specifiche caratteristiche tipologiche e architettoniche, nonché delle caratteristiche paesaggistico-ambientali dei luoghi. I locali utilizzati ad uso agrituristico sono assibilabili ad ogni effetto alle abitazioni rurali”. La legge regionale campana n. 15 del 6 novembre 2008, recante disciplina dell’attività di agriturismo, all’art. 3 ribadisce che “I locali utilizzati ad uso agrituristico sono assimilabili ad ogni effetto alle abitazioni rurali;lo svolgimento di attività agrituristiche non costituisce distrazione della destinazione agricola del fondo e degli edifici interessati e non comporta cambio di destinazione d’uso degli edifici censiti come rurali e come beni strumentali…”>>.
E’ evidente, anche in questo caso, che la premessa da cui muove la domanda è insussistente.
In ricorso, inoltre, si lamenta che l’amministrazione non avrebbe tenuto conto che il mutamento di destinazione d’uso del deposito in residenziale era stato già oggetto della SCIA n. 24365 del 24 agosto 2018 non oggetto di annullamento in autotutela (in sostanza si vuole dire che il mutamento di destinazione sarebbe assistito da titolo idoneo).
Osserva il Collegio che tale SCIA è stata presentata al SUAP unicamente allo scopo di segnalare l’apertura dell’attività agrituristica e non aveva quindi ad oggetto la volontà di comunicare un intervento edilizio (irrilevante, dunque, che negli allegati a tale SCIA il deposito fosse designato come alloggio).
Dirimente, invece, che nel corpo della SCIA n. 24365/2018 come titoli edilizi cui fare riferimento si citano oltre ai permessi di costruire n. 115/2009, n. 34/2014, n. 36/2015 anche la SCIA n. 3250 del 27 aprile 2018 in variante del P.d.C. n. 36/2015 (per l’utilizzo ai fini agrituristici degli esistenti locali rurali con integrazione dei servizi igienico sanitari). Nei grafici allegati alla SCIA da ultimo citata il locale in questione viene espressamente indicato come deposito e non come alloggio;è, dunque, a questa SCIA presentata ai fini edilizi che occorre fare riferimento;per concludere la trasformazione del deposito in alloggio non è stata mai espressamente comunicata al Comune”.
19.5. Mediante il corrispondente motivo di appello, la parte appellante deduce che il suddetto locale risulta regolarmente assentito con la S.C.I.A. prot. n. 24365/2018 presentata al SUAP in data 24 agosto 2018, la quale non è stata mai interessata da alcun provvedimento inibitorio né tantomeno di autotutela.
Essa osserva inoltre che l’utilizzo del locale per finalità agrituristica, attuato senza alcuna opera edile e senza integrare (come per legge) alcun cambio di destinazione d’uso, andava comunicato, come correttamente avvenuto, al competente SUAP.
19.6. Il motivo non può essere accolto.
Esso si fonda sul presupposto che il manufatto si inserisca (e trovi legittimazione, anche dal punto di vista del mutamento della sua destinazione da deposito a volume residenziale) in un contesto edilizio improntato da una univoca finalità agrituristica, la quale, alla luce dei rilievi che precedono, deve invece escludersi, difettando, alla data di esecuzione delle opere, i necessari elementi di connessione con l’attività agricola prevalente.
Inoltre, la finalità agrituristica non consente l’indiscriminato cambio di destinazione dei singoli immobili che fanno parte del relativo complesso, dovendo pur sempre verificarsi la sussistenza dei presupposti per l’incremento del volume residenziale (mediante la trasformazione del preesistente locale-deposito).
19.7. Con riguardo al “manufatto di mq. 12,70 circa ed altezza 3,00 m. circa, realizzato con struttura in legno e coperto in lamiere, destinato a locale tecnologico con annesso containers di mt. 6,10 x 2,40 ed altezza di mt. 3,00 circa adibito a deposito”, il T.A.R. ha così motivato la corrispondente statuizione reiettiva:
“come affermato dalla giurisprudenza (tra le tante T.A.R. Toscana, Firenze n. 1113/2019) rientrano nella nozione di volume tecnico solo le opere prive di qualsivoglia autonomia funzionale, anche solo potenziale, in quanto aventi una consistenza volumetrica del tutto contenuta e destinati unicamente a contenere impianti serventi di una costruzione principale per essenziali esigenze tecnico-funzionali della medesima, e che non possono essere in alcun modo ubicati al suo interno. Al di fuori di tale ambito sono da considerare volumi suscettibili di determinare un aumento del carico urbanistico richiedenti il permesso di costruire.
Nella fattispecie, come efficacemente rappresentato dalla difesa comunale, il manufatto è di notevoli dimensioni e all’interno dell’edifico era già previsto un locale deposito che avrebbe potuto in astratto ospitare gli impianti;ciò, nondimeno, il deposito è stato (abusivamente) trasformato in locale ad uso residenziale.
In subordine, si deduce (nella domanda e nel ricorso) che detti volumi tecnici sarebbero astrattamente sanabili in forza dell’art. 30bis delle NTA del vigente PUC del Comune (ed, in particolare, i commi 5 e 8 i quali stabiliscono che “5. In assenza di Psa la realizzazione di annessi agricoli, se non diversamente disposto dalle norme specifiche di ciascuna articolazione del territorio rurale aperto, avverrà nel rispetto delle seguenti superfici massime, detratte le superfici esistenti: - 20 mq/ha per i primi 3 ettari di superficie fondiaria mantenuta in produzione”;“8. Gli annessi relativi alle attività agrituristiche da parte di imprenditori agricoli professionali, se consentiti dalle norme specifiche di ciascuna articolazione del territorio rurale e aperto, saranno consentiti con riferimento al numero massimo di 20 posti letto per esercizio, nel rispetto di ogni altra norma vigente in materia”).
Ancora una volta, si richiamano norme relative al legittimo esercizio di un’attività agrituristica e ad una esistente attività agricola”.
19.8. Mediante il relativo motivo di appello, la parte appellante deduce che i rilievi suindicati sono contraddetti da quanto accertato dallo stesso U.T.C. nel verbale di accertamento n. 4/2019, laddove riferisce di un “manufatto destinato esclusivamente a locale tecnologico - impianti acqua fredda/calda e centraline elettriche”.
Essa lamenta inoltre la genericità e contraddittorietà delle argomentazioni contenute nella sentenza appellata, laddove si afferma che gli impianti tecnici, “di notevoli dimensioni”, potevano “in astratto” essere ospitati nel locale deposito all’interno del corpo B, atteso che, come pure evidenziato dal tecnico di parte, proprio in ragione della notevole dimensione degli impianti e della loro tipologia (autoclave e centraline elettriche), non sarebbe stato possibile collocarli all’interno dell’indicato locale deposito ubicato all’interno della struttura ricettiva.
19.9. Il motivo non può essere accolto.
In primo luogo, non rileva la destinazione del manufatto ad ospitare impianti tecnologici, atteso che la sentenza appellata si fonda sul rilievo secondo cui, al fine di ritenerlo soggetto al relativo regime, deve trattarsi di manufatto avente “una consistenza volumetrica del tutto contenuta” e che “non possono essere in alcun modo ubicati” all’interno dell’immobile principale.
Da questo punto di vista, la parte appellante si limita a sostenere che, in ragione “della notevole dimensione degli impianti e della loro tipologia (autoclave e centraline elettriche), non sarebbe stato possibile collocarli all’interno dell’indicato locale deposito ubicato all’interno della struttura ricettiva”, senza fornire alcun elemento di prova (non potendo all’uopo ritenersi sufficiente il generico rinvio a quanto “evidenziato dal tecnico di parte”, non essendo nemmeno indicato il documento cui dovrebbe aversi riguardo a tal fine).
19.10. Viene adesso in rilievo l’opera realizzata al primo piano e descritta nei termini seguenti: “sul lato est, sul terrazzo adiacente la scala, su cui in progetto è previsto la realizzazione di un pergolato, lo stesso è stato invece in parte coperto con una tettoia a falde inclinate in legno lamellare e tegole di mq. 48,00 circa e la copertura della scala di mq. 15,00 circa è stata realizzata a falde in legno lamellare e tegole, non conforme a quanto rilevato sui grafici allegati ai titoli edilizi abilitativi afferenti all’immobile di che trattasi”.
19.11. Il T.A.R. ha così motivato la relativa statuizione reiettiva:
“nella domanda se ne afferma la sanabilità in quanto sulla base delle NTA del Comune di Teverola il loggiato non andrebbe computato nelle volumetrie.
Sul punto, oltre alle considerazioni che precedono circa la valutazione necessariamente globale dell’intervento edilizio realizzato, il Collegio rileva che nel provvedimento l’amministrazione ha affermato la necessità di una verifica sismica di tali opere per le quali la parte non risulta aver presentato alcuna richiesta di autorizzazione sismica.
In ricorso si lamenta che il Comune avrebbe dovuto chiedere alla ricorrente un’integrazione documentale non potendo tout court respingere la domanda.
La prospettazione non può essere condivisa.
L’art. 93 comma 1 del DPR 380/2001 prescrive che “nelle zone sismiche di cui all’art. 83, chiunque intenda procedere a costruzioni, riparazioni e sopraelevazioni, è tenuto a darne preavviso scritto allo sportello unico, che provvede a trasmetterne copia al competente ufficio tecnico della Regione”. L’art. 94 comma 1 D.P.R. 380/2001 prescrive che “… non si possono iniziare lavori senza preventiva autorizzazione scritta del competente ufficio tecnico delle Regione” (obblighi ribaditi dalla normativa regionale di settore – cfr. l.r. n. 9/1983).
L’autorizzazione sismica è, dunque, un presupposto indispensabile per ottenere il rilascio del titolo edilizio (anche quello in sanatoria) la cui acquisizione costituisce un preciso onere della parte che intenda (o abbia già realizzato) dei lavori suscettibili di avere un impatto sulla statica del fabbricato;d’altra parte, a tutt’oggi la ricorrente non ha dimostrato di aver denunciato i lavori eseguiti sul fabbricato situato in zona sismica”.
19.12. In chiave critica, la parte appellante allega che l’opera è aperta sui tre lati, con la conseguente applicabilità della sola sanzione pecuniaria.
Essa deduce inoltre che le opere in questione si risolvono nella copertura, con semplici listelli di legno lamellare, di una struttura già esistente, e che la ricorrente avrebbe potuto agevolmente acquisire l’indicato parere sismico, se l’Amministrazione prima di procedure al diniego avesse formulato una richiesta di integrazione documentale.
19.13. Il motivo è parzialmente meritevole di accoglimento.
In primo luogo, sarebbe astrattamente fondata la deduzione attorea (formulata in altra parte del gravame, ma con riferimento a tutte le “opere di minore importanza”, come qualificate dal T.A.R., compresa quella di cui si tratta) intesa a sostenere la necessità di una valutazione autonoma delle opere de quibus : invero, quella in esame non concorre alla identificazione dell’”effettiva portata dell’operazione” edilizia, riguardando una parte del fabbricato (B) del tutto autonoma rispetto a quella interessata dal contestato incremento volumetrico.
Tuttavia, la tesi attorea, volta a sostenere la soggezione dell’opera alla mera sanzione pecuniaria, si scontra con l’orientamento giurisprudenziale secondo cui “la realizzazione di una tettoia in aderenza alla parete verticale di un manufatto preesistente è, infatti, idonea a costituire un collegamento qualificato con il relativo immobile - anche ove non imbullonata alla parete verticale dell'edificio cui accede, ma al suolo - di cui modifica la sagoma e costituisce un ampliamento, con conseguente creazione di nuova volumetria. Come precisato da questo Consiglio, infatti, "una tettoia (...), collegata al muro di un edificio preesistente, fa corpo con la cosa principale a cui aderisce, di cui modifica la sagoma e ne comporta l’ampliamento, creando nuova volumetria e, pertanto, necessita di un adeguato titolo di autorizzatorio (cfr. Cons. St. n. 6493 del 2012;Cons. St. n. 3939 e n. 4997 del 2013)" (Consiglio di Stato, sez. VI, 7 ottobre 2019, n. 6760)” (Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 561 del 18 gennaio 2021).
E’ invece fondata la deduzione attorea intesa a lamentare la mancata richiesta di integrazione documentale avente ad oggetto l’autorizzazione sismica, essendo il potere-dovere del Comune di richiedere integrazioni documentali insito nel disposto dell’art. 20, comma 5, d.P.R. n. 380/2001, a mente del quale “il termine di cui al comma 3 può essere interrotto una sola volta dal responsabile del procedimento, entro trenta giorni dalla presentazione della domanda, esclusivamente per la motivata richiesta di documenti che integrino o completino la documentazione presentata e che non siano già nella disponibilità dell'amministrazione o che questa non possa acquisire autonomamente. In tal caso, il termine ricomincia a decorrere dalla data di ricezione della documentazione integrativa”.
19.14. Per quanto concerne invece la “chiusura del porticato (di circa 34,5 mq.) mediante tende avvolgibili in materiale plastico adibito a reception e al WC di 4 mq. situato nel sottoscala”, il T.A.R. ha respinto anche in parte qua la relativa domanda di annullamento, incentrata sul rilievo secondo cui si tratterebbe di un “ampliamento volumetrico consentito in quanto contenuto nel 20 per cento della cubatura esistente e indispensabile allo svolgimento dell’attività alloggiativa svolta dall’azienda agrituristica. Al riguardo, si cita l’art. 30 delle NTA del vigente PUC del Comune di Teverola a mente del quale “le esistenti costruzioni a destinazione agricola possono, in caso di necessità, essere ampliate fino ad un massimo di 20 per cento dell’esistente cubatura purché esse siano direttamente utilizzate per la conduzione del fondo (opportunamente documentata)”.
Ai fini reiettivi, il giudice di primo grado ha evidenziato che “tale strutturazione della domanda non tiene conto né degli altri abusi edilizi realizzati (comportanti, come si vedrà, un incremento della volumetria) né del fatto che non risulta documentato l’utilizzo diretto di tale nuova volumetria alla destinazione agricola (che non sarebbe proprio esistente)”.
19.15. Osserva in senso contrario la parte appellante che il suddetto intervento risulta sanabile ai sensi dell’art. 30 delle NTA che consente, al fine di soddisfare le necessità dell’azienda, di aumentare la cubatura fino al 20% dell’esistente: in particolare, al capoverso n. 8 dell’art. 30 delle NTA del PUC di Teverola si legge che “le esistenti costruzioni a destinazione agricola possono, in caso di necessità, essere ampliate fino ad un massimo di 20% dell’esistente cubatura, purché esse siano direttamente utilizzate per la conduzione del fondo (opportunamente documentata)”.
19.16. Il motivo di appello non è meritevole di accoglimento.
Deve invero osservarsi che la destinazione del volume in discorso all’esercizio dell’attività agrituristica (essendovi ubicata la reception ) impone di porre in evidenza l’assenza, alla data di realizzazione dell’abuso, dei presupposti di “necessità” menzionati dalla disposizione invocata dalla parte appellante, siccome correlati ad una attività (quella, appunto, agrituristica) carente, a quell’epoca, dei relativi presupposti legittimanti.
19.17. Infine, vengono in rilievo i motivi di appello concernenti il “balcone reso interamente calpestabile laddove da progetto lo era solo in parte”, in relazione al quale il T.A.R. ha rilevato che “si tratta comunque di un intervento che si iscrive in un complesso di opere non sanabili. Come più volte affermato in giurisprudenza, nel vagliare un intervento edilizio consistente in una pluralità di opere, come qui accaduto, deve effettuarsi una valutazione globale delle stesse, atteso che "la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprendere l'effettiva portata dell'operazione" (cfr. in tali sensi, T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 03 dicembre 2010 , n. 26787;Tar Campania, Napoli, sezione sesta, 16 aprile 2010, n. 1993;25 febbraio 2010, n. 1155;9 novembre 2009, n. 7053;Tar Lombardia, Milano, sezione seconda, 11 marzo 2010, n. 584)”.
19.18. Deduce in senso contrario la parte appellante che si tratta di modestissime difformità che, essendo soggette al regime abilitativo della SCIA, erano certamente conformabili, aggiungendo che, in ogni caso, trattandosi di opere che incidono unicamente sulla “superficie non residenziale”, sussistevano certamente le condizioni per l’accertamento in conformità, anche alla luce della “possibilità di accedere, in considerazione dell’incidenza su differenti strutture, ad autonomi permessi di costruire “concretamente giustificato dall’effettiva autonomia della consistenza di ciascuna (opera)” (TAR Campania Napoli sez. VIII, sent. n. 2661 del
21.05.2019)”.
19.19. Ritiene la Sezione che l’appello non sia, in parte qua, meritevole di accoglimento, dovendo richiamarsi, in assenza di più precise deduzioni della parte appellante anche in ordine ai profili dimensionali dell’intervento, l’orientamento giurisprudenziale secondo cui “l’opera così realizzata non può qualificarsi come una mera manutenzione straordinaria, atteso che in tale categoria rientrano – secondo quanto previsto dall’articolo 3, comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 380 del 2001 – i lavori necessari per “rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici...”. L’ampliamento del balcone non è invece diretto a una mera finalità conservativa, perché non consiste nel ripristino o rinnovamento di elementi dell’edificio, ma comporta la formazione di ulteriore superficie utile non residenziale, all’esterno del volume del fabbricato, rispetto a quanto previsto dal titolo” (TAR per la Lombardia, Sez. II n. 2049 del 6 settembre 2018).
20. In conclusione, l’appello n. 213/2021 deve essere parzialmente accolto, nei limiti innanzi precisati.
21.1. Con la sentenza n. 669/2020, oggetto dell’appello iscritto al n. 1625/2021, il T.A.R. per la Campania ha respinto il ricorso (integrato da motivi aggiunti) proposto dalla odierna società appellante avverso le ordinanze del Responsabile del Servizio S.U.A.P. del Comune di Teverola (CE) n. 3 del 14 febbraio 2020 e n. 4 del 17 febbraio 2020, aventi ad oggetto la cessazione dell’attività ricettiva del tipo “affittacamere” svolta alla via S.P. 341 di Terra di Lavoro.
21.2. I provvedimenti impugnati scaturiscono dal verbale in data 4 febbraio 2020 dei Carabinieri della locale Stazione, col quale veniva accertata la violazione di quanto disposto dagli artt. 17-bis, co. 1, e 86 T.U.L.P.S., sulla scorta dello svolgimento "in modo difforme alle autorizzazioni rilasciate per l'esercizio agrituristico, [di] attività ricettiva del tipo “affittacamere”" (cfr. verbale prot. n. 144/14-7/2019 del 4 febbraio 2020).
21.3. Il T.A.R., dopo aver richiamato la sentenza n. 3670 del 27 agosto 2020, oggetto dell’appello n. 7287/2020, ha precisato che “la questione in ordine allo svolgimento dell’attività agrituristica non può essere commista con la questione attualmente all’esame, riguardante la cessazione dell’attività di affittacamere”, che “la cessazione dell’attività di affittacamere che ora viene in rilievo muove dalla rilevata assenza della licenza di pubblica sicurezza e, dunque, non in violazione ma in totale assenza di titolo (diverso dall’attività agrituristica)” e che “nella specie non v’è esercizio di attività agrituristica che consenta un’attività ricettiva poiché, mancando la prevalenza dell’attività agricola, non si può utilizzare la struttura per la ricettività che è ammessa solo nel contesto agrituristico”.
21.4. Mediante i motivi di appello, l’appellante censura i profili motivazionali della sentenza appellata, in vista della sua riforma e del consequenziale annullamento dei provvedimenti gravati in primo grado.
Si sono costituiti in giudizio il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo ed il Comune di Teverola.
22.1. La disamina dei motivi di appello presuppone l’analisi dei provvedimenti impugnati, al fine di individuare compiutamente la causa del potere che l’Amministrazione ha inteso esercitare e le ragioni poste a fondamento dello stesso.
22.2. A tal fine, occorre prendere le mosse dal verbale elevato dai Carabinieri della locale Stazione di Teverola (CE) prot. n. 144/14-7/2019 del 4 febbraio 2020, col quale viene contestata al sig. Chianese Pietro la violazione amministrativa (con conseguente applicazione della sanzione pecuniaria) di cui agli artt. “17 bis 1° comma e 86 TULPS” perché, in via SP 341 di Terra di Lavoro del Comune di Teverola (CE), “esercitava, in modo difforme alle autorizzazioni rilasciate per l’esercizio agrituristico, attività ricettiva del tipo “affittacamere””.
“Il tutto” – prosegue il menzionato verbale – “veniva accertato a mezzo raccolta di dichiarazioni e accertamento sul posto”.
A seguito del suddetto verbale, il Responsabile del Servizio SUAP del Comune di Teverola (CE), con l’ordinanza n. 3 del 14 febbraio 2020, preso atto della contestazione con esso formulata e “considerato che nel caso in esame si riscontrano i presupposti per l’applicazione della misura interdittiva prevista dall’art. 17 ter del TULPS”, ha ordinato “la cessazione immediata dell’attività ricettiva del tipo “affittacamere” e la contestuale chiusura di detta attività”.
Quindi, con la successiva ordinanza n. 4 del 17 febbraio 2020, il medesimo Responsabile SUAP, in dichiarata “rettifica” della predetta ordinanza, ha precisato che nella stessa “non è stato specificato che l’attività contestata con il verbale sopra indicato risultata espletata nell’immobile intestato alla Soc. Agricola Agribio di Chianese Pietro s.a.s. con sede legale in Aversa (CE) Piazza Bernini – Bernini Center, già oggetto di precedente ordinanza di chiusura e ordine di demolizione di opere abusive”.
22.3. Come si evince dal tenore testuale degli atti impugnati, l’Amministrazione comunale ha inteso sanzionare, mediante l’ordine di cessazione dell’attività da essi recato, lo svolgimento dell’attività di “affittacamere”, in quanto difforme dalle autorizzazioni in possesso della struttura e concernenti l’esercizio dell’attività ricettiva di tipo agrituristico.
Il T.A.R., come si è visto, muovendo dal suddetto presupposto – ovvero dall’esercizio dell’attività ricettiva di “affittacamere” in carenza del relativo titolo autorizzativo (licenza di pubblica sicurezza) – e precisato che la controversia ha ad oggetto “il dato dello svolgimento di un’attività alloggiativa senza titolo”, ha respinto il ricorso ed i motivi aggiunti, rilevando che l’attività ricettiva svolta dalla struttura de qua, qualificabile come “albergo diurno”, non potrebbe trovare legittimazione sub specie di attività agrituristica, non essendo ravvisabile, come accertato con la precedente sentenza n. 3670/2020, la necessaria connessione con l’attività agricola.
23.1. Ciò premesso, viene preliminarmente in rilievo la censura intesa a lamentare che i provvedimenti impugnati, fondandosi sull’assunto secondo cui l’attività ricettiva svolta dalla società appellante sarebbe carente di titolo, non essendo riconducibile ad una valida attività agrituristica, violerebbero la statuizione cautelare di cui all’ordinanza di questa Sezione n. 6321 del 19 dicembre 2019, con la quale è stato sospeso il precedente ordine di chiusura (ordinanza n. 16/2019), che si fondava appunto sulla ritenuta carenza dei presupposti per l’esercizio dell’attività agrituristica.
23.2. La censura è meritevole di accoglimento, nella misura in cui tende ad inficiare l’assunto, sul quale si regge la sentenza appellata (piuttosto che, come si vedrà, i provvedimenti impugnati in primo grado), secondo cui l’attività ricettiva svolta dalla società appellante non sarebbe riconducibile al (e quindi non potrebbe trovare fondamento legittimante nel) titolo autorizzatorio ( recte , S.C.I.A.) di matrice agrituristica.
Premesso infatti che la legittimità dei provvedimenti impugnati va scrutinata, da questo punto di vista, con riferimento alla data della loro adozione, ergo alla luce delle circostanze di fatto e di diritto a quell’epoca sussistenti, non può non rilevarsi che, a quel tempo, la cesura che l’ordinanza comunale di chiusura dell’attività agrituristica n. 16 del 9 ottobre 2019 era suscettibile di indurre nel nesso legittimante tra la S.C.I.A. prot. n. 24365 del 24 agosto 2018, avente ad oggetto l’avvio dell’attività agrituristica, ed il legittimo svolgimento di quest’ultima, era venuto meno per effetto dell’ordinanza cautelare di questa Sezione n. 6321 del 19 dicembre 2019, con la quale era stato accolto l’appello cautelare proposto dalla società avverso l’ordinanza del T.A.R. n. 1814/2019 e sospesi, conseguentemente, gli effetti inibitori della suddetta ordinanza comunale.
23.3. Deve tuttavia rilevarsi che, come si è visto, i provvedimenti oggetto del presente giudizio non si prefiggono di contestare lo svolgimento dell’attività ricettiva di ordine agrituristico in carenza di titolo legittimante, né in difformità dal relativo titolo, ma, come ben messo in evidenza dal T.A.R., l’esercizio di una “diversa”, ontologicamente parlando (almeno nell’ottica degli organi accertatori), attività ricettiva, cui l’Amministrazione attribuisce la qualificazione di “affittacamere”: ciò è tanto vero che i Carabinieri, con il verbale suindicato, nel contestare alla società di esercitare, “in modo difforme alle autorizzazioni rilasciate per l’esercizio agrituristico, attività ricettiva del tipo “affittacamere””, non negano la sussistenza del titolo legittimante lo svolgimento dell’attività agrituristica.
Ne consegue che, così individuato il reale (nel senso di oggettivamente ricavabile dai provvedimenti impugnati) oggetto della contestazione, passa in secondo piano, ai fini del presente giudizio, la questione della sussistenza del titolo legittimante l’attività agrituristica così come quella della legittimità delle relative modalità di svolgimento (sotto il profilo della esistenza dei relativi presupposti legittimanti, con particolare riferimento al nesso di complementarietà rispetto ad una effettiva attività agricola prevalente): ciò in quanto, si ripete, non è questo l’oggetto dei rilievi formulati con i provvedimenti impugnati, quanto piuttosto lo svolgimento di una attività ricettiva, sub specie di “affittacamere”, asseritamente diversa da quella di natura agrituristica e che, di riflesso, non potrebbe trovare fondamento legittimante nel titolo concernente quest’ultima.
24.1. Prosegue la parte appellante lamentando che, in assenza di profili di pubblica sicurezza coinvolti dagli atti impugnati, è illegittimo il riferimento in essi contenuto alla relativa normativa: di ciò sarebbe conferma, aggiunge la parte appellante, nel provvedimento (intervenuto nelle more del giudizio di primo grado) con il quale la Prefettura di Caserta (cfr. nota prot. n. 53529 del 21 maggio 2020), chiamata a pronunciarsi ( ex art. 18 l. n. 689/1981) sul reclamo avverso il suindicato verbale dei Carabinieri, ha affermato che “non si hanno provvedimenti da adottare in merito alle citate violazioni in quanto trattasi di materia attribuita alle competenze dei Comuni ai sensi del d.lgs n. 112/1998 (artt. 1 e 158 e ss.gg.)”.
24.2. Il motivo non è meritevole di accoglimento.
Deve osservarsi che, ai sensi dell’art. 19, comma 1, n. 8 d.P.R. n. 616 del 24 luglio 1977, “sono attribuite ai comuni le seguenti funzioni di cui al testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni: (…) 8) la licenza per alberghi, compresi quelli diurni, locande, pensioni, trattorie, osterie, caffè o altri esercizi in cui si vendono o consumano bevande non alcooliche, sale pubbliche per biliardi o per altri giochi leciti, stabilimenti di bagni, esercizi di rimessa di autoveicoli o di vetture e simili, di cui all’art. 86”: consegue, da tale disposizione, la permanenza del potere autorizzatorio previsto dal TULP, sebbene ne sia mutata la titolarità istituzionale, ora spettante all’autorità (comunale) competente, cui è demandato il potere di cui all’art. 17 ter , comma 3, R.D. n. 773 del 18 giugno 1931 di “ordinare, con provvedimento motivato, la cessazione dell’attività condotta con difetto di autorizzazione”.
Né potrebbe invocarsi, in senso contrario, la citata nota prefettizia, la quale si limita a rilevare, coerentemente con la citata disposizione, l’attribuzione all’Ente locale della relativa funzione sanzionatoria.
Nel senso predetto, del resto, è orientata la stessa giurisprudenza del giudice di appello, nella quale si trova affermato (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, n. 6331 del 20 ottobre 2020) che “con il passaggio dall’autorità di pubblica sicurezza ai Comuni delle funzioni di cui al T.U.L.P.S. per opera dell’art. 19, comma 1, del d.P.R. n. 616 del 1977 (Attuazione della delega di cui all’art. 1 della l. 22 luglio 1975, n. 382), tra le quali rientrano “la licenza per alberghi, compresi quelli diurni, locande, pensioni, trattorie, osterie, caffè ed altri esercizi in cui si vendono o consumano bevande non alcooliche, sale pubbliche per biliardi o per altri giuochi leciti, stabilimenti di bagni, esercizi di rimessa di autoveicoli o di vetture e simili di cui all’art. 86”, sono transitati nella competenza dei Comuni anche i poteri sanzionatori, utilizzabili in presenza di violazione delle discipline specifiche che attengono alla tutela degli interessi pubblici diversi da quello dell’ordine e della sicurezza pubblica (anche in ragione della dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 19 del d.P.R. n. 616 del 1977 con la sentenza della Corte costituzionale 24 marzo 1987, n. 77)”.
25.1. Deduce quindi la parte appellante che l’Amministrazione comunale, in difetto dei presupposti di pubblica sicurezza, non era vincolata in termini di doverosità ed automaticità dalle risultanze del verbale di contestazione, ma avrebbe dovuto garantire il contraddittorio pieno con la ricorrente, oltre ad operare un’autonoma valutazione dei fatti, orientando il proprio operato secondo parametri di logicità, proporzionalità ed adeguatezza.
25.2. Nemmeno tale motivo è meritevole di accoglimento.
Deve ribadirsi, anche da questo punto di vista, che l’esigenza di controllo della P.A. sottesa all’obbligo di acquisire, prima dell’avvio dell’attività ricettiva, il relativo titolo legittimante, viene necessariamente frustrata, giustificando il relativo provvedimento repressivo della competente Amministrazione, laddove si accerti che la medesima attività (che, in ipotesi, di quel titolo richieda preliminarmente il rilascio) viene svolta in carenza della pertinente autorizzazione.
Deve solo aggiungersi che non sono pertinenti, da tale punto di vista, i richiami fatti dalla parte appellante ai precedenti cautelari, anche di questa Sezione, con i quali, ai soli fini della valutazione (in senso favorevole alla società appellante) del periculum in mora , è stata posta in evidenza l’assenza di dirette e concrete implicazioni negative per gli interessi della pubblica sicurezza e dell’ordine pubblico derivanti dallo svolgimento dell’attività ricettiva de qua .
26.1. Allega quindi la parte appellante che il richiamo alle (asseritamente) inconferenti disposizioni di pubblica sicurezza ha costituito semplicemente lo strumento per chiudere ad horas l’attività agrituristica, aggirando lo speciale procedimento di accertamento delle violazioni di cui alla l.r. n. 15/2008, disciplinato dal combinato disposto di cui agli artt. 12 e 14 l.r. n. 15/2008, 8 l.r. n. 13/1983 e 20 l. n. 689/1981.
26.2. Nemmeno il motivo in esame può essere accolto.
Deve anche in ordine allo stesso ribadirsi che l’esercizio del potere de quo trova fondamento nella carenza del titolo autorizzatorio ritenuto dall’Amministrazione necessario ai fini dell’esercizio della contestata attività ricettiva di “affittacamere” (salvo quanto si dirà infra in ordine alla correttezza di tale contestazione): restano conseguentemente estranee ai parametri normativi cui commisurare, anche sotto il profilo procedimentale, il relativo esercizio le disposizioni, invocate dalla parte appellante, attinenti alla (diversa, secondo l’Amministrazione) attività ricettiva di segno agrituristico.
27.1. Allega ancora la parte appellante che lo scopo delle richiamate disposizioni del TULPS (art. 17 bis , comma 1, ed art. 86 R.D. n. 773/1931) è quello di garantire che gli esercenti dell’attività ricettiva si dotino preventivamente della licenza di pubblica sicurezza e non quello di sanzionare il non corretto esercizio di siffatte attività (nella specie agrituristica) secondo le prescrizioni contenute nell’autorizzazione comunale, trattandosi di funzioni di “polizia amministrativa” e non di “pubblica sicurezza”: essa evidenzia quindi che nella presente fattispecie risultano pienamente soddisfatte tutte le pertinenti finalità di pubblica sicurezza, atteso che la ricorrente, dopo aver presentato alla competente autorità comunale la prevista segnalazione di inizio attività per lo svolgimento dell’attività agrituristica, che documenta il possesso dei requisiti di moralità del titolare dell’impresa, ha poi attivato, con la Questura di Caserta, il sistema di trasmissione informatica degli alloggiati in detta attività.
27.2. Nemmeno il motivo appena richiamato è suscettibile di favorevole apprezzamento.
Come già evidenziato, scopo dei provvedimenti impugnati non è (almeno testualmente) quello di sanzionare eventuali difformità riscontrate nello svolgimento dell’attività agrituristica rispetto al relativo titolo autorizzatorio, ma quello diverso di reprimere lo svolgimento di una attività ricettiva di tipo asseritamente diverso (da quello agrituristico autorizzato), ascrivibile alla tipologia dell’”affittacamere”: ne consegue che non potrebbero assumere rilievo, al fine di ritenere integrate aliunde le relative finalità (di pubblica sicurezza), i titoli autorizzatori acquisiti ai fini dello svolgimento della diversa attività agrituristica.
28.1. Deduce quindi la parte appellante che il T.A.R., anziché prendere atto dell’assenza di adeguata motivazione in merito al presunto svolgimento di un’attività di “affittacamere” diversa da quella autorizzata, si spinge fino al punto di surrogare ed innovare l’insufficiente motivazione fornita dall’Amministrazione.
28.2. Il motivo è fondato.
Evidenziato ancora una volta che i provvedimenti impugnati non mettono in discussione che, allo stato, la società appellante era legittimata allo svolgimento dell’attività agrituristica (né avrebbero potuto legittimamente farlo, attesi gli effetti ripristinatori delle condizioni per il legittimo esercizio di quella attività derivanti dall’ordinanza cautelare del giudice di appello n. 6321/2019), deve osservarsi che essi sono effettivamente carenti di ogni motivazione in ordine agli elementi posti a fondamento della contestazione avente ad oggetto lo svolgimento di una attività (di “affittacamere”) diversa da quella di segno, appunto, agrituristico.
Né, da questo punto di vista, può attribuirsi rilievo decisivo ai riferimenti fatti dal giudice di primo grado all’”albergo diurno”, sia perché, appunto, non ricavabili dagli atti impugnati (non essendo a tal fine sufficienti i verbali di sommarie informazioni prodotti dal Comune di Teverola nel giudizio di primo grado, dai quali, pur evincendosi che la struttura effettuava anche ospitalità di breve termine, non si ricava se tale attività fosse prevalente rispetto a quella di più lungo periodo, quale pure si ricava dalla documentazione fiscale prodotta in primo grado dalla parte ricorrente), sia perché non sono indicate le ragioni per le quali siffatta modalità di svolgimento dell’attività ricettiva non sarebbe riconducibile a quella di tipo agrituristico, per la quale la società appellante era in possesso (alla data di adozione del provvedimento impugnato e per effetto della citata pronuncia cautelare-ripristinatoria del giudice di appello) di un efficace titolo autorizzatorio ( recte , S.C.I.A.).
29. Dai rilievi che precedono consegue che non sono pertinenti, ai fini della decisione, le allegazioni della parte appellante intese a ribadire la sussistenza dei presupposti per il legittimo esercizio dell’attività agrituristica, essendo la relativa contestazione estranea al contenuto motivazionale dei provvedimenti impugnati.
Allo stesso modo, tuttavia, non possono condividersi le deduzioni difensive comunali, così come articolate in primo grado, nel senso che “mancando l’attività agricola, la sola attività posta in essere consiste in una nuova attività, del tutto differente rispetto a quella a suo tempo autorizzata, e pertanto priva della licenza richiesta dalla normativa quivi violata”: deve infatti osservarsi, in proposito, che la contestazione avente ad oggetto l’insussistenza delle condizioni per l’esercizio dell’attività agrituristica è stata contestata aliunde , ovvero con l’ordinanza comunale n. 16/2019, la cui esecutività tuttavia, come a più riprese evidenziato, alla data di adozione dei provvedimenti impugnati nel presente giudizio era stata sospesa con la menzionata ordinanza di questo Consiglio di Stato n. 6321/2019, con la conseguenza che all’Amministrazione era precluso, nelle more della definizione della relativa controversia, addurre l’illegittimo esercizio dell’attività agrituristica al fine di legittimare un nuovo intervento inibitorio (che del resto, come si è visto, trova diversa giustificazione nei provvedimenti impugnati in primo grado).
A tale riguardo, non può non ricondursi effetto invalidante anche alla lamentata omissione delle garanzie partecipative a favore della società appellante, la quale, come evidenziato con il presente atto di appello, avrebbe potuto fornire un contributo non a priori irrilevante al fine di orientare correttamente le valutazioni dell’Amministrazione, anche fornendo i dati relativi alla tipologia di ospitalità fornita all’utenza (non esclusivamente riconducibile, come da essa qui allegato, alla formula del “day use”, come si evince dalle fatture prodotte in primo grado): né la lamentata omissione potrebbe trovare giustificazione in ipotetiche ragioni di urgenza, non emergenti dai provvedimenti impugnati (con la conseguente non pertinenza del richiamo, fatto in primo grado dalla difesa comunale, al disposto di cui all’art. 100 TULPS).
30. L’appello n. 1625/2021, in conclusione, deve essere accolto e conseguentemente annullati, in riforma della sentenza appellata, i provvedimenti inibitori impugnati in primo grado.
31. L’indubbia complessità e novità dell’oggetto della controversia (all’esito della quale le parti potranno sviluppare una nuova fase procedimentale, proficuamente collaborativa, intesa a ripristinare le condizioni per il legittimo svolgimento dell’attività imprenditoriale de qua , sotto tutti i profili coinvolti) e l’esito variegato degli appelli, comportante una complessiva soccombenza reciproca, giustificano la compensazione delle spese dei due gradi di giudizio, relativamente agli appelli n. 213/2021 e n. 1625/2021, così come delle spese del giudizio di appello relativamente al ricorso in appello n. 7287/2020 (il cui esito è interamente confermativo della sentenza di primo grado).