Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2016-10-24, n. 201604421

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2016-10-24, n. 201604421
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201604421
Data del deposito : 24 ottobre 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 24/10/2016

N. 04421/2016REG.PROV.COLL.

N. 09744/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9744 del 2014, proposto da:
A S, rappresentato e difeso dall'avvocato A S C.F. SCRLRT44S22I862A, con domicilio eletto presso Daniele Vagnozzi in Roma, viale Angelico 103;

contro

Ministero della Giustizia, Consiglio Superiore della Magistratura, in persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica, tutti rappresentati e difesi per legge dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per il LAZIO – Sede di ROMA - SEZIONE I n. 4443/2014, resa tra le parti, concernente delibera di non conferma emessa dal C.s.m. sulla conferma dell'esponente a giudice di pace Salerno – risarcimento dei danni.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia e del Consiglio Superiore della Magistratura;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 ottobre 2016 il consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti l’avvocato Lorenzo Coleine su delega dell’avvocato A S e l’avvocato dello Stato Noviello;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.Con la sentenza in epigrafe appellata, n. 4443/2014 il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio – sede di Roma – ha respinto il ricorso proposto dalla odierna parte appellante e volto ad ottenere l’annullamento della delibera del Consiglio Superiore della Magistratura del 22 settembre 2010 adottata per dare esecuzione alla sentenza Tar Lazio n. 4992 dell'8 maggio 2009, con la quale si era determinato di non rinnovare all’originario ricorrente l’incarico di giudice di pace in Salerno, del d.M. 18 maggio 2011 (che aveva recepito detta delibera del 22 settembre 2010), unitamente alla declaratoria di nullità del preavviso di non conferma del 12 giugno 2009 e della richiamata delibera del 25 ottobre 2006.

2. L’originario ricorrente aveva prospettato numerose macrocensure di violazione di legge ed eccesso di potere (violazione degli articoli 1, 2, 3 comma 3, 6, 7, 8, 10, 10 bis, 21 bis, quater, quinquies, septies, octies e nonies della legge 241/1990, degli articoli 17 e 19 D.P.R. 10 giugno 2000 n. 198 e della circolare ministeriale 30 luglio 2002, degli articoli 5 e 7 della L. n. 374/1991, degli articoli 1375 e 2043 c.c. e degli articoli 97 e 111 Cost., oltreché la violazione del giudicato ed il vizio di eccesso di potere per inesistente, incongrua e/o apparente motivazione,lo sviamento di potere per violazione dei precetti di logica, imparzialità e buon andamento della P.A. la contraddittorietà manifesta fra provvedimenti il travisamento di fatti il difetto e/o la erronea valutazione dei presupposti la violazione del principio del giusto processo e dei tempi ragionevoli dello stesso la mancanza di accertamenti istruttori da parte del C.S.M. e degli organi incaricati da quest'ultimo, l’esercizio sviato della discrezionalità esercitata in modo arbitrario ed in mancanza di presupposti di base la insufficienza della campionatura dei provvedimenti giurisdizionali dal medesimo redatti), ed aveva inoltre proposto la domanda di risarcimento dei danni, ( da determinarsi equitativamente ai sensi dell'art. 26, comma 2, c.p.a.) a decorrere dal giugno 2009, in relazione alla mancata stipula di una società tra professionisti ed ai mancati guadagni nello svolgimento delle funzioni di giudice onorario.

3. Il Ministero della Giustizia ed il Consiglio Superiore della Magistratura, si erano costituiti in giudizio, chiedendo la declaratoria di inammissibilità ovvero la reiezione del ricorso in quanto infondato.

4. Il Ta.r. ha innanzitutto riepilogato i termini della controversia facendo riferimento al contenzioso intercorso e precisando che:

a) l’antecedente logico della controversia riposava nella circostanza che con delibera del 2006 (recepita con d.m. 28 giugno 2006) il Consiglio Superiore della Magistratura aveva respinto l’istanza (proposta in data 10 marzo 2005) del predetto odierno appellante -giudice di pace in Salerno- volta alla conferma nel medesimo incarico per il secondo quadriennio;

b)con sentenza n. 4992/2009 il T.a.r. del Lazio aveva accolto il ricorso presentato dall’odierno appellante avverso il predetto diniego annullandolo sotto l’assorbente profilo che esso non era stato preceduto dall’avviso ex art. 10 bis della L. n. 241/1990, recante i motivi ostativi all'accoglimento della domanda di conferma nell'incarico di giudice di pace nella sede di Salerno ed affermando che, ai fini della prova circa la potenziale efficacia del contributo partecipativo negato all’istante, non potesse escludersi un contenuto diverso dell’atto finale;

c) a seguito della pubblicazione della detta sentenza n. 4992/2009 (peraltro impugnata dall’odierno appellante con il ricorso in appello n. 6109/2010 e non impugnata, invece, dal Ministero) l’odierno appellante aveva intrapreso numerose iniziative giurisdizionali:

I) era stato proposto ricorso avverso il silenzio serbato dal Csm, accolto con la sentenza del T.a.r. n. 30423 del 2010 successivamente riformata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 8024/2010 (in quanto al momento della proposizione del ricorso avverso il silenzio non era configurabile alcuna inerzia dell’amministrazione che aveva seriamente avviato la rinnovazione del procedimento);

II) era stato proposto altresì ricorso per l'esecuzione della sentenza n. 4992 dell'8 maggio 2009, dichiarato inammissibile con sentenza del T.a.r. n. 8723 dell'11 novembre 2011 (confermata dal Consiglio di Stato con la sentenza n.4129/2013) sulla scorta della considerazione per cui che l’amministrazione aveva nuovamente provveduto sull’istanza di conferma, utilizzando la residua discrezionalità non elisa dal giudicato che aveva avuto ad oggetto un mero vizio di forma.

4.1. Nel merito, disattese le eccezioni di inammissibilità del ricorso di primo grado prospettate dalla difesa erariale l’impugnata sentenza ha:

a) rammentato quale dovesse essere –alla luce della legislazione vigente- l’ambito del sindacato giudiziale;

b) evidenziato che il Consiglio Superiore della Magistratura aveva fondato il proprio convincimento anche sui pareri negativi espressi dai Consigli giudiziari di Firenze e di Salerno e dai Presidenti dei rispettivi Tribunali, a propria volta basati non solo sugli esposti degli avvocati o dei loro Ordini e su procedimenti e sanzioni disciplinari non incompatibili con la prosecuzione dell’attività di giudice onorario, bensì anche sull’oggettivo apprezzamento di un complessivo comportamento consistente, secondo quanto dagli stessi riferito, nel ripetuto ricorso a consulenze tecniche d’ufficio non indispensabili, o eccessivamente onerose, o non attinenti alla causa o affidate a soggetti non idonei, e che pertanto, secondo quanto prospettato, detta condotta non si limitava ad incidere sui rapporti con il Tribunale e con il Foro (fattispecie non direttamente rilevanti ai fini della conferma), bensì sui rapporti con i cittadini, risolvendosi in un aggravamento ed in una dilazione (e quindi in un almeno parziale diniego) del servizio-giustizia assicurato dalla magistratura onoraria, e motivando in tal modo un avviso negativo circa la possibilità di conferma dell’interessato;

c) respinto alla stregua di tali considerazioni il ricorso di primo grado, affermando la legittimità della delibera di non conferma.

5. L’originario ricorrente rimasto soccombente ha impugnato la detta decisione sostenendone la illogicità e la erroneità e – dopo avere fatto presente e ribadito che l’unico interesse residuo riposava dall’accoglimento della domanda risarcitoria già proposta in primo grado- ha riproposto tutte le censure contenute nel ricorso di primo grado, “attualizzandole” in relazione al contenuto della motivazione della sentenza.

6.In data 2.9.2016 il Ministero della Giustizia ha depositato un’articolata memoria nell’ambito della quale, dopo avere ripercorso (pagg.

1-6 della memoria) le principali tappe della risalente vicenda processuale e richiamato il contenuto delle decisioni del Consiglio di Stato nn.4129/2013 e 826/2012 ha chiesto la reiezione dell’impugnazione, deducendo che:

a) la sentenza del T.a.r. Lazio, I Sez., n. 4992 dell’8 maggio 2009 cui il Csm aveva prestato acquiescenza, aveva respinto la domanda risarcitoria dell’odierno appellante, ed aveva annullato la delibera del 7 giugno 2006 di non conferma dello stesso unicamente per il vizio ex art. 10 bis della legge n. 241/1990, e perché pareri resi dal Presidente del Tribunale di Firenze (3 novembre 2005) e dal Presidente del Tribunale di Salerno (13 giugno 2005) non apparivano esaustivamente motivati;

b) il C.s.m., ritenuta l’opportunità di prestare acquiescenza alla detta sentenza, aveva deliberato in data 8 giugno 2009 di comunicare all’avv. S, ai sensi dell’art. 10 bis L. n. 214/1990, i motivi ostativi all’accoglimento della domanda di conferma nell’incarico di giudice di pace nella sede di Salerno;

c) questi aveva controdedotto, ed anche diffidato il Csm ad ottemperare alla sentenza del T.a.r. Lazio, I Sez., n. 4992 dell’8 maggio 2009;

d) con delibera del 14 luglio 2009 e con successiva delibera del 19 gennaio 2010 il Csm aveva invitato “i Consigli Giudiziari di Salerno e di Firenze a svolgere, con le necessarie garanzie procedimentali, idonea attività istruttoria sui fatti e circostanze indicati nella citata delibere consiliare, nei limiti delle censure formulate dalla sentenza del T.a.r. del Lazio n. 4992/2009”;

e) a seguito di tale richiesta, il Consiglio giudiziario di Firenze aveva inviato in data 6 maggio 2010 l’estratto del verbale relativo alla seduta della Sezione Autonoma Giudici di Pace del 15 aprile 2010, ed il Consiglio giudiziario di Salerno aveva inviato in data 1° settembre 2010 l’estratto del verbale della Sezione Autonoma Giudici di Pace del 5 luglio 2010;

f) la tesi prospettata dall’odierno appellante secondo cui detta attività del Csm sarebbe stata elusiva/violativa del giudicato formatosi, era rimasta definitivamente smentita dalla sentenza del Consiglio di Stato nn.4129/2013 che aveva confermato la sentenza del T.a.r. del Lazio n. 8723/2011;

g) correttamente il Consiglio non aveva ritenuto di rinnovare il preavviso dopo aver

acquisito i nuovi pareri dai Consigli giudiziari di Firenze e Salerno, in quanto era stato evidenziato che “l’attività di integrazione istruttoria espletata da questo Consiglio mediante la citata richiesta di informazioni ai Consigli Giudiziari di Firenze e di Salerno non ha portato alla individuazione di elementi valutativi ulteriori rispetto a quelli già agli atti al momento in cui è stata effettuata la comunicazione ex art. 10 bis della legge 241/1990 nei confronti dell’avv. S;
infatti, i Consigli Giudiziari cui è stata rivolta la richiesta di rinnovazione del parere, si sono riportati alle valutazioni già espresse per il mancato sopravvenire di novità di rilievo. Aspetto questo che rende evidentemente ultroneo l’invio di ulteriore comunicazione ex art. 10-bis della legge 241/1990 nei confronti dell’interessato”;

h) nel merito, l’appello era inammissibile in quanto generico, e comunque infondato in quanto volto a censurare una valutazione (quella in ordine alla conferma del giudice di pase) assistita da latissima discrezionaltà;

g) in ogni caso il giudizio negativo del Csm si era fondato:

I) sul parere negativo del Consiglio giudiziario di Salerno, che con delibera del 5 luglio 2010 si era espresso in senso contrario alla conferma, sulla scorta del parere negativo formulato dal Presidente del Tribunale del 24 maggio 2010 che aveva evidenziato le ripetute violazioni di legge a lui segnalate in più occasioni;
l’esposto del Presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati

di Salerno, in data 25 ottobre 2004 nel quale era stato evidenziato lo stato di conflittualità con la classe forense del magistrato onorario;
i numerosi esposti presentati nei confronti del magistrato onorario da avvocati del foro di Salerno;
la proposta di censura formulata dal Consiglio giudiziario di Salerno il 9 dicembre 2004;

II) sul parere negativo del Consiglio giudiziario di Firenze che si era richiamato alla nota

del 25 marzo 2010 del Presidente del Tribunale di Firenze indirizzata al Presidente della Corte d’Appello, nella quale si era fatto presente che “la personalità ed il comportamento dell’avv. S emergeva dalla copiosa documentazione oggetto di ripetuto carteggio tra questa Presidenza

e codesta Presidenza- che si ritiene opportuno allegare in copia – sfociato poi in procedimenti disciplinari a carico dell’avv. S”;

i) la ragione sostanziale della non conferma era quindi da rinvenire nelle numerosissime segnalazioni ed esposti presentati nei confronti dell’avv. S, in entrambi i distretti presso cui egli aveva prestato le funzioni onorarie (lo stesso avv. S ne aveva indicato nove) soltanto taluni dei quali erano indicati nella delibera in data 25 ottobre 2006 (pratica consiliare 730/GP/2005);

l) l’appellante infondatamente aveva contestato l’utilizzabilità di detti elementi, comunque atti a rafforzare il convincimento di un pericolo per il prestigio dell’Ordine Giudiziario: l’estinzione dei procedimenti disciplinare, non poteva implicare che gli elementi acquisiti non fossero utilizzabili in sede di valutazione sulla domanda di conferma;

m) anche la domanda risarcitoria era del tutto infondata.

7. In data 6. 9.2016 l’appellante ha depositato una memoria ribadendo e puntualizzando le proprie difese.

8. In data 19. 9.2016 l’appellante ha depositato una memoria di replica ribadendo e puntualizzando le proprie difese.

9. Alla odierna pubblica udienza del 13 ottobre 2016 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è infondato, il che consente di prescindere dall’esame di ogni questione in rito.

1.1. Per il vero, vi sarebbe da dubitare della stessa ammissibilità dell’atto di impugnazione (vedi Consiglio di Stato, sez. V, 30/11/2015, n. 5400) laddove si consideri che:

a) l'impugnata sentenza si sviluppa per 14 pagine complessive;

b) l'atto di appello:

I) consta di 46 pagine complessive (al netto di quelle recanti la prova dell'avvenuta notificazione);

II) è stato redatto anche con la tecnica del "copia e incolla" (specie nella parte in cui riproduce integralmente il ricorso di primo grado) e contiene plurime reiterazioni dei medesimi argomenti e richieste nella parte centrale ed in quella conclusiva;

III) è stato redatto con l'uso di sottolineature, caratteri, dimensioni, grassetti ed altri accorgimenti grafici che rendono difficoltosa la lettura e comprensione del testo;

IV) è stato redatto senza un criterio ordinatore, infatti: non è stato suddiviso fra parte in fatto, svolgimento del processo e motivi specifici (avverso la sentenza in quanto tale, di cui si lamenta l'invalidità per eccesso di potere giurisdizionale e violazione dell'art. 112 c.p.c., e avverso i capi di cui essa si compone);
contiene plurime esposizioni (e preannunci) preliminari di motivi scoordinati fra loro;

V) reca motivi in parte nuovi e motivi intrusi e reitera censure – quali quella di violazione del giudicato- ex se inammissibili per bis in idem .

1.2. Esso pare collidere quindi con i doveri di sinteticità, chiarezza e specificità (degli scritti delle parti e in particolare degli atti di impugnazione), siccome ritraibili dai principi elaborati dalla giurisprudenza civile ed amministrativa (cfr. Cass., sez. lav., 30 settembre 2014, n. 20589;
sez. un., 11 aprile 2012, n. 5698;
Cons. Stato, Sez. V, 22 gennaio 2015, n. 274;
Sez. V, 11 giugno 2013, n. 3210;
sez. VI, 24 giugno 2010, n. 4016;
Cons. giust. amm., 14 settembre 2014, n. 536;
19 aprile 2012, n. 395).

1.3. In disparte tali considerazioni, esso è comunque infondato nel merito.

2. Seguendo la tassonomia propria delle questioni (secondo le coordinate ermeneutiche dettate dall’Adunanza plenaria n. 5 del 2015) va esaminata prioritariamente la prima censura formulata da parte appellante (con la quale, sostanzialmente, ci si duole che il Tar non abbia dichiarata nulla per elusione del giudicato la avversata delibera);
ritiene il Collegio di dovere immediatamente rilevare che la stessa è inammissibile e comunque infondata per due ragioni:

a) come descritto nella parte in fatto, la censura è ripetitiva di quella respinta con la sentenza del Tar n. 8723 dell'11 novembre 2011 (confermata dal Consiglio di Stato con la sentenza n.4129/2013) e pertanto detto petitum sarebbe inammissibile per “bis in idem” (tra le tante: Consiglio di Stato, sez. V, 23/03/2015, n. 1558 “Il divieto di ne bis in idem è estensibile anche all'azione di ottemperanza, atteso che quest'ultima non è inquadrabile nella schema della mera azione esecutiva di sentenze o altri provvedimenti equiparabili, ma presenta profili di carattere cognitorio che arricchiscono il contenuto della domanda, atteso che il giudice dell'ottemperanza esercita gli ampi poteri conferiti dalla legge, integrando l'originario disposto della sentenza impugnata dinanzi ad esso, con determinazioni che non ne costituiscono una mera esecuzione, ma un'attuazione in senso stretto, dando luogo al cd. giudicato a formazione progressiva.”);

b) la doglianza è comunque infondata in quanto la sentenza del T.a.r. n. 4992 dell'8 maggio 2009 (non impugnata dal Ministero né dal C.s.m.) ebbe a riscontrare, con portata assorbente, un vizio infraprocedimentale motivazionale;
essa quindi restituì pressoché integro al C.s.m. il potere di deliberare;
il C.s.m. non trovava vincolo alcuno nella predetta statuizione a rideterminarsi ( e ciò, avrebbe potuto fare financo fondando la propria statuizione su una motivazione ricalcante quella contenuta nella delibera annullata per il riscontrato vizio infraprocedimentale, con il solo vincolo di vagliare le controdeduzioni proposte dall’appellante);

c) in una simile situazione, denunciare la nullità per violazione/elusione del giudicato sarebbe assai arduo, e comunque occorre immediatamente porre in risalto che certamente tale eventualità non si è verificata nel caso di specie, laddove v’è effettivamente stata una nuova ponderazione (e correlativa esternazione motivazionale);

d) per altro verso, la complessiva critica secondo cui il C.s.m. avrebbe violato il dictum contenuto nella citata sentenza del Tar n. 4992 dell'8 maggio 2009 in quanto avrebbe posto a fondamento della (nuova) delibera di rigetto dell’istanza di conferma fatti e documenti “nuovi” rispetto alla prima delibera annullata per il vizio infraprocedimentale ex art. 10 bis della legge n. 241/1990 è certamente infondata in quanto, per costante e condivisa giurisprudenza( Cons. Stato Sez. IV Sent., 12-09-2007, n. 4829) sin da tempo risalente si è affermato che:

I) a seguito di un primo giudicato di annullamento, in ragione della c.d. inesauribilità del potere amministrativo, scaturisce il dovere della pubblica amministrazione di riesaminare una seconda volta l'affare nella sua interezza, sollevando tutte le questioni rilevanti, con definitiva preclusione (per l'avvenire e in sostanza, una terza volta) di tornare a decidere sfavorevolmente in relazione a circostanze non esaminate;

II) l'annullamento di un provvedimento amministrativo a carattere discrezionale che abbia negato la soddisfazione di un interesse legittimo pretensivo non determina la sicura soddisfazione del bene della vita, ma obbliga semplicemente l'amministrazione a rinnovare il procedimento tenendo conto della portata conformativa della sentenza ( ex multis ,T.A.R. Lazio Roma Sez. I, 23-04-2009, n. 4071);

e) ne consegue che in sede di seconda rieffusione del potere l’Amministrazione non solo può, ma “deve” indagare se esistano elementi di fatto, documentali, etc, relativi al medesimo affare e valutabili, incorrendo in caso contrario (e salve limitatissime eventuali eccezioni relative ad eventuali fatti sopravvenuti, alla scoperta di elementi/documenti impossibili da conoscere, etc) in una definitiva preclusione.

2.1. Da quanto sinora esposto discende che la prima –e più radicale- doglianza è inammissibile e comunque platealmente infondata e che correttamente il T.a.r. si è risolto a non dichiarare nulla l’avversata delibera.

Semmai, i motivi contenuti nella detta prima censura vanno attentamente scrutinati, unitamente agli altri contenuti nell’atto di appello, per verificare se sussistano i denunciati profili di illegittimità anche di tale seconda delibera di diniego al rinnovo dell’incarico in favore dell’appellante.

3. E proprio venendo alla disamina di tali censure di merito, ritiene opportuno il Collegio ribadire la convinta adesione ad un principio a più riprese affermato nelle sentenze della Sezione ( ex aliis sentenza n. 28/2013).

3.1. Si evidenzia che in quel giudizio di appello conclusosi con la sentenza n. 28/2013 richiamata, era stata censurata una proposizione contenuta nella decisione di primo grado in quella sede appellata secondo cui il vaglio del C.s.m. dovrebbe essere particolarmente scrupoloso ed ampio in quanto i giudici di pace non sono sottoposti ad un concorso di accesso alla professione di Giudice.

La Sezione ha respinto le critiche a tale assunto, ed ha in proposito osservato che “tale punto di partenza (senz’altro vero, e correttamente rimarcato dal primo giudice) implicasse unicamente che, laddove vengano prospettati elementi negativi a carico di un giudice di pace, il C.s.m. debba vagliarli con un accertamento assai penetrante in quanto non può giovarsi di precedenti acquisizioni ( id est : la condotta tenuta dall’incolpato durante il periodo di tirocinio, le relazioni degli affidatari, etc).”

Facendo quindi discendere “un onere di più penetrante verifica in capo al C.s.m.” e dovendosi escludere alcun “dovere di severità maggiore” incombente sul C.s.m., ovvero la necessità di approfondire l’istruttoria in chiave colpevolistica in danno del giudice di pace “.

3.1.1. Il Collegio condivide tale approdo e da esso muoverà quale punto di partenza nella disamina delle doglianze proposte dall’odierno appellante.

A tale proposito, si evidenzia che:

a) giammai la sentenza “madre” di primo grado prima richiamata recante n. 4992 dell'8 maggio 2009 ha affermato che vi fosse una assoluta preclusione per il C.s,m di rivalutare i fatti già sottesi alla delibera del 2006 annullata per vizio infraprocedimentale;

b) al contrario, trattandosi di rieffusione del potere, esso doveva esercitarsi facendo riferimento all’intero materiale cognitivo utile per la valutazione della questione di merito;

c) contrariamente a quanto sostenuto da parte appellante, quindi, sarebbe stato semmai errato il comportamento dell’amministrazione che ciò avesse trascurato di porre in essere, costituendo jus receptum in giurisprudenza (tra le tante, si veda Consiglio di Stato Sez. VI, 09-02-2010, n. 633 ) il principio per cui “è onere dell’amministrazione, dopo il giudicato, esaminare la pratica nella sua interezza, con la conseguenza che, una volta rinnovato il diniego, non può più assumere ulteriori provvedimenti sfavorevoli per profili non ancora esaminati.”

3.2. Nel merito, il C.s.m. ha:

a) rivalutato i pareri negativi espressi dai Consigli giudiziari di Firenze e di Salerno e dai Presidenti dei rispettivi Tribunali;

b) dato atto che l’appellante fu sottoposto a ben tre procedimenti disciplinari seppure conclusi con tre archiviazioni (24.9.2003;
18.6.2004;
17.1.2006;)

c) valutato in chiave di non conferma fattispecie che erano rimaste prive di sanzione disciplinare, in passato.

3.3. Non pare al Collegio che la sentenza che ha avallato tale modus procedendi abbia fatto malgoverno di regole logiche e processuali.

3.4. Sotto il profilo sostanziale, si è già chiarito che la sentenza del 2009 non poneva alcuna preclusione quanto alla rivalutazione del materiale cognitivi pregresso ma, anzi, la imponeva.

A ciò può aggiungersi che non era precluso al Csm rivalutare –in chiave diversa da quella disciplinare- le resultanze dei procedimenti disciplinari nei confronti dell’appellante pendenti al momento dello spirare del primo quadriennio dell’incarico ricoperto dall’appellante (20.12. 2005) ed estinti per improcedibilità

3.4.1. Sotto il profilo procedurale si osserva che:

a) per costante e condivisa giurisprudenza ( ex multis T.A.R. Cagliari, -Sardegna-, sez. II, 02/04/2014, n. 264 T.A.R. Lombardia Milano, sez. I, 08 aprile 2011 , n. 933, T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 23 dicembre 2009 , n. 13300) l'art. 10-bis, l. n. 241 del 1990, introdotto dall'art. 6, l. n. 15 del 2005, che stabilisce l'obbligo per l'amministrazione nei procedimenti ad istanza di parte di inviare il c.d. “preavviso di rigetto”, non impone nel provvedimento finale la puntuale e analitica confutazione delle singole argomentazioni svolte dalla parte privata, essendo sufficiente ai fini della sua giustificazione una motivazione complessivamente e logicamente resa a sostegno dell'atto stesso;

b) nel caso di specie, non può dirvi inverato alcun vizio procedimentale a cagione della asserita non analiticità del preavviso;

c) il comportamento del C.s.m., che ha avvisato l’appellante del rinnovato avvio del procedimento di diniego di conferma appare essere stato correttamente improntato a garantire in massimo grado le esigenze difensive dell’appellante, posto in grado di interloquire con l’Amministrazione sin dall’inizio;

d) le censure mosse dall’appellante sul punto, sono inconsistenti: semmai vi sarebbe stato da dubitare della correttezza di una condotta contraria (quale quella ipotizzata dall’appellante) che prima avesse svolto l’intera istruttoria, per poi (tratte le conclusioni negative) preavvisare l’appellante;

e) il Consiglio Giudiziario di Salerno, con la delibera del 5.7.2010, recependo il parere contrario del Presidente del Tribunale di Salerno reso il 24.5.2010 ha posto in essere una attività:

I) doverosa, alla luce della procedura di conferma dei giudici di Pace siccome disegnata dal Legislatore;

II) necessaria, alla luce della circostanza che era sopravvenuta la sentenza demolitoria n. 4992 del 2009;

III) osservante del principio di conformazione al giudicato formatosi sulla detta sentenza del Tar n. 4992/2009: invero soltanto laddove in questa decisione n. 4992/2009 fosse stato ravvisabile un c.d. “giudicato puntuale” preclusivo della possibilità di rivalutare talune resultanze processuali, o direttamente attingente talune valutazioni pregresse, la reiterazione immotivata delle medesime avrebbe potuto inverare il vizio di violazione/elusione del giudicato.

IV) analoghe considerazioni, ovviamente riguardano il parere reso dal Consiglio Giudiziario di Firenze nel 2010.

4. A questo punto della esposizione, ciò che rileva rimarcare è che:

a) l’appellante contesta tutti gli atti dell’Amministrazione, deducendo la nullità financo dei pareri resi nel 2005;

b) l’appellante contesta che la delibera di non luogo a procedere del C.s.m. del 25.10.2006 potesse essere financo valutata in quanto mai sottesa al primo procedimento di non conferma (annullato dalla sentenza del Tar n. 4992/2009) e mai comunicata all’appellante medesimo in precedenza;

c) l’appellante contesta che una sentenza dallo stesso emessa possa essere valutata in chiave di disamina della domanda di conferma:

4.1. In contrario senso si osserva che si è già chiarito che in sede di rieffusione del potere il C.s.m. aveva l’obbligo di rivalutare tutto il materiale cognitivo, ed anche quello non valutato in precedenza;
che la sinteticità dei pareri del 2005 non equivale a nullità degli stessi.

4.2. L’intero appello muove dal non condivisibile presupposto che la sentenza del T.a.r. n. 4992/2009 contenesse un giudicato puntuale di portata preclusiva (ed è sufficiente leggere le motivazioni della sentenza per verificare la fallacia di tale punto di partenza) ed oblia il condivisibile approdo della giurisprudenza ( ex multis T.A.R. Roma, -Lazio-, sez. I, 01/12/2015, n. 13531)secondo cui l'idoneità allo svolgimento delle funzioni di Giudice di Pace è frutto di un composito quadro di requisiti che devono tutti coesistere, specificamente volti a garantire che l'incarico sia assolto degnamente sotto i profili dell'indipendenza, dell'equilibrio e del prestigio acquisito, nonché per esperienza giuridica e culturale.

Come è noto, il disegno del Legislatore è stato quello di imporre che procedimento di conferma accerti la presenza dei medesimi requisiti, atteso che l'art. 17 comma 1 bis, l. n. 374 del 1991 esclude, ai fini della conferma, solo il requisito del limite di età;
mentre, l'art. 7 comma 2 bis, nel fare riferimento alla valutazione di idoneità del giudice di pace a svolgere le funzioni per il successivo quadriennio sulla base della verifica della sussistenza dei predetti requisiti, presuppone necessariamente una valutazione qualitativa del lavoro svolto (Consiglio di Stato, sez. IV, sent. del 12 maggio 2009, n. 2944;
T.A.R. Lazio, sez. I, 23 marzo 2010, n. 4558). La valutazione demandata in materia al C.S.M. configura un giudizio di merito connotato da ampia discrezionalità amministrativa, al pari di quella relativa alla prima nomina, e come tale appare sindacabile sotto il solo profilo della congruità e ragionevolezza della motivazione, spettando esclusivamente all'Organo di autogoverno valutare nel caso concreto se determinati fatti o accadimenti incidano o meno sulle capacità del giudice onorario.

E invero, per ciò che concerne la delimitazione espansiva dell'esercizio del sindacato giurisdizionale sugli atti del C.s.m., i principi costantemente affermati dalla giurisprudenza ( cfr., ex multis lTAR Lazio sentenze 29 marzo 2010, n. 4924;
4 maggio 2007 n. 3926, 18 luglio 2003 n. 6358 e 15 ottobre 1999 n. 2288), individuano come ambito di indagine giurisdizionale l'estrinseca legittimità del provvedimento adottato, con particolare riguardo alla fedele ricostruzione dei fatti ed alla congruità e logicità della motivazione posta a base della scelta in concreto effettuata dal Consiglio

4.3. Muovendo da tale premessa, è innegabile che:

a) il C.s.m. potesse trarre elementi negativi di conferma dalle resultanze versate in atti;

b) che non fosse precluso al detto Organo, in tale ottica, prendere in esame taluno dei provvedimenti redatti dall’appellante;

c) che la tesi che ciò fosse precluso perchè altrimenti si sarebbe imposta una doverosa valutazione sui provvedimenti (più di 600) redatti in passato dall’appellante è all’evidenza inaccoglibile, in quanto un giudizio (anche sfavorevole) può legittimamente trarsi da un ridotto campione di osservazione;

d) non è abnorme od irragionevole (ed è questo, lo si ripete, l’unico parametro devoluto al Collegio, non essendo ammissibili in questa sede giurisdizionale valutazioni che si spingano sino a penetranti giudizii di merito, e/o vaglino profili quali la opportunità o convenienza delle deliberazioni del C.s.m. ) un giudizio incentrato anche sulla “eccentricità” di talune decisioni giudiziali rese dall’appellante (ci si riferisce, in particolare, a quella con la quale venne istituita una specie di “camera arbitrale” per una causa condominiale);

e) neppure appare abnorme od irragionevole che un elemento di valutazione in chiave negativa abbia tratto le mosse dalla circostanza che più volte, in passato, in sedi giudiziarie differenti ove si era trovato ad operare, l’appellante fosse entrato in urto con gli avvocati del Foro, mentre sono rimaste prive di conferma le congetture di questi secondo cui tale stato di conflittualità (insorto in più sedi giudiziarie, tra esse lontane) sarebbe stato ascrivibile unicamente alla propria condotta, rispettosa delle regole e rigida.

5. Conclusivamente, pare al Collegio che la sentenza sia immune dai vizi denunciati e che di conseguenza essa meriti conferma, con integrale reiezione dell’atto di appello.

5.1. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663).

5.2.Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

6. Le spese del presente giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e sono liquidate in dispositivo tenuto conto dei parametri stabiliti dal regolamento n. 55 del 2014.

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