Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-12-27, n. 202211307

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-12-27, n. 202211307
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202211307
Data del deposito : 27 dicembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 27/12/2022

N. 11307/2022REG.PROV.COLL.

N. 09850/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9850 del 2019, proposto dai signori G D C, F A D C, A D C e G D F, quale erede della Signora M P D C, tutti rappresentati e difesi, dall’avvocato S D R, con domicilio presso l’indirizzo PEC come da Registri di giustizia e domicilio eletto presso il suo studio sito in Roma, via Emilio de’ Cavalieri, n. 11;

contro

il Ministero per i beni e le attività culturali ed il turismo, la Commissione regionale per il patrimonio culturale dell'Abruzzo, la Soprintendenza belle arti e paesaggio dell'Abruzzo, con esclusione dell'Aquila e dei comuni del cratere e il Comune di Pescara, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, Sezione Staccata di Pescara, Sez. I, 2 aprile 2019 n. 99, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Esaminati gli ulteriori atti e la nota d’udienza;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza del 7 luglio 2022 il Cons. S T. Si registra il deposito di nota d’udienza, da parte del difensore degli appellanti, con richiesta di passaggio in decisione della causa senza la preventiva discussione, ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 187 del 12 aprile 2022 sullo svolgimento delle udienze in presenza;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. – Con ricorso in appello n. R.g. 9850/2019 i signori G D C, F A D C, A D C e G D F, quale erede della Signora M P D C, hanno chiesto a questo Consiglio la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, Sezione Staccata di Pescara, Sez. I, 2 aprile 2019 n. 99, con la quale il TAR ha respinto il ricorso (n. R.g. 135/2018) proposto dai suddetti al fine di ottenere l’annullamento del decreto P.C.R. n. 39/2016, con cui la Commissione regionale per il patrimonio culturale dell'Abruzzo ha dichiarato l'interesse culturale dell'immobile denominato “Villa Alfonso De Cecco”, sito in Pescara nonchè del decreto P.C.R. n. 40/2016, con cui la medesima Commissione ha imposto prescrizioni di tutela indiretta con riferimento al medesimo immobile.

2. – La vicenda che fa da sfondo al presente contenzioso in grado di appello può essere sinteticamente ricostruita sulla scorta dei documenti e degli atti prodotti dalle parti controvertenti nei due gradi di giudizio (la parte pubblica solo per il giudizio di primo grado) nonché da quanto sintetizzato nella parte in fatto della sentenza qui oggetto di appello, come segue:

- gli odierni appellanti sono comproprietari dell’immobile denominato “Villa De Cecco” in Pescara e, in tale qualità, presentavano al Comune di Pescara, in data 2 agosto 2013, una istanza per ottenere il rilascio di un permesso di costruire ai fini della demolizione e ricostruzione con ampliamento del predetto immobile, in applicazione della l.r. Abruzzo 19 agosto 2009, n. 16, precisando e integrando tale istanza in data 15 ottobre 2015 e 5 novembre 2015;

- con nota n. 154380 del 3 dicembre 2015 il Comune di Pescara comunicava di aver rilevato ragioni ostative all’accoglimento dell'istanza, essenzialmente consistenti nell'interesse alla conservazione dell'edificio in ragione della sua qualità architettonica, oltre ad alcune difformità progettuali rispetto alle vigenti norme tecniche di attuazione della strumentazione urbanistica;

- con nota dell’11-14 dicembre 2015 i proprietari trasmettevano al comune una integrazione degli elaborati progettuali, al fine di garantire la piena conformità alle NTA vigenti, rappresentando nel contempo non risultava soggetto ad alcun vincolo conservativo;

- il Comune di Pescara procedeva, quindi, a rappresentare alla locale Soprintendenza l'opportunità di sottoporre a tutela l'immobile in questione sicché, con note n. 13536 e 13539 del 23 dicembre 2015, la competente Soprintendenza comunicava l'avvio dei procedimenti di tutela ex art. 10, comma 3, lett. a), d.lgs. 22 ottobre 2004, n. 42, finalizzati alla dichiarazione di interesse storico particolarmente rilevante (tutela diretta) ed all'imposizione di ulteriori vincoli (tutela indiretta) con riferimento al ridetto immobile;

- di conseguenza, con nota prot. n. 6205 del 14 gennaio 2016, il Comune di Pescara comunicava ai proprietari la sospensione del procedimento di rilascio del permesso di costruire, sino alla definizione del procedimento attivato dalla Soprintendenza;

- quest’ultima, con nota prot. n. 6973 del 19 maggio 2016, proponeva l'adozione dei provvedimenti vincolistici a conclusione del procedimento attivato ai sensi del d.lgs. 42/2004 e quindi, accogliendo tale proposta, la Commissione regionale per il patrimonio culturale dell'Abruzzo, nella seduta del 25 maggio 2016, deliberava l’adozione del decreto P.C.R. n. 39/2016 (del 27 maggio 2016, tutela diretta), di dichiarazione di interesse culturale con riferimento all'immobile denominato “Villa Alfonso De Cecco”, sito in Pescara nonchè del decreto P.C.R. n. 40/2016 (del 30 maggio 2016, tutela indiretta), con cui erano imposte prescrizioni di tutela indiretta con riferimento al medesimo immobile.

3. – I proprietari dell’immobile hanno quindi proposto ricorso dinanzi al TAR per l’Abruzzo rappresentando tre ordini di illegittimità, con riferimento ai due provvedimenti sopra richiamati:

- incompetenza dell'organo che ha assunto le decisioni;

- violazione del termine di 120 giorni, previsto nella comunicazione di avvio del procedimento per il riconoscimento dell’interesse culturale e decorrente dalla notifica dell’avvio del procedimento, per la conclusione dei procedimenti, con conseguente impossibilità di emettere e notificare provvedimenti tardivi;

- illogicità e travisamento dei fatti in ordine all'oggetto delle valutazioni che hanno supportato le decisioni di apposizione dei vincoli.

Il Tribunale amministrativo regionale adito ha ritenuto di non condividere le censure dedotte dai ricorrenti in quanto:

a) ai sensi dell’art. 13 d.lgs. 42/2004 spetta alla Commissione regionale per il patrimonio culturale dichiarare, “ su proposta delle competenti Soprintendenze di settore, l'interesse culturale delle cose ”;

b) è infondato il vizio di violazione del termine di 120 giorni indicato nell’avviso di avvio del procedimento, dal momento che “ la disciplina dei poteri della pubblica amministrazione soggiace al principio di riserva di legge benché relativa, sicché non può essere la stessa amministrazione a prevedere termini perentori, in difetto di alcuna previsione di legge ” (così, testualmente, a pag. 4 della sentenza qui oggetto di appello);

c) l’apposizione del vincolo si presenta ben motivata e documentata, soprattutto con riferimento alla introduzione di una peculiare tecnica costruttivo-architettonica, il “ cd. “angolo dinamico” che infatti caratterizza tale costruzione, e che (…) secondo la Soprintendenza, ricorre tipicamente in altri pochi edifici rimasti che testimoniano la penetrazione del pensiero dell'architettura moderna nella realtà urbana pre-bellica pescarese ” (così, testualmente, a pag. 6 della sentenza qui oggetto di appello).

Con sentenza n. 99/2019 il TAR per l’Abruzzo respingeva, quindi, il ricorso.

4. I signori G D C, F A D C, A D C e G D F, quale erede della signora M P D C, propongono ora appello nei confronti della sentenza del giudice di primo grado rappresentando una unica complessa linea contestativa - con la quale ripropongono il solo terzo motivo dell’originario ricorso al Tar, non appellando la sentenza nei capi o nei punti relativi ai restanti motivi - volta a sostenere l’erroneità del capo della sentenza di primo grado nella parte in cui non ha condiviso le contestazioni in quella sede mosse alla motivazione degli atti con i quali è stata dichiarata la rilevanza dell’immobile, ai fini storico artistici e, di conseguenza, imposti vincoli indiretti.

In particolare gli appellanti segnalano che:

- sotto un primo profilo il provvedimento di imposizione del vincolo non pare essere sorretto da adeguata motivazione, infatti la relazione “storico scientifica” che sostiene il suddetto provvedimento consta di due sole pagine, “ in cui si evidenziano alla rinfusa elementi che, nell'ottica del Ministero, giustificherebbero il vincolo ” (così, testualmente, a pag. 8 del ricorso in appello);

- inoltre il fabbricato in questione è stato realizzato intorno agli anni Cinquanta (con licenza edilizia C.U.E. del 28 maggio 1947) e non già in epoca pre-bellica, come invece viene affermato nei provvedimenti impugnati in primo grado, oltre a non essere caratterizzato da alcun pregio architettonico-decorativo di rilievo, essendo stato realizzato nel tipico stile razionalista del periodo dopoguerra, con facciate in marmo e semplice intonaco senza particolari elementi decorativi. D’altronde “ il fabbricato non è parte di nessun nucleo storico edificato omogeneo di rilievo, trattandosi di singolo edificio di vetusta costruzione, privo di valore particolare ” (così ancora, testualmente, a pag. 9 del ricorso in appello);

- la scelta di imporre il vincolo, trattandosi di un giudizio di natura tecnica deve rappresentare l’approdo di una verifica che deve muovere dal “fatto”, sicché il mero esame documentale, operato dal primo giudice, non è idoneo a risolvere il thema decidendum della presente controversia. Il TAR dunque ha commesso l’errore di non volersi avvalere degli strumenti istruttori che l’ordinamento processuale pone a disposizione del giudice amministrativo per accedere ai fatti, attraverso gli istituti della verificazione ovvero della consulenza tecnica, la cui necessità era anche stata suggerita dagli odierni appellanti esplicitamente nel corso del giudizio di primo grado.

A conforto dei suindicati profili di censura gli appellanti depositavano una relazione tecnica con la quale si afferma che non si riscontra nessun elemento che possa qualificare l'edificio nel senso indicato dalla Soprintendenza e confermato dal T.A.R., tanto che “ apporre un vincolo all'opera in oggetto è un vistoso malinteso sul valore urbano e architettonico dell'edificio, il quale si rivela, in un'interpretazione oggettiva, privo di interesse storico, culturale e ambientale ”.

5. – Le amministrazioni coinvolte decidevano di non costituirsi nel grado di appello del presente giudizio.

6. – In via di premessa va ricordato che, per costante giurisprudenza (cfr., tra le molte, Cass. civ. Sez. VI, ord. 26 maggio 2021 n. 14469) la relazione tecnica di parte costituisce una semplice allegazione difensiva, priva di autonomo valore probatorio, con la conseguenza che essa configura un mero atto difensivo, recante allegazioni (tecniche) a loro volta da dimostrare mediante la produzione degli occorrenti mezzi di prova.

A ciò va aggiunto, in punto di diritto, che, come è noto, già con riferimento al codice del processo civile - che, per effetto del rinvio esterno provocato dall'art. 39 c.p.a., trova applicazione anche nei giudizi dinanzi al giudice amministrativo - la consulenza tecnica d'ufficio (e il medesimo ragionamento vale per la verificazione), che può costituire fonte oggettiva di prova tutte le volte che opera come strumento di accertamento di situazioni di fatto rilevabili esclusivamente attraverso il ricorso a determinate cognizioni tecniche, è un mezzo istruttorio sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso al potere discrezionale del giudice, il cui esercizio incontra il duplice limite del divieto di servirsene per sollevare le parti dall'onere probatorio e dell'obbligo di motivare il rigetto della relativa richiesta. Ne consegue che il giudice che non disponga la consulenza richiesta dalla parte è tenuto a fornire adeguata dimostrazione - suscettibile di sindacato in sede di legittimità - di potere risolvere, sulla base di corretti criteri, tutti i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione, senza potere, per converso, disattendere l'istanza stessa ritenendo non provati i fatti che questa avrebbe verosimilmente accertato (cfr., tra le molte, Cass. civ., Sez. III, 8 gennaio 2004 n. 888).

Nel caso di specie va segnalato come già nel corso del giudizio di primo grado gli odierni appellanti avevano avuto modo di presentare una relazione tecnica volta a confutare le valutazioni espresse dalla Soprintendenza prima e dalla Commissione regionale poi e che avevano condotto all’imposizione del vincolo e all’adozione dei provvedimenti impugnati in primo grado.

Già in quella sede il giudice di primo grado aveva espressamente rilevato come “ ad avviso del Collegio - nei limiti del sindacato riservato al Giudice amministrativo, che non può sostituire il giudizio proprio né quello di un consulente di parte con quello dell’Amministrazione, ma deve valutare se sussistono evidenti vizi logici o errori di fatto (Tar Milano, sentenza 876 del 2018) – l’apposizione del vincolo nel caso di specie appare ben motivata e documentata ”, rappresentando dunque in tutta evidenza come, nonostante la relazione tecnica prodotta, si potesse giungere a formulare un giudizio di adeguatezza e di congruità della motivazione espressa nella procedura in questione dalle amministrazioni coinvolte, senza che per raggiungere tale consapevolezza giudiziale si rendesse necessario disporre una verificazione ovvero una consulenza tecnica d’ufficio. A conferma di ciò e, dunque, della non necessità, nel caso di specie, di un ulteriore approfondimento tecnico-istruttorio da disporre a cura del giudice di primo grado, quest’ultimo in ulteriori passaggi della sentenza qui oggetto di appello manifesta apertamente il giudizio di sufficienza espresso con riguardo alla documentazione prodotta in giudizio al fine di giungere ad una decisione “adeguata” dello stesso. Tra l’altro si segnalano i seguenti passaggi della sentenza di primo grado: 1) “ evidenzia chiaramente in modo chiaro e dettagliato, nonché inconfutato in modo efficace, che l’edificio in questione resta una delle poche testimonianze di questa influenza architettonica ”;
2) “ non appaiono efficacemente contestate in punto di fatto proprio tali evidenze sulla cui base non appare irragionevole concludere appunto nel senso che l’edificio in esame ”;
3) “ A fronte della documentata e oggettiva presenza di questa tipologia costruttiva ad angolo dinamico, difatti, è piuttosto la relazione di parte a essere soggettiva e apodittica allorché - pur ammettendo che la presenza del cd. angolo dinamico possa richiamare "suggestioni Miane" (caratterizzate dall’abolizione dell’angolo retto e dalla prevalenza della linea curva) – afferma apoditticamente che tali caratteristiche possono essere presenti nel palazzo delle Poste di Piazza Bologna a Roma e non in quello in esame, che pur presenta tale angolo in corrispondenza dell’incrocio stradale ”.

Ritiene pertanto il Collegio che non sia necessario disporre una istruttoria tecnica da affidare ad un ausiliario del giudice (anche) nel secondo grado di giudizio, stimando sufficienti a giungere alla decisione della presente controversia il contenuto della documentazione presente nel fascicolo digitale di questo giudizio.

7. – Con riferimento agli ulteriori profili di contestazione dedotti nella sede d’appello dai proprietari dell’immobile in questione va rammentato, in punto di diritto e in via generale che:

- l'imposizione del vincolo indiretto (prima disciplinato dall'art. 49 d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 e), ora disciplinato dall’ art. 45 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, costituisce espressione della discrezionalità tecnica dell'amministrazione, sindacabile in sede giurisdizionale solo quando l'istruttoria si riveli insufficiente o errata o la motivazione risulti inadeguata o presenti manifeste incongruenze o illogicità anche per l'insussistenza di un'obiettiva proporzionalità tra l'estensione del vincolo e le effettive esigenze di protezione del bene di interesse storico-artistico e si basa sull'esigenza che lo stesso sia valorizzato nella sua complessiva prospettiva e cornice ambientale, onde possono essere interessate dai relativi divieti e limitazioni anche immobili non adiacenti a quello tutelato purché allo stesso accomunati dall'appartenenza ad un unitario e inscindibile contesto territoriale. Il c.d. vincolo indiretto, inoltre, non ha contenuto prescrittivo tipico, per essere rimessa all'autonomo apprezzamento dell'amministrazione la determinazione delle disposizioni utili all'ottimale protezione del bene principale - fino all'inedificabilità assoluta - se e nei limiti in cui tanto è richiesto dall'obiettivo di prevenire un vulnus ai valori oggetto di salvaguardia (integrità dei beni, difesa della prospettiva e della luce, cura delle relative condizioni di ambiente e decoro), in un ambito territoriale che si estende fino a comprendere ogni immobile, anche non contiguo, la cui manomissione si stimi potenzialmente idonea ad alterare il complesso delle condizioni e caratteristiche fisiche e culturali connotanti lo spazio circostante (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 10 settembre 2021 n. 6253, 28 dicembre 2017 n. 6142 e 3 luglio 2014 n. 3355);

- stante la mancata predeterminazione di un contenuto tipico del vincolo indiretto, l'amministrazione, nell'esercizio del potere discrezionale di cui è attributaria, è tenuta a valutare, nel caso concreto, altresì, la proporzionalità delle misure limitative delle facoltà proprietarie in concreto da imporre (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 11 maggio 2018 n. 2839);

- il sindacato di proporzionalità, in particolare, è volto a verificare se una misura limitativa dell'altrui sfera giuridica (nella specie, delle facoltà proprietarie dei soggetti incisi dall'imposizione del vincolo) sia idonea a conseguire l'obiettivo di tutela prefissato, sia necessaria (non sussistendo misure alternative meno restrittive), nonché sia sostenibile per il destinatario, non elidendo il contenuto essenziale del diritto o della libertà all'uopo limitate (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 26 giugno 2019 n. 4403);

- parimenti, per consolidata giurisprudenza, il giudizio che presiede all'imposizione di una dichiarazione di interesse culturale storico-artistico particolarmente importante, ai sensi degli artt. 10, 13 e 14 d.lgs. 42/2004, è connotato da un'ampia discrezionalità tecnico-valutativa, poiché implica l'applicazione di cognizioni tecnico-scientifiche specialistiche proprie degli ambiti disciplinari interessati (della storia, dell'arte e dell'architettura ecc.) caratterizzati da ampi margini di opinabilità. Ne consegue che l'accertamento compiuto dall'amministrazione preposta alla tutela è sindacabile, in sede giudiziale, esclusivamente sotto i profili della ragionevolezza, proporzionalità, adeguatezza, logicità, coerenza e completezza della valutazione e della falsità di presupposti (cfr., ex plurimis , Cons. Stato, Sez. VI, 1 marzo 2021 n.1730 e 4 settembre 2020 n. 5357);

- infine – e ciò ancora con riferimento alle relazioni tecniche depositate in entrambi i gradi di giudizio dagli odierni appellanti – pur considerando l’ammissibilità del ricorso al c.d. sindacato forte da parte del giudice amministrativo laddove l’esercizio del potere sia caratterizzato da discrezionalità tecnica, come avviene nel caso in esame, tenuto conto che il ricorso a criteri di valutazione tecnica, in qualsiasi campo, non offre sempre risposte univoche, ma costituisce un apprezzamento non privo di un certo grado di opinabilità, il sindacato del giudice amministrativo, essendo pur sempre un sindacato di legittimità e non di merito, è limitato al riscontro del vizio di illegittimità per violazione delle regole procedurali e di quello di eccesso di potere per manifesta illogicità, irrazionalità, irragionevolezza, arbitrarietà ovvero se fondato su di un altrettanto palese e manifesto travisamento dei fatti (cfr., tra le molte, Cons. Stato, Sez. I, 30 novembre 2020 n. 1958);

- ne consegue, inevitabilmente, che l’apprezzamento compiuto dall'amministrazione preposta alla tutela è quindi sindacabile, in sede giudiziale, esclusivamente sotto i profili della logicità, coerenza e completezza della valutazione, considerati anche per l'aspetto concernente la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto, ma fermo restando il limite della relatività delle valutazioni scientifiche, sicché, in sede di giurisdizione di legittimità, può essere censurata la sola valutazione che si ponga al di fuori dell'ambito di opinabilità, affinché il sindacato giudiziale non divenga sostitutivo di quello dell'amministrazione attraverso la sovrapposizione di una valutazione alternativa, parimenti opinabile (cfr., ancora, Cons. Stato, Sez. VI, 18 dicembre 2017 n. 5950).

8. - Nella specie, attraverso la lettura combinata dell'impianto motivazionale del decreto di imposizione del vincolo e della relazione tecnica, risulta adeguatamente valutata l'idoneità e la necessarietà della limitazione delle facoltà proprietarie conseguente all'imposizione del vincolo di tutela indiretta.

Dalla lettura della relazione che accompagna il provvedimento di dichiarazione di particolare interesse storico architettonico dell’immobile in questione, che, seppure dimensionalmente non estesa, come hanno rilevato gli appellanti, non per questo reca contenuti insufficienti o incongrui e comunque contiene un adeguato supporto alla scelta operata.

Quanto alla collocazione storica della realizzazione del fabbricato in questione, nella relazione della Soprintendenza si rimanda alla relazione del progettista dell’intervento di recupero dell’immobile (del 1947) che era stato danneggiato nel corso della seconda guerra mondiale. Quindi con il detto recupero il progettista intese valorizzare nuovamente un modello architettonico che già caratterizzava il fabbricato (oltre ad altri fabbricati presenti nel territorio del Comune di Pescara) nell’epoca pre-bellica rappresentato da una “ architettura (…) semplice ma seria ed equilibrata come richiede il nuovo stile ormai impostosi anche a Pescara ”. Il nuovo stile, come è già stato sottolineato nella sentenza qui oggetto di appello, viene “ sintetizzato in particolar modo dal ricorso al cosiddetto "angolo dinamico" che caratterizza la soluzione formale del fabbricato all'incrocio tra via Umbria e via Trieste, respira di suggestioni Miane e sperimentazioni locali, come i progetti di casa Cirillo dell'ing. Giammaria (1937) e di casa Lanci Patricelli sull'attuale via Michelangelo (1939), che testimoniano la penetrazione del pensiero dell'architettura moderna nella realtà urbana pre-bellica pescarese anche nella progettazione dell'edilizia residenziale oltre che in quella specialistica

La suddetta caratterizzante soluzione architettonica è replicata in altri fabbricati edificati in corrispondenza dei “ principali incroci stradali, strutturati secondo le norme del Regolamento edilizio e di pubblico ornato (1930), come l'edificio FIAT (1933) e il cinema-teatro (1936) su corso Vittorio Emanuele o la biglietteria delle Ferrovie Elettriche Abruzzesi (1934) recentemente restaurata ” Nella relazione della Soprintendenza si dà poi conto delle conseguenze degli interventi di “ ricostruzione post-bellica caratterizzata da una sostanziale regressione stilistica nell'ambito della quale la villa di Adolfo De Cecco (1947) rappresenta una preziosa eccezione ”.

L’immobile, dunque, si dimostra come un esempio di uno stile architettonico caratterizzante collocato in una bene precisa zona dell’area urbana della città di Pescara “ il così detto "quadrilatero centrale" che rappresenta un ambito urbano particolarmente significativo ai fini della lettura e comprensione dei meccanismi di fondazione ed espansione di Pescara caratterizzata da una natura policentrica legata ai molteplici nuclei originari inglobati dal recente sviluppo ”.

Ad avviso del Collegio le suddette puntualizzazioni recate nella relazione della Soprintendenza testimoniano della adeguatezza della motivazione che giustifica sia la dichiarazione dell'interesse culturale particolarmente importante dell'immobile denominato “Villa Adolfo De Cecco” nonché del successivo e collegato provvedimento di imposizione del vincolo indiretto.

9. - In ragione di quanto si è sopra illustrato il motivo di appello dedotto non si presta ad essere accolto di talché il mezzo di gravame proposto va respinto.

La mancata costituzione nel presente grado di giudizio delle amministrazioni appellate esclude ogni valutazione in ordine alla attribuzione delle spese del presente grado di giudizio nonostante la soccombenza degli appellanti.

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