Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-12-28, n. 202008384

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-12-28, n. 202008384
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202008384
Data del deposito : 28 dicembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 28/12/2020

N. 08384/2020REG.PROV.COLL.

N. 05976/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5976 del 2017, proposto da
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’avvocato R B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Milano, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati A M, M L B, E M F, A M A, A M P, P C e G L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato G L in Roma, via Polibio n. 15;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Prima) n. -OMISSIS-/2017, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Milano;

Visti il ricorso in appello incidentale proposto dal Comune di Milano e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 ottobre 2020 il Cons. Francesco De Luca;
nessuno presente per le parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con provvedimento n. 24247.400/86 del 14.9.2004 il Comune di Milano ha rigettato l’istanza di condono edilizio presentata in data 27.1.1986 dal dante causa dell’odierna appellante, riferita ad opere consistenti nella realizzazione di un capannone in lamiera ad uso commerciale per mq 157,00.

Il diniego di condono è stato motivato sulla base della destinazione dell’area su cui insiste il manufatto oggetto di causa, interessata dal tracciato di viabilità comprensoriale di classe C (-OMISSIS-), in relazione alla quale le previsioni del P.R.G., vigenti alla data di esecuzione delle opere, comportavano un vincolo di inedificabilità.

2. L’odierna appellante ha impugnato il diniego di condono, censurando:

- la formazione del silenzio assenso sulla domanda di condono ai sensi dell’art. 35 L. n. 47/85;

- la riconducibilità dell’opera in contestazione alla disciplina di cui all’art. 32, comma 2, lett. c), L. n. 47/85 e la possibile sanatoria dei manufatti realizzati su aree sottoposte a vincolo di rispetto stradale ove non pregiudizievoli per la circolazione;

- la necessità di qualificare il vincolo in questione come semplice limite temporaneo all’edificazione e non già come vincolo di inedificabilità ai sensi dell’art. 33 L. n. 47/85;

- l’omessa acquisizione del parere della Commissione edilizia;

- la decadenza del vincolo de quo al tempo dell’esame dell’istanza di condono, non essendo stato reiterato nei termini di legge;

- l’annullamento da parte del Tar Lombardia del progetto definitivo ed esecutivo in variante allo strumento urbanistico del 1980 della strada denominata “-OMISSIS-”.

3. L’Amministrazione comunale si è costituita in giudizio, resistendo al ricorso.

4. In pendenza di giudizio, la ricorrente ha proposto motivi aggiunti, per censurare le deduzioni svolte dall’Amministrazione comunale con memoria del 5.9.2016 in relazione alla completezza della pratica di condono sotto il profilo catastale, alla realizzazione delle opere viarie dopo l’imposizione del vincolo, alla natura conformativa del vincolo, all’inammissibilità del condono di abusi edilizi realizzati dopo l’imposizione del vincolo e alla destinazione dell’area a verde pubblico di tipo conformativo.

5. Il Tar, a definizione del giudizio, ha rigettato il ricorso, rilavando che:

- la memoria difensiva depositata dal Comune e oggetto dei motivi aggiunti doveva ritenersi ammissibile, nella misura in cui esplicitava e puntualizzava aspetti tecnici e giuridici già insiti, ma non del tutto approfonditi, nel provvedimento impugnato, ben potendo, comunque, la difesa comunale indicare ulteriori parametri legali idonei ad impedire al ricorrente di trarre un effetto utile da un’eventuale pronuncia di annullamento;

- non risultava, invece, ammissibile l’integrazione della motivazione del provvedimento, introducendo nuove ragioni legate ad un riesame tardivo dell’iter istruttorio o a verifiche documentali non compiute in sede procedimentale;

- nella specie, non poteva tenersi conto della ravvisata (a posteriori) incompletezza della documentazione presentata per il condono, non essendovi alcun riferimento nell’atto di diniego ad una presunta incompletezza documentale, sembrando, anzi, presupporre le motivazioni alla base del provvedimento impugnato un’autosufficienza della pratica edilizia;

- l’ultimazione dell’opera doveva individuarsi nel 1982, come ammesso in una dichiarazione giurata del dante causa dell’odierna appellante;

- per l’effetto, i vincoli imposti dal PRG del 1980 sarebbero risultati antecedenti all’esecuzione del fabbricato abusivo;

- i vincoli de quibus (verde pubblico e tracciato di viabilità comprensoriale), qualificati come di natura urbanistica e conformativa, comportavano una inedificabilità assoluta ex art. 33, comma 1, lett. d), L. n. 47/85, ostando alla formazione del silenzio assenso e non risultando soggetti alla decadenza per mancata reiterazione nei termini di legge;

- l’acquisizione del parere della Commissione Edilizia non risultava necessaria, in quanto non prevista dalla disciplina di riferimento;

- la sentenza di annullamento dei progetti definitivi ed esecutivi in variante al PRG relativi alla -OMISSIS- era stata comunque riformata in sede di appello.

6. La ricorrente in primo grado ha proposto appello, censurando l’erroneità della sentenza pronunciata dal Tar, sia in relazione alla ritenuta ammissibilità della memoria difensiva comunale, sia con riferimento alla datazione dell’edificazione, alla natura giuridica dei vincoli in contestazione e alla loro vigenza al momento in cui l’istanza di condono è stata esaminata dall’Amministrazione comunale.

7. Il Comune di Milano si è costituito in giudizio, resistendo all’appello, nonché ha proposto appello incidentale contro il capo di sentenza con cui il Tar aveva ritenuto inammissibile un’estensione del thema decidendum a ragioni legate all’incompletezza della pratica edilizia e comunque aveva accertato, in positivo, la completezza della pratica di condono, nonostante le contrarie risultanze documentali acquisite al giudizio.

8. In vista dell’udienza pubblica di discussione le parti hanno ulteriormente argomentato le proprie conclusioni mediante il deposito di memorie difensive e repliche, altresì sulla base di ulteriori documenti prodotti in giudizio.

9. I difensori delle parti processuali, infine, mediante il deposito di note difensive hanno chiesto la decisione della controversia.

10. La causa è stata trattenuta in decisione nell’udienza del 15 ottobre 2020.

DIRITTO

1. Con il primo motivo di appello principale viene denunciata l’erroneità della sentenza di prime cure, nella parte in cui ha escluso che il riferimento operato dal Comune, soltanto in sede giurisdizionale, alla data di realizzazione del manufatto e alla destinazione a verde pubblico dell’area comportasse la violazione del divieto di integrazione in giudizio della motivazione sottesa al diniego di condono, sebbene si fosse in presenza di questioni non esaminate nel provvedimento impugnato, rimesse, peraltro, alla competenza dell’organo amministrativo, non suscettibili di essere dedotti a mezzo della difesa tecnica dell’Amministrazione.

La censura deve essere esaminata congiuntamente ai motivi di appello dedotti in via incidentale dal Comune di Milano, in quanto afferenti sempre alla corretta delimitazione del thema decidendum dell’odierno giudizio.

Secondo la prospettazione dell’Amministrazione intimata, la pronuncia del Tar sarebbe errata nella parte in cui: a) ha escluso la possibilità di contestare in giudizio l’incompletezza della pratica di condono, benché si trattasse di una difesa volta a manifestare l’infondatezza della domanda di accertamento della formazione del silenzio assenso sull’istanza di condono;
b) ha ritenuto, in positivo, completa la pratica edilizia, sebbene mancasse in atti la categoria catastale di riferimento;
nonché c) ha escluso la rilevanza, ai sensi dell’art. 21 octies , comma 2, L. n. 241/90, dell’incompletezza della pratica edilizia, circostanza idonea ad impedire l’annullamento dell’atto di diniego, in ragione dell’improcedibilità della domanda di condono ex art. 39 L. n. 724/94 e 49, comma 7, L. n. 449/97.

I motivi di appello sono fondati nei limiti di seguito indicati.

1.1 Nel processo amministrativo l'integrazione in sede giudiziale della motivazione dell'atto amministrativo è ammissibile soltanto se effettuata mediante gli atti del procedimento - nella misura in cui i documenti dell'istruttoria offrano elementi sufficienti ed univoci dai quali possano ricostruirsi le concrete ragioni della determinazione assunta - oppure attraverso l'emanazione di un autonomo provvedimento di convalida (art. 21-nonies, secondo comma, della legge n. 241 del 1990). È invece inammissibile un'integrazione postuma effettuata in sede di giudizio, mediante atti processuali, o comunque scritti difensivi.

La motivazione costituisce, infatti, il contenuto insostituibile della decisione amministrativa, anche in ipotesi di attività vincolata e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell'art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, il provvedimento affetto dai cosiddetti vizi non invalidanti (Consiglio di Stato, sez. VI, 19 ottobre 2018, n. 5984).

In particolare, “ la motivazione del provvedimento amministrativo rappresenta il presupposto, il fondamento, il baricentro e l’essenza stessa del legittimo esercizio del potere amministrativo (art. 3 della l. 241/1990) e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della l. 241/1990, il provvedimento affetto dai c.d. vizi non invalidanti (si veda Cons. St., Sez. III, 7.4.2014, n. 1629), non potendo perciò il suo difetto o la sua inadeguatezza essere in alcun modo assimilati alla mera violazione di norme procedimentali o ai vizi di forma.

5.3. La motivazione del provvedimento costituisce infatti “l’essenza e il contenuto insostituibile della decisione amministrativa, anche in ipotesi di attività vincolata” (Consiglio di Stato, III, 30 aprile 2014, n. 2247), e non può certo essere emendata o integrata, quasi fosse una formula vuota o una pagina bianca, da una successiva motivazione postuma, prospettata ad hoc dall’Amministrazione resistente nel corso del giudizio ” (Consiglio di Stato, sez. V, 10 settembre 2018, n. 5291).

Il primo giudice, qualora escluda l’illegittimità del provvedimento impugnato sulla base di rationes decidendi che non trovano fondamento nell’impianto motivazionale dell’atto amministrativo, incorre nel vizio di ultrapetizione, oltre che nella violazione del principio di separazione dei poteri ex art. 34, comma 2, c.p.a.

1.2 Sotto il primo profilo, il principio della domanda di cui agli artt. 99 c.p.c. e 2907 c.c. - espressione del potere dispositivo delle parti, completamento del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato in base alla regula juris di cui all'art. 112 c.p.c. e pacificamente applicabile anche al processo amministrativo - comporta che sussiste il vizio di ultrapetizione, quando l'accertamento compiuto in sentenza finisce per riguardare un petitum ed una causa petendi nuovi e diversi rispetto a quelli fatti valere nel ricorso e sottoposti dalle parti all'esame del giudice, con conseguente negazione del bene o dell’utilità richiesti dalla parte ricorrente per ragioni dalla stessa non esternate, con conseguente pregiudizio del suo diritto di difesa.

La violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato emerge, altresì, qualora, ammettendo una integrazione postuma della motivazione sottesa al provvedimento, il primo giudice statuisca su una fattispecie oggettivamente diversa da quella prospettata nel provvedimento gravato, con evidente lesione dei diritti di difesa della controparte (Consiglio di Stato, sez. VI, 2 gennaio 2020, n. 28).

1.3 Sotto il secondo profilo, attinente alla violazione del principio di separazione dei poteri, il giudice di primo grado, qualora abbia formulato argomentazioni a sostegno del provvedimento impugnato che ne alterano l’impianto motivazionale, emette una pronuncia su poteri non ancora esercitati, in violazione del disposto di cui all’art. 34, comma 2, c.p.a., venendo esaminata la legittimità di nuove questioni a sostegno della decisione censurata, non previamente decise dal competente organo amministrativo.

1.4 Alla stregua di tali considerazioni è possibile verificare quale fossero le ragioni di diniego opposte dall’Amministrazione in sede procedimentale, le uniche a potere essere contestate e, dunque, sindacate in sede giurisdizionale.

A tali fini, occorre precisare che, nella ricostruzione della portata sostanziale dell’atto censurato, occorre avere riguardo non soltanto alle ragioni di diniego esplicitate nel provvedimento amministrativo, ma anche a quelle implicitamente desumibili dallo stesso, in quanto comunque idonee a manifestare la volontà dispositiva dell’organo procedente.

Al riguardo, deve darsi continuità all’indirizzo giurisprudenziale in forza del quale “ Nel campo del diritto amministrativo, come è noto, è ammessa la sussistenza del provvedimento implicito quando l’Amministrazione, pur non adottando formalmente un provvedimento, ne determina univocamente i contenuti sostanziali, o attraverso un comportamento conseguente, ovvero determinandosi in una direzione, anche con riferimento a fasi istruttorie coerentemente svolte, a cui non può essere ricondotto altro volere che quello equivalente al contenuto del provvedimento formale corrispondente, congiungendosi tra loro i due elementi di una manifestazione chiara di volontà dell’organo competente e della possibilità di desumere in modo non equivoco una specifica volontà provvedimentale, nel senso che l’atto implicito deve essere l’unica conseguenza possibile della presunta manifestazione di volontà (cfr., ex multis, Cons. St., Sez. VI, 27 novembre 2014, n. 5887 e, di recente, Cons. Stato, Sez. V, n. 589 del 2019) ” (Consiglio di Stato, Ad. Plen., 20 gennaio 2020, n. 3).

Questo Consiglio ha, inoltre, rilevato come “ La presenza di un atto implicito può infatti desumersi indirettamente ma univocamente da altro provvedimento o dal comportamento esecutivo dell'amministrazione, di modo che esso se ne possa dire l'antecedente da punto di vista logico – giuridico ” (Consiglio di Stato, sez. V, 19 aprile 2019, n. 2543).

Perché possa configurarsi una decisione implicita, è necessario, dunque, che la volontà dispositiva dell’Amministrazione sia chiaramente e immediatamente desumibile dalla condotta o da una previa determinazione assunta dall’organo competente, imponendosi quale sua unica conseguenza possibile;
che non sia imposto l’obbligo di esplicitare la decisione attraverso un atto formale;
nonché, comunque, che l’iter logico giuridico sotteso alla decisione implicita sia desumibile dal contegno complessivamente tenuto dall’Amministrazione (Consiglio di Stato, sez. VI, 2 novembre 2020, n. 6723).

1.5 Ciò premesso, dall’esame del provvedimento impugnato in prime cure emerge che il diniego di condono opposto dal Comune è stato giustificato esclusivamente sulla base dell’esistenza di un vincolo viario già esistente al momento di esecuzione delle opere per cui è controversia.

In particolare, l’Amministrazione comunale ha denegato la sanatoria richiesta dall’odierno appellante “ Atteso che nel P.R.G. approvato il 26.02.1980 l'area su cui insiste il manufatto oggetto di condono risulta interessata dal tracciato di viabilità comprensoriale di classe "C" (-OMISSIS-);
Atteso che tali previsioni di P.R.G., vigenti alla data di esecuzione delle opere, si configurano come vincolo comportante l'inedificabilità dell'area interessata dalle opere

Ne deriva che, da un lato, la data di realizzazione dell’immobile ha costituito una questione espressamente valutata dall’Amministrazione procedente e posta a base del diniego, dall’altro, la sussistenza di un vincolo a verde pubblico o l’incompletezza della documentazione non sono state esplicitamente o implicitamente poste a fondamento dell’atto amministrativo.

1.6 In particolare, avuto riguardo alla datazione dell’immobile, la decisione amministrativa è motivata sulla base dell’esistenza di un vincolo di inedificabilità assoluta dell’area vigente “ alla data di esecuzione delle opere ”.

La datazione dell’immobile, peraltro, era stata indicata anche nella comunicazione del 18.5.2004 n. 24247, con cui il Comune aveva invitato l’odierna appellante a produrre memorie e documenti in ordine al procedimento di condono, evidenziando, altresì, che si faceva questione della “ realizzazione, nell’anno 1982, di capannone in lamiera ad uso commerciale …” e che il vincolo viario ostativo all’accoglimento dell’istanza era stato posto con PRG approvato il 26.2.1980.

Ne deriva che, diversamente da quanto dedotto dall’appellante principale, non può ritenersi che il Comune non abbia sottoposto al contraddittorio procedimentale e valutato in sede decisoria la data in cui le opere erano state realizzate, emergendo, di contro, che il diniego de quo è stato motivato proprio sulla base dell’esistenza, al tempo di realizzazione del manufatto per cui è controversia, di un vincolo viario apposto dal PRG approvato il 26.2.1980;
sicché il Comune ha ritenuto che le opere de quibus fossero comunque successive all’apposizione del vincolo di inedificabilità assoluta all’uopo contestato, con conseguente emersione di una ratio decidendi che non è stata inammissibilmente introdotta, per la prima volta, in giudizio, essendo stata già esplicitata in sede amministrativa.

1.7 Con riguardo alla sussistenza del vincolo a verde pubblico, invece, si è in presenza di un’autonoma ratio decidendi rispetto alla sussistenza del vincolo viario, da quest’ultimo non desumibile, in quanto non ne costituisce un antecedente logico giuridico necessario, né una conseguenza a contenuto vincolato.

1.8 Parimenti, il rigetto dell’istanza di condono per l’esistenza di un vincolo viario ostativo all’accoglimento della domanda si atteggia quale decisione indipendente dall’eventuale completezza o incompletezza della documentazione presentata dall’istante.

Difatti, l’incompletezza della documentazione, ove accertata dal Comune, avrebbe condotto al rigetto della sanatoria per l’improcedibilità della domanda ex artt. 39 L. n. 724/94 e 49, comma 7, L. n. 449/97, decisione nei fatti non assunta;
sicché non può desumersi dal provvedimento impugnato in prime cure alcuna valutazione in ordine alla completezza della documentazione acquisita al procedimento.

Parimenti, dalla decisione censurata dinnanzi al Tar non può desumersi neanche un positivo accertamento circa la completezza della documentazione, in quanto non può escludersi che il Comune abbia fondato la propria decisione sulla ragione più liquida, anche in applicazione del principio di economicità dell’azione amministrativa, pervenendo all’assunzione del provvedimento impugnato una volta riscontrata la violazione del vincolo viario, di per sé ostativo alla sanatoria del manufatto abusivo, senza esaminare l’ulteriore questione riferita alla completezza della documentazione, inidonea a condurre ad una decisione diversa da quella in concreto assunta;
risultando comunque imposto il rigetto anche a fronte di una documentazione completa.

1.9 Ne deriva che l’unica ragione di diniego opposta dal Comune, in relazione alla quale avrebbe potuto svolgersi il contraddittorio in primo grado, senza violare il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e il principio di separazione di poteri – che impongono l’emissione di una pronuncia giudiziaria sulle sole ragioni fondanti la decisione amministrativa in contestazione – era rappresentata dalla sussistenza del vincolo viario, esistente al tempo di esecuzione delle opere, qualificato dal Comune come vincolo di inedificabilità assoluta dell’area, per propria natura ostativo all’accoglimento dell’istanza di condono.

1.10 Alla stregua delle considerazioni svolte:

- il primo motivo di appello principale merita di essere accolto, nella parte in cui denuncia l’erroneità della sentenza di prime cure, per avere escluso che il riferimento operato dal Comune, soltanto in sede giurisdizionale, al vincolo a verde pubblico dell’area determinasse la violazione del divieto di integrazione in giudizio della motivazione sottesa al diniego di condono, sebbene si fosse in presenza di un’autonoma ratio decidendi , idonea a fondare il diniego di condono, non valutata in sede procedimentale e, dunque, non componente l’impianto motivazionale suscettibile di sindacato in sede giurisdizionale;
il motivo di appello deve essere, invece, rigettato nella parte in cui tende a censurare l’erroneità della sentenza di prime cure per avere statuito sulla datazione dell’immobile, costituente, invece, una questione oggetto di valutazione in sede amministrativa, come tale sindacabile in giudizio e valutabile ai fini della soluzione della controversia;

- i motivi di appello incidentale proposti dal Comune meritano di essere accolti, nella parte in cui denunciano l’erroneità della sentenza di prime cure per avere ritenuto implicitamente valutata in senso positivo la documentazione prodotta dalla parte istante, sebbene si trattasse di questione non esaminata in sede amministrativa e sulla quale, dunque, non poteva ravvisarsi una decisione comunale suscettibile di essere confermata in giudizio;
siffatti motivi devono, invece, essere rigettati, sia nella parte in cui ritengono possibile introdurre in sede giurisdizionale rationes decidendi ostative al condono non delibate dal competente organo amministrativo, quali l’incompletezza della documentazione o la sussistenza sull’area di ulteriori vincoli non valutati dall’Amministrazione in sede decisoria, sia nella parte in cui tendono ad introdurre siffatte nuove rationes decidenti invocando il disposto dell’3E2B" data-article-version-id="463d6cb9-dcd3-5f67-89db-7cd87fe6171c::LRB662210280184F4F3E2B::2020-07-16" href="/norms/laws/itatextzdiicn0qt10rfg/articles/itaart5706r6huq0tovg?version=463d6cb9-dcd3-5f67-89db-7cd87fe6171c::LRB662210280184F4F3E2B::2020-07-16">art. 21 octies, comma 2, L. n. 241/90, disposizione insuscettibile di legittimare l’integrazione giudiziale della motivazione e comunque idonea ad impedire l’annullamento del provvedimento inficiato da soli vizi procedimenti e formali, categoria cui non è riconducibile l’insufficienza motivazionale, né la mancata indicazione di ulteriori rationes decidendi in grado di confermare la decisione impugnata.

Sulla base di tali precisazioni, il thema decidendum dell’odierno giudizio deve essere limitato alla verifica della legittimità dell’unica ratio decidendi sottesa alla decisione di diniego, rappresentata dalla sussistenza di un vincolo viario alla data di realizzazione del manufatto oggetto di condono, occorrendo accertare se si sia effettivamente in presenza di un vincolo di inedificabilità assoluto non decaduto, idoneo ad impedire l’accoglimento della domanda di condono presentata dall’odierno appellante;
questioni oggetto degli ulteriori motivi di appello proposti dalla Sig.ra Giudetti.

2. Con il secondo motivo di appello principale viene, infatti, denunciata l’erroneità della sentenza di prime cure, nella parte in cui ha ritenuto che il vincolo viario preesistesse alla realizzazione dell’immobile, fondando su tale presupposto fattuale la pronuncia appellata.

Secondo la prospettazione dell’appellante, invece:

- l’art. 31, comma 1, L. n. 47/85 richiederebbe soltanto l’ultimazione delle opere abusive prima del 1° ottobre 1983, il che risultava pacificamente avvenuto nella specie;

- il fabbricato de quo risultava edificato prima del 1980 e completato con alcune finiture soltanto nel 1982;

- l’esistenza del vincolo andrebbe valutata al momento di valutazione della domanda di condono edilizio, a prescindere dall’epoca di sua introduzione;
nella specie, in ogni caso, i vincoli dovrebbero ritenersi decaduti ex art. 2 L. n. 1187/68 e, comunque, non avrebbero potuto essere ricondotti fra i vincoli di inedificabilità assoluta ex art. 33, lett. d), L. n. 47/85.

Il secondo motivo di appello, per ragioni di connessione oggettiva, deve essere esaminato unitamente al terzo motivo di appello, riguardando entrambi la sussistenza dei presupposti sostanziali per la sanatoria del manufatto per cui è controversia.

In particolare, con il terzo motivo di appello viene denunciata l’erroneità della sentenza di prime cure, nella parte in cui ha qualificato i vincoli in contestazione, viario e a verde pubblico, come vincoli conformativi, non decaduti.

Alla stregua di quanto denunciato dall’appellante principale, invece, si farebbe questione di vincoli mai attuati, comunque non qualificabili come di inedificabilità assoluta (insuscettibili di essere posti da previsioni urbanistiche per ragioni di pianificazione del territorio, non caratterizzate dall’indissolubilità con l’area propria dei vincoli di inedificabilità assoluta ex art. 33 L. n. 47/85) e, in ogni caso, ove ritenuti di inedificabilità assoluta, in ragione della loro natura espropriativa (confermata anche dal Comune non relazione del 2.8.2004), da ritenere decaduti a far tempo dal 26.2.1958, non essendo, dunque, efficaci al momento della valutazione dell’istanza di condono.

Peraltro, i manufatti realizzati su aree sottoposte a vincolo di rispetto stradale, sempreché queste non rechino pregiudizio alla circolazione (circostanza non rinvenibile nella specie), sarebbero sempre sanabili.

Per l’effetto, secondo la prospettazione dell’appellante, il Tar, accertata la decadenza dei vincoli de quibus , avrebbe dovuto ritenere integrata la formazione del silenzio assenso ex art. 35 L. n. 47/85, attesa la completezza ed autosufficienza della relativa pratica edilizia.

2.1 Premesso che l’unica questione esaminabile nel presente giudizio, alla stregua di quanto emergente dall’accoglimento del primo motivo di appello principale, è rappresentata dalla sussistenza del vincolo viario, nello scrutinare le censure al riguardo svolte dall’appellante, occorre verificare se tale vincolo:

- preesistesse alla realizzazione dell’immobile;

- avesse natura conformativa o espropriativa;

- fosse qualificabile come vincolo di inedificabilità assoluta ostativo all’accoglimento dell’istanza di condono.

2.1 Iniziando la disamina dei motivi di impugnazione dalla prima questione controversia, occorre evidenziare come la preesistenza del vincolo rispetto all’esecuzione delle opere, diversamente da quanto dedotto in appello, rilevi ai fini della soluzione dell’odierna controversia, tenuto conto che l’art. 33 L. n. 47 del 1985, fondante il provvedimento impugnato in primo grado, fa un espresso riferimento ai vincoli preesistenti rispetto all’esecuzione delle opere;
costituente un presupposto fattuale, dunque, da accertare nella presente sede per potere statuire sulla legittimità del relativo atto di diniego.

Al riguardo, alla stregua di quanto dedotto dagli appellanti, “ secondo le informazioni raccolte, il fabbricato in questione era stato edificato prima del 1980 e poi completato con alcune finiture nel 1982, il che spiega la dichiarazione resa dal sig. -OMISSIS- ” (pag. 8 appello).

La censura è infondata, in quanto carente di prova.

Secondo la giurisprudenza di questo Consiglio, " spetta a colui che ha commesso l'abuso, l'onere di provare la data di realizzazione dell'immobile abusivo;
non può quest'ultimo limitarsi a sole allegazioni documentali a sostegno delle proprie affermazioni, trasferendo il suddetto onere di prova contraria in capo all'amministrazione
" (cfr. Consiglio di Stato Sez. II, 30 aprile 2020, n. 2766).

La data di realizzazione dell’immobile, integra, in particolare, un fatto costitutivo della pretesa azionata in giudizio, tenuto conto che l’anteriorità del manufatto rispetto alla data di imposizione del vincolo invocato dal Comune a sostegno della propria decisione influirebbe sulla legittimità del provvedimento impugnato dinnanzi al Tar, minando la correttezza del relativo accertamento amministrativo: quale fatto costitutivo, lo stesso deve, dunque, essere provato ex art. 2697 c.c dalla parte ricorrente, costituente, peraltro, in applicazione del principio di vicinanza della prova – pure rilevante ai fini del riparto dell’onere probatorio tra le parti -, l’unico soggetto ad essere nella disponibilità di documenti e di elementi di prova, in grado di dimostrare con ragionevole certezza l'epoca di realizzazione del manufatto (cfr. Consiglio di Stato Sez. VI, 20-01-2020, n. 454).

Alla stregua di tali considerazioni emerge che la valutazione operata dal Comune circa la vigenza del vincolo viario già alla data di esecuzione delle opere non soltanto non è confutata dalla parte ricorrente con la produzione di specifici elementi di prova a sostegno dell’opposta deduzione (incentrata sulla posteriorità del vincolo de quo), ma è confermata dalla dichiarazione del dante causa dell’odierna appellante, che ha chiaramente affermato che le opere de quibus sono state ultimate nell’anno 1982 (doc. 19 produzione Comune in primo grado).

Pertanto, posto che l’ultimazione delle opere afferisce all’esaurimento della fase realizzativa, come ammesso dallo stesso dante causa dell’odierna appellante, la realizzazione dell’immobile è proseguita fino al 1982, a fronte di un PRG approvato anteriormente, nel 1980.

In ogni caso, come osservato, non emergono elementi probatori idonei ad anticipare l’esecuzione delle opere rispetto all’approvazione del PRG (al riguardo, in sede di appello si fa riferimento a non meglio precisate informazioni raccolte, deduzione generica e comunque sfornita di supporto probatorio), che sarebbe stato onere dell’appellante fornire nel presente giudizio.

Né il mancato assolvimento dell’onere probatorio potrebbe essere superato disponendo l’acquisizione in giudizio del fascicolo del processo penale all’interno del quale – in base ad informazioni raccolte – “ dovrebbe risultare la testimonianza di un agente della Polizia Locale di Milano che pare abbia dichiarato che l’immobile era stato costruito prima del 1980 ” (pag. 6 memoria conclusionale appellante), tenuto conto che:

- da un lato, trattasi di istanza formulata in grado di appello, in violazione del divieto dei nova ex art. 104, comma 2, c.p.a., senza che emergano elementi per cui il mezzo di prova debba ritenersi indispensabile ai fini della decisione o comunque tale da non potere essere proposto in prime cure dalla ricorrente;
la richiesta di acquisizione documentale risulta, anzi, formulata in maniera ipotetica circa la possibile sussistenza di un elemento rilevante ai fini del giudizio, con conseguente sua natura esplorativa;

- dall’altro, perché la dichiarazione testimoniale, di per sé, non può essere dirimente in ordine alla prova di un fatto (datazione dell’esecuzione delle opere) che deve essere ragionevolmente certo, perché da esso dipende l’ammissibilità del condono cui aspira la parte appellante (Consiglio di Stato, sez. II, 9 gennaio 2020, n. 211);
specie nel caso in esame, in cui è stata già acquisita una dichiarazione del dante causa dell’odierna appellante, supra richiamata, suscettibile di fornire elementi di prova contrari, nel senso dell’esecuzione delle opere successivamente all’imposizione del vincolo.

2.2 Soffermandosi sulla natura giuridica del vincolo viario, deve ritenersi che si sia in presenza di un vincolo di inedificabilità assoluta di natura conformativa.

In particolare, i vincoli di piano regolatore, ai quali si applica ( ratione temporis ) il principio della decadenza quinquennale ex art. 2 L. 19 novembre 1968, n. 1187, sono soltanto quelli che incidono su beni determinati, assoggettandoli a vincoli preordinati all'espropriazione o a vincoli che comportano l'inedificabilità di un bene determinato e, dunque, ne svuotano il contenuto del diritto di proprietà, incidendo sul godimento di tale bene tanto da renderlo inutilizzabile rispetto alla sua destinazione naturale ovvero diminuendone in modo significativo il suo valore di scambio. Invece, le previsioni di carattere generale per una determinata tipologia urbanistica, conformando le modalità di utilizzo di una generale categoria di bene, restano in vigore a tempo indeterminato (Consiglio di Stato, sez. II, 6 marzo 2020, n. 1643).

Gli strumenti dedicati all'attuazione della pianificazione urbanistica si distinguono, infatti, tra vincoli espropriativi e vincoli conformativi, secondo una linea di discrimine che ha un preciso fondamento costituzionale, in quanto l'art. 42 Cost. prevede separatamente l'espropriazione (terzo comma) e i limiti che la legge può imporre alla proprietà al fine di assicurarne la funzione sociale (secondo comma). I vincoli espropriativi, che sono soggetti alla scadenza quinquennale, concernono beni determinati, in funzione della localizzazione puntuale di un'opera pubblica, la cui realizzazione non può quindi coesistere con la proprietà privata. Non può invece attribuirsi carattere ablatorio ai vincoli che regolano la proprietà privata al perseguimento di obiettivi di interesse generale, quali il vincolo di inedificabilità, c.d. "di rispetto", a tutela di una strada esistente, a verde attrezzato, a parco, a zona agricola di pregio, verde, etc. (cfr. Consiglio di Stato, Sez. II, 14 gennaio 2020, n. 342).

Come precisato da questo Consiglio, in particolare, “ la distinzione tra vincoli conformativi ed espropriativi non discende dalla collocazione del vincolo in una specifica categoria di strumenti urbanistici, ma va operata in relazione agli effetti dell’atto di pianificazione;
in particolare se lo strumento urbanistico mira ad una zonizzazione dell’intero territorio comunale o di parte di esso, sì da incidere su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione dell’intera area in cui i beni ricadono e in ragione delle sue caratteristiche intrinseche, il vincolo ha carattere conformativo, mentre, ove imponga solo un vincolo particolare incidente su beni determinati, in funzione della localizzazione di un’opera pubblica, lo stesso va qualificato come preordinato alla relativa espropriazione (cfr. Cass. civ., sez. I, 18 giugno 2018;
id, 9 ottobre 2017, n. 23572, Cons. Stato sez. IV, 17 maggio 2019, n. 3190;
26 aprile 2019, n. 2677)

Quindi, i vincoli conformativi sono posti dagli strumenti urbanistici in relazione alla natura di intere categorie di immobili e configurano in maniera oggettiva e rispetto alla totalità dei soggetti il regime di appartenenza di tali immobili che si trovino in un particolare rapporto con beni ed interessi della collettività, in funzione del loro carattere generale, concernente tutti i cittadini, in quanto proprietari di determinati beni individuati a priori per categoria derivante dalla loro posizione o localizzazione (Cass. civ., sez. I, 4 dicembre 2013, n. 27114).

Quanto sopra risulta confermato anche dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, laddove (sent. 20 maggio 1999, n. 179) ha rimarcato che la decadenza quinquennale è espressamente riferita ai soli vincoli di cui all’articolo 7, comma 1, nn. 2, 3 e 4 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e non anche a quelli di cui al n. 5 del medesimo comma, in cui indubbiamente ricade il vincolo per cui qui è causa ” (Consiglio di Stato, sez. II, 2 ottobre 2019, n. 6610).

Con specifico riferimento al vincolo viario, inoltre, deve osservarsi che, ai sensi di quanto previsto dall’art. 7, comma 2, L. n. 1150 del 1942, il contenuto tipico del piano regolatore generale si manifesta, altresì, nella indicazione della rete delle principali vie di comunicazione stradali, ferroviarie e navigabili e dei relativi impianti, mentre pertiene ai piani particolareggiati di esecuzione, e quindi ai piani attuativi, l’indicazione delle reti stradali “… di ciascuna zona ”(cfr. art. 13 L. n. 1150 del 1942).

Alla stregua di tali previsioni la giurisprudenza ha ritenuto che “ l’indicazione delle opere di viabilità contenute nel P.R.G. riconducibili alle previsioni programmatiche di cui all’art. 7 comma 2 n. 1 della legge n. 1150/1942 implica non già un puntuale vincolo espropriativo, assoggettato a decadenza, sebbene un ordinario vincolo d’inedificabilità, salvo che, in via del tutto eccezionale non possa inferirsi che si tratti in realtà di un tipo di viabilità assimilabile a quella interna alle singole zone, e come tale integri un vincolo espropriativo (cfr. Cass. Civile, Sez. I, 12 maggio 2017, n. 11913, 29 novembre 2016, n. 24283, 28 luglio 2010, n. 17677, 4 giugno 2010 n. 13615). 4.1.5) La circostanza che tale vincolo privo di natura espropriativa escluda l’edificabilità non va confusa con altri vincoli conformativi che ammettono la realizzazione di opere a cura di privati […]4.1.6) Né, data la previsione diretta nel P.R.G. e in relazione alle caratteristiche funzionali di collegamento di due assi viari di penetrazione, possono assumere rilievo, per inferirne al contrario la natura espropriativa, le valutazioni svolte nella sentenza in ordine alle caratteristiche dimensionali, afferenti alla relativa brevità del suo sviluppo lineare o all’interessamento di un numero più o meno ridotto di particelle catastali. 4.1.7) Proprio la funzione di collegamento di due assi stradali di penetrazione, infatti, ne qualifica la rilevanza, valendo a operare uno smistamento tra le correnti di traffico in entrata e in uscita dall’abitato ” (Consiglio di Stato, sez. IV, 26 giugno 2018, n. 3930).

Sulla base delle considerazioni volte, è possibile soffermarsi sul caso di specie.

2.3 Al riguardo, in primo luogo, non merita condivisione la censura per cui i vincoli posti dalla disciplina urbanistica per la realizzazione delle opere pubbliche non possano assumere natura di inedificabilità assoluta ostativi all’accoglimento dell’istanza di sanatoria.

Difatti, avuto riguardo al dato letterale, l’art. 33, comma 1, lett. d) L. n. 47 del 1985, facendo riferimento ad “ ogni altro vincolo che comporti la inedificabilità delle aree ”, non pone una limitazione alle fonti costitutivi del divieto di edificazione, né individua la tipologia di interesse pubblico sotteso all’imposizione del vincolo (invece rilevante ai sensi delle precedenti lettere del medesimo comma), con la conseguenza che le previsioni del P.R.G. impositive di un vincolo viario risultano idonee ad integrare la fattispecie di cui all’art. 33, comma 1, lett. d), cit. (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 9 febbraio 2016, n. 547, secondo cui “ La lett d) sembra cioè disegnare una fattispecie di carattere residuale idonea ad abbracciare qualsiasi vincolo d’inedificabilità, indipendentemente dalla sua fonte, e quindi anche un vincolo –seppure atipico- di natura negoziale ”).

Peraltro, la disciplina in materia di condono è caratterizzata dalla specialità, avendo natura derogatoria ed eccezionale, con conseguente necessità di procedere ad una lettura di stretta interpretazione (cfr. Consiglio di Stato, Ad. Plen., n. 20/1999).

Pertanto, l’interpretazione accolta dal Collegio, oltre che per le richiamate ragioni testuali, si impone per la natura eccezionale della disciplina in commento, non potendo limitarsi in via ermeneutica la portata applicativa dei vincoli di inedificabilità assoluta, escludendovi quelli posti dal piano regolatore generale in relazione alle opere di viabilità;
altrimenti, estendendosi inammissibilmente, in via interpretativa, l’ambito della sanatoria al di fuori delle fattispecie eccezionali all’uopo delineate dal legislatore.

2.4 In secondo luogo, l’odierna controversia deve essere risolta in applicazione del consolidato principio di diritto, per cui l'indicazione di opere di viabilità nel piano regolatore generale comporta, in via ordinaria, un vincolo di inedificabilità delle parti di territorio interessate, che non concreta un vincolo preordinato ad esproprio, a meno che non si tratti, in via eccezionale, di destinazione assimilabile all'indicazione delle reti stradali all'interno ed a servizio delle singole zone, come tali riconducibili a vincoli imposti a titolo particolare, di carattere espropriativo (cfr. ex multis, Cassazione, sez. I, 9 gennaio 2020, n. 207).

Nel caso in esame, come correttamente rilevato dal Comune nella memoria conclusionale, le modalità di rappresentazione dell’asse viario - valorizzato nel provvedimento impugnato in primo grado ai fini del rigetto della domanda di condono e riferibile, altresì, all’area in cui è ubicato il manufatto per cui è controversia (cfr. doc. 18 e 20 produzione Comune in primo grado, circostanza, comunque, non confutata da specifici elementi di prova contrari forniti dalla parte ricorrente) - non consentono di localizzare i beni suscettibili di espropriazione (doc. 18 Comune primo grado “estratto PRG”, che delinea solo l’area interessata dal tracciato stradale), avendo riguardo all’intera area nord della città (doc. 20 comune primo grado), necessitando, dunque, di successiva attuazione, mediante la localizzazione lenticolare dell’opera pubblica.

Ne deriva che non si è in presenza di un vincolo di inedificabilità di natura espropriativa, non facendosi questione di viabilità assimilabile a quella interna alle singole zone, bensì di una previsione insediativa, volta ad individuare le zone in cui allocare le opere viarie di comunicazione del comune, interessanti una pluralità indifferenziata di proprietà esistenti nell'ambito di ciascuna di esse.

Le opere di viabilità de quibus , dunque, sono previste nell'ambito del programma generale di sviluppo urbanistico, così assumendo contenuto conformativo della proprietà privata, non potendo, invece, ricondursi a quelle limitazioni incidenti su beni determinati in funzione -non già di una generale destinazione di zona, ma- della localizzazione lenticolare dell'opera pubblica, per le quali soltanto è predicabile la natura di vincolo a titolo particolare, a carattere espropriativo.

2.5 In terzo luogo, non si è in presenza di un divieto di edificazione relativo - come tale non impeditivo in astratto dell’edificazione-, non potendo le opere abusive, realizzate in area vincolata, essere concretamente soggette ad una valutazione di compatibilità rispetto alle ragioni di pubblico interesse tutelate con l’imposizione del vincolo.

I vincoli di inedificabilità correlati alla realizzazione delle opere viarie determinano, infatti, diversamente da quanto dedotto dall’appellante, un divieto assoluto di costruire che rende inedificabili le aree site pure nella relativa fascia di rispetto, indipendentemente dalle caratteristiche dell’opera e dalla necessità di accertamento in concreto dei connessi rischi per la circolazione stradale (Consiglio di Stato, sez. II, 24 giugno 2020, n. 04052).

2.6 Si è, dunque, in presenza di un vincolo di inedificabilità assoluta, avente natura conformativa e, dunque, non soggetto a decadenza, preesistente rispetto all’esecuzione delle opere abusive, come tale idoneo ad impedire, come correttamente statuito dal Tar, l’accoglimento dell’istanza di condono.

Né potrebbe argomentarsi diversamente sulla base:

- all’attuale concreta inattuazione delle opere viarie, facendosi questione di un vincolo di inedificabilità assoluta a contenuto conformativo non soggetto a decadenza per decorso del termine;
non può, dunque, escludersi la vigenza di siffatto vincolo in ragione dell’attuale mancata realizzazione dell’opera viaria, altrimenti introducendosi una fattispecie di decadenza non avente uno specifico fondamento normativo;
pertanto, persistendo il vincolo viario al momento in cui la domanda di condono è stata presa in considerazione, sussisteva una legittima ragione ostativa alla sanatoria ex art. 33, comma 1, lett. d) L. n. 47 del 1985;

- dell’avvenuto rilascio di provvedimenti di sanatoria in favore di titolari di manufatti adiacenti a quello per cui è causa, tenuto conto che, pure prescindendo dalla mancata prova della relativa circostanza (richiamando l’appellante il doc. B, che tuttavia non reca il rilascio di un titolo in sanatoria, ma soltanto un atto di parte attestante il versamento dell’oblazione), a fronte di un’attività vincolata, quale quella censurata nel presente giudizio, priva di contenuti discrezionali e relativa alla realizzazione di un assetto di interessi già prefigurato dalla disciplina urbanistica applicabile (cfr. Consiglio di Stato Sez. II, 28 agosto 2020, n. 5288), non è denunciabile una disparità di trattamento tra situazioni analoghe, di regola indice di eccesso di potere predicabile per comprovare l’irragionevolezza di decisione discrezionali;
l’ipotetica illegittimità dei provvedimenti di sanatoria adottati in favore di soggetti terzi non consente, infatti, di annullare un diniego legittimamente opposto, tenuto conto che il vizio di disparità di trattamento non potrebbe comunque essere dedotto quando viene rivendicata l'eventuale applicazione in proprio favore di posizioni giuridiche riconosciute ad altri soggetti in modo illegittimo (cfr. ex multis , Consiglio di Stato, sez. V, 17 gennaio 2020, n. 433);
parimenti, l’eventuale stato di fatto, asseritamente incompatibile con l’opera viaria, non potrebbe essere invocato per ottenere l’annullamento di un atto legittimamente emesso, essendo ben possibile che la situazione di fatto non corrisponda a quella di diritto e, pertanto, non rilevi quale paradigma di legittimità degli atti assunti dall’Amministrazione procedente;

- di un asserito difetto di motivazione, tenuto conto che il diniego di sanatoria, implicando una verifica di carattere vincolato, deve indicare le disposizioni di legge o di carattere urbanistico da cui derivi la inedificabilità, in modo da consentire all'interessato di rendersi conto degli impedimenti che si frappongono alla regolarizzazione e al mantenimento dell'opera abusiva e di confutare in giudizio, in maniera pienamente consapevole ed esaustiva, la legittimità del provvedimento impugnato (Consiglio di Stato Sez. II, 6 marzo 2020, n. 1643);
il che si è verificato nella specie, avendo il Comune rappresentato l’insussistenza dei presupposti della sanatoria in ragione della preesistenza di un vincolo ostativo all’edificazione, di cui è stata specificata la fonte e la natura, anche attraverso il puntuale riferimento alla disposizione normativa ostativa all’accoglimento della domanda di condono (art. 33, comma 1, lett. d), L. n. 47 del 1985);
il destinatario è stato, dunque, posto in condizione di apprendere le ragioni del diniego e di provvedere alla loro puntuale confutazione in giudizio, come avvenuto anche dinnanzi a questo Consiglio;

- della valenza confessoria della relazione istruttoria comunale del 2.8.2004 in ordine alla decadenza del vincolo posto sull’area nel 1980, tenuto conto che nella specie, da un lato, non si è in presenza di una confessione stragiudiziale, in quanto non si fa questione del riconoscimento della verità di fatti sfavorevoli all’Ente, ma della corretta qualificazione giuridica di un vincolo posto dal P.R.G.;
dall’altro, la questione giuridica in esame è stata prospettata nell’ambito di una mera relazione istruttoria, non implicante la manifestazione di una volontà dispositiva dell’organo competente, ben potendo essere rimeditata dall’Amministrazione in sede decisoria, attraverso l’adozione del provvedimento, come nella specie avvenuto.

3. Alla stregua delle considerazioni svolte, il secondo e il terzo motivo di appello devono essere rigettati, facendosi questione nella specie di un vincolo di inedificabilità assoluta, di natura conformativa, preesistente all’esecuzione delle opere e persistente alla data di in cui è stata esaminata la domanda di condono, ostativo all’accoglimento dell’istanza di condono ai sensi dell’art. 33, comma 1, lett. d), L. n. 47 del 1985.

Discorrendosi di vincolo di inedificabilità assoluta, non può, neanche, trovare applicazione l’istituto del silenzio assenso (Consiglio di Stato Sez. V, 30 giugno 2014, n. 3283), non operante per le fattispecie riconducibili al disposto dell’art. 33 L. n. 47/85 (escluso, ai sensi dell’art. 35 L. n. 47 del 1985, dalla formazione del titolo edilizio per silentium );
il che determina, altresì, l’irrilevanza delle deduzioni svolte dall’appellante in ordine alla completezza della documentazione acquisita al procedimento, non potendo comunque formarsi sulla domanda di condono la fattispecie provvedimentale del silenzio assenso.

4. Per l’effetto, la sentenza di prime cure, seppure debba essere riformata nella parte in cui ha ritenuto di estendere il proprio sindacato su profili esulanti dalle questioni esaminate dall’Amministrazione in sede provvedimentale e poste a base del diniego (completezza della documentazione ed esistenza di un ulteriore vincolo correlato alla destinazione a verde pubblico), deve essere confermata nella parte in cui ha accertato l’esistenza di un vincolo (viario) ostativo all’accoglimento dell’istanza di condono;
il che conduce al rigetto delle domande proposte in prime cure.

5. L’accoglimento parziale del primo motivo di appello principale e dei motivi di appello incidentale nei limiti sopra indicati comporta la necessità di riformare in parte qua la sentenza di prime cure, con conseguente necessità di una nuova regolazione delle spese processuali del doppio grado di giudizio;
da compensare interamente tra le parti, in ragione della reciproca soccombenza e della particolarità della controversia.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi