TAR Napoli, sez. I, sentenza 2018-11-07, n. 201806465
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Pubblicato il 07/11/2018
N. 06465/2018 REG.PROV.COLL.
N. 03370/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3370 del 2016, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
-O-, in persona dell’amministratore unico arch. Andrea -O-, rappresentato e difeso dall'avvocato Luigi Maria D'Angiolella, con domicilio presso la p.e.c. professionale;
contro
Ministero della Difesa, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Ministero dell'Interno – U.T.G. Prefettura di Caserta, in persona dei legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliataria
ex lege
in Napoli, via Diaz, 11;
per l'annullamento
I) con il ricorso introduttivo e con i motivi aggiunti depositati il 25 ottobre 2016:
a) del provvedimento dell'U.T.G di Caserta CAT. 12b.16/ANT/Area I prot. 0037337 del 3.6.2016, che dispone l'interdittiva antimafia nei confronti della ditta ricorrente;
b) per quanto occorra, degli atti e delle relazioni redatte e sottese al provvedimento interdittivo, indicate nel provvedimento sub a) e, in particolare, della nota di Cat. Q2/2/ANT/B.N. datata 21.3.2016 della Questura di Caserta, della nota n.0286312/1-3 "P" datata 16.12.2015 del Comando Provinciale dei Carabinieri di Caserta, della nota n. 0164223/2016 datata 1.4.2016 del Nucleo Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Caserta, della nota n. 0445100/15 datata 21.9.2015 del G.I.C.O. della Guardia di Finanza di Napoli, delle note n. 125/NA/H7 di prot. 241 e 10747 datate 11.1.2016 e 24.5.2016 della Direzione Investigativa Antimafia di Napoli, della relazione redatta in data 13.5.2016 dai rappresentanti delle forze dell'ordine e/o Gruppo Ispettivo Antimafia incaricati di procedere alle verifiche sui conto della società -O- con sede in -O-;
c) di ogni altro atto presupposto connesso e/o consequenziale comunque lesivo degli interessi della società ricorrente;
II) con i motivi aggiunti depositati il 22 febbraio 2017:
a) della determinazione del Responsabile del Settore Tecnico del Comune di Paduli n. -O-, notificata a mezzo pec in data 19.1.2017, con la quale veniva revocata in autotutela l'aggiudicazione definitiva disposta in capo alla società ricorrente con determina n. -O-relativamente all'appalto indetto dal Comune di Paduli per -O-”;
b) della nota del 19.1.2017 con la quale il Responsabile del Settore Tecnico del Comune di Paduli comunicava che, con la Determina n. -O-, era stata revocata l'aggiudicazione definitiva di cui alla precedente determina n. -O-;
c) di tutti gli atti preparatori, presupposti, connessi e consequenziali, eventualmente esistenti, non conosciuti dalla ricorrente, se ed in quanto lesivi per i suoi interessi;
d) nonché per l'accertamento del diritto della società ricorrente a conseguire l'aggiudicazione della gara de qua , con conseguente declaratoria di inefficacia del contratto di appalto, ove medio tempore stipulato e per il risarcimento in forma specifica del danno causato alla ricorrente attraverso il subentro nel contratto o, in via subordinata, per equivalente monetario.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa, del Ministero dell'Economia e delle Finanze e del Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 ottobre 2018 il dott. G D V e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La società -O- con sede in -O-, operativa nel settore dell’edilizia residenziale e non, della progettazione e realizzazione di opere edili, stradali, idriche e fognarie, impugna il provvedimento emesso dalla Prefettura di Caserta in data 3 giugno 2016 e gli ulteriori atti indicati in epigrafe con cui è stata ravvisata la sussistenza di profili di condizionamento criminale ai sensi dell’art. 84, comma 4, e all’art. 91, comma 6, del D.Lgs. n. 159/2011.
A sostegno dell’esperito ricorso propone plurimi profili di illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere.
Con successivi motivi aggiunti ha esteso l’impugnazione agli atti istruttori depositati dalle amministrazioni resistenti e al consequenziale provvedimento del Comune di Paduli del 18 gennaio 2017 con cui è stata disposta la revoca in autotutela dell’aggiudicazione precedentemente disposta in favore della ricorrente dell'appalto indetto per -O-.
Si sono costituite le controparti indicate in epigrafe che si oppongono all’accoglimento del gravame.
All’udienza pubblica del 24 ottobre 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Viene in decisione il ricorso e i successivi motivi aggiunti proposti dalla società edilizia -O- avverso l’informativa ostativa emessa dal Prefetto di Caserta ai sensi degli artt. 84 e 91 del D.Lgs. n. 159/2011 e il successivo provvedimento di revoca in autotutela adottato dal Comune di Paduli dell’aggiudicazione dell’appalto per l'esecuzione dei lavori di ampliamento delle opere di urbanizzazione e dei servizi nel piano degli insedimanenti produttivi in località “Saglieta”.
2. Con il ricorso introduttivo e con i motivi aggiunti depositati il 25 ottobre 2016 all’esito del deposito di documentazione da parte dell’amministrazione, la società impugna l’informativa antimafia emessa dalla Prefettura di Caserta in data 3 giugno 2016 che, in sintesi, si fonda sugli elementi di seguito riportati: I) -O- (socio e procuratore) e -O- (socio e amministratore unico) risultano indagati in un procedimento penale presso la Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Napoli per reati - spia di possibile contaminazione criminale (art. 12 quinquies della L. n. 356/1992 con l’aggravante dell’art. 7 della L. n. 203/1991) in concorso con il pregiudicato -O-, già detenuto per associazione mafiosa;II) -O- ha intestato il 60% del capitale sociale a -O-;III) nell’ambito del procedimento penale, con decreto del 29 giugno 2015 il Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Napoli ha disposto il sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p. della quota dell’altro socio -O-, parimenti indagato per il predetto reato.
2.1 Con il primo motivo di diritto la società istante lamenta la mancata comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 della L. n. 241/1990 culminato con l’adozione del provvedimento interdittivo. Rileva che a carico degli esponenti aziendali -O- non è stato adottato alcun provvedimento che dispone il giudizio ma pende un procedimento penale nell’ambito del quale è stato emesso un decreto di sequestro preventivo avverso il quale è stata avanzata istanza di revoca all’Autorità Giudiziaria penale;sostiene quindi che l’informativa segue ad una valutazione discrezionale del Prefetto e l’adempimento procedimentale di cui all’art. 7 della L. n. 241/1990, ove assolto, avrebbe consentito alla istante di chiarire la propria posizione.
Il rilievo è infondato alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale ( ex multis, Consiglio di Stato, Sez. III, n. 3171/2017) - dal quale non vi è ragione di discostarsi - che esclude la necessità della comunicazione di avvio del procedimento con riferimento alla determinazione prefettizia, in quanto tale formalità è in conflitto con il carattere riservato ed urgente delle attività attinenti alla verifica dei tentativi di infiltrazione mafiosa.
2.2. Con un secondo ordine di rilievi, ampliati anche con il primo atto di motivi aggiunti, -O- deduce la violazione del D.Lgs. n. 159/2011, errore sui presupposti, difetto di istruttoria e carenza di motivazione.
Sostiene che l’informativa non richiamerebbe nessuna delle situazioni tipizzate dal legislatore dalle quali, ai sensi dell’art. 84 comma 4 del D.Lgs. n. 159/2011, è possibile desumere la sussistenza di un tentativo di infiltrazione mafiosa;viceversa, l’atto prefettizio si baserebbe su profili indiziari (pendenza di un procedimento penale a carico degli esponenti aziendali ed emissione di un decreto di sequestro preventivo) che avrebbero richiesto una adeguata motivazione sul possibile rischio di contaminazione criminale, nella fattispecie insussistente. La Prefettura si sarebbe adagiata sulle indicazioni della Polizia Giudiziaria, abdicando alla propria funzione valutativa (primo e secondo motivo aggiunto).
Con successive argomentazioni (ribadite anche con il terzo motivo aggiunto), la società ricorrente cerca di dequotare gli elementi evidenziati dalla Prefettura sottolineando l’insussistenza di rapporti di parentela tra i soci -O-, da un lato, ed il pregiudicato -O- dall’altro, la mancata adozione, allo stato, di una sentenza di condanna nei confronti dei soci, la risalenza nel tempo dell’ipotesi accusatoria formulata dalla Procura di Napoli (tra il 2009 e il 2012) e, ancora, la continuità della gestione societaria a comprova dell’affidabilità della direzione aziendale, visto che non risulterebbe mai nominato alcun amministratore giudiziario esterno alla società. Ancora, al fine di confutare il sospetto di collusioni con locali clan criminali, la difesa di parte ricorrente sottolinea che nel 2015 e nel 2016 la società è stata vittima di atti estorsivi per i quali ha sporto denuncia ed ha presentato richiesta di accesso al fondo di solidarietà per le vittime dell’estorsione e dell’usura di cui alla L. n. 44/1999.
Le argomentazioni sono infondate.
E’ noto che le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa che possono dar luogo all’adozione dell’informativa antimafia ai sensi dell’art. 84 comma 4 e dell’art. 91 comma 6 del D.Lgs. n. 159/2011 comprendono una pluralità di atti del più vario genere, frutto e cristallizzazione normativa di una lunga e vasta esperienza in questa materia, situazioni che spaziano dalla condanna, anche non definitiva, per taluni delitti da considerare sicuri indicatori della presenza mafiosa (art. 84, comma 4, lett. ‘a’) all’adozione di proposte o di provvedimenti di applicazione di misure di prevenzione (lett. ‘b’), dalla mancata denuncia di delitti di concussione e di estorsione da parte dell'imprenditore (lett. ‘c’) all’emissione di condanne per reati strumentali alle organizzazioni criminali ( art. 91, comma 6, D.Lgs. n. 159 del 2011 cit.) e alla sussistenza di vicende organizzative, gestionali o anche solo operative che, per le loro modalità, evidenzino l'intento elusivo della legislazione antimafia. Esistono poi, come insegna l'esperienza applicativa della legislazione in materia e la vasta giurisprudenza formatasi sul punto, numerose altre situazioni, non tipizzate dal legislatore, che sono altrettante 'spie' dell'infiltrazione, nella duplice forma del condizionamento o del favoreggiamento dell'impresa (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, n. 1743/2016).
Gli elementi di inquinamento mafioso, ben lungi dal costituire un numerus clausus , assumono forme e caratteristiche diverse secondo i tempi, i luoghi e le persone e sfuggono, per l’insidiosa pervasività e mutevolezza, anzitutto sul piano sociale, del fenomeno mafioso, ad un preciso inquadramento. Quello voluto dal legislatore, ben consapevole di questo, è dunque un catalogo aperto di situazioni sintomatiche del condizionamento mafioso.
Nel merito, il provvedimento interdittivo si fonda legittimamente su un articolato quadro indiziario di seguito riportato, dal quale si desume il concreto rischio che la gestione societaria venga piegata a logiche criminali:
- il capitale sociale di € 10.000,00 (diecimila/00) è ripartito tra i soci -O- (60%) e -O- (40%);
- i predetti soci rivestono anche l’incarico di amministratore unico e responsabile tecnico (-O-) e procuratore (-O-) della società;
- -O- e -O- sono indagati in un procedimento penale pendente presso la Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli per il reato di intestazione fraudolenta di valori ex art. 12 quinquies della L. n. 356/1992 con l’aggravante speciale di cui all’art. 7 della L. n. 203/1991, in concorso con il pregiudicato -O-, già detenuto per associazione mafiosa;
- in base all’ipotesi accusatoria, i predetti soci si rendevano intestatari di quote cedute da -O- (cfr. nota Comando Provinciale di Caserta del 2015 depositata dalla Prefettura il 24.8.2016) al fine di consentire al prevenuto di eludere le disposizioni in materia di misure di prevenzione;
- -O- avrebbe quindi intestato fittiziamente il 40% del capitale sociale a -O- e il 60% a -O- (tale ultima intestazione fraudolenta, come si vedrà fra breve, sarebbe stata realizzata per il tramite di altri intestatari: -O-);
- nell’ambito dell’emarginato procedimento penale il Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Napoli ha sottoposto a sequestro la quota del 40% del capitale sociale di -O-, indagato per il predetto reato di intestazione fraudolenta di valori con l’aggravante speciale di cui all’art. 7 della L. n. 203/1991;
- va anche rilevato che, viceversa, con riguardo al -O-, il G.I.P. non ha ravvisato i presupposti per procedere al sequestro della relativa quota non risultando in atti indagini patrimoniali che comprovassero la sproporzione dei beni (cfr. nota del Nucleo di Polizia Tributaria Napoli del 21.9.2015 depositata dalla Prefettura il 24.8.2016, ultima pagina);
- secondo quanto riportato nel decreto di sequestro del G.I.P., la -O- è stata costituita nel 2009 tra -O- e i soci -O-;questi ultimi, nel 2014, hanno ceduto le proprie quote a -O- padre di -O- -O-, amministratore unico della società “-O-” di -O- (cfr. memoria della Prefettura depositata il 25.11.2016) a sua volta colpita da interdittiva antimafia nel 2012 e nel 2013, sussistendo a carico della medesima elementi delineanti infiltrazioni di stampo mafioso (cfr. decreto di sequestro preventivo depositato il 25.11.2016, pag. 9) e le cui quote sono integralmente intestate allo -O-, alla moglie e alla figlia -O-(decreto di sequestro, pag. 27);
- oltre alle vicende penali evidenziate nell’informativa e nelle relazioni del Gruppo Investigativo Antimafia, sussistono quindi anche cointeressenze societarie con -O- che contraddistinguono, fin dalla fase genetica, la -O-;
- in particolare, a pag. 22 e seguenti del decreto di sequestro preventivo (depositato il 25.11.2016) è esaminata la posizione della società ricorrente;dal contenuto delle intercettazioni, il G.I.P. ha desunto che l’impresa è riconducibile a -O- che è il vero dominus dell’impresa (cfr. pag. 24 del decreto), evidenziando, da un lato, il rapporto di subordinazione di -O- rispetto a -O-e, quanto a -O-, che questi è il padre dell’amministratore unico della predetta ditta “-O-” (pag. 27) società, come si è riferito, riferibile allo -O- e già attinta da interdittive;
- inoltre, con riferimento a -O-, i dati emergenti dalle indagini patrimoniali hanno integrato il fumus del reato di intestazione fraudolenta di valori, visto che è risultata una sperequazione tra i redditi dichiarati e gli investimenti effettuati (pag. 28 del decreto di sequestro preventivo);viceversa, riguardo a -O-, non è stata ravvisata la sproporzione e quindi non è stata concessa la misura cautelare (pag. 28 del decreto di sequestro preventivo).
Quanto alla presunta risalenza nel tempo dei fatti posti in evidenzia dal Prefetto, si osserva che l’attualità del quadro indiziario, da cui trarre la sussistenza dei tentativi di infiltrazione mafiosa, permane fino all’intervento di circostanze nuove, ulteriori rispetto ad una precedente valutazione di presenza di tentativi siffatti, che evidenzino il venir meno della situazione di pericolo. In altri termini, il rischio di inquinamento mafioso si può considerare superato non tanto e non solo per il trascorrere di un considerevole lasso di tempo dall’ultima verifica effettuata senza che sia emersa alcuna evenienza negativa, quanto anche per il sopraggiungere di fatti positivi, idonei a dar conto di un nuovo e consolidato operare dei soggetti a cui è stato ricollegato il pericolo, che persuasivamente e fattivamente dimostri l’inattendibilità della situazione rilevata in precedenza (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, n. 3126/2007;n. 851/2006). Il predetto criterio subisce un temperamento solo nel caso in cui gli elementi di fatto, raccolti dalle forze di polizia, siano talmente risalenti nel tempo da non poter essere più considerati intrinsecamente idonei a supportare il giudizio di pericolo, anche per effetto di sopravvenienze quali la cessazione dell’attività imprenditoriale o l’esaurimento di determinati fenomeni organizzativi criminali (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, n. 6504/2005). Orbene, nel caso di specie, persiste l’attualità delle situazioni indizianti individuate a carico della compagine sociale, non solo perché non sono emersi eventi nuovi di segno contrario, valutabili da parte dell’autorità prefettizia, ma anche perché tali situazioni si collocano in un periodo temporale non remoto. Infatti, i soci della -O- sono indagati in un procedimento penale avviato nel 2014 e il decreto di sequestro preventivo emesso a carico di -O- è del 2015, un anno prima dell’emissione dell’informativa.
Non trova riscontro in punto di fatto l’argomentazione relativa alla continuità della gestione societaria, in senso contrario, dalla relazione depositata dalla Prefettura il 24.8.2016 e dall’esame del decreto di sequestro preventivo risulta che il GIP ha nominato un amministratore giudiziario dei beni mobili ed immobili nonché delle quote societarie e delle aziende oggetto di misura cautelare.
Si presta poi ad essere dequotata la considerazione svolta nel ricorso con cui si richiama l’esistenza di precedenti atti di intimidazione in danno della -O-;ciò in quanto il quadro indiziario che emerge dagli atti istruttori posti a fondamento della gravata interdittiva è articolato e si regge su diversi profili che, nel loro complesso, corroborano le conclusioni rese del Prefetto di Caserta in ordine al rischio concreto che la gestione societaria venga influenzata e piegata a logiche criminali.
2.3. Con un ulteriore motivo di gravame la ricorrente contesta il profilo indiziario tracciato dalla Prefettura circa la cessione del 60% del capitale della società da -O- a -O-;la circostanza sarebbe priva di rilievo ai fini che rilevano nel presente giudizio, visto che nel decreto di sequestro preventivo il G.I.P. avrebbe dato atto della insussistenza di indagini patrimoniali che comprovino una sproporzione tra il valore dei beni da sottoporre a sequestro e la capacità reddituale dell’esponente aziendale.
L’argomentazione è inconferente.
Vero che nei confronti di -O-, a differenza di -O- (nei cui confronti è stata ravvisata la sproporzione tra il valore del patrimonio e i redditi), non è stato emesso il decreto di sequestro preventivo. Restano tuttavia gli ulteriori profili indiziari dianzi scrutinati che, nel loro insieme, confermano la legittimità del giudizio prognostico di possibile contaminazione criminale tracciato dalla Prefettura;peraltro, si aggiunga che - fermo restando la piena autonomia delle valutazioni amministrative prefettizie rispetto agli esiti delle indagini penali - non risulta che la posizione di -O- sia stata definita con provvedimento di archiviazione, quindi deve presumersi che lo stesso risulti ancora sottoposto al procedimento penale per il reato di cui all’art. 12 quinquies della L. n. 356/1992 che, come si è visto, costituisce situazione - spia del condizionamento criminale ai sensi dell’art. 84, comma 4 lett. a) del D.Lgs. n. 159/2011.
2.4. Con ulteriori deduzioni parte ricorrente contesta la legittimità del provvedimento di sequestro preventivo emesso dal GIP nei confronti di -O- evidenziando, in sintesi, che non vi sarebbe alcuna sproporzione tra la capacità patrimoniale e gli investimenti effettuati e che sarebbero state trascurate le ulteriori fonti di reddito che giustificherebbero l’acquisto della partecipazione societaria.
Il rilievo non è fondato traducendosi, nella sostanza, in rilievi avverso la misura cautelare reale disposta dall’Autorità giudiziaria ordinaria, quindi in censure da far valere nelle competenti sedi processuali. Si ribadisce che la Prefettura ha tracciato un ampio quadro istruttorio che si fonda su plurimi elementi di collegamento che, nel loro complesso, legittimano l’adozione della informativa antimafia.
In ogni caso, anche a voler accedere alla tesi di parte ricorrente, si rammenta che, secondo consolidato indirizzo pretorio (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 319/2017 e n. 3754/2016), l’eventuale venir meno del grave quadro indiziario posto a base di provvedimenti del giudice penale, non comporterebbe automaticamente la caducazione degli ulteriori elementi richiamati nell’informativa antimafia, che siano rimasti estranei alla valutazione del giudice penale. Difatti, non esiste una corrispondenza biunivoca tra gli atti di indagine penale valutati ai fini cautelari e gli elementi indiziari apprezzati dal Prefetto a fini interdittivi né è corretto ipotizzare un rapporto di ancillarità dei secondi ai primi che comporti l’invalidità derivata dell’informativa antimafia quale effetto automatico della caducazione di misure cautelari penali.
Ciò in quanto il rischio di inquinamento mafioso deve essere valutato in base al criterio del "più probabile che non" e gli elementi posti a base dell'informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o possono anche essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 1743/2016).
3. Con motivi aggiunti depositati il 22 febbraio 2017 la società ricorrente articola profili di illegittimità propria e in via derivata contro la determinazione n. 11 del 18 gennaio 2017 del Comune di Paduli recante revoca dell’aggiudicazione dell’appalto in epigrafe precedentemente disposto in proprio favore e, al contempo, propone domanda di risarcimento dei danni in forma specifica (al fine di ottenere l’affidamento dell’appalto) e, in subordine, per equivalente monetario commisurato al danno emergente, al lucro cessante, al danno curriculare ovvero, in via ulteriormente gradata, chiede la corresponsione dell’indennizzo ex art. 21 quinquies della L. n. 241/1990.
3.1. Non coglie nel segno la censura di illegittimità per omessa comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 della L. n. 241/1990 di cui parte ricorrente evidenzia l’imprescindibilità evidenziando che trattasi di un atto di autotutela.
La censura è infondata in punto di fatto;difatti, dall’esame del provvedimento si evince che l’atto di revoca è stato preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento di secondo grado (nota del Comune di Paduli, n. 5173 del 7 luglio 2016 menzionata nell’atto di revoca). In ogni caso, come si vedrà in seguito, la revoca dell'aggiudicazione costituiva un atto vincolato per la stazione appaltante, con la conseguente ininfluenza di eventuali vizi procedimentali ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 21 octies della L. n. 241/1990 che, si ribadisce, nella fattispecie non è dato ravvisare atteso il puntuale espletamento dell’incombente procedimentale.
3.2. Con il secondo motivo aggiunto -O- lamenta la violazione dell’obbligo di motivazione ex art. 3 della L. n. 241/1990 e l’insussistenza dei presupposti richiesti dall’art. 21 quinquies della medesima legge per l’esercizio del potere di revoca.
Le argomentazioni vanno respinte.
Il Comune di Paduli ha assolto all’obbligo di motivazione rinviando ex art. 3, comma 3, della L. n. 241/1909 per relationem alla informativa prefettizia del 3 giugno 2016.
Nel merito, quanto alla legittimità del provvedimento di secondo grado, per giurisprudenza consolidata ( ex multis, Consiglio di Stato, Sez. III, n. 6195/2017), la revoca dell'aggiudicazione o il recesso dal contratto già stipulato conseguenti all'emissione dell'informativa antimafia costituiscono un atto necessitato, per la stazione appaltante, salvo che questa non decida, in base ad un prudente e motivato apprezzamento discrezionale, di esercitare l'eccezionale potere conferitole dall'art. 94, comma 3, del D.Lgs. n. 159/2011 ( "i soggetti di cui all'articolo 83, commi 1 e 2, non procedono alle revoche o ai recessi di cui al comma precedente nel caso in cui l'opera sia in corso di ultimazione ovvero, in caso di fornitura di beni e servizi ritenuta essenziale per il perseguimento dell'interesse pubblico, qualora il soggetto che la fornisce non sia sostituibile in tempi rapidi" ).
Nel caso di specie, non avendo il Comune esercitato tale potere anche per l'assenza di un rapporto contrattuale già avviato, la revoca dell'aggiudicazione costituiva un atto vincolato per la stazione appaltante.
3.3. Le censure di illegittimità in via derivata vanno respinte richiamandosi, sul punto, le considerazioni svolte in ordine alla inconsistenza del ricorso introduttivo e dei primi motivi aggiunti.
3.4. Per l’effetto, va respinta anche la domanda risarcitoria in forma specifica e per equivalente monetario per carenza del presupposto della illegittimità del provvedimento di revoca. Neppure può essere riconosciuto l’indennizzo ex art. 21 quinquies della L. n. 241/1990 alla luce dell’indirizzo giurisprudenziale (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 5963/2017) secondo cui la revoca dell’aggiudicazione ottenuta da un’impresa gravata da informativa antimafia è un atto doveroso per l’amministrazione procedente la quale agisce, necessitata, al fine di scongiurare un danno per l’interesse pubblico e anche per l’erario pubblico, intrattenendo un rapporto contrattuale con un soggetto permeabile a logiche mafiose, con erogazione di danaro pubblico in favore di detta impresa, danaro che certo non può essere ottenuto, seppure in parte, a diverso titolo di indennizzo.
4. Con l’ultimo atto di motivi aggiunti depositato il 6 marzo 2018 la difesa di parte ricorrente porta all’attenzione di questo Tribunale l’esistenza di fatti nuovi che, nella prospettazione attorea, dovrebbero condurre all’accoglimento del gravame per violazione del D.Lgs. n. 159/2011, errore sui presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione.
4.1. In primo luogo, la difesa di parte ricorrente evidenzia che, con sentenza n. -O- il Tribunale di Napoli Nord, pur adottando una sentenza di condanna ad anni 6 di reclusione, ha escluso l’esistenza di un rapporto di partecipazione dello -O- al clan dei casalesi, avendo derubricato l’imputazione da compartecipe dell’associazione in concorso esterno in associazione mafiosa, tanto da disporre poi il dissequestro delle quote intestate al medesimo. Inoltre, la sentenza non conterrebbe alcun riferimento alla -O- e ai suoi esponenti aziendali che sarebbero quindi immuni da ogni pendenza penale. La Prefettura non avrebbe quindi tenuto conto dell’esito del giudizio penale favorevole alla posizione della società ricorrente.
4.2. In secondo luogo, rappresenta che in data 8 gennaio 2018 è stato disposto il dissequestro delle quote della società (pari al 40% del capitale sociale) in favore del socio I e tale circostanza comproverebbe l’estraneità dell’esponente aziendale rispetto ai fatti ascrivibili allo -O-.
4.3. Le deduzioni sono infondate.
I provvedimenti giurisdizionali esibiti non modificano la posizione processuale dei soci -O-, per i quali non risulta disposta alcuna archiviazione in sede procedimentale o assoluzione in giudizio, permanendo quindi l’imputazione per il delitto di trasferimento fraudolento di beni, fattispecie rilevante ai fini antimafia ex art. 84, comma 4 lett. a), del D.Lgs. n. 159/2011.
Peraltro è opportuno anche evidenziare che nella sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Napoli Nord a carico di -O-, è espressamente riportato che la figura delittuosa di cui all’art. 12 quinquies è applicabile nei confronti del soggetto condannato per il reato di concorso esterno come, per l’appunto, lo -O-, posto che l’indicazione del reato presupposto come quello di cui all’art. 416 bis c.p. ricomprende, in tutta evidenza, il concorrente esterno nel reato plurisoggettivo (pag. 285 della sentenza).
Per quanto rileva nel presente giudizio, sempre nella sentenza indicata, contrariamente a quanto ritenuto dalla ricorrente, non è stato escluso qualsiasi rapporto dello -O- con la consorteria criminale ma, pur non ravvisando un rapporto di stabile partecipazione, il Tribunale penale ha ritenuto provata l’attività concorsuale (cfr. pag. 287 della sentenza). Più nel dettaglio, lo -O- è stato inquadrato nella categoria di origine giurisprudenziale dell’imprenditore colluso, cioè di colui che instaura con l’associazione criminale un rapporto di reciproci vantaggi consistenti, per l’imprenditore, nell’imporsi nel territorio in posizione dominante e, per il sodalizio criminoso, nell’ottenere risorse, servizi o utilità (pag. 247). E’ poi importante sottolineare che, sempre secondo il Tribunale, “non vi è dubbio che tale comportamento ha contribuito a creare un meccanismo di sistematica acquisizione da parte del clan dei casalesi di elevate e continative forme di profitto, certamente idonee a contribuire al rafforzamento sul piano economico del sodalizio” (pag. 248).
Resta quindi dimostrata la correttezza del giudizio prognostico di contaminazione criminale elaborato dalla Prefettura poiché il rapporto di collaborazione dello -O- con le associazioni criminali – seppure derubricato da partecipazione a concorso esterno – di fatto si traduce in un fattore di condizionamento delle attività societarie allo stesso riferibili.
In ogni caso, si abbia presente che la valutazione della legittimità della informativa antimafia va valutata in relazione allo stato di fatto e di diritto esistente al tempo della sua adozione;viceversa, l’eventuale adozione di provvedimenti giurisdizionali successivi può essere addotta a sostegno di una richiesta di aggiornamento della posizione antimafia ex art. 91, quinto comma, del D.Lgs. n. 159/2011.
E’ inconferente poi il richiamo al precedente di questo T.A.R. n. 2732/2016 che, secondo la ricorrente, in un caso analogo avrebbe accolto un ricorso per omessa valutazione da parte della Prefettura del provvedimento del Tribunale del Riesame che confutava la validità del quadro indiziario posto a base di una misura cautelare penale e valorizzato nella informativa antimafia.
Ed invero, in quel caso, il provvedimento giurisdizionale favorevole al ricorrente era stato già adottato al tempo di emissione della interdittiva (nella citata pronuncia si legge infatti: “ Il fatto, pacifico, che l’ordinanza di custodia cautelare richiamata fosse stata già annullata dal Tribunale del riesame di Napoli alla data di adozione della nota prefettizia, non avrebbe dovuto essere ignorato dall’autorità amministrativa procedente” ). Viceversa, nella fattispecie in esame, la sentenza ed il provvedimento di dissequestro da cui la parte ricorrente trae le proprie considerazioni sono successivi all’adozione della interdittiva e, come si è detto, potrebbero al limite giustificare una richiesta di aggiornamento della posizione antimafia da parte della Prefettura. In ogni caso, si aggiunga che la sentenza di questo T.A.R. n. 2732/2016 è stata riformata dal Consiglio di Stato in base al rilievo che il giudice amministrativo “non può dal solo annullamento dell’ordinanza cautelare far discendere ipso iure l’annullamento dell’informativa…senza scrutinare con attenzione le motivazioni del riesame” evidenziando che, in quel caso, il giudizio prognostico si reggeva autonomamente su ulteriori profili indiziari che resistevano alle censure (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 319/2017). Tanto in omaggio al superiore indirizzo pretorio già riportato secondo cui non esiste una corrispondenza biunivoca tra gli atti di indagine penale valutati ai fini cautelari e gli elementi indiziari apprezzati dal Prefetto a fini interdittivi.
5. In conclusione, non resta che ribadire l’infondatezza del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti.
La particolare natura e complessità delle questioni esaminate giustifica la compensazione integrale delle questioni esaminate.