TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2023-07-25, n. 202312538

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2023-07-25, n. 202312538
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202312538
Data del deposito : 25 luglio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 25/07/2023

N. 12538/2023 REG.PROV.COLL.

N. 12017/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quinta Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 12017 del 2019, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato R C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

decreto n. -OMISSIS- emesso dal Ministero dell'interno in data 28/02/2019 di rigetto della domanda di cittadinanza italiana


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 aprile 2023 la dott.ssa Antonietta Giudice e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

I. - Il ricorrente ha presentato istanza intesa ad ottenere la concessione della cittadinanza italiana, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992, in data 20 novembre 2015.

II. - Esperita l’istruttoria di rito, l’Amministrazione ha comunicato ai sensi dell’art. 10- bis della legge n. 241/1990 il preavviso di diniego, a causa dell’emersione sul conto di questi di una condanna per il reato di rissa ex art. 588, secondo comma, c.p. in concorso commesso nel 2011 nonché della carenza di adeguati mezzi economici di sostentamento.

A seguito delle osservazioni formulate dal richiedente a sostegno della propria posizione, la p.a., ritenuto di poter accoglierle solo in relazione alla contestata carenza reddituale, non essendo emersi nuovi e favorevoli elementi quanto al carico penale, ha respinto la domanda con il decreto meglio indicato in epigrafe.

III. – Avverso detto provvedimento insorge il ricorrente con la richiesta di annullamento dell’efficacia, affidando il gravame ad un unico articolato motivo di censura: errata e/o falsa applicazione di una norma di diritto. eccesso di potere nell’esercizio di un’attività discrezionale ¸ assumendo che la p.a. avrebbe “decretato” il diniego in modo meccanicistico e fronte di un fatto storico di reato risalente nel tempo che non può di per sé solo considerarsi quale indice di inaffidabilità, senza tenere conto del raggiunto livello di integrazione sociale.

IV. - Il Ministero dell’interno, costituito in giudizio per resistere al ricorso, ha depositato documenti del fascicolo del procedimento e una relazione difensiva, contestando nel merito le censure ex adverso svolte e concludendo per il rigetto della domanda di annullamento del diniego impugnato.

V. – All’udienza pubblica del 26 aprile 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

I. - Il ricorso è infondato.

II. - Il Collegio reputa utile una premessa di carattere teorico in ordine al potere attribuito all’amministrazione in materia, all’interesse pubblico protetto e alla natura del relativo provvedimento (vedi, da ultimo, TAR Lazio, sez. V bis, n. 2943, 2944, 2945, 3018 e 3471/2022).

L'acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione, che presuppone l'esplicarsi di un'amplissima discrezionalità in capo all'Amministrazione. Ciò si desume, ictu oculi , dalla norma attributiva del potere, l’art. 9, comma 1, della legge n. 91/1992, a tenore del quale la cittadinanza “ può ” - e non “ deve ” - essere concessa.

La dilatata discrezionalità in questo procedimento si estrinseca attraverso l’esercizio di un potere valutativo che si traduce in un apprezzamento di opportunità in ordine al definitivo inserimento dell'istante all'interno della comunità nazionale, apprezzamento influenzato e conformato dalla circostanza che al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti - consistenti, sostanzialmente, oltre nel diritto di incolato, nei “diritti politici” di elettorato attivo e passivo (che consentono, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del Paese di cui si entra a far parte e la possibilità di assunzione di cariche pubbliche) - ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità – consistente nel dovere di difenderla anche a costo della propria vita in caso di guerra (“ il sacro dovere di difendere la Patria ” sancito, a carico dei soli cittadini, dall’art. 52 della Costituzione), nonché, in tempo di pace, nell'adempimento dei “ doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale ”, consistenti nell’apportare il proprio attivo contributo alla Comunità di cui entra a far parte (art. 2 e 53 Cost.).

A differenza dei normali procedimenti concessori, che esplicano i loro effetti esclusivamente sul piano di uno specifico rapporto Amministrazione/Amministrato, l’ammissione di un nuovo componente nell’elemento costitutivo dello Stato (Popolo), incide sul rapporto individuo/Stato-Comunità, con implicazioni d’ordine politico-amministrativo;
si tratta, pertanto, di determinazioni che rappresentano un'esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (vedi, da ultimo, Consiglio di Stato, sez. III, 7.1.2022 n. 104;
cfr. Cons. Stato, AG, n. 9/1999;
sez. IV n. 798/1999;
n. 4460/2000;
n. 195/2005;
sez, I, n. 1796/2008;
sez. VI, n. 3006/2011;
Sez. III, n. 6374/2018;
n. 1390/2019, n. 4121/2021;
TAR Lazio, Sez. II quater, n. 10588 e 10590 del 2012;
n. 3920/2013;
4199/2013).

È stato, in proposito, anche osservato che il provvedimento di concessione della cittadinanza refluisce nel novero degli atti di alta amministrazione, che sottende una valutazione di opportunità politico-amministrativa, caratterizzata da un altissimo grado di discrezionalità nella valutazione dei fatti accertati e acquisiti al procedimento: l'interesse dell'istante ad ottenere la cittadinanza deve necessariamente coniugarsi con l'interesse pubblico ad inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale.

E se si considera il particolare atteggiarsi di siffatto interesse pubblico, avente natura “composita”, in quanto coevamente teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell’identità nazionale, è facile comprendere il significativo condizionamento che ne deriva sul piano dell’ agere del soggetto alla cui cura lo stesso è affidato.

II.1. - In questo quadro, pertanto, l’amministrazione ha il compito di verificare che nel soggetto istante risiedano e si concentrino le qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l’assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprime integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile.

La concessione della cittadinanza deve rappresentare il suggello sul piano giuridico di un processo di integrazione che nei fatti sia già stato portato a compimento, la formalizzazione di una preesistente situazione di “cittadinanza sostanziale” che giustifica l’attribuzione dello status giuridico (in proposito, Tar Lazio, Sez. II quater, sent. n. 621/2016: “ concessione che costituisce l’effetto della compiuta appartenenza alla comunità nazionale e non causa della stessa ”).

In altre parole, si tratta di valutare il possesso di ogni requisito atto ad assicurare l’inserimento in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all’ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato, gravare sulla finanza pubblica (cfr. ex multis , Tar Lazio, Roma, Sez. I ter, n. 3227 e n. 12006 del 2021 e sez. II quater, n. 12568/ 2009;
Cons. Stato, sez. III, n. 104/2022;
n. 4121/2021;
n. 7036 e n. 8233 del 2020;
n. 1930, n. 7122 e n. 2131 del 2019;
n. 657/2017;
n. 2601/2015;
sez. VI, n. 3103/2006;
n.798/1999).

III. - Se, dunque, il potere dell’Amministrazione ha natura discrezionale, il sindacato giurisdizionale sulla valutazione dell’effettiva e compiuta integrazione nella comunità nazionale deve essere contenuto entro i ristretti argini del controllo estrinseco e formale, esaurendosi nello scrutinio del vizio di eccesso di potere, nelle particolari figure sintomatiche dell’inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o difetto di motivazione, con preclusione di un’autonoma valutazione delle circostanze di fatto e di diritto oggetto del giudizio di idoneità richiesto per l’acquisizione dello status di cui è causa;
il vaglio giurisdizionale non deve sconfinare nell’esame del merito della scelta adottata, riservata all’autonoma valutazione discrezionale dell’Amministrazione ( ex multis , Cons. Stato, sez. III, 7.1.2022 n. 104;
Sez. IV, n. 6473/2021;
Sez. VI, n. 5913/2011;
n. 4862/2010;
n. 3456/2006;
Tar Lazio, Sez. I ter, n. 3226/2021, Sez. II quater, n. 5665/2012).

IV. - Sulla scorta dei postulati in premessa, è possibile ritenere non fondate le censure formulate nell’atto introduttivo del giudizio, con cui si contesta l’operato dell’autorità procedente che avrebbe fondato la sua decisione sulla sussistenza di una condanna risalente, senza ulteriori accertamenti istruttori in ordine alla successiva condotta e prescindendo dal livello di inserimento sociale e lavorativo nella Comunità nazionale raggiunto dal richiedente.

V. - Il diniego impugnato - adottato previo contraddittorio con il richiedente - si fonda su una sentenza di condanna, emessa ex artt. 444 e 445 c.p.p., per il reato di rissa, di cui al secondo comma dell’art. 588 c.p., in relazione al quale deve essere sottolineato, contraddicendo il giudizio formulato dal ricorrente, che è stato posto in essere nel c.d. “periodo di osservazione” – il decennio antecedente la domanda in cui devono essere maturati i requisiti per la concessione dello status , compreso quello dell’irreprensibilità della condotta – e che è suscettibile di ledere interessi fondamentali dell’ordinamento, quali l’incolumità individuale e l’ordine pubblico.

Per cui detta condotta non appare prima facie – e quindi senza sconfinare in una valutazione che afferisce al merito - inidonea a giustificare il diniego, innanzi tutto in ragione del tempus commissi delicti , visto che non si tratta, come sostiene il ricorrente, di un fatto risalente in quanto commesso nel 2011, quattro anni prima della presentazione della domanda del 20 novembre 2015.

Sull’importanza del c.d. “periodo di osservazione”, rappresentato dal frangente temporale, rilevante ai fini della valutazione dell’acquisizione dei requisiti per la cittadinanza, incluso quello dell’irreprensibilità della condotta, l’insegnamento della giurisprudenza può dirsi pressoché univoco (cfr. Cons. St., sez. VI - 10/01/2011, n. 52;
TAR Lazio, sez. II quater, n. 10678/13, n. 1833/2015;
TAR Lazio, sez. I ter, n. 5917/21;
da ultimo, TAR Lazio, sez. V bis, n. 2943, 2944, 2945 e 2946 del 2022).

VI. - Inoltre, il reato in esame, essendo punito con la pena che nel suo massimo edittale supera i tre anni di reclusione, rientra nel novero dei reati automaticamente ostativi al rilascio della cittadinanza, di cui all’art. 6, della legge n. 91/1992, che, dettato in materia di cittadinanza iure matrimonii (in cui il richiedente, coniuge di cittadino, vanta un vero e proprio diritto soggettivo), si estende in parte qua necessariamente anche alla fattispecie meno tutelata della cittadinanza per naturalizzazione, in nome dei principi di sicurezza pubblica e civile convivenza sottesi alla stessa.

In altri termini, detta norma definisce espressamente l’ambito delle ipotesi criminose che precludono il conseguimento della cittadinanza richiesta iure matrimonii , ai sensi dell’art. 5 della legge n. 91/1992 - che costituisce un vero e proprio diritto soggettivo per il richiedente (al fine di tutelare l’unità familiare del cittadino italiano) - persino a chi è coniuge del cittadino italiano, salvo l’eventuale successiva sopravvenienza della riabilitazione. Pertanto, l’art. 6 in esame - proprio perché dettata in relazione ad una situazione di maggior favore (in quanto sorretta dall’esigenza di tutela di chi è già cittadino e dell’unità familiare) – va considerata quale norma di tenuta dell’ordinamento che individua gli argini di quell’area del penalmente rilevante travalicati i quali inevitabilmente il potere di valutazione discrezionale dell’amministrazione, giustapposto all’interesse legittimo pretensivo del richiedente lo status, finisce per essere compresso, a tutela delle regole di civile convivenza e dei valori identitari dello Stato.

Ed in questo senso l’art. 6 citato si applica a fortiori anche alla cittadinanza richiesta ai sensi dell'articolo 9, lettera f), della L. n. 91 del 1992 (cfr. Tar Lazio, sez. II quater n. 3582 del 2014;
n. 1833 del 2015), cioè limitatamente alla parte in cui individua i reati immediatamente ostativi alla concessione dello status (in ragione del principio de “il più contiene il meno”), per cui se rispetto all’esigenza di tutela dei valori fondamentali dell’ordinamento anche la pretesa a conseguire la cittadinanza da parte del coniuge del cittadino (che – si ribadisce - vanta un vero e proprio diritto soggettivo) si mostra recessiva, a maggior ragione ciò vale nel caso di concessione della cittadinanza per residenza, fattispecie cui il legislatore riserva una disciplina di minor favore.

Solo in presenza della riabilitazione, ai sensi del comma 3 dell’art. 6 in questione, si ha, da un lato, per quanto riguarda la cittadinanza per matrimonio, una riespansione dell’esigenza di tutela dell’unità familiare con automatica rimozione degli effetti ostativi riconnessi alla commissione dei reati specificamente individuati, dall’altro, per quanto riguarda la cittadinanza per concessione per residenza ultradecennale - tenuto conto dell’interpretazione di tipo sistematico fornita costantemente dalla giurisprudenza - un effetto riespansivo che però riguarda l’esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione, non più vincolata da un bilanciamento degli interessi in conflitto compiuto a monte dal legislatore [cfr.: TAR Lazio, Roma, sez. II quater, n. 5782 del 21 aprile 2015: “… la presenza del precedente penale ostativo al rilascio della cittadinanza permane, in quanto avrebbe potuto essere rimosso solo con la riabilitazione che non è intervenuta nella specie. La Sezione, in argomento, rammenta come anche da ultimo la giurisprudenza (anche penale) si sia attestata con chiarezza nel senso che l’intervenuta estinzione del reato non supera l’effetto ostativo alla concessione della cittadinanza italiana provocata dal precedente penale riportato dallo straniero specificando che “la peculiarità della riabilitazione rispetto alle altre cause di estinzione del reato (cfr. Cass. pen. 31089/2009, con riguardo alla causa di estinzione di cui all'art. 445 c.p.c., e Cass. pen. 35893/2012, con riguardo alla causa di cui all'art. 460 c.p.p., comma 5). Che, poi, la ricorrente abbia tenuto una buona condotta, è irrilevante in mancanza dell'emissione del provvedimento di riabilitazione, al quale soltanto fa riferimento la legge sulla cittadinanza ” (così, da ultimo, Cass. pen., Sez. VI, 26 settembre 2014 n. 20399)]”.

È evidente che, alla luce di tale lettura della norma, non è possibile censurare l’operato della p.a. che si è determinata in senso sfavorevole sull’istanza di cittadinanza per residenza ultradecennale, visto che sul richiedente pendeva una sentenza di condanna, non superata da un successivo provvedimento di riabilitazione, per la commissione di un reato automaticamente ostativo all’acquisto dello status persino iure matrimonii .

Sicché la naturalizzazione era preclusa in base alla valutazione effettuata in via generale ed astratta del legislatore - ai sensi dell’art. 6 della legge n. 91/1992, che, a differenza della legge precedente, fa riferimento alla pena massima edittale (Consiglio di Stato sez. IV - 05/08/1999, n. 1345 in cui si chiarisce che “ La nuova disposizione, infatti, fa riferimento alla pena edittale e non più a quella concretamente irrogata ”) - sebbene risulti opportuno aggiungere che, nello specifico caso concreto in esame, l’operato dell’Amministrazione sia da ritenere comunque immune dai vizi dedotti con il ricorso, risultando ragionevole – anche a prescindere dal disposto normativo – il giudizio prognostico negativo dalla stessa formulato, ove si consideri che il fatto addebitato, oltre a risalire – come già evidenziato - a soli quattro anni prima dell’istanza di cittadinanza, è consistito nella partecipazione ad una rissa nella quale i partecipanti si sono percossi in maniera violenta e ripetuta anche con l’utilizzo di bastoni di legno e di acciaio, riportando– ad esclusione del ricorrente, l’unico uscito illeso - gravi lesioni, quali trauma cranici e contusivi.

VII. – Alla luce delle considerazioni che precedono, si mostra inconsistente anche la doglianza di parte sulla omessa valutazione della propria posizione in maniera globale, in dispregio alla stabilità della propria situazione familiare ed economica e al livello di integrazione nel tessuto sociale italiano raggiunti.

Sul punto questa Sezione ha più volte chiarito che lo stabile inserimento socio-economico non rappresenta un elemento degno di speciale merito, in grado di far venir meno la significatività di motivi ostativi alla concessione dello status anelato eventualmente riscontrata, esso è solo il prerequisito della richiesta di cittadinanza, in quanto presupposto minimo per conservare il titolo di soggiorno, che autorizza la permanenza dello straniero sul territorio nazionale ( ex multis , Tar Lazio, Sez. V bis, nn. 2945 e 4295 del 2022).

L’inserimento sociale e professionale del richiedente rappresenta un elemento sintomatico di una raggiunta situazione di normalità che consente la permanenza dello straniero in Italia, ma non consiste in una particolare benemerenza tale da indurre la Pubblica Amministrazione a ritenere l’interesse pubblico ad integrare nella comunità nazionale un elemento se ha dimostrato di non condividerne i fondamentali valori di solidarietà e sicurezza.

In altre parole, si richiede che l’istante sia non solo materialmente in condizioni di effettivo inserimento nella società italiana, ma che sul piano dei valori mostri, indefettibilmente, una convinta adesione ai valori fondamentali dell'ordinamento di cui egli chiede di far parte con il riconoscimento della cittadinanza.

VIII - In ogni caso, a favore della posizione del ricorrente, il Collegio ritiene opportuno rammentare che il diniego della cittadinanza non preclude all’interessato di ripresentare l’istanza nel futuro e che dunque le conseguenze discendenti dal provvedimento negativo sono solo temporanee e non comportano alcuna “ interferenza nella vita privata e familiare del ricorrente ” (art. 8 CEDU, art. 7 Patto internazionale diritti civili e politici), dato che l’interessato può continuare a rimanere in Italia ed a condurvi la propria esistenza alle medesime condizioni di prima.

Quindi, per il provvedimento impugnato, con cui, nel bilanciamento degli interessi pubblici e privati in gioco, ha ritenuto recessivo l'interesse del privato ad essere ammesso come componente aggiuntivo del Popolo italiano, l’irragionevolezza è altresì esclusa alla luce della circostanza che il diniego di cittadinanza provoca il solo svantaggio temporale sopraindicato, il quale risulta “giustificato” ove si consideri la rilevanza degli interessi in gioco e l’irreversibilità degli effetti connessi alla concessione di tale status. Da tale punto di vista, infatti, risulta inopportuno ampliare la platea dei cittadini mediante l'inserimento di un nuovo componente ove sussistano dubbi sulla sua attitudine a rispettare i valori fondamentali per la comunità di cui diviene parte essenziale con piena partecipazione all’autodeterminazione delle scelte di natura politica.

IX. – In conclusione, il Collegio ritiene che il ricorso deve essere respinto, non avendo rinvenuto, per tutto quanto osservato, la presenza di elementi in grado di scalfire la legittimità dell’operato della p.a. nell’esercizio del potere altamente discrezionale attribuitole dal legislatore.

X.- Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

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