TAR Venezia, sez. III, sentenza 2018-12-10, n. 201801144
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta
Segnala un errore nella sintesiTesto completo
Pubblicato il 10/12/2018
N. 01144/2018 REG.PROV.COLL.
N. 00954/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 954 del 2018, proposto da
-OMISSIS- rappresentato e difeso dall'avvocato L P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in San Donà Di Piave, via Aquileia 9/A;
contro
Agenzia delle Entrate - Direzione Provinciale Venezia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata ex lege in Venezia, piazza S. Marco, 63;
nei confronti
-OMISSIS- non costituita in giudizio;
per l'annullamento
del provvedimento dell’ Agenzia delle Entrate - Direzione Regionale del Veneto - Settore Servizi e Consulenza - Ufficio Gestione Tributi, avente ad oggetto “istanza di accesso ai documenti amministrativi ex art. 22 e ss. L. 241/90 per i dati relativi alla controinteressata”, notificato in data -OMISSIS- con il quale si “respinge la richiesta di informazioni contenute nell'archivio dei rapporti finanziari, presentata dal ricorrente, in quanto, in aderenza ai principi enunciati dal Consiglio di Stato... risulta che l'accesso a tali dati debba avvenire per il tramite e nel rispetto delle norme disciplinanti lo specifico processo”;
nonché per l’accertamento del diritto ad accedere alla documentazione richiesta.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Agenzia delle Entrate - Direzione Provinciale Venezia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 7 novembre 2018 la dott.ssa M S e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La Direzione regionale del Veneto dell’Agenzia delle Entrate - Settore Servizi e Consulenza - Ufficio Gestione Tributi, con atto notificato in data -OMISSIS- respingeva “la richiesta di informazioni contenute nell'archivio dei rapporti finanziari, presentata nell'interesse -OMISSIS-” in quanto, in sintesi, in aderenza ai principi enunciati dal Consiglio di Stato nella sentenza n.-OMISSIS- “risulta che l'accesso a tali dati debba avvenire per il tramite e nel rispetto delle norme disciplinanti lo specifico processo”.
Il ricorrente ha impugnato il suddetto diniego lamentandone l’illegittimità per violazione degli artt.22 e ss. della legge 241 del 1990 e per difetto di motivazione, ritenendo che invece debba essergli riconosciuto, in qualità di ex coniuge tenuto all’assegno di divorzio, il diritto di accedere ai dati patrimoniali e finanziari dell'altro coniuge, al fine di difendere il proprio interesse giuridico a chiedere una revisione delle condizioni del divorzio stabilite dal giudice.
In particolare, il ricorrente si richiama alla giurisprudenza che ammette, nella forma della visione, l’accesso ai dati dell’Anagrafe Tributaria in pendenza di un giudizio di separazione o divorzio e sostiene che:
- il diverso principio di diritto espresso dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 3461/2017 citata dall’amministrazione a sostegno del suo diniego non sia comunque applicabile al caso di specie in quanto la fattispecie sottoposta al vaglio del Consiglio di Stato concerneva un caso di accesso formulato nell'ambito di una già pendente causa civile con l’ex coniuge per la determinazione dell’assegno di divorzio, rispetto al quale si è posto il tema concernente la compatibilità dell'accesso ex l. 241/90 rispetto agli strumenti processuali speciali previsti dalla procedura civile, mentre nel caso -OMISSIS- l’accesso era funzionale alla valutazione dell'opportunità di introdurre un futuro apposito ed eventuale procedimento giudiziario preordinato alla modifica delle condizioni di divorzio, per cui non potrebbe trovare applicazione nel caso in questione il ricorso agli strumenti processuali di cui al codice di procedura civile;
- -OMISSIS- non potrebbe essere costretto ad avviare un procedimento giurisdizionale “al buio” (ovvero senza contezza circa l'effettiva sussistenza dei presupposti per l'accoglimento della propria astratta domanda giudiziale) confidando poi sugli esiti di un'eventuale ordine di esibizione da parte del giudice, quando invece potrebbe avvedersi dell'insussistenza delle condizioni per richiedere una revisione dell'assegno divorzile sulla base della documentazione di cui ha chiesto l’accesso;
- avvallando la tesi di Agenzia delle Entrate, dovrebbe escludersi il diritto di accesso ex art. 22 L. 241/90 ogni qualvolta la pretesa sia preordinata alla tutela giurisdizionale di un diritto o di un interesse legittimo, posto che l'ordine di esibizione potrebbe appunto essere fatto valere in quella sede e in quest'ottica, dovrebbe concludersi che il diritto di accesso sussiste solo in funzione di interessi non tutelabili in sede giurisdizionale, giungendo in tal modo a sovvertire completamente i principi in materia.
Si è costituita in giudizio l’Agenzia delle Entrate contrastando le avverse pretese e chiedendo la reiezione del ricorso.
All’udienza del 7 novembre 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.
Il Collegio ritiene che il ricorso sia infondato e vada respinto per le seguenti considerazioni.
Si dà preliminarmente atto che in materia di diritto di accesso ai dati dell’Anagrafe Tributaria da parte del coniuge in pendenza di giudizio di separazione o divorzio sussiste un contrasto giurisprudenziale: parte della giurisprudenza, infatti, si è espressa a favore del riconoscimento del diritto di accesso, sia pure nella forma della presa visione in relazione alla tutela delle esigenze di riservatezza (C.d.S., sez. IV n. 2472/2014;TAR Lazio, sent. n. 2161/17;TAR Campania, n. 4116/17;TAR Emilia Romagna, n. 753/16;TAR Veneto, n.-OMISSIS-, TAR Puglia, n. 94/2017), altra parte invece della giurisprudenza (TAR Emilia Romagna n. 798/16;TAR Emilia Romagna, Bologna, n. 64/2017) e, in particolare, il Consiglio di Stato, sez. IV, con la sentenza n.-OMISSIS- ha ritenuto, invece, che in tal caso non potesse essere riconosciuto il diritto di accesso dovendo, invece, avvenire l’acquisizione e produzione della documentazione secondo la specifica disciplina del codice di procedura civile.
Il Consiglio di Stato, nella citata sentenza n.-OMISSIS- infatti ha rilevato che:
- per accordare comunque prevalenza al diritto di difesa in presenza di esigenze di tutela della riservatezza è richiesta una allegazione particolarmente rigorosa in ordine alla indispensabilità dei documenti ed alla loro stretta connessione con le esigenze difensive;
- il diritto alla tutela giurisdizionale, per il tramite dell’acquisizione di documenti amministrativi al processo, è assicurato e disciplinato dal relativo codice di rito (codice di procedura civile);
- il giudizio nell’ambito del quale una delle parti intende utilizzare documenti detenuti da pubbliche amministrazioni, è un giudizio tra soggetti privati, al quale la pubblica amministrazione è totalmente estranea;
- non sussite, nel caso di specie, alcun vulnus per il diritto alla tutela giurisdizionale, di cui all’art. 24 Cost., poiché l’ordinamento, lungi dall’escludere la possibilità di utilizzazione (mediante acquisizione al giudizio) di documenti detenuti dalla pubblica amministrazione, ben prevede tale possibilità, puntualmente disciplinandola;
- proprio in quanto i documenti da utilizzare nel processo (e detenuti dalla Pubblica Amministrazione) riguardano una delle due parti private in giudizio, al diritto alla tutela giurisdizionale del soggetto che intende avvalersi dei documenti amministrativi, occorre contrapporre l’altrettanto riconosciuto e tutelato diritto di difesa dell’altra parte;
- le norme processualcivilistiche sottopongono alla valutazione del giudice l’esibizione di documenti ordinata al terzo (artt. 211, 492-bis c.p.c.). Ciò perché l’acquisizione di prove documentali “non può che avvenire se non nella sede tipica processuale e nel rispetto del principio del contraddittorio”;
- la possibilità di acquisire extra iudicium i documenti amministrativi dei quali una delle parti intende avvalersi in giudizio si traduce in una forma di singolare “aggiramento” delle norme che governano l’acquisizione delle prove e costituisce un vulnus per il diritto di difesa dell’altra parte, la quale, lungi dal potersi difendere nella sede tipica prevista dall’ordinamento processuale, si troverebbe a dover esporre le proprie ragioni non già dinanzi ad un giudice, bensì innanzi alla pubblica amministrazione, in qualità di controinteressato;
- d’altra parte, se l’accesso ai documenti amministrativi è riconosciuto in funzione di una “situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso” (art. 22, co. 1, lett. b), l. n. 241/1990), appare evidente come l’esigenza di tutela risulti già ampiamente assicurata attraverso i mezzi tipici previsti nel processo instaurato;
- nel caso di esigenze di tutela della riservatezza dei dati di cui si chiede l’ostensione, l’indispensabilità del documento ai fini di tutela giurisdizionale (cui la giurisprudenza del C.d.S., sent. n. 2472/2014, ricollega la possibile ostensione nel caso di giudizio di separazione tra i coniugi), deve essere intesa anche come impossibilità di acquisire il documento, anche attraverso forme processuali tipiche, già previste dall’ordinamento;
- nel caso di specie, inoltre, l’accesso ai documenti amministrativi non costituisce “rilevante finalità di pubblico interesse”, né è volto a “favorire la partecipazione” del privato all’attività dell’amministrazione, né ad “assicurarne l’imparzialità e la trasparenza” (art. 22, co. 2, l. n. 241/1990), ma, ben diversamente, esso, lungi dall’essere volto alla tutela (procedimentale e/o processuale) del privato nei confronti della pubblica amministrazione, tende a definirsi come un utilizzo improprio di uno strumento assicurato dall’ordinamento, in modo da alterare – nella misura in cui aggira gli strumenti processuali tipici – la parità processuale delle parti in un giudizio civile, garantita (anche) dalla previa valutazione del giudice.
Anche dopo la citata sentenza n. 3461/2017 del C.d.S., la giurisprudenza ha registrato posizioni non univoche (in senso contrario cfr. TAR Lazio, sent. n. 12289/2017 e Tar Napoli, sent. n.5763/2018;in senso conforme, invece, TAR Milano, sent. 2024/2018).
Il Collegio ritiene di aderire all’impostazione esegetica di cui alla sentenza del C.d.S. n.3461/2017, come sopra sintetizzata (che è successiva alla sentenza del TAR Veneto n.-OMISSIS-, citata come precedente a sostegno della tesi del ricorrente), e di cui alla recente sentenza del TAR Milano n. 2024 del 2018.
In particolare, con riferimento alla fattispecie azionata, si deve rilevare come l’interesse ostensivo azionato dal ricorrente a fini “difensivi” fronteggia quello alla riservatezza di cui è titolare il coniuge, cui i dati patrimoniali e finanziari si riferiscono.
I documenti in rilievo, acquisiti dall’Agenzia delle Entrate nell’esercizio delle proprie funzioni di vigilanza e controllo in materia finanziaria e tributaria, sono sottratti all’accesso per ragioni di tutela della riservatezza del soggetto cui afferiscono ( art. 24, comma 6, legge 241 del 1990;DM 29 ottobre 1996, n. 603;DPR 26 aprile 1986, n. 131) e la deroga alla tutela della riservatezza (ex art 24, comma 7, della legge n.241 del 1990 e DM n.603 del 1996, art.5) può giustificarsi solo in presenza della stretta necessità per il ricorrente di acquisire detti atti per la difesa dei propri interessi giuridicamente tutelati (come evidenziato dal C.d.S., nella sent. n. 3461/ 2017, la stessa sentenza del C.d.S. n. 2014, n. 2472 richiede “ una allegazione particolarmente rigorosa in ordine alla indispensabilità dei documenti ed alla loro stretta connessione con le esigenze difensive ”).
Nel caso di giudizio di separazione o divorzio in corso, la giurisprudenza sopra citata, e a cui si ritiene di aderire, ha ritenuto che manchi un rapporto di stretta necessarietà tra l’interesse conoscitivo e il diritto di difesa in quanto le esigenze difensive del coniuge possono e devono essere, invece, tutelate tramite gli specifici strumenti processuali all’uopo contemplati dal c.p.c., che tengono conto dell’esigenza di garantire che l’acquisizione in giudizio di dati riservati, anche accedendo a banche dati telematiche quali l’Anagrafe Tributaria, avvenga, nei casi in cui sia necessario, su autorizzazione del giudice del procedimento ( artt. 492 bis c.p.c. e 155 sexies disp.att. c.p.c.), e nel rispetto delle regole che governano l’acquisizione delle prove.
Anche nel caso di controversie in materia di rapporti familiari, l'accesso ai dati ricavabili da ricerche effettuate con modalità telematiche (tra le quali è inclusa la ricerca telematica da effettuarsi presso l’Archivio dei rapporti finanziari dell'Anagrafe tributaria) deve essere, infatti, previamente autorizzato dal giudice ex art. 492 bis c.p.c. e art. 155 sexies disp. att. c.p.c (introdotto dal d.l. n. 132 del 2014, conv. in l. n. 162 del 2014) e, come rilevato dal Tar Bologna, sent. n.64/2017, se si consentisse, in tali casi, l’accesso ex art. 22 e ss. della legge 241 del 1990 “ si perverrebbe all'illogica conclusione (certamente non voluta dal legislatore) che la nuova disciplina autorizzatoria della ricerca con modalità telematiche sia, di fatto, inutiliter data, in concreto ben potendo le parti in causa in quelle controversie, aggirare l'ostacolo dell'autorizzazione presentando direttamente (come è avvenuto nella specie) istanza di accesso alla competente Agenzia delle Entrate ”.
E’ vero che, nel caso di specie, come evidenziato dal ricorrente, il giudizio civile di revisione dell’assegno divorzile non è stato ancora instaurato, per cui il ricorrente non potrebbe avvalersi ad oggi della tutela processuale civilistica, ma a maggior ragione la mancata instaurazione del giudizio di revisione esclude, ad avviso del Collegio, la possibilità di accedere “alle comunicazioni inviate da tutti gli operatori finanziari all'Anagrafe Tributaria relative ai rapporti continuativi, alle operazioni di natura finanziaria e ai rapporti di qualsiasi genere” riconducibili all’ex coniuge in quanto:
- l’interesse difensivo all’accesso, che non riguarda in tal caso il rapporto tra privato e Pubblica amministrazione ma il rapporto tra due privati - di cui l’Amministrazione finanziaria detiene dati riservati nell’esercizio delle proprie funzioni di vigilanza e controllo in materia finanziaria e tributaria - ed è strumentale alla proposizione di una futura ed eventuale azione di revisione dell’assegno divorzile, appare privo dei necessari requisiti di concretezza e attualità (art. 22, comma 1, lett. b), l. 241/90) e, in ogni caso, recessivo rispetto alle ragioni di protezione dei dati personali posti alla base del diniego impugnato, che nel caso di ostensione sarebbero violate senza che neppure ciò sia effettivamente necessario alla difesa dell’interesse del ricorrente, ben potendo i due ex coniugi addivenire anche ad una modifica consensuale dell’assegno di divorzio tramite le procedure di negoziazione assistita di cui all’art. 6 del d.l. 132/14, conv. da l. 162/14 (cfr. Tar Milano, sent. n. 2024/2018, cit.);
- inoltre, se l'accesso ai dati ricavabili da ricerche effettuate con modalità telematiche (tra le quali è inclusa la ricerca telematica presso l’Archivio dei rapporti finanziari dell'Anagrafe tributaria) deve essere previamente autorizzato dal giudice ex art. 492 bis c.p.c. e art. 155 sexies disp. att. c.p.c., nel caso di controversie in materia di rapporti familiari già instaurate - anche in ragione dell’esigenza di vagliare in corso di giudizio l’effettiva necessità dell’accesso alle banche dati e dell’acquisizione documentale, tenuto conto delle contrastanti esigenze di tutela della riservatezza - non sarebbe logico consentire, invece, un accesso ex art.22 e ss della legge n.241 del 1990 solo sulla base della prospettazione di una possibile azione giudiziale.
Per le suesposte ragioni, pertanto, il ricorso deve essere rigettato.
Sussistono giuste ragioni, tenuto conto della peculiarità della controversia e dell’orientamento giurisprudenziale non univoco, per compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio.