TAR Campobasso, sez. I, sentenza 2015-03-27, n. 201500137
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N. 00137/2015 REG.PROV.COLL.
N. 00020/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 20 del 2013, proposto da:
-OMISSIS--OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avv. I M, domiciliato in Campobasso, presso la Segreteria di questo Tribunale;
contro
Ministero della Giustizia, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Campobasso, via Garibaldi, n. 124;
per l'annullamento del decreto n. 01911/2012/cs del 17/09/12, notificato il 31.10.12 adottato dal Ministero di Grazia e Giustizia, nonché del parere emesso in data 14 febbraio 2012 del Comitato di verifica per le cause di servizio, notificato unitamente al decreto in pari data, con il quale non è stata riconosciuta dipendente da causa di servizio l'infermità "-OMISSIS-" e conseguente riconoscimento dell'equo indennizzo, di ogni atto presupposto, connesso e/o conseguente;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 22 del d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, comma 8;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 gennaio 2015 il dott. D D F e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue;
FATTO e DIRITTO
Il Sig. -OMISSIS-presta servizio presso la Casa circondariale di Campobasso in qualità di -OMISSIS-. E’ stato destinato, su sua richiesta, al servizio di portineria presso la Casa circondariale, ma ne è stato allontanato, assieme ad altri sei colleghi anch’essi adibiti al medesimo incarico, in seguito al furto verificatosi presso lo spaccio del penitenziario, di cui gli addetti alla portineria avevano le chiavi in custodia. Il provvedimento di rimozione dal servizio di portineria, veniva dichiarato illegittimo dalla Commissione arbitrale, e tuttavia – a dire del ricorrente - è serpeggiato nell’ambiente di lavoro un clima di sospetto che gli ha procurato l’insorgenza di uno -OMISSIS-. Pertanto, in data 30 ottobre 2010, il sig. -OMISSIS-chiedeva il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio. La Commissione Medica Ospedaliera di Chieti gli diagnosticava una ‘ -OMISSIS- ’, giudicando la menomazione dell’integrità fisica derivata come ‘ non classificabile ’. Con parere del n. 9642/2011, notificato al sig. -OMISSIS-in data 31 ottobre 2012, il Comitato di Verifica per le Cause di Servizio riteneva non riconoscibile la dipendenza da causa di servizio, osservando che l’infermità diagnosticata costituisce << -OMISSIS- >>. Con decreto n. 1911/2012/cs del 17 settembre 2012, notificato all’interessato in data 31 ottobre 2012, il Ministero della Giustizia negava, in linea con il parere del Comitato di Verifica per le Cause di Servizio, la dipendenza da causa di servizio dell’infermità sofferta. Avverso tale provvedimento il sig. -OMISSIS-proponeva ricorso notificato in data 28 dicembre 2012 e depositato il successivo 21 gennaio, chiedendone l’annullamento sulla base dei motivi così rubricati. 1) Difetto di motivazione. Violazione di legge ex art. 3 l. n. 241/1990 ed art. 14 d.P.R. n. 461/2001;2) eccesso di potere in relazione al conflitto tra il servizio prestato, le risultanze mediche ed il decreto gravato in uno con il parere del Comitato di Verifica e con il parere espresso dalla Commissione medica Ospedaliera di Chieti. Eccesso di potere in tutte le sue forme sintomatiche ed in particolare per manifesta ilogicità, contraddittorietà, difetto di istruttoria, ingiustizia manifesta;3) violazione delle norme sul procedimento. Violazione dell’art. 14 del d.P.R. n. 461/2001. Violazione degli artt. 24 e 97 Cost.;4) violazione dell’art. 10bis l. n. 241/1990;5) violazione degli artt. 3 e 97 Cost. in relazione al principio di uguaglianza, imparzialità e buon andamento dell’Amministrazione;6) dipendenza da causa di servizio dell’infermità lamentata e diritto del ricorrente all’equo indennizzo. Violazione degli artt. 32 e 38 Cost.
Con atto depositato in data 20 febbraio 2013, si è costituito in giudizio il Ministero della Giustizia chiedendo il rigetto del ricorso.
Alla pubblica udienza del 29 gennaio 2015, la causa è stata trattenuta in decisione.
Può prescindersi dall’eccezione di decadenza dal diritto di chiedere l’accertamento della dipendenza da causa di servizio, ai sensi dell’art. 2 del d.P.R. n. 461/2001, sollevata dall’Amministrazione resistente, perché il ricorso è infondato nel merito.
Con il primo motivo il sig. -OMISSIS-lamenta il difetto assoluto di motivazione del provvedimento gravato, aggiungendo che, quand’anche si ritenesse valida la motivazione per relationem , quella espressa dal Comitato di Verifica per le Cause di Servizio sarebbe comunque lacunosa in quanto non darebbe conto dell’iter logico seguito.
Il motivo è privo di fondamento.
L’art. 3, co. 3, della l.n. 7 agosto 1990, n. 241 prevede che: << Se le ragioni della decisione risultano da altro atto dell’amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest’ultima deve essere indicato e reso disponibile, a norma della presente legge, anche l’atto cui essa si richiama >>. Tale disposizione ha espressamente riconosciuto la precedente prassi, ampiamente diffusa, della motivazione per relationem del provvedimento, subordinatamente alla conoscibilità e disponibilità del documento da cui risulta l’effettiva motivazione del provvedimento.
Nel caso di specie, tale condizione è stata pienamente rispettata, atteso che sia il provvedimento gravato, sia il parere del Comitato sono stati notificati al ricorrente il quale, quindi, ne ha avuto piena conoscenza.
Peraltro, con specifico riguardo ai procedimenti per l’accertamento della dipendenza da causa di servizio, il parere del Comitato assume un ruolo centrale, perché l’Amministrazione è chiamata a pronunciarsi sul riconoscimento o meno della causa di servizio esclusivamente sulla base del parere del Comitato di Verifica, di modo che la motivazione per relationem costituisce uno sbocco procedimentale praticamente obbligato (cfr. da ultimo TAR Lazio, sez. Ibis, 17 febbraio 2015, n. 2722).
Non può, poi, ritenersi che il parere in questione non espliciti l’ iter logico seguito, atteso che, a prescindere dall’intrinseca coerenza dello stesso, non può negarsi che il Comitato di Verifica abbia effettivamente illustrato la sequenza dei collegamenti argomentativi, che hanno condotto alla valutazione formulata, evidenziando che il tipo di patologia-OMISSIS- individuata si ricollega spesso a soggetti già di base predisposti, di modo che, in assenza di un elemento oggettivo, utile a rinvenire un nesso tra prestazione lavorativa e infermità, la dipendenza dalla causa di servizio non può essere desunta dalla natura dell’infermità stessa.
Infatti, la giurisprudenza rileva che, a fronte del diniego del Comitato di Verifica circa la genericità delle affermazioni della Commissione medico ospedaliera sul nesso di causalità tra i fatti di servizio e le infermità in diagnosi, è onere del ricorrente dimostrare, con specifici supporti probatori, quali fossero i fatti di servizio che esulavano dal suo normale svolgimento o quali episodi, sempre inerenti l'attività lavorativa, avessero contribuito in maniera efficiente e preponderante all'insorgere del male ( ex multis , TAR Umbria, sez. I, 14 marzo 2014, n. 169). Tali supporti probatori, come si dirà oltre, mancano del tutto nel caso di specie.
Con il secondo motivo, sostanzialmente ribadito nei contenuti con i motivi quinto e sesto, il ricorrente censura il provvedimento impugnato, adducendo che, in relazione alla tipologia di prestazione resa e alla documentazione medica esistente agli atti, non sussisterebbero dubbi sulla riconducibilità dell’infermità sofferta al servizio prestato. In particolare la relazione medico – legale dello specialista, prodotta come consulenza di parte, dimostrerebbe che le difficili e stressanti condizioni tipiche della prestazione resa nell’ambito penitenziario e la diffidenza registrata dal ricorrente nei propri confronti dopo l’allontanamento dallo spaccio avrebbero determinato l’insorgenza dell’infermità.
Il motivo è privo di fondamento.
Occorre richiamare alcuni indirizzi consolidati giurisprudenziali che rilevano ai fini della risoluzione dell’odierna controversia e valgono a perimetrare correttamente l’ambito del sindacato giurisdizionale consentito al Giudice amministrativo in subiecta materia .
- il giudizio del Comitato di Verifica costituisce espressione di discrezionalità tecnica, censurabile sotto il profilo dell'eccesso di potere solo quando sia del tutto stata omessa la motivazione, ovvero se la stessa sia manifestamente infondata per mancata considerazione di circostanze di fatto di assoluta rilevanza sul piano medico legale (cfr., ex multis : TAR Campania, sez. VI, 12 dicembre 2014, n. 6576), senza che sia consentito al Giudice amministrativo di << sovrapporre il proprio convincimento a quello espresso dall'organo tecnico >>(cfr.: TAR Campania, sez. VI, 7 maggio 2014, n. 2494);
- nella nozione di concausa efficiente e determinante di servizio da considerarsi fattore generativo della malattia possono farsi rientrare soltanto fatti ed eventi eccedenti le ordinarie condizioni di lavoro << con esclusione quindi delle circostanze e condizioni generiche, quali inevitabili disagi, fatiche e momenti di stress che costituiscono fattore di rischio ordinario in relazione alla vita militare >>(cfr.: TAR Campania, sez. VI, 5 novembre 2014, n. 5663;TAR Lazio, Roma, sezione I, 13 gennaio 2010, n. 192);
- per inficiare la coerenza logica e tecnica delle conclusioni del Comitato di Verifica non possono valere meri richiami alle modalità dei servizi prestati, genericamente definite stressanti, in ambienti difficili, spesso con orari variabili, prolungati e notturni et similia , che, in quanto tipiche dell’ordinario servizio, non assolvono a quell’onere probatorio, che, in assenza di un nesso di rischio specifico tra l'attività lavorativa svolta e l'infermità dedotta, spetta al ricorrente (cfr.: TAR Lombardia, Milano, sez. III, 2 agosto 2013, n. 2057;TAR Puglia, Lecce, sez. II, 11 aprile 2014;TAR Campania, Salerno, sez. I , 10 ottobre 2013, n. 2034).
Nel caso di specie, sia dal ricorso introduttivo che dalla relazione del consulente di parte non emergono elementi specifici che possano indicare la riconducibilità dell’infermità diagnosticata alla causa di servizio i quali esulino dall’ordinaria prestazione lavorativa, tipicamente resa dai militari del Corpo della Polizia Penitenziaria.
Lo svolgimento dei turni di servizio in un ambiente come quello dei penitenziari che per sua stessa natura non incoraggia l’instaurazione di rapporti umani distesi, non può rappresentare di per sé stesso un fattore di rischio specifico da poter essere invocato a pretesa comprova del nesso di causalità tra l’attività lavorativa e l’infermità-OMISSIS- diagnosticata, trattandosi infatti di connotazione ambientale tipica dell’attività degli agenti penitenziari.
Né la particolare gravosità della prestazione di addetto alla portineria potrebbe costituire elemento sufficiente, atteso che anche in questo caso non sono stati addotti elementi peculiari che possano ragionevolmente costituire l’origine -OMISSIS-, il quale, come detto, deve ricollegarsi fattori atipici rispetto all’attività prestata.
In sostanza, deve rilevarsi come le allegazioni attoree, richiamando le modalità tipiche di svolgimento del servizio penitenziario, finiscono con l’evocare, quali fattori causali, le stesse peculiari mansioni che rientrano tra le ordinarie funzioni ed i compiti istituzionali affidati Corpo della Polizia Penitenziaria ed esercitate dai suoi appartenenti.
Di contro, i contenuti delle suddette attività e le condizioni in cui vengono normalmente poste in essere – in ragione della loro ordinarietà e condivisibilità con tutti gli altri appartenenti alla suddetta forza di polizia – non possono essere accreditati, di per se stessi, e con la pretesa automaticità, come abnormi cause -OMISSIS-.
L’unico elemento peculiare dell’attività svolta dal ricorrente è rappresentato dalla vicenda del suo allontanamento dal servizio di portineria a seguito del furto nello spaccio locale custodito dagli addetti a tale attività. Sennonché siffatto allontanamento, seppure in seguito dichiarato illegittimo, appare insufficiente, atteso che l’Amministrazione non ha mosso nessuno specifico addebito al ricorrente, limitandosi a destinarlo ad altro servizio unitamente a tutti gli altri agenti che risultavano adibiti al medesimo servizio, senza, dunque, che da tale decisione il ricorrete potesse percepire un atteggiamento ostile o vessatorio dell’Amministrazione specificamente rivolto nei propri confronti.
L’episodio, poi, dell’aggressione subita dal ricorrente da parte del detenuto, non risulta connotato da modalità tali da reputarlo estraneo alle ordinarie dinamiche relazionali che ragionevolmente si producono con una certa frequenza all’interno di un penitenziario e non può, quindi, assurgere, alla stregua dei criteri giurisprudenziali sopra menzionati, a causa o concausa sufficiente a giustificare l’insorgenza dell’infermità lamentata.
Di contro, a giudizio del Collegio, la motivazione posta a fondamento dell’avversato provvedimento reiettivo, per come integrato dal parere contrario licenziato dal Comitato di verifica, riflette in modo sufficiente gli approfondimenti svolti e le ragioni su cui riposa l’opposto rigetto giacché sono state adeguatamente esplicitate le relative valutazioni in riferimento sia alla ordinaria eziopatogenesi che ai possibili legami con il servizio svolto dal ricorrente.
Né sussiste una macroscopica illogicità di giudizio perché dette valutazioni rispondono alla comune esperienza, trattandosi di patologia-OMISSIS- di tipo multifattoriale.
In conclusione, la valutazione del Comitato di Verifica appare immune dai vizi invocati dal ricorrente.
Con il terzo motivo, il sig. -OMISSIS-lamenta la violazione del termine di cui all’art. 14 del d.P.R. n 461/2001, non essendosi l’Amministrazione intimata pronunciata entro il termine di 20 giorni dalla data di ricezione del parere, notificando, peraltro, il decreto di rigetto a distanza di più di sei anni dalla data di presentazione della domanda.
Invero, il termine di cui al predetto art. 14 non ha natura perentoria, sicché la sua violazione non si traduce nell'illegittimità del provvedimento finale, dato che lo spirare del termine non può comportare alcuna consumazione del potere amministrativo di provvedere (cfr., da ultimo, TAR Campania, sez. VI, 25 febbraio 2015, 1257 che richiama TAR Puglia, sez. I, 6 febbraio 2013, n. 165 e Cons. Stato, Sez VI, 23 marzo 2009, n. 1711).
Va, poi, disatteso anche l’ulteriore motivo con il quale il ricorrente lamenta l’illegittimità del provvedimento impugnato per violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241/1990.
Secondo la giurisprudenza, condivisa dal Collegio, infatti, << il preavviso di diniego previsto dall'art. 10 bis l. 7 agosto 1990 n. 241 non va interpretato in senso formalistico, ma deve avere riguardo all'effettivo e oggettivo pregiudizio nel senso che la violazione dell'obbligo di preventiva comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza è inidonea di per sé a giustificare l'annullamento di un atto, non essendo consentito ai sensi del successivo art. 21 octies l'annullamento dei provvedimenti amministrativi il cui contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Tale criterio trova applicazione nel procedimento in esame finalizzato soprattutto alla concessione dell'equo indennizzo, dove il parere del Comitato di verifica, oltre ad essere obbligatorio, è vincolante per l'Amministrazione tenuta a concludere il procedimento in maniera conforme alle determinazioni dell'organo consultivo, fatte salve le ipotesi di palese inattendibilità o di manifesta illogicità;pertanto, l'Amministrazione non è tenuta alla comunicazione del preavviso di rigetto ai sensi dell'art. 10 bis l. 7 agosto 1990 n. 241 in quanto l'eventuale partecipazione procedimentale dell'interessato non potrebbe produrre effetti sul contenuto dispositivo del provvedimento impugnato >>(cfr.: TAR Campania, Napoli, sez. VII, 22 gennaio 2015, , n. 430;TAR Lazio, Roma, sez. I, 15 settembre 2014, n. 9652;TAR Emilia Romagna, Parma, 7 febbraio 2013, n. 42).
In definitiva il ricorso deve essere respinto.
La particolare rilevanza delle posizioni giuridiche fatte valere dal ricorrente giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio.