TAR Roma, sez. 1T, sentenza 2019-06-14, n. 201907727

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1T, sentenza 2019-06-14, n. 201907727
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201907727
Data del deposito : 14 giugno 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 14/06/2019

N. 07727/2019 REG.PROV.COLL.

N. 01523/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1523 del 2014, proposto dal sig. -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato F S, domiciliato presso la Segreteria del TAR Lazio in Roma, via Flaminia, 189;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

previa sospensione dell’efficacia

del decreto del Ministero dell’Interno in data 23 settembre 2003 recante il diniego di richiesta di concessione della cittadinanza italiana.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2019 il cons. Anna Maria Verlengia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso, notificato il 16 gennaio 2014 e depositato il successivo 7 febbraio, il sig. -OMISSIS-, cittadino marocchino, ha impugnato il provvedimento con cui gli è stata rigettata l’istanza di concessione della cittadinanza italiana presentata ai sensi dell’art. 9 lett. f) della legge 91/1992.

Avverso il predetto diniego il ricorrente articola i seguenti motivi di doglianza:

1) violazione degli artt. 6 e 9 della legge 91/92 e dell’art. 2 della legge 241/90 ed eccesso di potere per perplessità e sviamento di potere, errore nei presupposti, ingiustizia manifesta e motivazione apparente in relazione ai presupposti del provvedimento con particolare riferimento alla asserita sussistenza di motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica, atteso che il provvedimento risulta sfornito di una motivazione che consenta un controllo giurisdizionale e tenuto conto del fatto che il ricorrente ha cinque figli di cui due in possesso della cittadinanza italiana;

2) violazione dell’art. 10 bis legge 241/90 della comunicazione dei motivi ostativi, atteso che il provvedimento avrebbe avuto un esito diverso ove si fosse dato modo al ricorrente di partecipare al procedimento.

Il 3 marzo 2014 si è costituito il Ministero dell’Interno con atto di rito.

Con ordinanza n. 2240 del 16 maggio 2014 il Tribunale ha respinto la richiesta misura cautelare.

Il 13 marzo 2014 il ricorrente deposita documenti a sostegno delle proprie argomentazioni.

Alla pubblica udienza del 28 maggio 2019 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Il ricorso è infondato.

Il diniego impugnato è fondato sulla circostanza secondo cui, dall’attività informativa esperita, è emersa la contiguità del ricorrente a movimenti aventi scopi non compatibili con la sicurezza della Repubblica.

Alla stregua della giurisprudenza della Sezione, deve ritenersi che l’amplissima discrezionalità dell’Amministrazione in questo procedimento si esplica in un potere valutativo che “si traduce in un apprezzamento di opportunità circa lo stabile inserimento dello straniero nella comunità nazionale, sulla base di un complesso di circostanze, atte a dimostrare l'integrazione del soggetto interessato nel tessuto sociale, sotto il profilo delle condizioni lavorative, economiche, familiari e di irreprensibilità della condotta” (TAR Lazio, Sezione I ter, sentenze nn. 158/2017, 1784/2016;
Consiglio di Stato, sez. VI, 9 novembre 2011, n. 5913;
n. 52 del 10 gennaio 2011;
n. 282 del 26 gennaio 2010;
Tar Lazio, sez. II quater, n. 3547 del 18 aprile 2012).

L'interesse pubblico sotteso al provvedimento di concessione della particolare capacità giuridica, connessa allo status di cittadino, impone, infatti, che si valutino, anche sotto il profilo indiziario, le prospettive di ottimale inserimento del soggetto interessato nel contesto sociale del Paese ospitante (Tar Lazio, Sez. II quater, n. 5565 del 4 giugno 2013), atteso che, lungi dal costituire per il richiedente una sorta di diritto che il Paese deve necessariamente e automaticamente riconoscergli ove riscontri la sussistenza di determinati requisiti e l'assenza di fattori ostativi, rappresenta il frutto di una meticolosa ponderazione di ogni elemento utile al fine di valutare la sussistenza di un concreto interesse pubblico ad accogliere stabilmente all'interno dello Stato comunità un nuovo componente e dell'attitudine dello stesso ad assumersene anche tutti i doveri ed oneri (cfr., ex multis, Consiglio di Stato n.798 del 1999).

Trattandosi di esercizio di potere discrezionale da parte dell’amministrazione, il sindacato sulla valutazione compiuta dall'Amministrazione non può che essere di natura estrinseca e formale;
non può spingersi, quindi, al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell'esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole (Cons. Stato, Sez. VI, 9 novembre 2011, n. 5913;
Tar Lazio, Sez. II quater, n. 5665 del 19 giugno 2012).

In particolare, con riferimento al diniego di concessione della cittadinanza per motivi di sicurezza, la giurisprudenza ha più volte rilevato che il provvedimento di diniego della richiesta cittadinanza italiana non deve necessariamente riportare analiticamente le notizie sulla base delle quali si è addivenuti al giudizio di sintesi finale, essendo sufficiente quest’ultimo, in quanto ciò potrebbe in qualche modo compromettere l’attività preventiva o di controllo da parte degli organi a ciò preposti ed anche le connesse esigenze di salvaguardia della incolumità di coloro che hanno effettuato le indagini (Cons. Stato, sez. III, sentenza n. 5262 del 6 settembre 2018;
n. 3206 del 29 maggio 2018).

Gli accertamenti sulla sicurezza pubblica sono, infatti, naturalmente riservati e quando non sono posti a base di misure limitative della libertà o di altri diritti costituzionalmente garantiti, ma danno luogo alla formulazione di una valutazione riferibile al potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (e che può essere risollecitata dopo cinque anni dall'emanazione del diniego, ai sensi dell'art. 8, comma 1, della legge n. 91 del 1992), ben possono essere esternati con formule sintetiche che, piuttosto che configurarsi meramente apodittiche, hanno l'obiettivo di evitare il disvelamento di notizie che potrebbero compromettere anche solo attività di "intelligence" in corso (così Tar, II quater 4 luglio 2017 n. 7712, ma cfr. anche Cons. Stato, Sez. VI 4 dicembre 2009 n. 7637 e, 2 marzo 2009 n. 1173) e le connesse esigenze di salvaguardia della incolumità di coloro che hanno effettuato le indagini (Cons. Stato, sez. III, sentenza n. 5262 del 6 settembre 2018;
n. 3206 del 29 maggio 2018).

Non si tratta, all’evidenza, di un giudizio di pericolosità sociale, passibile di misure di prevenzione, né presuppone l’adozione di sanzioni penali, ma solo di una valutazione di prevalenza dell’interesse pubblico a non inserire stabilmente nella comunità chi, allo stato degli atti, si ritenga esprima la propria vicinanza a movimenti aventi scopi non compatibili con la sicurezza della Repubblica.

Né la natura di alta amministrazione del provvedimento gravato consente a questo giudice di sostituire valutazioni di merito, riservate all’Autorità amministrativa preposta, con altre, attesi i vincoli al sindacato giurisdizionale in questa materia.

Ciò precisato, il Collegio ritiene che, nella specie, l'obbligo di motivazione sia stato puntualmente adempiuto con conseguente infondatezza del primo motivo di ricorso.

Infondata è altresì la censura di violazione dell’art. 6 della legge 91/92, atteso che la previsione non trova applicazione ai procedimenti per la concessione della cittadinanza per naturalizzazione, ma alla ben diversa ipotesi di cui all’art. 5 di acquisto della cittadinanza.

Il conferimento della cittadinanza italiana presuppone l'accertamento di un interesse pubblico da valutarsi anche in relazione ai fini propri della società nazionale e non già sul semplice riferimento dell'interesse privato di chi si risolve a domandare la cittadinanza per il soddisfacimento di personali esigenze.

La sicurezza della Repubblica è, infatti, interesse di rango certamente superiore rispetto all'interesse di uno straniero ad ottenere la cittadinanza italiana ed il riconoscimento della cittadinanza, per sua natura irrevocabile, presuppone che "nessun dubbio, nessuna ombra di inaffidabilità del richiedente sussista, anche con valutazione prognostica per il futuro, circa la piena adesione ai valori costituzionali su cui Repubblica Italiana si fonda" (così Cons. Stato, Sez. III, 14 febbraio 2017 n. 657).

A tale riguardo la Corte Costituzionale ha affermato che la rilevanza dell'interesse della sicurezza dello Stato-comunità alla propria integrità ed alla propria indipendenza trova espressione nell'art. 52 della Costituzione (Corte Costituzionale n. 24 del 2014).

Si evidenzia, inoltre, che la particolare cautela che deve ispirare la valutazione di un’istanza di concessione della cittadinanza risulta bilanciata dalla possibilità di reiterarla una volta che siano mutate le condizioni oggettive sottese all’esito negativo originario ovvero, più genericamente, per ottenere il riesercizio del potere valutativo da parte dell’Amministrazione una volta decorsi i 5 anni previsti dall’art. 8, comma 1, l. n. 92/1991 (così CdS III 2102/2019), nel caso di specie già scaduti.

Né, da parte sua, il ricorrente offre elementi che possano integrare meriti speciali, atteso che lo stabile inserimento è solo il prerequisito per la richiesta di cittadinanza, per quanto sopra osservato e non appare neanche significativo della insussistenza dei motivi ostativi di cui si tratta, posto che la contiguità con movimenti eversivi non è esclusa dallo stabile inserimento nella realtà economica, necessario, peraltro, per mantenersi e conservare il titolo di soggiorno.

La circostanza, poi, che i due figli maggiori del ricorrente abbiano ottenuto la cittadinanza non inficia la legittimità del procedimento, trattandosi di soggetti maggiorenni in relazione ai quali, all’evidenza, non sono emerse informazioni ostative, come nel caso del ricorrente, a conferma dell’autonomia delle valutazioni dell’Amministrazione in ordine alla idoneità del richiedente la naturalizzazione.

Ciò premesso, a fronte di un elemento ostativo quale quello posto a base del provvedimento, il preavviso di rigetto si presenta come inutile, atteso che la partecipazione del privato non avrebbe potuto condurre ad un esito diverso, in considerazione del principio della conservazione dei provvedimenti Amministrativi di cui all’art. 21-octies, comma 2, della stessa legge n. 241/1990 (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 25 giugno 2013, n. 3458;
Sez. II, 12 giugno 2017, n. 1394;
Sez. I, n. 2666/2017 del 21 dicembre 2017), anche in ragione del carattere secretato delle informazioni assunte a carico dell’interessato, che non ne avrebbe comunque consentito l’ostensione, come prevede l’art. 2, comma 1, lett. d) del decreto del Ministro dell’Interno n. 415/1998 (vedi tra le altre Tar Lazio I ter 6000/2018).

Deve, pertanto, concludersi che il provvedimento impugnato risulta scevro dalle dedotte censure, tenuto conto dei rischi derivanti dall’inserimento stabile nel territorio con il conferimento dello status civitatis a soggetto contiguo con movimenti passibili di mettere in pericolo la sicurezza pubblica (cfr. Tar Lazio n. 3421/2019 in analoga controversia).

In conclusione il ricorso deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

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