TAR Milano, sez. III, sentenza 2024-09-04, n. 202402368

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Milano, sez. III, sentenza 2024-09-04, n. 202402368
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Milano
Numero : 202402368
Data del deposito : 4 settembre 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 04/09/2024

N. 02368/2024 REG.PROV.COLL.

N. 02921/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2921 del 2017, integrato da motivi aggiunti, proposto da
Varese Porfidi S.r.l., F G, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’avvocato M B, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, via della Guastalla, 2 e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Varese, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato S S, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, viale Elvezia 12 e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

Provincia di Varese, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato D A, con domicilio eletto presso gli uffici dell’Ente in Varese, piazza Libertà n. 1 e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l’annullamento

1) Per quanto riguarda il ricorso introduttivo:

- della nota prot. n. 55793 in data 12.10.2017, ricevuta il medesimo giorno, con cui la Provincia di Varese ha comunicato alla Varese Porfidi che “con effetto immediato dalla data di ricevimento della presente, è tenuta a cessare l’attività di recupero di rifiuti non pericolosi svolta mediante il gruppo mescolatore presso l’insediamento sito in Varese - Via Lungolago Schiranna n. 15 ai sensi dell’art. 216 del d.lgs. 152/06 in forza della comunicazione presentata in data 20.11.2012” “fino ad avvenuta regolarizzazione delle opere edilizie” rilevate dal Comune con la nota prot. n. 9053/2017 di seguito indicata;

- della nota prot. n. 9053 in data 18.09.2017, ricevuta il 19.09.2017, con cui il Comune di Varese ingiunto ai ricorrenti “la demolizione delle opere abusivamente realizzate (…) e la restituzione in pristino allo stato originario dell’intera area interessata dagli interventi indicati” nonché “la restituzione allo stato autorizzato relativamente alle opere” indicate nella predetta nota nel termine di novanta giorni dalla notifica;

- di tutti gli atti inerenti, conseguenti, connessi e presupposti a cominciare da, se ed in quanto necessario: - la nota prot. n. 6913 in data 14.07.2017 con cui il Comune ha avviato un

procedimento amministrativo per accertare lo stato dei luoghi in relazione ai titoli abilitativi rilasciati in ordine al comparto in discorso;
- la nota prot. n. 73046 in data 26.07.2017 con cui il Comune ha comunicato l’integrazione di avvio del procedimento in ordine ad alcuni manufatti ritenuti in tutto o in parte privi dei necessari titoli abilitativi, assegnando ai ricorrenti il termine di quindici giorni per presentare documenti e memorie;

- nonché di tutti gli altri atti presupposti connessi e/o conseguenziali, anche non conosciuti, con espressa riserva di motivi aggiunti;

2) Per quanto riguarda il ricorso per motivi aggiunti presentato da Varese Porfidi Srl il 3 febbraio 2018:

- della nota prot. n. 63165/2017, con la quale la Provincia ha confermato “dunque integralmente i contenuti del succitato provvedimento dello scrivente Ente del 12.10.2017, prot. n. 55793”;

- dei provvedimenti già impugnati con il ricorso introduttivo;

3) Per quanto riguarda il ricorso per motivi aggiunti presentato da Varese Porfidi Srl il 22 settembre 2018:

- della nota prot. n. 60015/2018, notificata in data 15.06.2018, con la quale il Comune comunicato il diniego alla “richiesta di Autorizzazione Paesaggistica in Sanatoria APSA31/2017 P1, Pgn. 124817, presentata Sig. G Fulvio;

- della nota prot. n. 66692/2018 notificata in data 20.06.2018, con cui il Comune ha comunicato che “si provvede ad archiviare la richiesta di autorizzazione paesaggistica in sanatoria” APSA7/2018 P1, Pgn. 55123 del 22/05/2018;

- della nota prot. n. 66690/2018 notificata in data 20.06.2018, con cui il Comune ha comunicato che “si provvede ad archiviare la richiesta di autorizzazione paesaggistica in sanatoria”

APSA

8/2018 P1, Pgn. 55115 del 22/05/2018;

- della nota prot. n. 25992/18, ex art 10-bis, L. n. 241/990 con cui il Comune ha comunicato che “parte delle opere sopra elencate e in particolare i <<4 manufatti retrattili>>
e la tettoia di maggiore lunghezza rispetto a quella autorizzata, determinano la creazione di superfici utili e di volumi, configurando delle nuove costruzioni, interventi non previsti tra quelle per le quali è possibile ottenere l’accertamento di compatibilità paesaggistica e conseguentemente il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria ai sensi del citato art. 167, comma 4, del D.Lgs 42/04”;

- nonché di tutti gli atti inerenti, conseguenti, connessi e presupposti;

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Varese e di Provincia di Varese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 luglio 2024 il dott. Fabrizio Fornataro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1) Dalle allegazioni delle parti e dalla documentazione prodotta in giudizio emerge che:

- F G è proprietario del comparto ubicato in Varese, Lungo Lago della Schiranna, n. 15, condotto in locazione dalla Varese Porfidi s.r.l., che svolge attività di rivendita di materiali edili, nonché di stoccaggio, frantumazione e smaltimento di materiali inerti e rifiuti non pericolosi;

- a seguito di apposito sopralluogo presso l’impianto, il Comune di Varese constatava l’esistenza di manufatti ritenuti in tutto o in parte privi dei necessari titoli abilitativi e, in data 18 settembre 2017, con provvedimento n. 9053, ne ingiungeva la demolizione nel termine di novanta giorni;

- con determinazione n. 55793, datata 12 ottobre 2017, la Provincia ordinava alla società di cessare con effetto immediato l’attività di recupero rifiuti mediante il gruppo mescolatore;

- con nota del 13 novembre 2017 i ricorrenti chiedevano di poter utilizzare il macchinario quantomeno per lo svolgimento dell’attività di confezionamento del premiscelato;

- con atto n. 63165, datato 21 novembre 2017, la Provincia confermava il provvedimento del 12 ottobre, integrandolo con la precisazione per cui il macchinario poteva essere utilizzato per lo svolgimento di attività produttive, a condizione che le stesse non si configurassero come operazioni di recupero dei rifiuti;

- in data 15 dicembre 2017, G chiedeva il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria, ex artt. 36 e 37 del D.P.R. n. 380 del 2001 in relazione al gruppo mescolatore, alla platea, alle tende retrattili, alla tettoia e al deposito;
in pari data presentava anche una richiesta di accertamento di compatibilità paesaggistica ex art. 167 d.lgs. 42/2004;

- in data 19 dicembre 2017, G presentava un’istanza volta al rilascio di un titolo in sanatoria per i materiali depositati, cui seguiva, in data 5 giugno 2018, il diniego dell’amministrazione comunale;

2) Con il ricorso introduttivo, i ricorrenti impugnano sia l’ordinanza di demolizione adottata dal Comune di Varese, sia il provvedimento della Provincia recante l’inibizione all’uso del mescolatore.

Con il primo ricorso per motivi aggiunti contestano la successiva determinazione provinciale n. 63165, datata 21 novembre 2017, recante la conferma del provvedimento del 12 ottobre, mentre con il secondo ricorso per motivi aggiunti si dolgono del provvedimento comunale di rigetto dell’istanza di autorizzazione paesaggistica in sanatoria.

3) Devono essere esaminate in via pregiudiziale le eccezioni di rito formulate dalle parti resistenti.

3.1) E’ parzialmente fondata l’eccezione di inammissibilità sollevata dal Comune di Varese in relazione al cumulo della domande di annullamento introdotte con le impugnazioni proposte.

Nel processo amministrativo impugnatorio la regola generale è che il ricorso abbia ad oggetto un solo provvedimento e che i motivi di gravame si correlino strettamente a quest’ultimo, salvo che tra gli atti impugnati esista una connessione procedimentale o funzionale - da accertarsi in modo rigoroso onde evitare la confusione di controversie con conseguente aggravio dei tempi del processo, ovvero l’abuso dello strumento processuale per eludere le disposizioni fiscali in materia di contributo unificato - tale da giustificare la proposizione di un ricorso cumulativo (cfr. Cons. St., Ad. PL., 27 aprile 2015, n. 5;
Cons. Stato, Sez. IV, 26 agosto 2014, n. 4277;
Sez. V, 27 gennaio 2014, n. 398;
Sez. V, 14 dicembre 2011, n. 6537).

Il ricorso cumulativo, proposto avverso una pluralità di provvedimenti, postula che essi siano riferibili al medesimo procedimento amministrativo, seppur inteso nella sua più ampia latitudine semantica e che con il gravame vengano dedotti vizi che colpiscano, nelle medesima misura, i diversi atti impugnati, di modo che la cognizione delle censure dedotte a fondamento del ricorso interessi allo stesso modo il complesso dell’attività provvedimentale contestata dal ricorrente (cfr. Cons. St., sez. III, 14.12.2022 n. 10945)

La connessione oggettiva si configura allorché fra gli atti impugnati sussista: a) quantomeno una connessione procedimentale di presupposizione giuridica o di carattere logico, in quanto i diversi atti incidono sulla medesima vicenda;
b) le domande cumulativamente avanzate si basino sugli stessi presupposti di fatto o di diritto e siano riconducibili nell’ambito del medesimo rapporto o di un’unica sequenza procedimentale;
b) sussistano elementi di connessione tali da legittimare la riunione dei ricorsi.

Si tratta pertanto di situazioni in cui si verifica un’identità di causa petendi e un’articolazione del petitum, che, tuttavia, risulta giustificata dalla riferibilità delle diverse domande di annullamento alle medesime ragioni fondanti la pretesa demolitoria che, a sua volta, ne legittima la trattazione congiunta (Cons. St., sez. III, 20 ottobre 2021, n. 7045;
Cons. St., sez. V, 13 giugno 2016 n. 2543)

Nel caso in esame, il Comune ha ordinato la demolizione di diversi manufatti privi di titolo abilitativo, tra cui anche il “gruppo miscelatore” utilizzato dalla società ricorrente per lo smaltimento di rifiuti non pericolosi e la Provincia ha successivamente adottato un’ordinanza di inibizione dell’attività di recupero di rifiuti in ragione del carattere abusivo del gruppo mescolatore, accertato con il provvedimento comunale, per poi confermare la determinazione assunta mediante il provvedimento del 21 novembre 2017.

La connessione funzionale sussiste solo tra l’ordine di demolizione comunale nella parte in cui dispone in relazione al gruppo mescolatore e i successivi provvedimenti provinciali, che muovono dal presupposto del carattere abusivo del particolare manufatto.

L’ordine di demolizione ha un contenuto complesso, perché si estende ad una pluralità di opere ritenute abusive, ma la connessione funzionale con i provvedimenti provinciali, che legittima la proposizione del ricorso cumulativo, sussiste solo in relazione alla parte del provvedimento comunale che ha ad oggetto il gruppo mescolatore.

Rispetto alle ulteriori determinazioni contenute nell’ordine di demolizione non sussistono i presupposti per la presentazione di un ricorso cumulativo, difettando la connessione oggettiva con le determinazioni provinciali gravate.

Ne deriva che il ricorso cumulativo è ammissibile solo in relazione alla contestazione del provvedimento comunale nella parte in cui dispone la demolizione del gruppo mescolatore e alla impugnazione delle due delibere provinciali.

Viceversa, il ricorso cumulativo è inammissibile nella parte in cui contesta l’ordine di demolizione in relazione a profili che non attengono al manufatto ora indicato.

Parimenti è inammissibile l’impugnazione, effettuata con il secondo ricorso per motivi aggiunti, del diniego di autorizzazione paesaggistica in sanatoria, trattandosi di un atto che non presenta una connessione oggettiva con i provvedimenti impugnati in via principale e con il primo ricorso per motivi aggiunti, tale da consentirne la disamina in un giudizio introdotto mediante un ricorso cumulativo.

In altre parole, il ricorso cumulativo è ammissibile nella parte in cui ha ad oggetto l’ordine di demolizione del mescolatore e l’inibizione contenuta nell’ordinanza della Provincia, che rinvia, in motivazione, all’atto del Comune;
parimenti, è ammissibile il primo ricorso per motivi aggiunti perché ha ad oggetto l’atto con cui la Provincia ha confermato la prima inibizione precisandone il contenuto e muovendo sempre dal presupposto del carattere abusivo, sul piano edilizio, del gruppo mescolatore.

Non sussistono, invece, i presupposti per la trattazione cumulativa della domanda introdotta con il secondo ricorso per motivi aggiunti, avente ad oggetto il diniego di autorizzazione paesaggistica, rispetto al quale non si evidenzia la connessione oggettiva di tipo procedimentale, anche in senso lato, rispetto agli altri provvedimenti gravati.

3.2) E’ fondata l’eccezione con la quale la Provincia deduce l’improcedibilità del ricorso principale, nella parte in cui censura il provvedimento della Provincia di Varese datato 12 ottobre 2017.

Come già accennato, l’ordine di demolizione è stato oggetto di rivalutazione da parte dell’amministrazione, a seguito della dialettica procedimentale introdotta dal ricorrente.

In particolare la Provincia, con il provvedimento in data 21 novembre 2017, ha confermato il precedente del 12 ottobre 2017, integrandolo con la precisazione per cui il macchinario può essere utilizzato per lo svolgimento di attività produttive a condizione che le stesse non consistano in operazioni di recupero dei rifiuti.

Non si tratta di un atto meramente confermativo, come tale inidoneo ad incidere sull’interesse ad impugnare il provvedimento confermato, ma di una conferma conseguente alla rivalutazione della fattispecie complessiva con delimitazione dell’ambito di riferimento dell’ordine inibitorio.

Ne consegue che il nuovo provvedimento si sostituisce al primo nella disciplina del concreto assetto di interessi sottoposto al vaglio dell’amministrazione, sicché l’impugnazione, con il ricorso principale, dell’inibizione datata 12 ottobre 2017 non è più supportata da un concreto interesse, in quanto il suo eventuale accoglimento non arrecherebbe un vantaggio giuridicamente rilevante ai ricorrenti, la cui sfera giuridica trova disciplina nel sopravvenuto provvedimento confermativo (sul punto, ex multis, Consiglio di Stato, sez. I, 28 settembre 2023 n. 1236 e Consiglio di Stato, sez. IV, 12 febbraio 2015 n. 758).

Va, pertanto, ribadita l’improcedibilità in parte qua del ricorso principale.

4) Il ricorso principale è manifestamente infondato nella parte in cui è diretto a contestare l’ordine di demolizione del Gruppo mescolatore e ciò consente di prescindere dall’esame dell’eccezione di improcedibilità del ricorso per mancata impugnativa del silenzio diniego formatosi sulle istanze di accertamento di conformità ex art. 36 D.P.R. 380/2001, sollevata dal Comune di Varese.

In primo luogo non è condivisibile la censura secondo la quale la deliberazione del Consiglio Comunale n. 27 del 12 giugno 2014 recante l’approvazione del PGT, che individua l’ambito in zona di completamento, avrebbe comportato la sanatoria delle opere esistenti.

La giurisprudenza da tempo ha precisato che l’approvazione del PGT non può sanare gli eventuali abusi edilizi commessi (Consiglio di Stato, sez. IV, 5 maggio 2017 n. 2063 e, più di recente, Consiglio di Stato, sez. VI, 13 dicembre 2019 n. 8476).

Per il principio di doppia conformità, infatti, il presupposto per il rilascio del permesso in sanatoria è la non contrarietà del manufatto abusivo alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della sua realizzazione, sia al tempo della domanda di sanatoria.

Pertanto, non è sufficiente che il permesso di costruire sia conforme al PGT come modificato dalla delibera del Comune del 2014, mancando in ogni caso il requisito della compatibilità dell’opera con la regolamentazione urbanistica in vigore all’epoca dell’edificazione.

Parimenti è destituita di fondamento la doglianza con la quale si contesta il carattere abusivo della platea sulla quale è installato il gruppo mescolatore, atteso che la documentazione in atti, non superata dalle deduzioni difensive, palesa che essa ha dimensioni maggiori rispetto a quanto autorizzato.

Non può essere condiviso l’assunto dei ricorrenti per cui la costruzione di una platea rientrerebbe nel novero delle “opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni” riconducibili all’articolo 6 DPR 380/2001.

Gli interventi di edilizia libera, infatti, sono solamente quelli che presentano un’entità minima sia in termini assoluti, che in rapporto al contesto in cui si collocano e all’edificio cui accedono.

L’articolo 6 D.P.R. 380/2001 deve essere interpretato in modo restrittivo, in quanto eccezione alla regola del controllo pubblico sugli interventi edilizi e ciò in ragione del principio di ragionevolezza desumibile in generale dall’art. 3 Cost., che disciplina, tra l’altro, il rapporto tra regola ed eccezione, restringendo l’ambito di quest’ultima in favore della prima.

Ne deriva che l’art. 6 cit. si riferisce solo alle opere che non interferiscano sullo stato dei luoghi e non determinino una significativa trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio (cfr. TAR Milano, sez. II, 6 settembre 2018, n. 2049).

Nel caso di specie, la platea realizzata non è di modeste dimensioni, sostanziandosi nella copertura del suolo con dimensioni di circa 68x18 metri.

Ne deriva la legittimità dell’ordine di demolizione della platea, disposto in ragione dell’abusività dell’opera perché eseguita in assenza del permesso di costruire, necessario nelle ipotesi di cui si tratta (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 27 settembre 2022, n. 8320, che ha escluso che la posa di una pedana possa rientrare nelle opere di edilizia libera).

Proprio le caratteristiche dell’opera conducono anche a escluderla dall’esonero di cui all’Allegato A richiamato dall’articolo 2 D.P.R 31/2017.

L’intervento in esame, invero, ha comportato una trasformazione urbanistica del terreno e non è, in ogni caso, riconducibile al concetto di “adeguamento di spazi pavimentati”.

Il gruppo mescolatore è un manufatto di notevoli dimensioni, stabilmente ancorato al suolo. Ciò comporta che la sua installazione presuppone il rilascio del permesso di costruire;
ciò che rileva a tali fini è l’oggettiva idoneità delle installazioni a trasformare in modo permanente il territorio, circostanza che si verifica quando un’opera è destinata a fornire un’utilità prolungata nel tempo (cfr. T.A.R. Lazio - Latina, sez. I, 25 febbraio 2019, n. 119 e T.A.R. Emilia Romagna, sez. II, 21 ottobre 2009, n. 1922).

Contrariamente a quanto adombrato dai ricorrenti non era sufficiente la presentazione della SCIA ai sensi degli articoli 124 e 125 LR 2009/33;
invero, le norme citate richiedevano, nella versione illo tempore vigente, una dichiarazione di inizio attività produttiva in sostituzione dell’autorizzazione sanitaria, ossia per finalità evidentemente estranee a quelle edilizie ed urbanistiche.

Neppure merita condivisione la doglianza tesa a contestare la mancanza di una più puntuale motivazione in ragione del tempo trascorso dalla realizzazione delle opere.

L’indirizzo ermeneutico richiamato dai ricorrenti non è più attuale, atteso che la più recente e ora consolidata giurisprudenza (cfr. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 17 ottobre 2017, n. 9) ha evidenziato che “nel caso di tardiva adozione del provvedimento di demolizione, la mera inerzia da parte dell’amministrazione nell’esercizio di un potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l’edificazione sine titulo) è sin dall’origine illegittimo. Allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere "legittimo" in capo al proprietario dell’abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata”.

Del resto, l’ordine di demolizione dell’opera priva di titolo legittimante non è espressione del potere di autotutela, ma una misura autoritativa diretta a garantire l’osservanza della disciplina urbanistica ed edilizia, a fronte della quale non si configura un legittimo affidamento della parte privata da ponderare con l’interesse pubblico.

Diversamente opinando, si consentirebbe una sanatoria extra ordinem e praeter legem fondata sul decorso del tempo e sull’inerzia della pubblica amministrazione.

Pertanto, l’ordine di demolizione non deve esplicitare in motivazione le ragioni di interesse pubblico che sottendono il potere esercitato e che impongono la demolizione dell’abuso anche nel caso di prolungata inerzia da parte della pubblica amministrazione, non sorgendo alcuna aspettativa legittimamente tutelata in capo ai ricorrenti.

In definitiva sono destituite di fondamento le censure dirette a contestare il provvedimento comunale nella parte in cui ordina la demolizione del gruppo mescolatore.

5) Quanto al primo ricorso per motivi aggiunti, il Tribunale evidenzia che la legittimità dell’ordine di demolizione comunale, in relazione alle censure che investono il gruppo mescolatore, induce a dubitare dell’attualità dell’interesse alla decisione dell’impugnazione del provvedimento provinciale, già dovendo cessare l’attività di recupero di rifiuti non pericolosi in conseguenza della demolizione dell’opera indicata.

Nondimeno per completezza di esposizione, il Tribunale evidenzia che il provvedimento provinciale si sottrae alle contestazioni mosse dai ricorrenti.

In primo luogo, non è condivisibile la tesi secondo cui la difformità edilizia non rileverebbe ai sensi dell’articolo 216, comma 4, del d.lgs. 152/2006.

Invero, è principio consolidato in giurisprudenza che l’esercizio di un’attività commerciale non può prescindere dalla regolarità urbanistico-edilizia delle costruzioni per esso utilizzate.

Per evitare che l’imprenditore possa continuare a svolgere in via di fatto la sua attività senza il titolo edilizio deve essere riconosciuto il potere-dovere inibitorio dell’amministrazione all’esito dell’accertata abusività delle opere costruttive (cfr. inter alia, Consiglio di Stato, sez. V, 7 novembre 2022, n. 9786 e Consiglio di Stato, sez. VI, 23 ottobre 2015, n. 4880).

Da ciò consegue che il diniego di esercizio di attività è legittimo qualora sia basato su comprovate ragioni di abusività edilizia dell’opera, di cui la Provincia deve tenere conto.

In tal senso depone il quadro disciplinare di riferimento.

In particolare, la Deliberazione della Giunta Regionale della Lombardia, 6 agosto 2002, n. 7/10161 stabiliva che “Nel caso in cui le operazioni di recupero e/o smaltimento sono previste in strutture esistenti, dovrà essere attestata la regolarità delle opere civili (Concessione edilizia, condono, DIA, ecc.)”.

Più di recente, la Deliberazione della Giunta Regionale della Lombardia 30 dicembre 2020, n. XI/4174 ha disposto che la relazione tecnica a corredo delle istanze per l’autorizzazione unica di impianti di gestione rifiuti, ai sensi degli artt. 208, 209 e 211 del d.lgs. 152/2006, deve riportare “l’elenco delle autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, nulla osta e assensi già acquisiti (che devono essere allegati) o da acquisirsi ai fini della realizzazione e gestione dell’impianto” (Allegato 8 B).

Sotto altro profilo va osservato che il provvedimento provinciale riflette il canone della proporzionalità, contrariamente a quanto ritenuto dai ricorrenti.

La Provincia ha espressamente limitato l’inibizione alla sola attività di recupero di rifiuti non pericolosi, delimitando così in modo del tutto adeguato l’ambito di incidenza del proprio provvedimento, in coerenza con le premesse da cui muove.

Pertanto, è rispettato il principio dell’adeguatezza, che ha il ruolo di guida nella comparazione tra l’interesse pubblico e le altre posizioni giuridicamente protette, nonché il canone di necessarietà, che impone di preferire la scelta meno onerosa per il ricorrente.

Le considerazioni svolte palesano la manifesta infondatezza anche della censura volta a contestare l’illegittima paralisi di tutte le attività svolte dai ricorrenti, trattandosi di una tesi smentita dall’inequivoco contenuto del provvedimento provinciale, che riferisce l’ordine di inibizione alle sole “operazioni di recupero di rifiuti non pericolosi”.

Né il provvedimento è censurabile sotto il profilo dell’efficacia temporale.

Invero è del tutto ragionevole e coerente con la situazione di fatto e con la natura degli interessi pubblici da salvaguardare la decisione della Provincia di attribuire effetto immediato all’ordinanza: il presupposto della demolizione è l’assenza del titolo edilizio, constatata dal Comune con l’ordine di demolizione e non l’inottemperanza all’ordine di demolizione, sicché l’attività doveva essere immediatamente inibita, restando irrilevante il termine assegnato per l’esecuzione dell’ordine di demolizione.

6) In definitiva, il ricorso principale è in parte inammissibile, laddove contesta l’ordine di demolizione comunale per profili che non attengono al gruppo mescolatore;
in parte infondato, laddove censura l’ordine di demolizione del gruppo mescolatore e in parte improcedibile per ciò che attiene all’impugnazione del primo provvedimento provinciale di inibizione.

Il primo ricorso per motivi aggiunti è infondato e deve essere respinto, mentre il secondo ricorso per motivi aggiunti è inammissibile.

La particolare articolazione della fattispecie concreta e le questioni giuridiche sottese alle impugnazioni conducono a compensare tra le parti le spese della lite.

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