TAR Napoli, sez. IV, sentenza 2012-05-29, n. 201202558

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. IV, sentenza 2012-05-29, n. 201202558
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201202558
Data del deposito : 29 maggio 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00939/1996 REG.RIC.

N. 02558/2012 REG.PROV.COLL.

N. 00939/1996 REG.RIC.

N. 07066/1996 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 939 del 1996, proposto da:
C P, rappresentato e difeso dall'avv. F V, con domicilio eletto presso il suo studio, in Napoli, in Napoli, via Nuova Marina, n. 5;

contro

Comune di Napoli, rappresentato e difeso dall'avv. G B T, con domicilio eletto in Napoli, presso l’Avvocatura Municipale, piazza S.Giacomo;



sul ricorso numero di registro generale 7066 del 1996, proposto da:
C P, rappresentato e difeso dall'avv. F V, con domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, via Nuova Marina, n. 5;

contro

Comune di Napoli, rappresentato e difeso dagli avv. Giuseppe Tarallo, Barbara Accattatis Chalons D'Oranges, Antonio Andreottola, Eleonora Carpentieri, Bruno Crimaldi, Annalisa Cuomo, Anna Ivana Furnari, Giacomo Pizza, Anna Pulcini, Bruno Ricci, Gabriele Romano, con domicilio eletto in Napoli presso l’Avvocatura Municipale, piazza S. Giacomo;

per l'annullamento

- quanto al ricorso n. 939 del 1996:

dell’Ordinanza sindacale di sospensione lavori n. 3085/UOA dell’1.12.1995 e dell’Ordinanza sindacale di demolizione n. 3126/UOA notificata il 4.12.1995, nonché ogni altro atto preordinato, connesso o consequenziale;

- quanto al ricorso n. 7066 del 1996:

dell’Ordinanza sindacale n. 52 c.a. 710/95 del 30.5.1996, nonché per quanto possa occorrere dell’Ordinanza sindacale di demolizione n. 3126/UOA, nonché ogni altro atto preordinato, connesso o consequenziale, fra cui il verbale di sopralluogo U.O.S.A.E. del 19.4.1996;


Visti i ricorsi e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 marzo 2012 il dott. Fabrizio D'Alessandri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Il Comune di Napoli, a fronte dell’accertamento che parte ricorrente avesse eseguito senza concessione edilizia opere abusive ed, in particolare, su di un suolo di circa 1100 mq. “una recinzione con muro in tufo, oltre a lavori di sbancamento per circa 400 mq. per una profondità di tre metri circi. Internamente allo scavo si evincono tratti di collegamento in c.a. con realizzazione di 23 pilastrini alcuni gettati ed altri con cassonetti in legno”, in Napoli, Via Cupa Arianova, emetteva prima l’Ordinanza di sospensione ad horas dei lavori n. 3085/UOA dell’1.12.1995 e, successivamente, l’Ordinanza di demolizione n. 3126/UOA.

Parte ricorrente, con ricorso notificato il 13.1.1996, iscritto al R.G. n. 939/96, impugnava i suindicati provvedimenti, nonché ogni altro atto preordinato, connesso o consequenziale, chiedendone l’annullamento.,

Successivamente, il Comune di Napoli, con l’Ordinanza sindacale prot. n. 52 c.a. 710/95 del 30.5.1996, accertava l’inottemperanza alla’intimazione di demolite di cui alla precedente dell’Ordinanza sindacale n. 3126/UOA ed ordinava l’acquisizione gratuita al patrimonio del Comune delle relative opere abusive.

Parte ricorrente, con ricorso notificato il 20.9.1996, iscritto al R.G. n. 7066/96, impugnava il suindicato provvedimento di acquisizione delle aree, nonché per quanto possa occorrere dell’Ordinanza sindacale di demolizione n. 3126/UOA e ogni altro atto preordinato, connesso o consequenziale, fra cui il verbale di sopralluogo U.O.S.A.E. del 19.4.1996, chiedendone l’annullamento.

Si costituiva in entrambi i giudizi il Comune intimato, formulando argomentazioni difensive.

DIRITTO

1) I due ricorsi sono connessi sia in senso soggettivo, riguardando le stesse parti, che in senso oggettivo, riguardando la vicenda sanzionatoria delle medesime opere ritenute abusive.

I due procedimenti vanno pertanto riuniti e, in particolare, il ricorso di cui al R.G. 7066/96 va riunito al ricorso di cui al R.G. 939/96.

2) Il ricorso di cui al R.G. 939/96 si rivela in parte inammissibile ed in parte infondato.

Il Collegio rileva come sia inammissibile per carenza di interesse l’impugnativa dell’Ordinanza di sospensione lavori n. 3085/UOA dell’1.12.1995.

Il Comune, infatti, prima della proposizione del ricorso aveva già adottato il provvedimento sanzionatorio definitivo e, nella specie, l’Ordinanza sindacale di demolizione n. 3126/UOA, che aveva fatto venir meno in via definitiva l’efficacia dell’ordine di sospensione, ai sensi dell’allora vigente art. 4 della legge n. 47 del 1985 (oggi art.27 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), secondo cui “il sindaco ordina l'immediata sospensione dei lavori, che ha effetto fino all'adozione dei provvedimenti definitivi di cui ai successivi articoli, da adottare e notificare entro quarantacinque giorni dall'ordine di sospensione dei lavori”.

Al momento della proposizione del ricorso, quindi, gli effetti dell’ordinanza di sospensione erano venuti meno e solo dall’ordinanza di demolizione derivavano effetti lesivi a carico del ricorrente, di tal che non sussisteva alcun plausibile interesse all’impugnativa del provvedimento sospensione.

3) Le censure mosse nei confronti dell’Ordinanza sindacale di demolizione n. 3126/UOA sono da rigettare.

3.1) Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente ha lamentato il difetto di istruttoria e di motivazione, in quanto il Comune non avrebbe motivato in termini di interesse pubblico la scelta della sanzione demolitoria.

La censura è infondata in quanto i provvedimenti che irrogano sanzioni previste dalla legge in materia edilizia non necessitano di alcuna specifica motivazione in ordine all’interesse pubblico a disporre il ripristino della situazione conforme a legge (essendo controversa in giurisprudenza la sola ipotesi in cui tra l’illecito e la sanzione demolitoria sia decorso un notevole lasso di tempo TAR Veneto, Sez. II - sentenza 13 marzo 2008 n. 605;
TAR Veneto, Sez. II - sentenza 26 febbraio 2008, n. 454;
.TAR Lombardia - Milano, Sez. II - sentenza 8 novembre 2007 n. 6200), né il Comune ha discrezionalità nello stabilire le sanzioni derivanti dall’inosservanza della normativa urbanistica.

Per costante giurisprudenza, difatti, la diffida a demolire manufatti abusivi è atto vincolato (ex multis, C.d.S., VI, 28 giugno 2004, n. 4743;
C.d.S., sez. V, 10 luglio 2003, n. 4107;
T.A.R. Campania Napoli, Sez. IV, 4 febbraio 2003, n. 617;
15 luglio 2003, n. 8246) e come tale non necessita di motivazione in ordine all'attualità dell'interesse pubblico alla rimozione dell'abuso. Detto interesse è da ritenersi infatti in re ipsa, nella stessa rimozione, rispondendo questa alla esigenza di ripristino dell'assetto urbanistico violato,.

Né assume rilevanza la circostanza, dedotta in modo del tutto generico, che le opere sono in gran parte interrare, in quanto le stesse sono del tutto visibili dall’esterno e costituiscono intervento di trasformazione del territorio.

Allo stesso modo priva di pregio è l’affermazione, anch’essa del tutto generica, in ordine alla natura pertinenziale delle opere che non è supportata da alcun concreto elemento e, anzi, la natura delle opere (recinzione, sbancamento e posa dei pilastri volti alla realizzazione di locali) depongono per l’autonomia funzionale dei manufatti, risultando altresì irrilevante ai fini della definizione di pertinenza in senso urbanistico la mera affermazione che le opere hanno la funzione di deposito del materiale venduto dall’impresa commerciale del ricorrente

Allo stesso modo è da rigettare la censura, anch’essa contenuta nel primo motivo di ricorso secondo cui le opere in questione non avrebbero prodotto una trasformazione del territorio avendo un notevole ingombro ed essendo quasi interamente interrate.

Al riguardo appare evidente come la natura e l’entità delle opere si palesi di rilevanza tale da palesarsi come interventi di trasformazione del territorio necessitanti di concessione edilizia.

Le opere di sbancamento di una certa rilevanza, come quello in esame, così come la costruzione di manufatti (travi e pilasti di cemento armato), nonché di un muro di cinta in tufo sono opere che assumono indubbia rilevanza urbanistica e necessitano del permesso di costruire.

3.2) Con il secondo motivo di ricorso parte ricorrente si duole del difetto di istruttoria e motivazione con riferimento alla mancata valutazione della esatta portata dell'abuso e della sua conformità agli strumenti urbanistici vigenti e al contrasto con l'interesse pubblico.

Tale censura si rileva priva di fondamento, atteso che non necessita di specifica motivazione sull'interesse pubblico l'ordinanza di demolizione di opere edili abusive posto che, una volta accertata l'illecita esecuzione di queste ultime, in mancanza di concessione (ora permesso di costruire), ne deve essere disposta la demolizione indipendentemente dalla verifica della loro eventuale conformità allo strumento urbanistico e della loro sanabilità (Consiglio Stato, sez. V, 09 gennaio 1996, n. 29).

Infatti, l'abusività di un'opera edilizia costituisce già di per sé sola presupposto per l'applicazione della prescritta sanzione demolitoria (Consiglio Stato, sez. V, 30 novembre 2000, n. 6357, nella specie, non è stata ritenuta necessaria una motivazione "ad hoc" sulla non sanabilità dell'opera stessa, se tale questione non è stata mai posta dal proprietario mercè la presentazione dell'istanza di sanatoria) e non costituisce onere del Comune verificare l’astratta sanabilità delle opere in sede di vigilanza sull'attività edilizia (T.A.R. Campania, Sez. IV, 24 settembre 2002, n. 5556;
T.A.R. Lazio, sez. II ter, 21 giugno 1999, n. 1540).

3.3) Con il terzo motivo di ricorso parte ricorrente ha lamentato la violazione di legge e falsa applicazione dell’art.7 della legge n.241/90 per aver l’amministrazione omesso la comunicazione di avvio del procedimento che ha portato al provvedimento di sospensione gravato.

La censura è infondata.

Il Collegio evidenzia l’orientamento giurisprudenziale, a cui ritiene di dover aderisce, secondo cui in ragione del contenuto rigidamente vincolato che li caratterizza, gli atti sanzionatori in materia edilizia, tra cui l'ordine di demolizione di costruzione abusiva, non devono essere preceduti dalla comunicazione d'avvio del procedimento (Consiglio Stato, sez. VI, 24 settembre 2010, n. 7129).

In secondo luogo non risulta che la presenza della parte al sopralluogo ed, in generale, agli atti di accertamento delle violazioni della normativa urbanistica costituisca presupposto di validità o efficacia di tali atti, né parte ricorrente specifica i motivi per i quali dall’assenza del ricorrente al momento della rilevazione dell’infrazione deriverebbe un motivo di illegittimità del conseguente provvedimento sanzionatorio.

In ogni caso il Collegio, in considerazione delle espresse ragioni di rigetto degli altri motivi di ricorso, ritierrebbe applicabile al caso in esame il disposto dell’art.21 octies della legge n.241/90, ai sensi del quale non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti, vertendosi in ambito provvedimentale vincolato e risultando che il contenuto dispositivo del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

L'art. 21 octies, l. n. 241 del 1990, risulta difatti applicabile anche ai procedimenti in corso o già definiti alla data di entrata in vigore della l. n. 15 del 2005 (Consiglio Stato, sez. VI, 18 febbraio 2011, n. 1040).

Ciò in forza della ratio della norma dell’art. 21 octies, l. n. 241 del 1990 volta a far prevalere gli aspetti sostanziali su quelli formali nelle ipotesi in cui le garanzie procedimentali non produrrebbero comunque alcun vantaggio a causa della mancanza di un potere concreto di scelta da parte dell'Amministrazione.

3.4) Con il quarto motivo di ricorso parte ricorrente ha dedotto che i lavori in atto sul terreno del ricorrente sarebbero stati destinati alla realizzazione di un immobile completamente interrato da destinare parte ad uso deposito e parte a parcheggio.

Lamenta al riguardo innanzitutto che i locali interrati non sarebbero stati computabili con gli standards urbanistici e, inoltre, che l’art. 9 della legge n. 122/89 prevedeva la possibilità realizzare nel sottosuolo parcheggi da destinare a pertinenza delle singole unità abitative, in regime di autorizzazione gratuita ed in deroga a strumenti urbanistici e regolamenti edilizi vigenti.

La censura è infondata.

Innanzitutto la circostanza del futuro completo interramento dei locali in costruzione e la destinazione a parcheggio è meramente affermata e inoltre solo parte dei locali sarebbero stati destinati a parcheggio.

In ogni caso assume effetto dirimente il fatto che la demolizione è stata intimata per l’assenza di concessione edilizia che, per opere della natura e dell’entità di quelle in corso di realizzazione risultava essere necessaria.

Quanto eseguito costituiva infatti intervento di trasformazione del territorio bisognevole di concessione edilizia, indipendentemente dalle future intenzioni dei suoi realizzatori in ordine alla sua destinazione.

In ogni caso, peraltro, nel caso di specie risulterebbe del tutto indimostrato il rapporto di pertinenzialità di tali supposti con singole unità immobiliari regolarmente assentite previsto dal citato art. 9.

3.5) Infondato risulta, altresì, il quinto motivo di ricorso incentrato sulla supposta violazione dell’art. 8, comma 7, del D.L. n. 310/95 secondo cui per i parcheggi realizzati nel sottosuolo dei fabbricati non sarebbe necessaria la concessione edilizia, così come non risulterebbe necessaria per gli scavi non riguardanti la coltivazione di cave e torbiere e per recinzioni, muri di cinta e cancellate.

Al riguardo il Collegio evidenzia come il D.L. 26 luglio 1995, n. 310, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 27 luglio 1995, n. 174, è decaduto per mancata conversione in legge e, tra l’altro, alla data di adozione del provvedimento era intervenuta la decadenza.

In ogni caso l’esenzione dalla concessione edilizia (in favore della denuncia di inizio dell'attività) prevista nel suindicato comma 7 per le opere di demolizione, reinterri e scavi, che non riguardino la coltivazione di cave e torbiere, non sarebbe stata applicabile alle opere in esame questione caratterizzate da uno scavo funzionale all’edificazione, così come la medesima esenzione per “parcheggi nel sottosuolo dei fabbricati” non sarebbe stata applicabile in assenza della comprovata attinenza ad un preesistente fabbricato.

Al riguardo i lavori di scavo e sbancamento, in quanto modificano autonomamente l'ambiente, necessitano di permesso di costruire (T.A.R. Piemonte Torino, sez. I, 14 dicembre 2005 , n. 4057).

Allo stesso modo necessitava di permesso di costruire la recinzione in tufo.

In particolare, la giurisprudenza afferma che la valutazione in ordine alla necessità della concessione edilizia per la realizzazione di opere di recinzione va effettuata sulla scorta dei seguenti due parametri: natura e dimensioni delle opere e loro destinazione e funzione (T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 03 luglio 2007 , n. 5968).

Pertanto se per la posa in opera di una semplice recinzione con paletti in ferro, non infissi in muratura nel terreno, o per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie non è necessaria alcuna richiesta di provvedimento concessorio (T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 08 maggio 2007 , n. 4821;
T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 05 novembre 2004 , n. 12554;
T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 23 settembre 2003 , n. 6196), per la realizzazione di una recinzione in muratura (come quella in questione) è necessario il permesso di costruire, incidendo l’opera in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del territorio (T.A.R. Basilicata Potenza, 19 settembre 2003, n. 897;
T.A.R. Liguria Genova, Sez. I, 11 settembre 2002 , n. 961).

3.6) Risulta, infine, infondato il sesto motivo di ricorso, dove parte ricorrente ha dedotto di aver presentato una istanza di concessione in sanatoria, circostanza che renderebbe illegittimo l’esercizio del potere sanzionatorio sino alla definizione del procedimento relativo alla suddetta istanza.

Parte ricorrente, però, si è limitato alla mera generica affermazione dell’intervenuta presentazione di una “istanza di concessione e/o autorizzazione in sanatoria”, astenendosi dal fornire il ben che minino riscontro documentale, né alcun riferimento in ordine agli estremi di tale istanza o alcun altro elemento a supporto del suo assunto.

Anzi le successive memorie della medesima parte ricorrente, nelle quali viene richiesto un adempimento istruttorio volto a verificare le condizioni di possibile sanatoria degli abusi al fine di verificarne l’attuale astratta assentibilità, in vista della concessione al ricorrente della possibilità di sanare l’abuso, appaiono contraddire l’assunto dell’intervenuta risalente presentazione di una istanza di sanatoria.

Irrilevante ai fini che qui ne occupa risulta, infine, la produzione da parte del ricorrente delle attestazioni di pagamento dell’ICI, della Tassa Rifiuti Solidi Urbano, delle utenze di acqua ed elettricità.

Per le ragioni indicate il ricorso di cui al R.G. 939/96 deve quindi dichiararsi in parte inammissibile e in parte infondato.

4) Il ricorso di cui al R.G. 7066/96 risulta essere solo in parte fondato.

Con tale ricorso parte ricorrente ha impugnato la successiva ordinanza di acquisizione gratuita al patrimonio del Comune delle opere abusive in seguito all’inottemperanza alla’intimazione di demolite di cui alla precedente Ordinanza sindacale di demolizione.

4.1) Con il primo ed il secondo motivo di ricorso parte ricorrente deduce che l’opera acquisita al patrimonio del Comune risulterebbe diversa da quella per cui era stata intimata la demolizione adottata dall’Ordinanza sindacale di demolizione n. 3126/UOA e che, pertanto, vi sarebbe violazione dell’art. 7 della legge n. 47/85 e del principio del giusto procedimento, nonché eccesso di potere, difetto di istruttoria e motivazione .

Tali motivi si rivelano infondati.

Corretto in punto di fatto è il rilievo che l’Ordinanza sindacale di demolizione n. 3126/UOA e quella di acquisizione hanno ad oggetto opere formalmente non coincidenti.

In particolare, l’ordinanza sindacale di demolizione aveva ad oggetto “una recinzione con muro in tufo, oltre a lavori di sbancamento per circa 400 mq. per una profondità di tre metri circi. Internamente allo scavo si evincono tratti di collegamento in c.a. con realizzazione di 23 pilastrini alcuni gettati ed altri con cassonetti in legno” realizzata su “suoli di circa 1.100 mq.”, mentre l’ordinanza di acquisizione è riferita a un “corpo di fabbrica in c.a. di mq. 400 circa, composto da seminterrato e p. rialzato ed area di sedime di mq. 400 nonché l’ulteriore area di mq. 600 derivante dalla differenza dell’intera area del terreno e l’area di sedime”.

Risulta però dagli atti come le opere acquisite non siano la risultante di differenti ed autonomi interventi bensì la mera continuazione delle opere per cui era stata intimata la demolizione.

Risulta difatti cagli atti dopo l’accertamento e la posa sotto sequestro delle opere oggetto dell’ordinanza di demolizione è stato rilevato come (accertamento dell’11.4.1996 in nota del 12.4.1996) in violazione dei sigilli i lavori sono proseguiti e le risultanti opere siano costituite proprio dal corpo di fabbrica in c.a. di mq. 400 circa, composto da seminterrato e p. rialzato oggetto dell’ordinanza di acquisizione.

Nel caso di specie quindi si è assistito al mero sviluppo delle originarie opere abusive portato avanti sino al completamento nonostante l’intervenuto esercizio del potere sanzionatorio da parte del Comune.

Ora le norme che prevedono la coincidenza tra le opere oggetto dell’intimazione di demolizione e quelle oggetto del provvedimento di acquisizione per l’inottemperanza alla prima si basano sulla ratio di consentire al privato di ridurre in pristino lui steso le opere evitando l’acquisizione e rispondono ad all’ imprescindibile ottica derivante, dalla natura “sanzionatoria” dell’istituto, di punire il soggetto per l’inottemperanza ad un ordine specifico, di tal che le opere da rimuovere devono risultare determinate nella loro consistenza, non potendo il privato essere sanzionato per la mancata rimozione di un’opera diversa da quella oggetto del provvedimento di demolizione.

Ciò tanto più in un ambito dove viene operata una perdita di proprietà in capo al privato con trasferimento del bene al patrimonio dell’Amministrazione.

Nel caso di specie però, proprio perché come indicato si tratta della mera continuazione dell’esecuzione degli interventi sanzionati, l’indicata ratio non trova rispondenza alla fattispecie reale non potendosi considerare, ai fini in discorso, le opere oggetto del provvedimento di acquisizione come opere differenti.

Non avrebbe senso difatti sostenere la necessità di adottare una nuova ordinanza di demolizione per ogni successiva fase di sviluppo del medesimo intervento abusivo già sanzionato

Ciò comporterebbe da parte dell’Amministrazione la necessità di dover rincorrere i successivi sviluppi dell’abuso emettendo una serie di ulteriori atti, bisognevoli di istruttoria e a loro volta tutti autonomamente impugnabili, con notevole aggravio della sua attività di controllo e repressiva.

Al tempo stesso avrebbe l’effetto di premiare, sotto il profilo procedurale, il privato che in spregio all’intervenuto esercizio del potere repressivo, persista nel perpetrare l’abuso continuando la realizzazione di opere per cui è stata intimata la demolizione nello stato iniziale che potrà sostenere ad ogni successiva fase di sviluppo dell’opera abusiva la sostanziale inefficacia del precedente ordine di demolizione ai fini dell’adozione del provvedimento di demolizione.

I motivi devono quindi essere rigettati.

4.2) Con il terzo motivo di ricorso parte ricorrente lamenta che l’Amministrazione non avrebbe motivato i parametri di ordine urbanistico – edilizio alla cui stregua sarebbe pervenuta alla determinazione qualitativa e quantitativa dell’area da acquisire.

Tale motivo risulta essere fondato nei termini e limiti che si vanno a descrivere.

Il comma 3, dell’art. 7 della legge n. 47/85 allora vigente (ora art. 32, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001) disponeva che “Se il responsabile dell'abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione, il bene e l'area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L'area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita”.

Ora ben conosce il Collegio quel filone giurisprudenziale secondo cui l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale degli immobili abusivi e della relativa area di sedime costituisce effetto automatico della mancata ottemperanza all'ordine di demolizione. Il provvedimento con il quale viene disposta l'acquisizione gratuita - costituendo titolo per l'immissione in possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari - può essere adottato senza la specifica indicazione dell'ulteriore area "necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive" (area che non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita) oggetto di acquisizione, potendosi procedere a tale individuazione anche con un successivo e separato atto (T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 07 marzo 2011 , n. 2031;
T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 3 novembre 2010 , n. 22291;
T.A.R. Toscana Firenze, sez. III, 20 gennaio 2009 , n. 24).

Così come ben conosce quel filone giurisprudenziale secondo cui l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere abusive è atto dovuto ed è sufficientemente motivato con l'affermazione dell'abusività e dell'accertata inottemperanza all'ordine di demolizione, essendo in re ipsa l'interesse pubblico all'adozione della misura, senza l'obbligo di alcuna specifica argomentazione in ordine all'acquisizione dell'area necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quella abusiva, essendo soltanto necessario che in detto atto siano esattamente individuate ed elencate le opere e le relative pertinenze urbanistiche (T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 4 novembre 2011, n. 5140;
T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 4 novembre 2011, n. 5136;
T.A.R. Campania, Sez. IV, 12 giugno 2001 n. 2722;
12 gennaio 2000 n. 46 e 19 gennaio 1998 n. 132;
T.A.R. Lazio, Sez. II, 4 febbraio 1991 n. 372).

Il Collegio ritiene quindi che per quanto riguarda le opere abusive e le relative aree di sedime nessuna motivazione dovesse essere data dall’Amministrazione in quanto la loro acquisizione è un effetto automatico derivante dalla mancata ottemperanza all'ordine di demolizione senza necessità di ulteriori specificazioni.

Per quanto riguarda l’ulteriore area acquisita (nella fattispecie in questione gli ulteriori circa mq. 600 risultanti “dalla differenza dell’intera area del territorio e l’area di sedime”), ascrivibile evidentemente all’area “necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive” di cui all’indicato comma 3 della legge n. 47/85, il Collegio precisa quanto segue.

In punto di fatto il provvedimento di acquisizione individua esattamente tale ulteriore area, non motivando, però, in ordine alla sua determinazione.

Ora il Collegio, in parziale difformità con l’evidenziato filone giurisprudenziale che nega la necessità di motivare in ordine all'acquisizione dell'area necessaria alla realizzazione di opere analoghe a quella abusiva, ritiene di dover aderire ad un altro orientamento giurisprudenziale espresso da questo Tribunale (T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 1 settembre 2011, n. 4259 e nello stesso senso T.A.R. Campania Sez. VI, 20 aprile 2005, n. 4336) secondo il quale mentre per l'area di sedime l'automatismo dell'effetto acquisitivo rende superflua ogni motivazione sul punto, l'individuazione di un'area ulteriore da acquisire va, volta per volta, motivata con l’esplicitazione delle ragioni che rendono necessario disporre l'ulteriore acquisto ed i criteri di determinazione di detta area.

A tale riguardo la circostanza, che il legislatore non abbia predeterminato l'ulteriore area acquisibile, ma si sia limitato a prevedere che tale area "non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita", può spiegarsi solo ipotizzando che l'ulteriore acquisto sia funzionale e strumentale rispetto all'acquisto del bene abusivo e della relativa area di sedime.

In altri termini - non potendosi ragionevolmente ritenere che il legislatore abbia affidato al puro arbitrio dell'Amministrazione la determinazione dell'ulteriore area acquisibile - la circostanza che sia stata predeterminata solo la superficie massima di tale area (comunque non superiore a dieci volte quella abusivamente costruita) può spiegarsi solo ipotizzando che l'ulteriore acquisto sia necessario al fine di consentire l'uso pubblico del bene abusivo acquisito al patrimonio comunale. Ne consegue che il nesso funzionale tra i due acquisti implica che l'Amministrazione sia tenuta a specificare, volta per volta, in motivazione le ragioni che rendono necessario disporre l'ulteriore acquisto (T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 1 settembre 2011, n. 4259);

Il provvedimento impugnato risulta quindi in parte illegittimo e, in particolare, nella sola parte in cui dispone l’acquisizione dell’area di mq. 600, ulteriore quindi rispetto a quella di sedime, senza motivare in ordine alla necessità di acquisire detta area e alle modalità di sua determinazione.

4.3) Con il quarto motivo di ricorso parte ricorrente lamenta che non vi sarebbe stato l’accertamento dell’inottemperanza all’ordinanza di demolizione e che a tal fine non potrebbe considerarsi idoneo il verbale dell’U.O.S.A.E. del 19.4.1996 perché mai comunicato al ricorrente e, comunque, riportante uno stato dei luoghi differente rispetto all’ordinanza di demolizione.

Il motivo è infondato.

Sul punto il Collegio richiama il carattere meramente dichiarativo di un effetto prodottosi ex lege dell’atto di accertamento, indicando, altresì, come dagli atti depostati in giudizio (accertamento dell’11.4.1996 in nota del 12.4.1996) si evince l’intervenuta inottemperanza all’ordine di demolizione e come la rilevata discrepanza tra lo stato dei luoghi accertato nell’ordinanza di demolizione e quello posto a fondamento del provvedimento di acquisizione derivi dalla continuazione dell’esecuzione delle opere abusive e non spieghi effetti vizianti sui relativi atti amministrativi secondo quanto indicato nel precedente punto 4.1.

Quanto alla censura relativa alla mancata notifica del verbale di accertamento, il Collegio si richiama ad un consolidato filone giurisprudenziale (ex multis, T.A.R. Campania Napoli, Sez. III, 19 gennaio 2010, n. 195;
T.A.R. Campania Napoli, Sez. VII, 29 luglio 2010, n.17179) che ritiene , non necessaria la notifica di del verbale di accertamento di inottemperanza all’ordinanza di demolizione prima dell’adozione del provvedimento di acquisizione gratuita, proprio in forza della mancanza di contenuto dispositivo di suddetto verbale che si limita a constatare l’inadempimento all’ordine di demolizione.

5) Infine il Collegio da conto delle ragioni per cui non ha ritenuto di disporre l’adempimento istruttorio richiesto da parte ricorrente.

Quest’ultima, come già accennato, sul presupposto che siano cambiate le prescrizioni urbanistiche inerenti alla zona in questione (sarebbe intervenuta una nuova classificazione urbanistica dell’area) ha richiesto che venisse disposta una verificazione o una C.T.U. al fine di verificare la sussistenza attuale delle condizioni per una possibile sanatoria degli abusi, in vista della concessione al ricorrente della possibilità di sanare l’abuso.

Ora un tale adempimento istruttorio non può essere disposto per l’irrilevanza dello stesso sui giudizi in esame.

In assenza di una domanda di sanatoria, l’eventuale astratta attuale sanabilità delle opere, difatti, non è circostanza idonea a svolgere effetti sulla legittimità dei provvedimenti gravati, che è lo specifico oggetto dei presenti giudizi, ponendosi come eventuale ulteriore e successiva vicenda tra il privato e l’Amministrazione.

Il giudice adito, inoltre, non potrebbe andare ad acclarare, con una pronuncia sostanzialmente di accertamento, l’esistenza dei presupposti per il rilascio attuale di un provvedimento di sanatoria ancora non richiesta, essendo allo stesso impedito, ai sensi dell’art. 34, comma 2, c.p.a., di pronunciarsi in riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati.

6) Per i motivi esposti il ricorso di cui al R.G. 939/96 deve dichiararsi inammissibile per carenza di interesse per la parte riguardante riguarda l’impugnativa dell’Ordinanza di sospensione lavori n. 3085/UOA dell’1.12.1995.

Deve invece essere rigettato per il resto e, in particolare, per quanto concerne l’impugnativa dell’Ordinanza sindacale di demolizione n. 3126/UOA.

Per le ragioni indicate il ricorso di cui al R.G. 7066/96 deve essere accolto solo in parte e, nello specifico, limitatamente alla parte in cui dispone l’acquisizione dell’area di mq. 600, ulteriore quindi rispetto a quella di sedime, senza motivare in ordine alla necessità di acquisire detta area e alle modalità di sua determinazione, mentre per il resto va rigettato.

In considerazione della risalenza delle controversie, della peculiarità e complessità della vicenda e della circostanza che, a fronte della parziale inammissibilità e del rigetto del ricorso cui al R.G. 939/96, il ricorso di cui al R.G. 7066/96 è stato accolto solo in parte, il Collegio ritiene sussistano eccezionali motivi per disporre la compensazione parziale delle spese di giudizio e, per la parte non compensata, di porle a carico di parte ricorrente, così come in dispositivo quantificate.

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