TAR Napoli, sez. VII, sentenza 2011-09-01, n. 201104259

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. VII, sentenza 2011-09-01, n. 201104259
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201104259
Data del deposito : 1 settembre 2011
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 06918/2007 REG.RIC.

N. 04259/2011 REG.PROV.COLL.

N. 06918/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso n. 6918/2007, proposto da CACACE M, rappresentato e difeso dall’avvocato L G, con il quale è elettivamente domiciliato in Napoli, via Monte di Dio n. 4, presso l’avvocato A C;

contro

il Comune di Massa Lubrense, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato F P, con i quali è elettivamente domiciliato in Napoli, via Cesario Console n. 3, presso lo studio dell’avvocato E F;

per l'annullamento

- quanto al ricorso principale, dell’ordinanza del Comune di Massa Lubrense n. 419 del 27 agosto 2007, con la quale è stata ordinata al ricorrente la demolizione delle opere abusive poste in essere alla via dei Campi n. 14, località Sant’Agata, indicate al capo A della precedente ordinanza di demolizione n. 660 del 30 novembre 2005 (consistenti nella realizzazione di un corpo di fabbrica, con murature laterali in calcestruzzo e copertura in lamiere coibentate, diviso in due ambienti adibiti a deposito, avente una superficie complessiva di 33 mq circa), nonché di tutti gli atti preordinati, connessi e consequenziali;

- quanto al ricorso per motivi aggiunti depositato in data 7 gennaio 2009, del provvedimento n. 27661/08 in data 13 ottobre 2008, con il quale il Responsabile del Servizio Urbanistica del Comune di Massa Lubrense ha accertato l’inottemperanza alle predette ordinanze di demolizione n. 660 del 30 novembre 2005 e n. 419 del 27 agosto 2007, disponendo che tale accertamento “costituisce titolo … per l’immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari delle opere eseguite, dell’area di sedime, nonché di quelle necessarie, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive”;

- quanto al ricorso per motivi aggiunti depositato in data 28 aprile 2009, della nota n. 5938 in data 26 febbraio 2009, con il quale il Responsabile dell’Ufficio Condono Edilizio ha dichiarato non sanabili le opere oggetto della domanda di condono edilizio presentata dal ricorrente in data 10 dicembre 2004, avente ad oggetto le ulteriori opere di cui è stata ordinata la demolizione con la suddetta ordinanza n. 660 del 30 novembre 2005, nonché di tutti gli atti preordinati, connessi e consequenziali, ivi compresa la nota in data 2 marzo 2009, depositata dal Comune di Massa Lubrense in esecuzione dell’ordinanza di questa Sezione n. 441/2009;


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Massa Lubrense;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 luglio 2011 il dott. C P e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;


CONSIDERATO, in via preliminare, che i ricorsi in epigrafe indicati possono essere decisi con “sentenza in forma semplificata”, ai sensi dell’art. 74 del codice del processo amministrativo;

CONSIDERATO che, in esecuzione dell’ordinanza istruttoria di questa Sezione n. 441/2009, il Responsabile del Servizio Urbanistica del Comune di Massa Lubrense, con nota in data 2 marzo 2009, ha trasmesso la documentazione richiesta da questa Sezione, confermando che l’ordinanza di demolizione n. 419 del 27 agosto 2007 è stata adottata a seguito della reiezione della domanda di sanatoria presentata dal ricorrente in data 9 marzo 2006;

CONSIDERATO che questa Sezione - tenuto anche conto di quanto rappresentato dal Responsabile del Servizio Urbanistica del Comune di Massa Lubrense - con l’ordinanza n. 1111/2009:

- ha respinto la domanda cautelare proposta con il ricorso principale, evidenziando che l’impugnato ordine di demolizione costituisce un atto dovuto, avendo ad oggetto un intervento di nuova costruzione, non avente carattere pertinenziale, realizzato in zona sottoposta a vincolo, in assenza dei prescritti titoli abilitativi (permesso di costruire e nulla osta paesistico);

- ha accolto in parte la domanda cautelare proposta con il primo ricorso per motivi aggiunti, proposto avverso l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale, evidenziando che nella motivazione del provvedimento impugnato non è stata specificamente indicata la superficie dell’ulteriore area da acquisire, né il meccanismo di calcolo della stessa;

- ha respinto la domanda cautelare proposta con il secondo ricorso per motivi aggiunti, in quanto non supportata da un pregiudizio grave ed irreparabile;

CONSIDERATO che il ricorso principale, avente ad oggetto l’ordinanza di demolizione n. 419 in data 27 agosto 2007, risulta infondato in base alle seguenti considerazioni:

- il primo motivo - con il quale il ricorrente deduce che la riattivazione del potere sanzionatorio (a seguito della reiezione della domanda di sanatoria presentata in data 9 marzo 2006) richiedeva una nuova comunicazione dell’avvio del procedimento - non può trovare accoglimento in quanto, secondo la prevalente giurisprudenza ( ex multis , T.A.R. Liguria Genova, Sez. I, 22 aprile 2011, n. 666;
T.A.R. Campania Salerno, Sez. II, 13 aprile 2011, n. 702;
T.A.R. Campania Napoli, Sez. VIII, 6 aprile 2011, n. 1941;
Sez. IV, 13 gennaio 2011, n. 84;
T.A.R. Puglia Lecce, Sez. III, 9 febbraio 2011, n. 240) i provvedimenti repressivi degli abusi edilizi, non devono essere preceduti dalla comunicazione dell’avvio del procedimento, perché trattasi di provvedimenti tipizzati e vincolati, che presuppongono un mero accertamento tecnico sulla consistenza delle opere realizzate e sul carattere abusivo delle medesime. Inoltre, seppure si aderisse all’orientamento che ritiene necessaria tale comunicazione anche per gli ordini di demolizione, troverebbe comunque applicazione nel caso in esame l’art. 21-octies, comma 2, prima parte, della legge n. 241/1990 (introdotto dalla legge n. 15/2005), nella parte in cui dispone che “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento … qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”. Infatti, posto che l’ordine di demolizione è atto dovuto in presenza di opere realizzate in assenza del prescritto titolo abilitativo, nel caso in esame - trattandosi di un intervento di nuova costruzione, subordinato al preventivo rilascio del permesso di costruire - risulta palese che il contenuto dispositivo dell’impugnata ordinanza di demolizione non avrebbe potuto essere diverso se alla parte ricorrente fosse stata data comunicazione dell’avvio del procedimento;

- il secondo motivo - con il quale il ricorrente si duole della violazione dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990, in ragione della mancata comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda di sanatoria presentata in data 9 marzo 2006 - risulta palesemente inammissibile perché tardivo. Infatti tale censura avrebbe dovuta essere proposta in sede di impugnazione del provvedimento in data 21 marzo 2007 (ritualmente notificato in pari data) con il quale è stata respinta la predetta domanda di sanatoria;

- il terzo motivo - con il quale il ricorrente si duole del fatto che l’ordine di demolizione sia stato adottato senza considerare che le opere abusive di cui trattasi sono accessorie rispetto a quelle oggetto della domanda di condono edilizio presentata ai sensi della legge n. 326/2003 (pratica n. 29839 di prot.), sicché l’Amministrazione avrebbe dovuto pronunciarsi sulla condonabilità o meno dell’opera edilizia nella sua globalità prima di dare ulteriore corso al provvedimento repressivo - non può trovare accoglimento perché lo stesso ricorrente ammette che il manufatto abusivo (adibito a deposito) di cui è stata ordinata la demolizione è diverso da quelli oggetto della domanda di condono (relativa alle ulteriori opere abusive indicate indicate ai capi B, C e D della precedente ordinanza di demolizione n. 660 del 30 novembre 2005) e nessuna rilevanza può, quindi, assumere il supposto carattere accessorio del predetto manufatto;

- il quarto motivo - incentrato sul carattere pertinenziale del manufatto abusivo di cui è stata ordinata la demolizione - non può trovare accoglimento perché, secondo una consolidata giurisprudenza ( ex multis , T.A.R. Lombardia Milano, Sez. II, 11 febbraio 2005, n. 365;
T.A.R. Lazio, Sez. II, 4 febbraio 2005, n. 1036), occorre distinguere il concetto di pertinenza previsto dal diritto civile dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso urbanistico, che non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa privatistica, assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime del permesso di costruire. Ne consegue che, tenuto conto delle caratteristiche dell’intervento abusivo realizzato dalla parte ricorrente, evidenziate nella motivazione dell’ordine di demolizione, tale intervento - non essendo coessenziale ad un bene principale e potendo essere utilizzato anche in modo autonomo e separato - non può ritenersi pertinenza ai fini urbanistici, sì da escludere che lo stesso sia sottoposto al preventivo rilascio del permesso di costruire. Inoltre, tenuto conto del combinato disposto dell’art. 3, comma 1, lettera e.6), del D.P.R. n. 380/2001, che configura espressamente come interventi di nuova costruzione anche gli “interventi pertinenziali … che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell'edificio principale”, con i successivi articoli 10, comma 1, lettera a), che subordina al rilascio del permesso di costruire gli interventi di nuova costruzione, e 31, comma 2, che prevede la sanzione della demolizione per gli interventi edilizi eseguiti in assenza del prescritto permesso di costruire, l’Amministrazione ha correttamente ordinato la demolizione delle opere abusive di cui trattasi, perché la parte ricorrente non ha adeguatamente provato che il nuovo volume realizzato è inferiore al 20% del volume dell’edificio principale;

- il quinto ed il sesto motivo - incentrati sul difetto di istruttoria e di motivazione - risultano palesemente infondati perché, secondo una consolidata giurisprudenza ( ex multis , T.A.R. Campania Napoli, Sez. IV, 28 dicembre 2009, n. 9638;
Sez. VI, 9 novembre 2009, n. 7077;
Sez. VII, 4 dicembre 2008, n. 20987), l’adozione dell’ordine di demolizione di opere abusive presuppone soltanto la constatata esecuzione di un intervento edilizio in assenza del prescritto titolo abilitativo, con la conseguenza che, essendo tale ordine un atto dovuto, esso è sufficientemente motivato con l’accertamento dell’abuso, e non necessita di una particolare motivazione in ordine all’interesse pubblico alla rimozione dell’abuso stesso - che è in re ipsa , consistendo nel ripristino dell’assetto urbanistico violato - ed alla possibilità di adottare provvedimenti alternativi;

- il settimo motivo - con il quale il ricorrente si duole del fatto che l’Amministrazione non abbia proceduto alla esatta individuazione (mediante l’indicazione dei dati catastali e di quelli risultanti dalla conservatoria dei registri immobiliari) del bene abusivo, della relativa area di sedime, nonché dell’ulteriore area (necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive) destinata ad essere acquisita al patrimonio comunale in caso di inottemperanza all’ordine di demolizione - non può trovare accoglimento perché, secondo una consolidata giurisprudenza ( ex multis , T.A.R. Toscana Firenze, Sez. III, 6 febbraio 2008, n. 117;
T.A.R. Campania Napoli, Sez. III, 17 dicembre 2007, n. 16311), nella motivazione dell’ordine di demolizione è necessaria e sufficiente l’analitica descrizione delle opere abusivamente realizzate, in modo da consentire al destinatario della sanzione di rimuoverle spontaneamente;

CONSIDERATO che, quanto al primo ricorso per motivi aggiunti - avente ad oggetto il provvedimento n. 27661/08 in data 13 ottobre 2008, con il quale è stata accertata l’inottemperanza alle predette ordinanze di demolizione n. 660 del 30 novembre 2005 e n. 419 del 27 agosto 2007 ed è stato contestualmente disposto che tale accertamento “costituisce titolo … per l’immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari delle opere eseguite, dell’area di sedime, nonché di quelle necessarie, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive” - deve trovare conferma la decisione assunta da questa Sezione in sede cautelare, in base alle seguenti considerazioni:

- il primo motivo - con il quale il ricorrente si duole del fatto che il provvedimento impugnato sia stato adottato senza considerare che l’ordinanza di demolizione n. 660 del 30 novembre 2005 è stata sospesa da questa Sezione con l’ordinanza cautelare n. 980/2006 e che le opere abusive di cui trattasi sono accessorie rispetto a quelle oggetto della domanda di condono edilizio presentata ai sensi della legge n. 326/2003 (pratica n. 29839 di prot.) - non può trovare accoglimento perché: a) se è vero che successivamente all’adozione dell’ordinanza n. 660 del 30 novembre 2005 il ricorrente ha chiesto (con istanza presentata in data 9 marzo 2006) la sanatoria delle opere abusive oggetto di tale provvedimento, così determinando l’inefficacia dell’ordine di demolizione, è anche vero che l’Amministrazione comunale, a seguito della reiezione della predetta domanda di sanatoria, adottando l’ordinanza n. 419 del 27 agosto 2007 ha reiterato l’ordine di demolizione, sicché l’impugnato provvedimento di acquisizione gratuita al patrimonio comunale, a ben vedere, consegue alla mancata ottemperanza al nuovo ordine di demolizione;
b) come già evidenziato in precedenza, il manufatto abusivo di cui trattasi (adibito a deposito) è diverso da quelli oggetto della domanda di condono (relativa alle ulteriori opere abusive indicate ai capi B, C e D della precedente ordinanza di demolizione n. 660 del 30 novembre 2005) e nessuna rilevanza può, quindi, assumere il supposto carattere accessorio del predetto manufatto;

- il secondo motivo - incentrato sul carattere pertinenziale del manufatto abusivo di cui è stata ordinata la demolizione - non può trovare accoglimento per le medesime ragioni per cui è stato respinto il quarto motivo dedotto con il ricorso principale;

- il quarto motivo - con il quale il ricorrente si duole del fatto che il provvedimento impugnato sia stato adottato senza considerare che il manufatto abusivo di cui trattasi è oggetto di un provvedimento di sequestro adottato dall’Autorità giudiziaria - non può trovare accoglimento perché, secondo una consolidata giurisprudenza ( ex multis , T.A.R. Campania Napoli, Sez. II, 30 ottobre 2006, n. 9243;
Sez. IV, 4 febbraio 2003, n. 614), il responsabile dell’abuso può motivatamente domandare all’Autorità giudiziaria di disporre il dissequestro dell’immobile abusivo al fine di eseguire l’ordine di demolizione ed evitare l’adozione di ulteriori provvedimenti sanzionatori;

- neppure le censure incentrate sull’illegittimità derivata del provvedimento impugnato (per effetto dei vizi che inciderebbero sulla legittimità dell’ordinanza di demolizione n. 419 del 27 agosto 2007) possono trovare accoglimento, perché tali censure sono state respinte in sede di esame del ricorso principale;

- diverse considerazioni valgono (come già evidenziato da questa Sezione in sede cautelare) per la censura dedotta con il terzo motivo, incentrata sul fatto che l’Amministrazione non abbia proceduto all’esatta individuazione - mediante l’indicazione dei dati catastali e di quelli risultanti dalla conservatoria dei registri immobiliari - del bene abusivo, della relativa area di sedime, nonché dell’ulteriore area gratuitamente acquisita al patrimonio comunale. Infatti: a) l’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 dispone (al comma 3) che “se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L’area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita”, e (al successivo comma 4) che “l’accertamento dell’inottemperanza alla ingiunzione a demolire, nel termine di cui al comma 3, previa notifica all'interessato, costituisce titolo per l’immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari, che deve essere eseguita gratuitamente”;
b) ciò posto, quanto all’omessa identificazione del bene abusivo e della relativa area di sedime il Collegio ritiene che la censura in esame non possa trovare accoglimento. Infatti l’individuazione di tali beni non presuppone necessariamente l’indicazione dei relativi dati catastali e di quelli risultanti dalla conservatoria dei registri immobiliari, bensì l’indicazione di dati che consentano di individuare con certezza i beni stessi, e nel caso in esame non si ravvisa alcuna incertezza sui beni acquisiti al patrimonio comunale, perché l’abuso edilizio in contestazione è analiticamente descritto nella motivazione del provvedimento impugnato;
c) invece, quanto all’omessa identificazione delle aree “necessarie, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive”, il Collegio osserva che - sebbene anche questa Sezione in passato abbia prestato adesione all’orientamento (T.A.R. Lazio Roma, Sez. I, 7 marzo 2011, n. 2031;
T.A.R. Toscana Firenze, Sez. III, 20 gennaio 2009, n. 24) secondo il quale il provvedimento con il quale viene disposta l’acquisizione gratuita può essere adottato senza la specifica indicazione della suddetta ulteriore area oggetto di acquisizione, potendosi procedere all’individuazione di tale area anche con un successivo e separato atto, con l’ulteriore conseguenza che in tal caso l’effetto acquisitivo si produce solo in relazione al bene abusivo ed alla relativa area di sedime - la questione merita di essere rimeditata in ragione della particolare funzione di tale ulteriore acquisto. Infatti la circostanza che il legislatore non abbia predeterminato l’ulteriore area acquisibile, ma si sia limitato a prevedere che tale area “non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita”, può spiegarsi solo ipotizzando che l’ulteriore acquisto sia funzionale e strumentale rispetto all’acquisto del bene abusivo e della relativa area di sedime. In altri termini - non potendosi ragionevolmente ritenere che il legislatore abbia affidato al puro arbitrio dell’Amministrazione la determinazione dell’ulteriore area acquisibile - la circostanza che sia stata predeterminata solo la superficie massima di tale area (comunque non superiore a dieci volte quella abusivamente costruita) può spiegarsi solo ipotizzando che l’ulteriore acquisto sia necessario al fine di consentire l’uso pubblico del bene abusivo acquisito al patrimonio comunale. Ne consegue che il nesso funzionale tra i due acquisti implica che l’Amministrazione sia tenuta a specificare, volta per volta, in motivazione le ragioni che rendono necessario disporre l’ulteriore acquisto, nonché ad indicare con precisione l’ulteriore area di cui viene disposta l’acquisizione, con l’ulteriore conseguenza che il provvedimento impugnato risulta in parte illegittimo (ossia nella parte in cui dispone l’acquisizione gratuita delle aree “necessarie, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive”) per violazione dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, in ragione della parziale indeterminatezza del bene gratuitamente acquisito al patrimonio comunale;

CONSIDERATO che il secondo ricorso per motivi aggiunti - avente ad oggetto la nota in data 26 febbraio 2009, con il quale il Responsabile dell’Ufficio Condono Edilizio ha dichiarato non sanabili le opere oggetto della domanda di condono edilizio presentata dal ricorrente in data 10 dicembre 2004, avente ad oggetto le ulteriori opere di cui è stata ordinata la demolizione con la suddetta ordinanza n. 660 del 30 novembre 2005 - risulta infondato in base alle seguenti considerazioni:

- in via preliminare il Collegio osserva che la nota impugnata, pur conseguendo ad una specifica richiesta pervenuta all’Ufficio Condono Edilizio del Comune di Massa Lubrense dall’Ufficio Urbanistica del medesimo Comune, ha natura provvedimentale essendo assimilabile ad un provvedimento di diniego di condono. Infatti tale nota è sottoscritta dal Responsabile dell’Ufficio Condono Edilizio, contiene una puntuale indicazione delle ragioni per cui le opere abusive di cui il ricorrente ha chiesto il condono sono ritenute insanabili, è stata notificata anche al ricorrente e si conclude con un implicito all’Ufficio Urbanistica ad esercitare i suoi poteri in materia di repressione degli abusi edilizi anche a prescindere dalla pendenza di una domanda di condono edilizio;

- in punto di fatto il Collegio osserva che dalla motivazione del provvedimento impugnato si evincono tre distinte ragioni per cui le opere abusive in questione sono ritenute insanabili: A) innanzi tutto l’Amministrazione intimata sostiene che il c.d. terzo condono edilizio non è applicabile agli abusi realizzati nel Comune di Massa Lubrense perché l’intero territorio comunale è sottoposto a vincolo paesaggistico;
B) inoltre l’Amministrazione, evidenzia che, per effetto delle modifiche apportate dall’art. 32 del decreto legge n. 269/2003 all’art. 32, comma 1, della legge n. 47/1985, qualora il parere di compatibilità paesaggistica non venga formulato dall’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo entro centottanta giorni dalla data di ricevimento della richiesta di parere, il richiedente può impugnare il silenzio-rifiuto. Pertanto nel caso in esame, essendo ampiamente trascorso il termine di 180 giorni previsto dall’art. 32, comma 1, della legge n. 47/1985, si è formato il silienzio-rifiuto sulla richiesta del parere di compatibilità paesaggistica;
C) infine l’Amministrazione, afferma che le opere abusive di cui trattasi sono comunque insanabili in quanto rientrano nella tipologia 1 dell’allegato 2 al decreto legge n. 269/2003: “opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici”;

- il primo motivo - incentrato sul fatto che l’Amministrazione abbia provveduto sulla domanda di condono senza tener conto della nota presentata dal ricorrente in data 24 dicembre 2008 (nella quale è stato evidenziato che, per un mero errore materiale non era stato inserito nella domanda di condono il corpo di fabbrica indicato al capo A della delle ordinanze di demolizione n. 660 del 30 novembre 2005 e n. 419 del 27 agosto 2007) e senza considerare che, per effetto di tale nota l’ordinanza di demolizione n. 419 del 27 agosto 2007 è divenuta inefficace - è palesemente infondato. Infatti l’integrazione della domanda di condono, presentata dal ricorrente in data 24 dicembre 2008 mira in realtà ad ottenere una surrettizia riapertura del termine ultimo per la presentazione delle domande di condono, previsto dall’art. 32, comma 32, del decreto legge n. 269/2003. Inoltre, in via subordinata il Collegio osserva che - seppure si volesse ritenere che l’Amministrazione avrebbe dovuto pronunciarsi anche su tale integrazione - trattandosi di un manufatto il cui completamento (secondo quanto dichiarato dallo stesso ricorrente) è avvenuto nell’anno 1998 non v’è dubbio che (come si avrà modo di evidenziare in sede di esame del terzo motivo di ricorso) l’Amministrazione si sarebbe correttamente pronunciata per l’insanabilità dello stesso, stante la causa ostativa al condono posta dall’articolo 32, comma 27, lett. d), del decreto legge n. 269/2003;

- il terzo motivo, con il quale il ricorrente contesta la prima ragione ostativa alla sanatoria addotta dall’Amministrazione intimata, non può trovare accoglimento, posto che le opere abusive oggetto della domanda di condono presentata dal ricorrente in data 10 dicembre 2004 sono insanabili ai sensi dell’articolo 32, comma 27, lett. d), del decreto legge n. 269/2003. In particolare il Collegio osserva che: A) secondo tale disposizione, “fermo restando quanto previsto dagli articoli 32 e 33 della legge 28 febbraio 1985, n.47, le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora: …. d) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici”;
B) come già evidenziato da questa Sezione in altra occasione (T.A.R. Campania Napoli, Sez. VII, 4 aprile 2008, n. 1877) tale disposizione esclude dalla sanatoria le opere abusive realizzate su aree caratterizzate da determinate tipologie di vincoli (in particolare, quelli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali), subordinando peraltro l’esclusione a due condizioni costituite: a) dal fatto che il vincolo sia stato istituito prima dell’esecuzione delle opere abusive;
b) dal fatto che le opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo risultino non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici. Da tale ricostruzione emerge, quindi, un sistema che consente la sanatoria delle opere realizzate su aree vincolate solo in due ipotesi, previste disgiuntivamente, costituite: a) dalla realizzazione delle opere abusive prima dell’imposizione dei vincoli (e in questo caso trattasi della mera riproposizione di una caratteristica propria della disciplina posta dalle due precedenti leggi sul condono con riferimento ai vincoli di inedificabilità assoluta di cui all’articolo 33, comma 1, della legge n. 47/1985);
b) dal fatto che le opere oggetto di sanatoria, benché non assentite o difformi dal titolo abilitativo, risultino comunque conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici. Pertanto la novità sostanziale della suddetta previsione normativa è costituita - come puntualmente evidenziato dalla giurisprudenza (T.A.R. Puglia Lecce Sez. III, 20 aprile 2007, n. 1690;
T.A.R. Campania Napoli, Sez. VI, 8 febbraio 2007, n. 963;
T.A.R. Veneto, Sez. II, 19 giugno 2006, n. 1884) - proprio dall’inserimento del requisito della conformità urbanistica all’interno della fattispecie del condono edilizio (che, al contrario, prescinde di norma da un simile requisito), così dando vita ad un meccanismo di sanatoria che si avvicina fortemente all’istituto dell’accertamento di conformità previsto dall’articolo 36 del D.P.R. n. 380/2001, piuttosto che ai meccanismi previsti delle due precedenti leggi sul condono edilizio. Del resto, l’originalità di tale meccanismo non deve meravigliare perché anche con riferimento al c.d. “terzo condono edilizio” la Corte costituzionale (sentenza 28 giugno 2004, n. 196, punto n. 23 della motivazione) ha ribadito che i provvedimenti di sanatoria edilizia costituiscono oggetto di un difficile bilanciamento tra interessi diversi (quelli della tutela del paesaggio, della cultura, della salute, del diritto all’abitazione e al lavoro, e, non ultimo, l’interesse finanziario dello Stato) ed ha precisato che, nel contemperamento dei valori in gioco, il punto di equilibrio è stato individuato introducendo una disciplina - più restrittiva rispetto a quelle precedenti - che in presenza di abusi realizzati in zone vincolate richiede il requisito aggiuntivo della conformità urbanistica delle opere realizzate in assenza o in difformità dal prescritto titolo abilitativo. Inoltre, con particolare riguardo al problema dell’individuazione dei vincoli rilevanti ai fini dell’applicazione dell’articolo 32, comma 27, lett. d), del decreto legge n. 269/2003, si deve rammentare che - secondo la prevalente giurisprudenza (T.A.R. Puglia Lecce Sez. III, n. 1690/2007 cit.;
T.A.R. Campania Napoli, Sez. VI, 16 marzo 2006, n. 3043) - tale disposizione non si riferisce solamente ai vincoli imposti su singoli immobili per effetto di un provvedimento puntuale, perché il generico riferimento ai “vincoli imposti … a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici” induce piuttosto a ritenere che il legislatore abbia optato per una più rigida tutela di beni sensibili che comprende anche quelli genericamente attinti da vincoli paesistici;
C) poste tali premesse, risulta senz’altro condivisibile la prospettazione del ricorrente laddove afferma che, in base alla disciplina posta dal decreto legge n. 269/2003 (disciplina applicabile alla fattispecie in esame, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale 10 febbraio 2006, n. 49, con il quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’articolo 3 della legge regionale Campania 18 novembre 2004, n. 10), la sanabilità delle opere realizzate in zona vincolata è radicalmente esclusa solo qualora si tratti di un vincolo di inedificabilità assoluta e non anche nella diversa ipotesi di un vincolo di inedificabilità relativa, ossia di un vincolo superabile mediante un giudizio a posteriori di compatibilità paesaggistica. Infatti, come evidenziato anche dalla più recente giurisprudenza del giudice d’appello (Cons. Stato, Sez. IV, 19 maggio 2010, n. 3174), è ben possibile ottenere la sanatoria delle opere abusive realizzate in zona sottoposta ad un vincolo di inedificabilità relativa, purché ricorrano le condizioni previste dell’articolo 32, comma 27, lettera d) del decreto legge n. 269/2003. Pertanto il provvedimento impugnato non risulta supportato da una valida motivazione laddove si perviene ad escludere radicalmente la possibilità di sanare le opere abusive realizzate dalla ricorrente sol perché l’intero territorio del Comune di Massa Lubrense è sottoposto a vincolo paesaggistico ai sensi della legge regionale n. 35/1987, trattandosi evidentemente di un vincolo di inedificabilità relativa;
D) ben diverse considerazioni valgono invece per la terza parte della motivazione del provvedimento impugnato, ove l’Amministrazione afferma la non sanabilità delle opere abusive in quanto rientranti nella tipologia 1 dell’allegato 2 al decreto legge n. 269/2003: “opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici”. Infatti - considerato, da un lato, che è stato lo stesso ricorrente a dichiarare, nella domanda di condono, che gli abusi rientrano nella tipologia 1 e, dunque, a riconoscere che trattasi di opere non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici e, dall’altro, che l’intero territorio del Comune di Massa Lubrense è sottoposto a vincolo paesaggistico - come già evidenziato da questa Sezione in altra occasione (T.A.R. Campania Napoli, Sez. VII, 15 febbraio 2010, n. 940) ne consegue la non condonabilità degli abusi in forza dell’art. 32 comma 27, lett. d), del decreto legge n. 269/2003, posto che il ricorrente non ha offerto alcun elemento di prova da cui possa desumersi che gli abusi sono stati realizzati prima dell’imposizione del vincolo;

- neppure il quarto motivo - sostanzialmente incentrato sul fatto che il provvedimento impugnato sia stato adottato senza tener conto della domanda di accertamento della compatibilità paesaggistica presentata dal ricorrente in data 31 gennaio 2005, ai sensi dell’art. 1, commi 37-39, della legge n. 308/2004, e su un’interpretazione sistematica di tale articolo con quella relativa al c.d. terzo condono edilizio - può trovare accoglimento. Infatti questa Sezione ha già analiticamente evidenziato in altra sede (T.A.R. Campania Napoli, Sez. VII, 21 marzo 2008, n. 1470) le ragioni per cui si deve ritenere che tale istanza di accertamento della compatibilità paesaggistica sia rilevante ai soli fini penali. Pertanto in questa sede è sufficiente rammentare che - accedendo alla tesi del Consiglio di Stato secondo la quale si deve ritenere che solo con la novella del 2006 (decreto legislativo n. 157/2006) sia stato esteso al procedimento di cui all’articolo 159 del decreto legislativo n. 42/2004 (ossia al procedimento per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica durante la c.d. la fase transitoria) il divieto di rilasciare l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria (Cons. Stato, Sez. VI, 22 giugno 2007, n. 3483) - diviene agevole ricondurre alla sola materia penale sia la c.d. “depenalizzazione degli abusi minori” (introdotta dall’art. 1, comma 36, della legge n. 308/2004), sia il c.d. “mini condono paesaggistico” (previsto dall'articolo 1, commi 37 - 39, della legge n. 308/2004), dovendosi rinvenire la ragion d’essere di questi istituti proprio nella inidoneità del rilascio postumo dell’autorizzazione paesistica a determinare l’estinzione del reato previsto dall’art. 181 del decreto legislativo n. 42/2004;

- il quinto motivo - con il quale il ricorrente contesta l’ulteriore ragione ostativa al condono addotta dall’Amministrazione, incentrata sul fatto che nel caso in esame sia ampiamente trascorso il termine di 180 giorni previsto dall’art. 32, comma 1, della legge n. 47/1985, con conseguente formazione del silienzio-rifiuto sulla richiesta del parere di compatibilità paesaggistica - è palesemente inammissibile per carenza di interesse. Infatti l’eventuale riconoscimento della fondatezza di tale censura non inciderebbe comunque sull’ulteriore ragione ostativa al condono, fondata sulla disposizione dall’articolo 32, comma 27, lett. d), del decreto legge n. 269/2003;

- quanto al sesto motivo - con il quale il ricorrente si duole della omessa acquisizione del parere di competenza della Commissione edilizia comunale - è sufficiente rammentare che, secondo una consolidata giurisprudenza ( ex multis , Cons. Stato, Sez. IV, 3 agosto 2010, n. 5156), stante la specialità del procedimento di condono edilizio e l’assenza di una specifica previsione in ordine alla sua necessità, ai fini del rilascio della concessione in sanatoria il parere della Commissione edilizia non è obbligatorio, bensì meramente facoltativo. Inoltre, a fronte della insanabilità delle opere di cui trattasi è evidente che non v’era ragione per acquisire tale parere;

- il settimo motivo - incentrato sulla violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990 e sull’eccesso di potere per difetto di motivazione - non può trovare accoglimento perché, come già evidenziato in precedenza, nella motivazione del provvedimento impugnato sono puntualmente indicate le ragioni che hanno determinato il rigetto della domanda di condono;

- quanto all’ottavo motivo - con il quale il ricorrente si duole della omessa allegazione dell’interesse pubblico al diniego del condono - è sufficiente rammentare che, secondo una consolidata giurisprudenza ( ex multis , T.A.R. Toscana Firenze, Sez. III, 18 gennaio 2010, n. 37), il diniego della concessione edilizia in sanatoria costituisce un atto vincolato i cui presupposti sono tipizzati dal legislatore, con la conseguenza che non occorre alcuna valutazione del pubblico interesse all’adozione dello stesso;

- quanto ai restanti motivi di ricorso - incentrati sull’illegittimità derivata del provvedimento di diniego di condono, per effetto dei vizi che inciderebbero sulla legittimità dell’ordine di demolizione impugnato con il ricorso introduttivo - essi partono dall’erroneo presupposto che il diniego di condono vada qualificato come «atto consequenziale e/o connesso alla procedura sanzionatoria attivata dal Comune con l’ordinanza di demozione n. 419/07». Infatti, come già evidenziato, la domanda di condono riguarda opere abusive diverse da quelle sanzionate con la predetta ordinanza di demolizione e, quindi, non sussistendo un nesso di presupposizione tra il primo ordine di demolizione ed il diniego di condono, il ricorrente in questa sede non ha interesse all’esame delle censure dedotte con il ricorso introduttivo, fermo restando che si è già posta in rilievo l’infondatezza di tali censure;

- quanto poi al secondo motivo - con il quale è stata dedotta la violazione dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990 - il Collegio osserva che, sebbene dagli atti non risulti che al ricorrente sia stata data comunicazione dei motivi ostativi accoglimento della domanda di condono, tuttavia tale vizio procedimentale non può comunque determinare l’annullamento del provvedimento impugnato, dovendosi fare applicazione della già citata disposizione dell’art. 21-octies, comma 2, prima parte, della legge n. 241/1990. Infatti, posto che il diniego di condono è un atto dovuto nei casi previsti dall’articolo 32, comma 27, lett. d), del decreto legge n. 269/2003, risulta palese che il contenuto del provvedimento impugnato non avrebbe potuto essere diverso se alla parte ricorrente fosse stata data comunicazione dei motivi ostativi accoglimento della domanda di condono;

CONSIDERATO che, stante quanto precede:

- il ricorso principale deve essere respinto perché infondato;

- il primo ricorso per motivi aggiunti deve essere accolto in parte e, per l’effetto si deve disporre l’annullamento del provvedimento n. 27661/08 in data 13 ottobre 2008, nella parte in cui dispone l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle aree “necessarie, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive”;

- il secondo ricorso per motivi aggiunti deve essere respinto perché infondato;

CONSIDERATO che - in ragione del parziale accoglimento del primo ricorso per motivi aggiunti e dell’applicazione dell’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241/1990, ai fini della reiezione del secondo ricorso per motivi aggiunti - sussistono comunque giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese del giudizio.

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