TAR Campobasso, sez. I, sentenza 2018-03-05, n. 201800115

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Campobasso, sez. I, sentenza 2018-03-05, n. 201800115
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Campobasso
Numero : 201800115
Data del deposito : 5 marzo 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 05/03/2018

N. 00115/2018 REG.PROV.COLL.

N. 00241/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 241 del 2012, proposto da:
-OMISSIS- -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato I M, domiciliato ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria di questo Tribunale;

contro

Ministero della Giustizia in persona del Ministro in carica rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, con domicilio in Campobasso, via Garibaldi, n. 124;

per l'annullamento

del decreto n. 01000/2012/cs del 25.5.2012, notificato il 14.6.12 rilasciato dal Ministero della Giustizia. DAP, dir. gen. del personale e formazione;
del parere posizione n. 3496/2010 emesso in data 27.06.11 del Comitato di verifica per le cause di servizio, notificato unitamente al decreto in pari data, con il quale non è stata riconosciuta dipendente da causa di servizio l'infermità "-OMISSIS-" lamentata dal ricorrente e conseguente accertamento e riconoscimento della dipendenza da causa di servizio della stessa e del diritto alla liquidazione dell'equo indennizzo nella misura di legge.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 dicembre 2017 il dott. D D F e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con ricorso notificato in data 27 novembre 2012 e depositato il successivo 23 ottobre, il sig. -OMISSIS- -OMISSIS-, Assistente Capo della Polizia Penitenziaria, ha premesso di prestare servizio presso la Casa Circondariale di Campobasso, svolgendo turni di lavoro distribuiti nell’arco delle 24 ore con mansioni di sentinella, esposto alle rigide condizioni climatiche, particolarmente in Campobasso.

Secondo quanto ulteriormente rappresentato, egli avrebbe svolto anche le attività di portineria che, presso la Casa circondariale di Campobasso, sarebbero particolarmente gravose, in quanto questa sarebbe priva del blockhouse (ovvero un’altra portineria volta a filtrare le richieste), di modo che gli addetti alla portineria sono deputati a svolgere svariate funzioni, a cui si sommano quelle di centralinista.

Ciò premesso, in data 15.9.2009, il ricorrente ha chiesto il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell’infermità “ -OMISSIS- ” e per tale motivo veniva sottoposto a visita medica presso la Commissione Medica Ospedaliera di Chieti che confermava la sussistenza della predetta patologia.

Con parere (prot. n. 34962/2010), il Comitato di Verifica per le Cause di Servizio non riconosceva l’invocata dipendenza, rilevando che: <<
trattandosi di affezione frequentemente di natura primitiva, -OMISSIS- favorita da fattori individuali speso legati ad abitudini di vita del soggetto. Nel determinismo e nel successivo decorso dell’affezione, di natura prevalentemente endogena, nessun ruolo può aver svolto il servizio prestato, tenuto conto delle modalità e dei disagi descritti negli atti, i quali, considerati nel loro insieme, non risultano tali da assurgere al ruolo di causa, ovvero di concausa efficiente e determinante >>.

Tale parere veniva poi recepito nel decreto (n. 1000/2012/cs del 25 maggio 2012) con cui il Ministero della Giustizia respingeva l’istanza del ricorrente.

Avverso tale provvedimento, il sig. -OMISSIS- ha proposto il ricorso introduttivo del presente giudizio, chiedendone l’annullamento sulla base dei motivi così rubricati:

I) difetto di motivazione;
violazione di legge ex art. 3 l. n. 241/1990 ed art. 14 del d.P.R. n. 461/2001.

II) eccesso di potere in relazione al conflitto tra il servizio prestato e le risultanze mediche ed il decreto n. 1000/2012/cs del 25.5.2012 in uno con il parere del Comitato di Verifica e con il giudizio espresso dalla Commissione Medica Ospedaliera di Chieti;
eccesso di potere in tutte le sue forme sintomatiche ed in particolare per manifesta illogicità, contraddittorietà, difetto di istruttoria, ingiustizia manifesta.

III) Violazione delle norme sul procedimento;
violazione dell’art. 14 del d.P.R. n. 461/2001;
violazione degli artt. 24 e 97 Cost.

IV) Violazione dell’art. 10 bis della l. n. 241/1990;

V) Violazione degli artt. 3 e 97 Cost. in relazione al principio di eguaglianza, imparzialità e buon andamento dell’Amministrazione;

VI) dipendenza da causa di servizio della infermità sofferta e diritto del ricorrente all’equo indennizzo;
violazione degli artt. 32 e 38 della Cost.

Parte ricorrente ha poi prodotto una consulenza tecnica di parte e chiede di accertare la dipendenza della causa di servizio attraverso una CTU.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione con atto depositato in data 15 novembre 2012 chiedendo il rigetto del ricorso per decorso del termine di decadenza e comunque perché infondato.

All’udienza pubblica del 5 dicembre 2017 la causa è stata trattenuta in decisione.

Può prescindersi dall’eccezione di decadenza dal diritto di chiedere l’accertamento della dipendenza da causa di servizio, ai sensi dell’art. 2 del d.P.R. n. 461/2001, sollevata dall’Amministrazione resistente, perché il ricorso è infondato nel merito.

Con il primo motivo parte ricorrente lamenta la mancanza di motivazione del provvedimento impugnato.

Il motivo non merita condivisione.

L’art. 3, co. 3, della l.n. 7 agosto 1990, n. 241 prevede che: <<
Se le ragioni della decisione risultano da altro atto dell’amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest’ultima deve essere indicato e reso disponibile, a norma della presente legge, anche l’atto cui essa si richiama >>. Tale disposizione ha espressamente riconosciuto la precedente prassi, ampiamente diffusa, della motivazione per relationem del provvedimento, subordinatamente alla conoscibilità e disponibilità del documento da cui risulta l’effettiva motivazione del provvedimento.

Nel caso di specie, tale condizione è stata pienamente rispettata, atteso che sia il provvedimento gravato, sia il parere del Comitato sono stati notificati al ricorrente il quale, quindi, ne ha avuto piena conoscenza, avendoli anche prodotti nel presente giudizio.

Peraltro, con specifico riguardo ai procedimenti per l’accertamento della dipendenza da causa di servizio, il parere del Comitato assume un ruolo centrale, perché l’Amministrazione è chiamata a pronunciarsi sul riconoscimento o meno della causa di servizio esclusivamente sulla base del parere del Comitato di Verifica, di modo che la motivazione per relationem costituisce uno sbocco procedimentale praticamente obbligato (cfr. inter alia TAR Molise 27 marzo 2015, n. 137;
TAR Lazio, sez. Ibis, 17 febbraio 2015, n. 2722).

Non può, poi, ritenersi che il parere in questione non espliciti l’iter logico seguito, atteso che, a prescindere dall’intrinseca coerenza dello stesso, non può negarsi che il Comitato di Verifica abbia effettivamente illustrato la sequenza dei collegamenti argomentativi, che hanno condotto alla valutazione formulata, evidenziando che il tipo di patologia diagnosticata si ricollega spesso a soggetti già di base predisposti, di modo che, in assenza di un elemento oggettivo, utile a rinvenire un nesso tra prestazione lavorativa e infermità, la dipendenza dalla causa di servizio non può essere desunta dalla natura dell’infermità stessa.

Con i motivi sub III e IV, parte ricorrente lamenta la violazione del termine entro cui provvedere stabilito dall’art. 14 del d.P.R. n. 461/2001 e dell’art. 10bis della l. n. 241/1990, per non aver ricevuto la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza.

Invero, il termine di cui al predetto art. 14 non ha natura perentoria, sicché la sua violazione non si traduce nell'illegittimità del provvedimento finale, dato che lo spirare del termine non può comportare alcuna consumazione del potere amministrativo di provvedere (cfr. TAR Campania, sez. VI, 25 febbraio 2015, 1257 che richiama TAR Puglia, sez. I, 6 febbraio 2013, n. 165 e Cons. Stato, Sez VI, 23 marzo 2009, n. 1711).

Va, poi, disatteso anche l’ulteriore motivo con il quale il ricorrente lamenta l’illegittimità del provvedimento impugnato per violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241/1990.

Secondo la giurisprudenza, condivisa dal Collegio, infatti, <<
il preavviso di diniego previsto dall'art. 10 bis l. 7 agosto 1990 n. 241 non va interpretato in senso formalistico, ma deve avere riguardo all'effettivo e oggettivo pregiudizio nel senso che la violazione dell'obbligo di preventiva comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza è inidonea di per sé a giustificare l'annullamento di un atto, non essendo consentito ai sensi del successivo art. 21 octies l'annullamento dei provvedimenti amministrativi il cui contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Tale criterio trova applicazione nel procedimento in esame finalizzato soprattutto alla concessione dell'equo indennizzo, dove il parere del Comitato di verifica, oltre ad essere obbligatorio, è vincolante per l'Amministrazione tenuta a concludere il procedimento in maniera conforme alle determinazioni dell'organo consultivo, fatte salve le ipotesi di palese inattendibilità o di manifesta illogicità;
pertanto, l'Amministrazione non è tenuta alla comunicazione del preavviso di rigetto ai sensi dell'art. 10 bis l. 7 agosto 1990 n. 241 in quanto l'eventuale partecipazione procedimentale dell'interessato non potrebbe produrre effetti sul contenuto dispositivo del provvedimento impugnato
>>
(cfr.: TAR Molise n. 137/2015 cit.;
TAR Campania, Napoli, sez. VII, 22 gennaio 2015, , n. 430;
TAR Lazio, Roma, sez. I, 15 settembre 2014, n. 9652;
TAR Emilia Romagna, Parma, 7 febbraio 2013, n. 42).

Con i motivi sub II, V e VI, che possono essere esaminati congiuntamente stante la loro obiettiva connessione, parte ricorrente rileva, anche sulla scorta di una consulenza di parte, l’attendibilità del parere del Comitato di Verifica, affermandone il carattere apodittico, avendo carattere pregiudiziale e astratto, mancando cioè una valutazione in concreto della situazione specifica del ricorrente da cui emerge che l’unico fattore soggettivo che avrebbe favorito l’insorgere della patologia sarebbe quello dello stress lavorativo, atteso che il sig. -OMISSIS- avrebbe per il resto una vita privata perfettamente serena. Sotto questo profilo il parere non conterrebbe alcuna specifica valutazione dei fattori di rischio propri del tipo di lavoro svolto.

Il motivo è erroneo.

Occorre richiamare alcuni indirizzi consolidati giurisprudenziali che rilevano ai fini della risoluzione dell’odierna controversia e valgono a perimetrare correttamente l’ambito del sindacato giurisdizionale consentito al Giudice amministrativo in subiecta materia , secondo un orientamento da tempo condiviso da questo Tribunale.

Il giudizio del Comitato di Verifica costituisce espressione di discrezionalità tecnica, censurabile sotto il profilo dell'eccesso di potere solo quando sia stata del tutto omessa la motivazione, ovvero se la stessa sia manifestamente infondata per mancata considerazione di circostanze di fatto di assoluta rilevanza sul piano medico legale (cfr., ex multis: TAR Campania, sez. VI, 12 dicembre 2014, n. 6576), senza che sia consentito al Giudice amministrativo di <<
sovrapporre il proprio convincimento a quello espresso dall'organo tecnico >>
(cfr.: TAR Campania, sez. VI, 7 maggio 2014, n. 2494);

nella nozione di concausa efficiente e determinante di servizio da considerarsi fattore generativo della malattia possono farsi rientrare soltanto fatti ed eventi eccedenti le ordinarie condizioni di lavoro <<
con esclusione quindi delle circostanze e condizioni generiche, quali inevitabili disagi, fatiche e momenti di stress che costituiscono fattore di rischio ordinario in relazione alla vita militare >>
(cfr.: TAR Campania, sez. VI, 5 novembre 2014, n. 5663;
TAR Lazio, Roma, sezione I, 13 gennaio 2010, n. 192);
per inficiare la coerenza logica e tecnica delle conclusioni del Comitato di Verifica non possono valere meri richiami alle modalità dei servizi prestati, genericamente definite stressanti, in ambienti difficili, spesso con orari variabili, prolungati e notturni et similia , che, in quanto tipiche dell’ordinario servizio, non assolvono a quell’onere probatorio che, in assenza di un nesso di rischio specifico tra l'attività lavorativa svolta e l'infermità dedotta, spetta al ricorrente (cfr.: TAR Lombardia, Milano, sez. III, 2 agosto 2013, n. 2057;
TAR Puglia, Lecce, sez. II, 11 aprile 2014;
TAR Campania, Salerno, sez. I , 10 ottobre 2013, n. 2034);

Nel caso di specie, sia dal ricorso introduttivo che dalla relazione del consulente di parte non emergono elementi specifici che facciano assumere alla prestazione resa dal ricorrente connotati peculiari che la facciano fuoriuscire dall’ordinario, determinando l’insorgere di un rischio specifico che valga a suffragare la riconducibilità dell’infermità diagnosticata alla causa di servizio.

Lo svolgimento dei turni di servizio in un ambiente come quello dei penitenziari che per sua stessa natura non incoraggia l’instaurazione di rapporti umani distesi, o lo svolgimento di turni nella portineria o di sentinella, peraltro poi ridotti a sei ore, non possono rappresentare di per se stessi fattori di rischio specifico da poter essere invocati a pretesa comprova del nesso di causalità tra l’attività lavorativa e l’infermità diagnosticata, trattandosi infatti di connotazione ambientale e mansioni usuali dell’attività degli agenti penitenziari.

In sostanza, deve rilevarsi come le allegazioni attoree, richiamando le modalità tipiche di svolgimento del servizio penitenziario, finiscono con l’evocare, quali fattori causali, le stesse peculiari mansioni che rientrano tra le ordinarie funzioni ed i compiti istituzionali affidati al Corpo della Polizia Penitenziaria ed esercitate dai suoi appartenenti.

Di contro, i contenuti delle suddette attività e le condizioni in cui vengono normalmente poste in essere – in ragione della loro ordinarietà e condivisibilità con tutti gli altri appartenenti alla suddetta forza di polizia – non possono essere accreditati, di per se stessi, e con la pretesa automaticità, come cause dell’ipertensione.

Nemmeno il servizio di portineria reso in assenza di filtro risulta assumere caratteri peculiari, trattandosi di una particolare modalità, magari meno agevole, di rendere una prestazione che rimane comunque ordinaria.

Di contro, a giudizio del Collegio, la motivazione posta a fondamento dell’avversato provvedimento reiettivo, per come integrato dal parere contrario licenziato dal Comitato di verifica, riflette in modo sufficiente gli approfondimenti svolti e le ragioni su cui riposa l’opposto rigetto giacché sono state adeguatamente esplicitate le relative valutazioni in riferimento sia alla ordinaria eziopatogenesi che ai possibili legami con il servizio svolto dal ricorrente.

Né sussiste una macroscopica illogicità di giudizio perché dette valutazioni rispondono alla comune esperienza, trattandosi di patologia che, come l’-OMISSIS-, presentano eziopatogenesi di tipo multifattoriale, con la conseguenza che parte ricorrente non ha proposto alcun elemento probatorio che supporti la propria richiesta e nemmeno l’esecuzione della richiesta CTU, la quale, come noto, non può supplire ad un deficit probatorio di parte e non può essere utilizzata a scopo esplorativo in assenza di illogicità o irragionevolezze della valutazione rimessa al Comitato per la Verifica della dipendenza da causa di Servizio, che nella fattispecie oggetto di causa non si appalesano.

In definitiva il ricorso deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

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