TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2023-03-13, n. 202304268

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2023-03-13, n. 202304268
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202304268
Data del deposito : 13 marzo 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/03/2023

N. 04268/2023 REG.PROV.COLL.

N. 01672/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quinta Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1672 del 2017, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati P I, Carmela Immacolata D'Errico, con domicilio eletto presso lo studio Carmela Immacolata D'Errico in Roma, via Luigi Rizzo 36;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

- del decreto del Ministro dell'Interno di rigetto della istanza volta ad ottenere la cittadinanza italiana -OMISSIS-;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 31 gennaio 2023 il dott. G V e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con il ricorso in epigrafe viene impugnato il decreto emesso in data 11.10.2016 con cui il Ministero dell'Interno ha rigettato l'istanza della ricorrente, presentata il 29.04.2010, volta alla concessione della cittadinanza italiana per residenza ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f) della Legge n. 91/1992.

L’Amministrazione, in particolare, alla luce della documentazione acquisita e fornita dall’interessato, anche a seguito della comunicazione del preavviso di diniego di cui all’art. 10- bis , legge n. 241/90, ha negato la cittadinanza per la ritenuta insufficienza del reddito.

Avverso il predetto decreto di rigetto ha quindi proposto ricorso l’interessata, deducendone l’illegittimità “ per violazione di legge relazione in relazione a:

a) artt. 6 e 8 L.91/92 per insussistenza di ragioni ostative all’acquisto della cittadinanza, con riferimento al requisito reddituale;

b) art. 3 L.241/90 per difetto di motivazione;

c) art. 3 DPR n.362/94 per violazione del termine di conclusione del procedimento;

d) eccesso di potere ”.

Lamenta essenzialmente la ricorrente che l’Amministrazione non avrebbe tenuto conto anche del reddito dell’intero nucleo familiare, in particolare dell’apporto dell’ ex compagno, cittadino italiano, con il quale – nel periodo di interesse - vi è stata una convivenza di fatto e dalla cui unione sono nati due figli, nati il-OMISSIS-. Espone, in particolare, che l’ ex compagno “ contribuisce stabilmente e mensilmente al mantenimento della ricorrente e dei loro due figli, con una somma mensile cospicua tale da consentire loro di poter vivere dignitosamente ”, sostenendo che la relativa documentazione a sostegno, prodotta anche nell’ambito del procedimento a seguito del preavviso di diniego, non sarebbe stata valutata dall’Amministrazione. Deduce, infine, la violazione dell’art. 3 del DPR n. 362/1994 che impone la conclusione del procedimento amministrativo in 730 giorni, mentre nella fattispecie il procedimento si è concluso dopo ben sei anni dalla data di presentazione della domanda.

In data 28.03.2022 il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio per resistere al ricorso, depositando anche la documentazione inerente al procedimento e la relazione ministeriale.

Con ordinanza collegiale pubblicata il 18.05.2022 sono stati disposti incombenti istruttori a carico dell’Amministrazione, onerata di depositare “ una compiuta relazione volta a fornire l’indicazione di elementi utili al Collegio con riguardo alla vicenda contenziosa in questione e alle censure dedotte da parte ricorrente anche con riguardo alla documentazione depositata dalla ricorrente e, in particolare, con riferimento alla dichiarazione sostitutiva di atto notorio sottoscritta dalla ricorrente e dal suo compagno (all’epoca dei fatti) in data 14 febbraio 2017, da cui risulta il versamento alla ricorrente di un assegno mensile di euro 2.000,00 per il mantenimento dei figli avuti dalla loro relazione ”.

Rimasta inadempiuta l’anzidetta ordinanza istruttoria, con ordinanza pubblica il 31.10.2022 il Collegio ha reiterato l’ordine istruttorio.

Con nota depositata il 20.01.2023, la difesa erariale ha rappresentato che “ si conferma il contenuto della relazione prot. n. -OMISSIS- già inviata in data 25.08.2022 ”.

In vista della discussione la ricorrente ha depositato una memoria e, alla pubblica udienza del 31 gennaio 2023, la causa è stata trattenuta per la decisione.

2.- Il ricorso è infondato.

2.1- Occorre innanzitutto rammentare che, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale condiviso anche da questa Sezione (TAR Lazio, sez. V bis, n. 1590/22, 1698/22, 1724/22, 2945/22, 3692/22, 4619/22), nel giudizio ampiamente discrezionale che l’amministrazione svolge ai fini della concessione della cittadinanza italiana rientra anche l’accertamento della sufficienza del reddito, in quanto la condizione del possesso di adeguati mezzi di sostentamento dell’istante non è solo funzionale a soddisfare primarie esigenze di sicurezza pubblica, considerata la naturale propensione a deviare del soggetto sfornito di adeguata capacità reddituale (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 3 febbraio 2011, n. 766;
id., 16 febbraio 2011, n. 974) – ratio che è alla base delle norme che prescrivono il possesso di tale requisito per l’ingresso in Italia, per il rinnovo del permesso di soggiorno e per il rilascio della carta di soggiorno – ma è anche funzionale ad assicurare che lo straniero possa conseguire l’utile inserimento nella collettività nazionale, con tutti i diritti e i doveri che competono ai suoi membri, cui verrebbe ad essere assoggettato;
in particolare, tra gli altri, al dovere di solidarietà sociale di concorrere con i propri mezzi, attraverso il prelievo fiscale, a finanziare la spesa pubblica, funzionale all’erogazione dei servizi pubblici essenziali (cfr., ex multis , Tar Lazio, I ter, 31 dicembre 2021, n. 13690;
id., 19 febbraio 2018, n. 1902;
Cons. Stato, sez. III, 18 marzo 2019, n. 1726).

La valutazione del requisito reddituale va effettuata tenendo conto non solo di quello già maturato al momento della presentazione della domanda (cfr., TAR Lazio, sez. I ter, 14 gennaio 2021, n. 507;
id., 31 dicembre 2021, n. 13690, nonché, da ultimo, sez. V bis, n. 1590/2022 e. 1724/2022) – che deve essere corredata della dichiarazione dei redditi dell’ultimo triennio, come prescritto dal DM 22.11.1994 adottato in base all’art. 1 co. 4 del DPR 18 aprile 1994, n. 362 – ma anche di quello successivo, in quanto lo straniero deve dimostrare di possedere una certa stabilità e continuità nel possesso del requisito, che va mantenuto fino al momento del giuramento, come previsto dall’art. 4, co. 7, DPR 12.10. 1993, n. 572 (TAR Lazio, sez. V bis, n. 1724/2022;
sez. I ter, n. 507/2021, n. 13690/2021, n. 10750/2020, n. 2234/2009;
cfr. sez. II quater n. 1833/2015;
n. 8226/2008).

Per tali ragioni il requisito dell’autonomia reddituale costituisce una condizione prescritta dalla legislazione in materia dei diversi Stati membri dell’Unione Europa, configurandosi come principio comune ai diversi ordinamenti giuridici.

Per quanto riguarda, invece, la soglia minima del reddito, non stabilita direttamente dalla normativa soprarichiamata, l’Amministrazione ha ritenuto di fissare ex ante dei parametri minimi indefettibili di reddito, facendo a monte una valutazione circa la congruità degli stessi a garantire l’autosufficienza economica del richiedente.

Segnatamente, l’Amministrazione – come esplicitato nella circolare del Ministero dell’Interno prot. n. K.60.1 del 5 febbraio 2007 a sua volta ricognitiva del consolidato orientamento giurisprudenziale in subiecta materia - ha assunto a parametro di riferimento l’ammontare prescritto per l’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria dall’art. 3, d.l. 25 novembre1989, n. 382, convertito in l. 25 gennaio 1990, n. 8, confermato dall’art. 2, comma 15, l. 28 dicembre 1995, n. 549, fissato in € 8.263,31 annui, incrementato ad € 11.362,05 in presenza di coniuge a carico e di ulteriori € 516,00 per ciascun figlio a carico, in quanto indicatore di un livello di adeguatezza reddituale ritenuto idoneo a garantire la possibilità per il soggetto di mantenere in modo stabile e continuativo se medesimo e la propria famiglia.

Il parametro su riferito costituisce, dunque, un requisito minimo indefettibile, ragion per cui l’insufficienza del reddito dichiarato può costituire causa ex se di diniego di cittadinanza, anche nei confronti di un soggetto che risulti sotto ogni altro profilo bene integrato nella collettività, con una regolare situazione di vita familiare e di lavoro, e titolare di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro ovvero della carta di soggiorno;
anche in questi casi, infatti, si tratta di titoli che possono essere rilasciati e rinnovati solo previa dimostrazione del possesso dei requisiti reddituali espressamente prescritti art. 9 e 29 d.lgs n. 286/1996 (sicché il requisito reddituale risulta implicitamente incluso nel requisito della “residenza legale”) .

In definitiva, l'interesse pubblico alla concessione della particolare capacità giuridica, connessa allo status di cittadino, impone che si valutino, anche sotto il profilo indiziario, le prospettive di ottimale inserimento del soggetto interessato nel contesto sociale del Paese ospitante;
prospettive a cui non può essere estranea la produzione di un reddito, che accresca le risorse del Paese stesso sotto il profilo sia produttivo che contributivo onde evitare di gravare, al contrario, sugli oneri di solidarietà sociale previsti per i soggetti indigenti.

La legittimità della suddetta valutazione è stata affermata anche dalla giurisprudenza costante in materia, condivisa anche da questo Tribunale (TAR Lazio, sez. V bis, n. 1590/22, 1698/22, 1724/22, 2945/22, 3692/22, 4619/22;
cfr.: Tar Lazio, sez. I ter, 31 dicembre 2021, n. 13690;
6 settembre 2019, n. 10791;
Tar Lazio, sez. II quater, 2 febbraio 2015, n. 1833;
13 maggio 2014, n. 4959;
3 marzo 2014, n. 2450;
18 febbraio 2014, n. 1956, 10 dicembre 2013, n. 10647;
Cons. Stato sez. I, parere n. 240/2021;
parere n. 2152/2020;
Cons. Stato, sez. III, 18 marzo 2019, n. 1726).

2.2- Ciò posto, valga altresì precisare, per quanto qui maggiormente rileva, che, nella valutazione sulla sussistenza del requisito della capacità reddituale, l’Amministrazione deve tenere conto non soltanto del reddito dell’istante ma deve anche verificare l’eventuale, effettivo, contributo offerto dagli altri membri del nucleo familiare (in tal senso, ex plurimis , Tar Lazio, sez. V bis, n. 1698/2022;
Cons. St., sez. III, n. 4372/2019).

L’orientamento da tempo espresso dalla giurisprudenza al riguardo è stato recepito dallo stesso Ministero dell’Interno, che, nella circolare prot. n. K.60.1 del 5 febbraio 2007, diramata agli Uffici competenti, ha ribadito che è necessario, « nel rispetto del concetto di solidarietà familiare cui sono tenuti i membri della famiglia, valutare la consistenza economica dell’intero nucleo al quale l’aspirante cittadino appartiene quando, dalla documentazione prodotta e/o dalla istruttoria esperita, si può evincere che esistono altre risorse che concorrono a formare il reddito ».

La stessa circolare ha altresì precisato che, essendo autocertificabili solo i redditi propri, per i redditi degli altri componenti il nucleo familiare andrà necessariamente prodotta la documentazione (mod. CUD, mod. 730 e mod. Unico) atta a dimostrare la disponibilità dei mezzi di sostentamento adeguati.

2.3 - Tanto chiarito anche in ordine al quadro giurisprudenziale di riferimento, nel caso in esame la ricorrente contesta la legittimità del diniego impugnato in quanto l’Amministrazione avrebbe omesso di computare, ai fini del raggiungimento della soglia minima, l’apporto reddituale di un componente del nucleo familiare, segnatamente il convivente di fatto “ nel periodo che qui interessa ”, titolare di una capacità reddituale superiore ai parametri minimi innanzi descritti.

La doglianza è destituita di fondamento.

Invero, ritiene il Collegio che il principio della cumulabilità del proprio reddito con quello dei componenti del nucleo familiare - stabilito anche dalla ridetta circolare ministeriale del 2007 - debba essere interpretato in modo restrittivo, tenuto conto della ratio sottesa al requisito reddituale ai fini della concessione della cittadinanza che, come si è detto, risiede nell’esigenza di assicurarsi che il richiedente sia effettivamente fornito di idonei mezzi di sussistenza in modo stabile e continuativo, onde conseguire l’utile inserimento nella collettività nazionale, con tutti i diritti e i doveri che competono ai suoi membri cui verrebbe ad essere assoggettato, ed evitare, altresì, di gravare sul pubblico erario.

Sul punto, pertanto, questa Sezione condivide il consolidato orientamento giurisprudenziale che ha avuto modo di evidenziare che deve essere esclusa la possibilità di cumulare il reddito di un soggetto diverso dal percettore che sia legato a quest’ultimo non già da un rapporto comportante l’obbligo alimentare, ai sensi dell’art. 433 c.c., bensì “ da un legame in ogni momento liberamente disponibile ” (cfr. Cons. Stato, sez. I, parere 30 dicembre 2020, n. 2152;
Cons. Stato, sez. III, 25 giugno 2019, n. 4372;
Cons. Stato, sez. III, 5 marzo 2018, n. 1399).

La disposizione normativa da ultimo evocata, infatti, come affermato a più riprese anche da questa Sezione (TAR Lazio, Roma, sez. V-bis, nn. 1590/2022 e 11187/2022), si fonda sulla valorizzazione dei legami parentali più stretti, in considerazione non solo della necessità di ancorare il parametro della estensione del reddito cumulabile del nucleo familiare ad un dato oggettivo consistente nel vincolo familiare che giustifica un dovere di solidarietà in capo a soggetti individuati dal legislatore, ma anche al fine di evitare facili elusioni della normativa sul reddito minimo per il tramite di strumentali e momentanee costituzioni di nuclei familiari non idonei a giustificare, in caso di legittima separazione, alcun reciproco obbligo giuridico.

Ciò posto, nella fattispecie concreta viene dedotta l’esistenza di una convivenza di fatto, e a riprova di tale convivenza la ricorrente produce in giudizio una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, stipulata il 14.02.2017, in forma di atto pubblico notarile, dalla stessa ricorrente e dall’ex compagno, con la quale si dichiara che essi avevano iniziato una relazione nel 2004, poi terminata nel 2013, e che per un lungo periodo hanno anche convissuto, fino al 2013, anno di nascita del loro secondo figlio;
si dichiara, inoltre, che l’ex compagno tuttora contribuisce al mantenimento sia della odierna istante che dei due loro figli, corrispondendo un assegno mensile di euro 2.000,00, “ oltre al pagamento di tutte le spese relative alle utenze domestiche, alla scuola, alle attività sportive dei bambini e quant’altro”.

Ebbene, si rende opportuno evidenziare, innanzitutto, che tale dichiarazione è stata sottoscritta dalle parti in data successiva al gravato decreto emesso l’11.10.2016, sicchè si tratta di una circostanza di fatto che, proprio perché successiva al diniego, l’Amministrazione non poteva prendere in considerazione;
pertanto non potrebbe comunque inficiare la legittimità dell’atto impugnato, dato che questa va valutata alla stregua delle circostanze di fatto esistenti e note al momento della sua adozione (cfr., ex multis , Consiglio di Stato, sez. III, 07/01/2022, n. 104).

Fermo quanto sopra esposto, con riguardo alla disciplina della convivenza di fatto giuridicamente rilevante, occorre richiamare le seguenti disposizioni normative introdotte dalla recente legge n. 76/2016, che reca la regolamentazione non soltanto delle unioni civili tra persone dello stesso sesso ma anche “ delle convivenze ”:

- l’art. 1, comma 36, dispone che “ Ai fini delle disposizioni di cui ai commi da 37 a 67 si intendono per conviventi di fatto due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile ”;

- l’art. 1, comma 37, stabilisce che “ Ferma restando la sussistenza dei presupposti di cui al comma 36, per l'accertamento della stabile convivenza si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all'articolo 4 e alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 13 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223 ”;

- l’art. 1, comma 65, prevede che “ in caso di cessazione della convivenza di fatto, il giudice stabilisce il diritto del convivente di ricevere dall'altro convivente e gli alimenti qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. In tali casi, gli alimenti sono assegnati per un periodo proporzionale alla durata della convivenza e nella misura determinata ai sensi dell'articolo 438, secondo comma, del codice civile. Ai fini della determinazione dell'ordine degli obbligati ai sensi dell'articolo 433 del codice civile, l'obbligo alimentare del convivente di cui al presente comma è adempiuto con precedenza sui fratelli e sorelle ”.

Tale ultima disposizione, in particolare, riveste una notevole portata innovativa, in quanto estende il novero dei soggetti legalmente tenuti all’obbligo alimentare anche al “convivente di fatto”, a condizione, tuttavia, che detta convivenza sia connotata da tutti i requisiti previsti dalla novella legislativa in esame.

Ora, dagli atti depositati non risulta, anzitutto, che le parti abbiano reso la ridetta dichiarazione anagrafica di cui all’art. 13 (da presentarsi nel caso di “ costituzione di una nuova famiglia o di una nuova convivenza ”) e al riguardo, peraltro, la ricorrente ammette espressamente che non vi è mai stata una comunanza di residenza con l’ex compagno.

Si aggiunga inoltre che, a norma del menzionato comma 36, tra gli elementi costitutivi della “convivenza di fatto” rientra anche la libertà di stato, in quanto la norma richiede espressamente che nessuna delle due persone sia vincolata, tra l’altro, da rapporti di matrimonio;
per converso, dalla disamina dell’autocertificazione e dei modelli 730 dell’ex compagno, depositati in giudizio, emerge che egli dichiarava di essere già coniugato, circostanza che pertanto costituisce un impedimento alla convivenza di fatto rilevante ai fini degli effetti riconosciuti dalla richiamata disciplina normativa.

Dalle considerazioni che precedono consegue che l’operato dell’Amministrazione, laddove non ha tenuto conto dell’apporto economico dell’ex compagno della richiedente ai fini del raggiungimento della soglia di reddito prevista per la concessione della cittadinanza, appare esente dai vizi denunciati.

3.- Deve essere respinto anche l’ultimo profilo di doglianza, riguardante l’asserita illegittimità del diniego in quanto adottato dopo la scadenza del termine previsto per la conclusione del procedimento;
la ricorrente sembra, infatti, assumere che il provvedimento di diniego sarebbe stato adottato quando il potere si era ormai consumato per scadenza del termine perentorio biennale, invocando a sostegno l’art. 3 del Regolamento recante la disciplina dei procedimenti di acquisto della cittadinanza di cui al d.P.R. n. 362/1994.

La doglianza è destituita di ogni fondamento.

Invero, allorché venga presentata un’istanza di concessione della cittadinanza per naturalizzazione ai sensi dell’art. 9, come nel caso in esame, l’Amministrazione conserva senza dubbio il potere di provvedere anche dopo la scadenza del termine, trattandosi di termine pacificamente ordinatorio e non perentorio, il cui inutile decorso, come ripetutamente chiarito anche da questa Sezione, può semmai legittimare il richiedente a proporre il ricorso avverso il silenzio illegittimamente serbato dall’Amministrazione ex artt. 31 e 117 c.p.a. (TAR Lazio, sez. V bis, n. 3620/2022, 5130/2022, 6604/2022, 6254/2022, 16216/2022) nonché, eventualmente, un’azione di risarcimento per il danno da ritardo, chiaramente in presenza di tutte le altre condizioni a tal fine necessarie.

D’altronde, la costante giurisprudenza (cfr., ex multis, Consiglio di Stato sez. IV, 06/06/2017, n.2718) ha precisato che un termine procedimentale non può rivestire carattere perentorio - tale, cioè, da determinare la consumazione del potere di provvedere in capo all'Amministrazione in caso di suo superamento - se non in presenza di una puntuale ed espressa previsione normativa ovvero di una evidente, manifesta ed univoca ratio legis in tal senso: detti presupposti non sono evidentemente ravvisabili nel caso in esame.

Sulla scorta dei suddetti rilievi, acclarata la conservazione del potere di provvedere in capo all’Amministrazione anche dopo la scadenza del termine ordinatorio previsto dalla legge, tale ultimo motivo di gravame deve essere respinto.

4.- In conclusione, valga ribadire che il provvedimento di concessione della cittadinanza è atto altamente discrezionale, in quanto l'Amministrazione, dopo aver accertato l'esistenza dei presupposti per proporre la domanda di cittadinanza, deve effettuare una valutazione ampiamente discrezionale sulle ragioni che inducono lo straniero a chiedere la nazionalità italiana e delle sue possibilità di rispettare i doveri che derivano dall'appartenenza alla comunità nazionale, ivi compresi quelli di solidarietà economica e sociale.

In tale quadro, l'interesse pubblico alla concessione della particolare capacità giuridica, connessa allo status di cittadino, impone che si valutino, anche sotto il profilo indiziario, le prospettive di ottimale inserimento del soggetto interessato nel contesto sociale del Paese ospitante;
prospettive a cui non può essere estranea la produzione di un reddito, che accresca le risorse del Paese stesso sotto il profilo sia produttivo che contributivo onde evitare di gravare, al contrario, sugli oneri di solidarietà sociale previsti per i soggetti indigenti.

L’anzidetta valutazione discrezionale può essere sindacata in questa sede nei ristretti ambiti del controllo di legittimità, con esclusione di ogni sindacato sostitutivo di merito;
il sindacato del giudice, dunque, non può spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell'esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole (Consiglio di Stato sez. VI, 9 novembre 2011, n. 5913;
Tar Lazio II quater n. 5665 del 19 giugno 2012).

Ebbene, considerato che la disponibilità di un reddito minimo da parte del richiedente, onde raggiungere l’autosufficienza economica, costituisce uno dei presupposti fondamentali richiesti al cittadino straniero per ottenere la cittadinanza italiana, ne consegue che l’insufficienza dei mezzi economici può essere valutata come circostanza ostativa alla concessione della cittadinanza sulla scorta di tutte le considerazioni sinora esposte.

D’altronde, si tenga conto che il diniego della cittadinanza non preclude all’interessato di ripresentare l’istanza nel futuro (già dopo un anno dal primo rifiuto) e di conseguire lo status anelato ove concorrano tutte le condizioni richieste, per cui le conseguenze discendenti dal provvedimento negativo sono solo temporanee e non comportano alcuna “interferenza nella vita privata e familiare del ricorrente” (art. 8 CEDU, art. 7 Patto internazionale diritti civili e politici), dato che l’interessato può continuare a rimanere in Italia ed a condurvi la propria esistenza alle medesime condizioni di prima.

In ultima analisi, il provvedimento appare adeguatamente motivato e scevro dalle dedotte censure, pertanto il ricorso proposto deve essere respinto.

5.- Alla luce di una valutazione globale della controversia, ritiene il Collegio che sussistano giusti motivi per compensare integralmente le spese di lite tra le parti.

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