TAR Venezia, sez. II, sentenza 2021-09-14, n. 202101090

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Venezia, sez. II, sentenza 2021-09-14, n. 202101090
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Venezia
Numero : 202101090
Data del deposito : 14 settembre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 14/09/2021

N. 01090/2021 REG.PROV.COLL.

N. 00658/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA IALIANA

IN NOME DEL POPOLO IALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 658 del 2012, integrato da motivi aggiunti, proposto da
A D V, rappresentato e difeso dall'avvocato M Z, con domicilio eletto presso lo studio Franco Zambelli in Venezia-Mestre, via Cavallotti, 22;

contro

Comune di San Vito di Cadore, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato L V, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrett. Stato, domiciliataria ex lege in Venezia, San Marco, 63;
Regione Veneto, Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio per le Provincie di Venezia Belluno Padova e Treviso, Provincia di Belluno, non costituiti in giudizio;

nei confronti

Fallimento Edilveneta S.r.l., in persona del curatore pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato Fulvio Lorigiola, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Enel Distribuzione Spa, Società Gestione Servizi Pubblici di Belluno, non costituiti in giudizio;

per l'annullamento

quanto al ricorso principale:

del permesso di costruire n.866/11, rilasciato ad Edilveneta Srl in data 11.03.2011, per la "realizzazione delle opere di urbanizzazione relative al piano integrato di interventi adottato con delibera di Giunta Municipale n.109/10 del 10.12.2010 e approvato con delibera di Consiglio Comunale n.03/11 del 31.01.2011 giusta convenzione urbanistica sottoscritta il 07.03.2011";

del permesso di costruire n.867/11 rilasciato ad Edilveneta Srl in data 04.04.2011, "per la realizzazione di un nuovo edificio plurifamiliare, suddiviso in due porzioni, mediante lo spostamento di volumi in attuazione del Piano di intervento adottato con delibera di Giunta Municipale n.109/10 del 10.12.2010 e approvato con delibera di Consiglio Comunale n.03/11 del 31.01.2011 giusta convenzione urbanistica sottoscritta il 07.03.2011";

nonché di ogni atto annesso, connesso o presupposto;

quanto ai motivi aggiunti depositati il 27.9.2012:

del permesso di costruire in sanatoria n. 896/12, rilasciato a Edilveneta Srl in data 27.04.2012 "per la sanatoria edilizia per la realizzazione di due edifici plurifamiliari con demolizione di altro fabbricato";

del parere della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Venezia, favorevole al rilascio di "accertamento di compatibilità paesaggistica" di cui alla nota 24.04.2012, prot n. 0011234, acquisita con il n. 2394/10 al protocollo del Comune di San Vito di Cadore in data 26.04.2012;

del parere "espresso dai Membri esperti in materia di Beni Culturali e Ambientali" in data 14.03.2012, e di cui al richiamo contenuto nel permesso di costruire in sanatoria impugnato sub 1);

nonché di ogni altro atto connesso, conseguente e/o presupposto;

quanto ai motivi aggiunti depositati il 13.12.12:

del permesso di costruire n. 903/12, datato 06.09.2017 (prot. n.5249/10, pratica n.2012-054), rilasciato a Edilveneta Srl;

dell'autorizzazione paesaggistica, datata 06.09.2012, n. 50/2012 (prot. n.52478, pratica n.2012-054), rilasciata dal Responsabile del Servizio del Comune di San Vito di Cadore (allegata al permesso di costruire n.903/12, come sopra impugnato) avente ad oggetto: "aumento del 5% del volume...omississ.... Autorizzazione ai fini paesaggistici a norma dell'art.146 del D.Lgs 22/01/2004, n. 42";

del parere espresso dalla Commissione per il Paesaggio" nella seduta del 21.06.2012, "favorevole al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica...in quanto lo stesso non altera i valori paesaggistici vincolati';

quanto ai motivi aggiunti presentati in data 30.11.2020:

del permesso di costruire in sanatoria e variante n. 943/15 del 29.05.2015;

della nota comunale 24.11.2014 prot. 6980;

dell’accertamento di compatibilità paesaggistica datato 10.12.2014;

dell’ordinanza comunale n. 7 del 22.06.2015 di revoca ordinanze 31 del 27.06.2014 e n. 32 del 08.07.2014;

dell’autorizzazione comunale ex art. 146 Dlgs 42/2004 datata 04.08.2016.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di San Vito di Cadore, del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Fallimento Edilveneta S.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 luglio 2021, svoltasi da remoto con modalità di videocollegamento, la Dr.ssa Daria Valletta;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il ricorso introduttivo del giudizio il Sig. D V ha trasposto nella presente sede l’impugnazione originariamente proposta al Capo dello Stato, chiedendo l’annullamento dei permessi di costruire nr. 866/2011 e 867/2011 rilasciati dal Comune resistente in favore della società Edilveneta srl: il ricorrente ha, altresì, contestato alcuni ulteriori atti ritenuti presupposti.

Il Sig. D V ha, in particolare, dedotto di essere proprietario di un fabbricato residenziale insistente su fondo confinante con quello interessato dall’intervento edilizio in commento e sulla scorta di tali premesse ha articolato, avverso gli atti impugnati, i seguenti motivi di gravame:

1) con il primo motivo si lamentano una serie di vizi che affliggerebbero la relazione istruttoria in data 20.10.2010;

2) con il secondo motivo si contesta l’illegittimità dell’art. 11, comma 3, del P.R.G. comunale, nella parte in cui la norma consentirebbe uno “sconfinamento” di zona sulla base di una sola convenzione con il Comune e in difetto dell’adozione di ogni variante: la norma sarebbe dunque in contrasto con le disposizioni della L.R. 61/85, vigente ratione temporis ;

3) con il terzo motivo si lamenta l’illegittimità dell’atto conclusivo della conferenza di servizi decisoria indetta dal Comune, per carenza di motivazione e per mancata partecipazione della Soprintendenza ai lavori della conferenza;
l’atto sarebbe, inoltre, illegittimo per mancata acquisizione del parere della C.E.I., necessario ai sensi degli artt. 39 e 40 del Regolamento edilizio comunale;

4) con il quarto motivo si deduce la carenza di motivazione dell’autorizzazione paesaggistica in data 29.11.2010;

5) con il quinto motivo si lamenta l’illegittimità del P.I. in quanto lo strumento attuativo sarebbe stato adottato in mancanza del parere obbligatorio della C.E.I., richiesto dall’art. 39 del regolamento comunale, e in quanto sarebbe stata autorizzata una nuova volumetria a destinazione residenziale in zona agricola;

7) con il settimo motivo (indicato in ricorso come motivo A) proposto avverso il permesso di costruire nr. 866/11 se ne lamenta l’illegittimità in via derivata in forza dei vizi in precedenza elencati relativi agli atti presupposti;

8) si contesta, inoltre, l’illegittimità in via derivata del permesso di costruire nr. 867/11 (motivo rubricato in ricorso sub B) nonché la relativa illegittimità per vizi propri in quanto: la complessità dell’intervento eccederebbe i limiti della competenza professionale del progettista (un geometra);
sarebbe stata autorizzata una volumetria eccedente il consentito, in quanto i garage non sarebbero completamente interrati.

Il ricorrente ha concluso chiedendo, oltre all’annullamento degli atti gravati, la condanna del Comune al risarcimento del danno causato dall’illegittimo rilascio dei titoli gravati.

Con un primo ricorso per motivi aggiunti è stato impugnato il permesso nr. 869/2012 rilasciato dal Comune in sanatoria, nonché ulteriori atti presupposti, evidenziandone, in primo luogo, l’illegittimità in via derivata in ragione dei vizi dei due titoli edilizi gravati con il ricorso introduttivo.

Inoltre, si lamenta:

1) in primo luogo, che non sarebbe chiaro l’oggetto della sanatoria e che il parere reso dalla C.E.I. sarebbe generico, contraddittorio rispetto alle premesse di fatto da cui muove nonchè carente di motivazione;

2) l’atto, inoltre, sarebbe stato rilasciato senza irrogazione di sanzioni amministrative;

3) si contesta ancora il parere reso dalla Soprintendenza, in quanto generico e affetto da carenza di istruttoria.

Con un secondo atto per motivi aggiunti il ricorrente ha proposto nuove censure avverso gli atti già gravati e ha contestualmente impugnato gli ulteriori atti indicati in epigrafe:

1) con il primo motivo si contesta l’illegittimità del permesso nr. 896/2012, osservando che il tecnico comunale avrebbe aderito in maniera superficiale e illogica alle giustificazioni offerte dal tecnico di parte in relazione agli abusi perpetrati;
si evidenzia, inoltre, che la quota superficiale del terreno interessato dall’intervento autorizzato sarebbe stata artificiosamente ricostruita;
sarebbero, poi, erronei i calcoli relativi all’altezza dell’edificato operati dal tecnico di parte e non sarebbero state adeguatamente esaminate dal Comune le asseverazioni di parte relative allo spessore delle pareti;

2) si osserva, inoltre, che la pratica non sarebbe stata sottoposta all’esame della C.E., ma solo a quello dei membri esperti della commissione;

3) quanto alle somme richieste alla controinteressata a titolo di sanzione, si contesta la legittimità dei calcoli operati dall’Amministrazione sul punto;

4) si deduce l’illegittimità dell’accertamento di compatibilità paesaggistica nella parte in cui avrebbe escluso il rilievo dei “volumi tecnici” dalla considerazione complessiva dell’abuso posto in essere;

5) si contesta inoltre (con il primo motivo proposto avverso gli atti impugnati per la prima volta con il secondo ricorso per motivi aggiunti) l’illegittimità del permesso di costruire nr. 903/2012 in conseguenza dei vizi degli atti già gravati;

6) il permesso nr. 903/2012 sarebbe poi illegittimo in via autonoma nella parte in cui autorizzerebbe il bonus volumetrico di cui al D.Lgs. 28/2011, in assenza dei relativi presupposti;

7) infine, la nuova autorizzazione paesaggistica “in variante”, gravata con il secondo ricorso per motivi aggiunti, sarebbe illegittima in via derivata nonché per carenza di motivazione.

Con un terzo ricorso per motivi aggiunti il ricorrente ha impugnato gli ulteriori atti indicati in epigrafe;
avverso il permesso di costruire n. 943/2015 in sanatoria e in variante, sono svolte le seguenti deduzioni:

1) con il primo motivo se ne lamenta l’illegittimità in via derivata a causa dei vizi degli atti presupposti;

2) con il secondo motivo si osserva che il “travaso” di volumi dal fabbricato “B” al fabbricato “A” -utilizzato per sanare il maggior volume del fabbricato “A” a scapito del volume presente sul fabbricato “B”- sarebbe illegittimo, in quanto i due edifici sarebbero entrambi abusivi per quanto concerne il maggior volume realizzato;
inoltre, le planimetrie progettuali non riporterebbero partitamente, per ogni vano, le dimensioni in superficie e volume, obbligatorie anche per verificare il rispetto del rapporto aeroilluminante, in tal modo determinando un vizio di istruttoria, sussistente, peraltro, anche in riferimento al mancato accertamento del rispetto delle disposizioni di cui alla D.G.R.V. 1428/2011 in relazione ai vani scala.

Quanto, poi, alla richiesta del Comune inoltrata in data 24.11.2014 alla Soprintendenza Veneta e all’accertamento di compatibilità paesaggistica rilasciato dalla Soprintendenza in data 10.12.2014 si osserva che:

1) gli atti sarebbero illegittimi in via derivata;

2) l’atto comunale sarebbe, inoltre, contraddittorio perché non espliciterebbe le violazioni contestate con le due ordinanze di demolizione citate, non mettendo in tal modo la Soprintendenza in condizione di intendere che il problema non era costituito solo dalle modifiche di dettaglio apportate in corso lavori, ma anche dall’aumento di cubatura dell’edificio A, che non consentiva alcuna sanatoria;
l’atto ministeriale sarebbe, inoltre, carente in punto di motivazione.

Quanto all’ordinanza n. 7 del 22.06.2015 si osserva che l’atto sarebbe illegittimo in via derivata, per i motivi evidenziati con l’impugnazione del permesso di costruire n. 943/15 del 29.05.2015.

Quanto all’autorizzazione paesaggistica in data 4.08.2016:

1) in primo luogo, si lamenta la violazione del principio di differenziazione tra le attività di tutela paesaggistica e l’esercizio delle funzioni urbanistico-edilizie, in quanto la scheda di istruttoria edilizia datata 06.05.2016 e l’autorizzazione a fini paesaggistici datata 04.08.2016 sarebbero state sottoscritte dal medesimo tecnico, la prima nella qualità di “Responsabile del procedimento” e la seconda nella qualità di “Responsabile del Servizio Tecnico”;

2) inoltre, l’atto sarebbe affetto da carenza di motivazione.

Si è costituito in giudizio il Comune di San Vito di Cadore, eccependo preliminarmente l’irricevibilità del ricorso introduttivo del giudizio in quanto i termini per l’impugnazione della D.G.C. n. 109/2010 e della D.C.C. n. 3/2011, rispettivamente di adozione e di approvazione del piano attuativo, erano già decorsi alla data di notifica del ricorso straordinario;
il Comune ha, inoltre, eccepito l’irricevibilità del gravame anche con riferimento all’impugnazione dei permessi di costruire nn. 866/2011 e 867/2011 e l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse all’impugnazione, anche in relazione alla circostanza che il Piano Integrato -divenuto inoppugnabile- conterrebbe la progettazione puntuale dell’intervento, e dunque l’eventuale annullamento degli atti impugnati a valle non determinerebbe alcun risultato utile in favore del ricorrente.

Nel merito, il Comune resistente ha chiesto il rigetto del gravame.

Si è costituita in giudizio la società controinteressata: in data 14.9.2020, il procuratore della parte ricorrente ha depositato estratto della sentenza dichiarativa di fallimento della Edilveneta s.r.l. e il giudizio è stato dichiarato interrotto.

Si è in seguito costituito il Fallimento Edilveneta srl, eccependo l’irricevibilità e l’inammissibilità del ricorso, la tardiva riassunzione del giudizio e chiedendo, nel merito, la reiezione del ricorso.

Si è, altresì, costituito in giudizio il Ministero per i Beni e le Attività culturali, deducendo di non essersi mai espresso favorevolmente sugli interventi della Edilveneta.

All’udienza in data 14.07.2021, svoltasi da remoto con modalità di videocollegamento, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITO

1. Con l’atto introduttivo del giudizio il Sig. D V ha traposto nella presente sede il gravame già proposto al Capo dello Stato avverso i permessi di costruire nr. 866 e 867 del 2011 rilasciati dal Comune di San Vito di Cadore in favore della società Edilveneta srl, oltre che avverso alcuni atti presupposti.

Con i citati titoli edilizi la società Edilveneta srl veniva autorizzata alla realizzazione delle opere di urbanizzazione e dell’edificio plurifamiliare previsti nel Piano Integrato di Interventi adottato e approvato dall’ente resistente con delibere nr. 109/2010 della Giunta Municipale e nr.3/2011 del Consiglio Comunale (a loro volta gravate quali atti presupposti);
nel corso del giudizio il ricorrente ha poi presentato tre distinti atti per motivi aggiunti, impugnando anche gli ulteriori provvedimenti indicati in epigrafe.

2. Occorre, preliminarmente, esaminare l’eccezione d’inammissibilità del gravame per carenza di interesse alla relativa proposizione sollevata dal Comune di San Vito di Cadore e dalla parte controinteressata: il Collegio ritiene tale eccezione fondata.

Giova, in proposito, rimarcare che con l’atto introduttivo del giudizio il Sig. D V ha dedotto di essere proprietario di un fabbricato a uso abitativo ubicato su un fondo confinante, sul lato nord, con quello interessato dall’intervento edilizio qui contestato;
nel ricorso si afferma, inoltre, relativamente a detto intervento, che esso integrerebbe un grave episodio di “speculazione edilizia” in ragione dei numerosi vizi che inficerebbero i provvedimenti impugnati, elencati nell’atto di gravame. Null’altro si deduce quanto all’interesse a ricorrere.

Dunque, come rilevato dalle controparti processuali, difetta ogni riferimento al pregiudizio concreto che la realizzazione dell’intervento in commento recherebbe alla sfera giuridica del ricorrente, circostanza che non consente di apprezzare quale sia l’interesse che sostiene l’impugnazione;
è appena il caso di evidenziare che tale carenza originaria di allegazione sul punto non può essere colmata, come il ricorrente pretende, dalla produzione, in corso di causa e precisamente in data 1.06.2021, di una perizia del tecnico di parte contenente una stima dei danni asseritamente patiti dall’interessato ( cfr . doc. 1 dell’allegazione del 1.06.2021).

Dal difetto di interesse al gravame discende l’inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio e dei ricorsi per motivi aggiunti. Occorre, in proposito, evidenziare che in ordine al carattere non decisivo né assorbente della cd. vicinitas ai fini della dimostrazione dell’interesse a ricorrere, si registrano, anche in epoca recentissima, numerosi arresti nella giurisprudenza del Consiglio di Stato e di quella del giudice di primo grado: “ Questo Consiglio di Stato ha statuito, in più occasioni, che la vicinitas, cioè lo stabile collegamento con la zona interessata dall'intervento, può fondare la legittimazione ad agire a condizione che ad essa si accompagni la lesione concreta ed attuale della posizione soggettiva di chi impugna il provvedimento. In altri termini, lo stabile collegamento con l'area interessata dall'intervento edilizio non è sufficiente a comprovare anche l'interesse a ricorrere che è, invece, derivante da un concreto pregiudizio per l'interessato. La vicinitas, pertanto, non rappresenta un dato decisivo per riconoscere l'interesse ad agire (che nel giudizio di legittimità davanti al giudice amministrativo si identifica con l'interesse ad impugnare), nel senso che di per sé non è sufficiente, dovendosi dimostrare che l'intervento contestato abbia capacità di determinare una lesione attuale e concreta in capo al ricorrente.

In linea con le coordinate interpretative sopra richiamate, la più recente giurisprudenza amministrativa ha precisato che “L'idea che la nozione di vicinitas - oltre a identificare una posizione qualificata idonea a rappresentare la legittimazione a impugnare il provvedimento urbanistico o edilizio - ricomprenda in sé anche l'interesse a ricorrere è stata, infatti, superata dall'indirizzo secondo cui, ai fini dell'ammissibilità del ricorso, deve essere concretamente indagato e accertato anche l'interesse ad agire. Questo indirizzo valorizza ragioni di coerenza con i principî generali sulle condizioni per l'azione nel processo amministrativo, nel cui novero rientrano distintamente, oltre alla legitimatio ad causam, il c.d. titolo (o legittimazione al ricorso) e l'interesse ad agire (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 27 aprile 2015, n. 5;
25 febbraio 2014, n. 9;
successivamente, Sez. IV, 19 novembre 2015, n. 5278 citata;
per ultimo Sez. IV, 5 febbraio 2018, n. 707)” (Consiglio di Stato sez. IV, 26/10/2020 n.6521)
” ( cfr . Cons. St., Sez. II, 13.07.2021, nr. 5506).

Ancora, ex multis : “ Come è noto, per costante giurisprudenza (cfr., ex multis, Cons. Stato, Ad. pl., 25 febbraio 2014 n. 9), l’azione di annullamento è soggetta a tre condizioni fondamentali:

a) il c.d. titolo o la possibilità giuridica dell’azione (ossia la posizione giuridica configurabile in astratto da una norma quale interesse legittimo, ovvero la legittimazione a ricorrere discendente dalla posizione qualificata del soggetto, che lo distingue dal quisque de populo rispetto all’esercizio del potere amministrativo);

b) l’interesse ad agire (ex art. 100 c.p.c.);

c) la legitimatio ad causam (o legittimazione attiva).

Tutte le suindicate condizioni dell’azione devono necessariamente sussistere anche nel caso di impugnativa di titoli relativi alla realizzazione di opere edilizie.

La nozione di vicinitas consente, in astratto, di censurare i titoli abilitativi rilasciati per la realizzazione di opere edilizie nella zona che si trovi in situazione di stabile collegamento con la proprietà del ricorrente.

La giurisprudenza, tuttavia, ha affinato e più adeguatamente specificato la nozione di vicinitas attraverso significativi e sostanziali correttivi, tra cui la “necessaria sussistenza di un reale pregiudizio che venga a derivare dalla realizzazione dell'intervento assentito, specificando con riferimento alla situazione concreta e fattuale come, perché, ed in quale misura il provvedimento impugnato incida la posizione sostanziale dedotta in causa, determinandone una lesione concreta, immediata e di carattere attuale (cfr. sul punto, tra le molte, Cons. Stato, Sez. IV, 19 novembre 2015 n. 5278) ” ( cfr . Cons. St., Sez. VI, 27.06.2019, nr. 2419/2020).

Quanto alla giurisprudenza di questa Sezione, si veda, tra le altre, Tar Veneto, Sez. II, 23.06.2021, nr. 1010.

3. Anche a prescindere dalla rilevata inammissibilità per difetto d’interesse, il ricorso risulterebbe comunque irricevibile per tardiva impugnazione dei titoli a costruire, come eccepito dal Comune resistente e dalla controinteressata.

Risulta, infatti, dagli atti di causa che in data 24.08.2011 il ricorrente, personalmente, prendeva visione degli atti in esame ( cfr . all. 21 della produzione di parte resistente);
in seguito a specifica richiesta di rilascio di copia degli atti a iniziativa del tecnico di parte, l’Amministrazione concedeva per giorni 7 copia conforme della documentazione richiesta, invitando l’istante a estrarne una copia con mezzi propri: gli atti in discorso risultano ricevuti in data 9.09.2011 ( cfr . all. 22 della produzione di parte resistente). Dunque, la proposizione del ricorso straordinario al Capo dello Stato a mezzo notifica in data 26.01.2012 risulta avvenuta tardivamente, in quanto successiva alla scadenza del termine di 120 giorni dalla conoscenza degli atti, conoscenza da collegare alla consegna della documentazione richiesta (come si è detto, avvenuta già il 9.09.2011).

In proposito giova osservare che la “piena conoscenza” del provvedimento, quale dies a quo del termine di decorrenza di cui all'art. 41, comma 2, c.p.a, non deve essere intesa come sua conoscenza piena ed integrale;
ed invero, è sufficiente allo scopo la percezione dell'esistenza di un provvedimento amministrativo e degli aspetti che ne rendono evidente la lesività della sfera giuridica del potenziale ricorrente, in guisa da rendere riconoscibile l'attualità dell'interesse ad agire contro di esso.

Pertanto la norma intende per “piena conoscenza” la consapevolezza dell'esistenza del provvedimento e della sua lesività. Siffatta consapevolezza determina la sussistenza di una condizione dell'azione, qual è l'interesse al ricorso, mentre la conoscenza integrale del provvedimento (o di altri atti del procedimento) influisce sul contenuto del ricorso e sulla concreta definizione delle ragioni di impugnazione e, quindi, sulla causa petendi ( cfr . Cons. Stato, Sez. II, 9 aprile 2020 n. 2328 e Sez.IV, 23 maggio 2018 n. 3075).

Del pari tardiva risulta l’impugnazione delle delibere di adozione e approvazione del P.I.I., ovvero dello strumento attuativo che costituisce il presupposto del rilascio dei titoli a costruire citati: si tratta, infatti, di atti comunali soggetti a pubblicazione, che il Comune ha dedotto di aver regolarmente effettuato (senza alcuna specifica contestazione sul punto) a far data dal 15 dicembre 2010 per quanto concerne la deliberazione giuntale n. 109/2010 di adozione, e dal 1 febbraio 2011 relativamente alla deliberazione consiliare n. 3/2011 di approvazione dello stesso.

La tardiva impugnazione dei permessi di costruire e del piano attuativo priva di ogni interesse a relativo sostegno il gravame avverso gli ulteriori atti indicati nell’atto introduttivo del giudizio e nei tre ricorsi per motivi aggiunti.

4. Conclusivamente, il ricorso introduttivo del giudizio e i ricorsi per motivi aggiunti sono inammissibili. Ne discende, per tabulas, il rigetto della domanda di risarcimento proposta nei confronti del Comune resistente.

Il regolamento delle spese di lite segue la soccombenza nei rapporti con l’Amministrazione e il Fallimento controinteressato;
tenuto conto delle difese svolte, è possibile compensarle nei rapporti con il Ministero.

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