TAR Palermo, sez. III, sentenza 2022-11-25, n. 202203362
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Pubblicato il 25/11/2022
N. 03362/2022 REG.PROV.COLL.
N. 03021/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3021 del 2016, proposto da-OMISSIS-in proprio e nella qualità di genitore esercente la potestà sul figlio minore -OMISSIS- rappresentato e difeso dall’avv. G P, con domicilio eletto presso il suo studio in Palermo, via Libertà n. 39;
contro
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Ufficio Scolastico Regionale per la Sicilia, Ambito Territoriale per la provincia di Agrigento, Istituto Comprensivo “A. Manzoni” di Ravanusa, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo, con domicilio digitale come da PEC da registri di giustizia e domicilio fisico presso i suoi uffici in via Valerio Villareale, n. 6;
per l'annullamento
- del provvedimento del Dirigente scolastico dell’Istituto Comprensivo intimato, con il quale è stata disposta l'assegnazione al minore -OMISSIS- di un insegnante di sostegno per un numero insufficiente di ore di sostegno (11 ore settimanali);
- dei provvedimenti (dei quali non si conoscono gli estremi) con i quali il Ministero dell'Istruzione e l'Ufficio Scolastico Regionale hanno assegnato all'Istituto scolastico frequentato dal minore un numero di insegnanti insufficiente ad assicurare un adeguato sostegno scolastico ai disabili gravi iscritti presso tale Istituto Scolastico;
- di tutti gli atti presupposti connessi e consequenziali;
nonché per il riconoscimento
del diritto del minore ad essere assistito da un insegnante di sostegno secondo il rapporto 1/1 ossia per 22 ore settimanali (così come risulta necessario attesa la grave disabilità del minore) per il corrente anno scolastico;
ed altresì per la condanna
delle Amministrazioni resistenti all'assegnazione, a favore del minore, di un insegnante di sostegno secondo il rapporto 1/1 per il corrente anno scolastico;
nonché per il riconoscimento
del diritto del minore e dei suoi genitori al risarcimento del danno non patrimoniale sofferto a causa della mancata tempestiva assegnazione di un numero adeguato di ore di sostegno;
ed altresì per la condanna
del Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca e dell'Ufficio Scolastico Regionale, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, al risarcimento del danno non patrimoniale sofferto dal minore e dai suoi genitori a causa della mancata tempestiva assegnazione di un numero adeguato di ore di sostegno.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Avvocatura dello Stato per il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Ufficio Scolastico Regionale per la Sicilia, Ambito Territoriale per la provincia di Agrigento, Istituto Comprensivo “A. Manzoni” di Ravanusa e vista la documentazione depositata;
Vista l’ordinanza cautelare-OMISSIS-del 11 gennaio 2017;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica a distanza, ai sensi dell’art. 87, comma 4 bis, cod. proc. amm., del 21 novembre 2022, il Consigliere A L, presente per parte ricorrente il difensore e nessuno per le Amministrazioni resistenti come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato.
FATTO e DIRITTO
Parte ricorrente ha impugnato i provvedimenti indicati in epigrafe concernenti la mancata assegnazione al figlio minore disabile, per l’anno scolastico 2016/2017, di un insegnante di sostegno;ha, altresì, chiesto il riconoscimento del relativo diritto per l’anno scolastico in questione, nonché il risarcimento del danno non patrimoniale subito.
L’Avvocatura dello Stato si è costituita in giudizio per le Amministrazioni intimate depositando documentazione.
Con ordinanza-OMISSIS-del 11 gennaio 2017 è stata accolta l’istanza cautelare.
In esecuzione della suddetta ordinanza, l’Amministrazione Scolastica ha assegnato al minore 22 ore settimanali di sostegno come si desume dal P.E.D. 2016/2017.
All’udienza del 21 novembre 2022, la causa è stata posta in decisione.
La controversia ha ad oggetto l’omessa assegnazione di un numero di ore di sostegno adeguato rispetto alle esigenze del figlio minore disabile del ricorrente e il risarcimento del danno conseguente.
Il ricorso va dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza d’interesse per la parte relativa all’assegnazione di un insegnante di sostegno per un numero adeguato di ore per l’anno 2016/2017, mentre va rigettata l’istanza risarcitoria relativamente alla quale va rilevato che la stessa non risulta assistita da prova adeguata.
Va richiamata, sotto tale profilo, la recente sentenza della sezione n. 579 del 21 febbraio 2022 nella quale si è fatto riferimento ai principi di diritto affermati nella nota sentenza pilota in materia di sostegno scolastico del Consiglio di Stato, VI sezione, n. 2023 del 3 maggio 2017 e, in particolare, a quello secondo cui la domanda di risarcimento del danno deve essere basata sulla specifica prova di quali siano state in concreto sull’alunno le conseguenze pregiudizievoli cagionate dall’illegittimità degli atti dell’Amministrazione scolastica (o dell’ente locale in caso di assistenza all’igiene personale o alla comunicazione).
Precisato che relativamente al danno non patrimoniale si ha il coinvolgimento dei «diritti costituzionali fondamentali» (il diritto al sostegno è così stato qualificato, come noto, dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 80 del 2010 sempre ), il Consiglio di Stato ha rilevato che, in base ai principi generali, il danno alla vita di relazione (‘esistenziale’) è risarcibile quando risulti che la mancata fruizione delle spettanti ore di sostegno (o di assistenza) abbia comportato regressioni o abbia reso irrealizzabile il «progetto di vita» delineato dal P.E.I., che, in materia, rileva quale parametro di riferimento per la valutazione del danno.
Le successive sentenze del Consiglio di Stato (ma anche della sezione) si sono collocate nell’alveo delineato dalla sentenza pilota richiamando, altresì, l’orientamento consolidato secondo cui, per conseguire il risarcimento del danno non patrimoniale, il richiedente è tenuto ad allegare e provare in termini reali il pregiudizio subito, anche se collegato a valori riconosciuti a livello costituzionale, e ciò perché la categoria del danno non patrimoniale ex art. 2059 cod. civ., pur nei casi in cui la sua applicazione consegua alla violazione di diritti inviolabili della persona, costituisce pur sempre un’ipotesi di danno-conseguenza, il cui ristoro è in concreto possibile solo a seguito dell’integrale allegazione e prova in ordine alla sua consistenza (deducibile da specifiche circostanze da cui possa desumersi la violazione di interessi di rilievo costituzionale) e in ordine alla sua riferibilità eziologica alla condotta del soggetto asseritamente danneggiato (in termini Consiglio di Stato, VI, 28 giugno 2019, n. 4454, ma, ex plurimis, anche 26 maggio 2017, n. 2489, 23 maggio 2017, n. 2425;questa sezione, 23 settembre 2021, n. 2648;TAR Campania, sede di Napoli, IV, 2 dicembre 2019, n. 5668 del 2019;TAR Umbria, I, 7 novembre 2019, n. 573, TAR Veneto, I, 19 ottobre 2018, n. 976).
Nel contesto dei consolidati principi di diritto surriportati va collocato l’orientamento del CGA e, in particolare, la sentenza n. 266 del 24 aprile 2020 che ha accolto l’istanza risarcitoria in un caso di ritardata assegnazione dell’assistente all’autonomia e alla comunicazione, rilevando che dagli atti del giudizio emergeva la prova, a mezzo di presunzioni gravi, precise e concordanti, del danno subito dal minore disabile (nello stesso senso con riferimento a casi di ritardata assegnazione dell’insegnante di sostegno vedi le decisioni del CGA n. 482 e 514 del 2017, n. 258 e n. 303 del 2018).
In tale sentenza è stata richiamata quella della V sezione del Consiglio di Stato n. 759 del 6 febbraio 2018 (assunta in decisione il 23 marzo 2017 e richiamata nella successiva sentenza del Consiglio di Stato n. 4741 del 2020) che, in materia di sostegno, ha affermato che, considerata la peculiare natura dell’interesse leso e costituzionalmente garantito, dalla cui lesione derivava un pregiudizio non suscettibile di valutazione economica, doveva ritenersi che, per l’accertamento probatorio del danno, poteva ammettersi l’utilizzo delle presunzioni (inferendo, di regola, l’incidenza lesiva dell’illecito sul valore leso in base alla valutazione delle circostanze del caso concreto), mentre, sul piano della quantificazione, si poteva ricorrere a valutazioni anche equitative (ex artt. 2056 e 1226 c.c.), che andavano riferite alle circostanze del caso concreto.
Il collegio condivide, in linea di principio, quanto affermato dal CGA, ma ritiene opportuno sottolineare la necessità di un’attenta valutazione delle fattispecie in esame, tenuto conto che, in aderenza a quanto affermato nella succitata sentenza pilota del Consiglio di Stato, ma anche nelle altre decisioni richiamate, le quali sono espressione di un orientamento consolidato in primo e secondo grado, può giungersi all’accoglimento dell’istanza risarcitoria solo quando e a condizione che si dimostri in giudizio, anche a mezzo di presunzioni, che la mancata fruizione delle spettanti ore di sostegno ha comportato regressioni o ha reso irrealizzabile il «progetto di vita» delineato dal P.E.I..
Va da sé che tale valutazione non può prescindere dalla considerazione dell’estensione del periodo temporale di mancanza del docente di sostegno in quanto, sotto il profilo degli effetti dannosi, non può porsi sullo stesso piano l’assenza del supporto per l’intero anno scolastico e il ritardo non qualificato nell’assegnazione.
In altri e più semplici termini, affinché possa aversi il risarcimento del danno esistenziale da omessa o ritardata assegnazione dell’insegnante di sostegno o dell’assistente deve aversi la prova specifica che si sono avute regressioni (e non il mero mantenimento della situazione pregressa) e/o che non è stato possibile attuare il piano individualizzato d’inserimento dell’alunno disabile all’interno della comunità scolastica.
Ne deriva che la circostanza che il PEI (o altro documento equivalente) abbia riconosciuto la necessità di un determinato numero di ore di sostegno o di assistenza, le quali sono state assegnate in ritardo o non sono state mai riconosciute, non costituisce in sé prova adeguata del danno, il quale, così ragionando, sarebbe sempre e comunque in re ipsa in contrasto con i principi di diritto costantemente affermati dal Consiglio di Stato e dalla Cassazione.
Va, pertanto, conclusivamente affermato che i documenti scolastici programmatori e le attestazioni dello stato di disabilità hanno valenza probatoria non in sé, ma quale parametro per dimostrare specifiche regressioni o mancate attuazioni del programma d’inclusione.
Nella specie parte ricorrente ha allegato documentazione la quale, alla stregua dei principi surriportati, non costituisce prova adeguata del danno in quanto si è limitata a richiamare il PEI e la certificazione sulla disabilità.
Orbene, pur nella consapevolezza che anche un solo giorno di ritardo nell’assegnazione dell’insegnante di sostegno a un alunno affetto da disabilità grave determina, comunque, un’oggettiva difficoltà di attuazione del piano educativo, la quale aumenta quella già esistente e andrebbe, pertanto, evitata con il massimo impegno possibile, tenuto conto dell’incidenza su un diritto costituzionale fondamentale, non si può che ribadire che un danno esistenziale risarcibile si ha solo quando si raggiunge la prova che il progetto è diventato irrealizzabile o che si è avuta una regressione.
Nella specie, come detto, non è stata dimostrata né l’una, né l’altra situazione, cosicché, come detto, l’istanza risarcitoria va rigettata.
Va, peraltro, per completezza richiamato, relativamente al profilo della quantificazione del danno da ritardata erogazione del sostegno scolastico o dell’assistenza, il costante orientamento del Consiglio di Stato basato sul disposto dell’art. 1226 del codice civile, il quale, come noto, dispone che «se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa», che è stato considerato espressione di un principio generale dell’ordinamento applicabile anche nel processo amministrativo (vedi tra le tante sentenza della VI n. 2489 del 26 maggio 2017).
Il Consiglio di Stato ha, in particolare, rilevato che grava sulla parte interessata l’onere di provare non solo l’«an debeatur» del diritto al risarcimento, ove sia contestato o non debba ritenersi in re ipsa, ma ogni elemento di fatto utile alla quantificazione del danno e di cui si possa ragionevolmente disporre nonostante la riconosciuta difficoltà, sì da consentire al giudice il concreto potere di liquidazione in via equitativa, che ha la sola funzione di colmare le lacune insuperabili ai fini della precisa determinazione del danno stesso.
Ha poi rilevato che il giudice, per quanto non sia tenuto a fornire una dimostrazione minuziosa e particolareggiata dell’ammontare del danno liquidato, è tenuto, tuttavia, a fornire adeguata indicazione del procedimento logico attraverso il quale è pervenuto a giudicare proporzionata una certa misura del risarcimento e a precisare i criteri posti a base del procedimento valutativo, restando in ogni caso escluso che la valutazione del danno così operata possa essere palesemente sproporzionata per difetto o per eccesso.
Nella specie la parte non ha fornito, né questo giudice ha a propria disposizione elementi per la quantificazione del danno.
Concludendo, per le ragioni suesposte, il ricorso va in parte dichiarato improcedibile e in parte rigettato.
Precisato che, qualora non fosse sopravvenuta l’improcedibilità, l’istanza principale sarebbe stata accolta, in quanto fondata, le spese vanno, invece, compensate avuto riguardo al principio di diritto secondo cui nel processo amministrativo è sufficiente a giustificare tale statuizione la circostanza che il giudice di prime cure, dopo l’accoglimento della domanda di annullamento, abbia respinto quella di risarcimento, con conseguente reciproca soccombenza dei litiganti (in termini Consiglio di Stato, IV, 28 febbraio 2013, n. 1232).