TAR Bologna, sez. I, sentenza 2016-02-24, n. 201600226
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N. 00226/2016 REG.PROV.COLL.
N. 00730/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n. 730 del 2010 proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avv. G M e presso lo stesso elettivamente domiciliato in Bologna, via S. Stefano n. 30;
contro
il Ministero della Difesa, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Bologna, domiciliataria ex lege ;
Ministero dell’Economia e delle Finanze;
per l'annullamento
del decreto n. 231/E del 1° febbraio 2010, nella parte in cui la Direzione generale della Previdenza militare, della leva e del collocamento al lavoro dei volontari congedati presso il Ministero della Difesa ha respinto la domanda presentata dal ricorrente per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell’infermità “ -OMISSIS- ”;
in parte qua , del parere in data 7 novembre 2008 del Comitato di verifica per le cause di servizio;
……………... per la condanna …..
dell’Amministrazione al risarcimento dei danni.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;
Visti gli atti tutti della causa;
Nominato relatore il dott. Italo Caso;
Uditi l’avv. G M e l’avv. Laura Paolucci, per le parti, alla pubblica udienza del 10 febbraio 2016;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
Diagnosticata a carico del ricorrente, attualmente Maresciallo Aiutante s.U.P.S. “Luogotenente” dei Carabinieri alle dipendenze del ROS, l’infermità “ -OMISSIS- ” e ascritta detta patologia alla Cat. 8^ della tab. A (v. verbale in data 20 maggio 2003 della Commissione medica ospedaliera di Verona), l’interessato presentava istanza di concessione dell’equo indennizzo, cui tuttavia l’Amministrazione opponeva un diniego in ragione del parere sfavorevole – in data 7 novembre 2008 – del Comitato di verifica per le cause di servizio (v. decreto n. 231/E del 1° febbraio 2010 adottato dalla Direzione generale della Previdenza militare, della leva e del collocamento al lavoro dei volontari congedati presso il Ministero della Difesa).
Avverso tali atti ha proposto impugnativa il ricorrente.
Assume immotivate ed erronee le valutazioni operate dal Comitato di verifica per le cause di servizio, in quanto non si sarebbe tenuto adeguatamente conto della particolare tipologia di incarichi ricoperti negli anni, soprattutto di quelli all’estero, e non si sarebbe dunque considerato che l’ansia delle missioni, le tensioni, gli stress subiti, i cibi secchi, le condizioni di particolare e protratta gravosità delle mansioni svolte avevano comportato una somatizzazione a livello addominale, dando luogo nel 1998 all’insorgenza della gastrite cronica superficiale e della duodenite congestizia poi aggravatasi nel 2003 in -OMISSIS-. Pertanto, a differenza di quanto ritenuto dall’organo tecnico, egli avrebbe a lungo operato in condizioni logoranti e disagiate, di cui si sarebbe però ingiustificatamente ignorato il peso e omesso un corretto apprezzamento.
Di qui la richiesta di annullamento degli atti impugnati e di condanna dell’Amministrazione al risarcimento dei danni.
Si è costituito in giudizio il Ministero della Difesa, a mezzo dell’Avvocatura dello Stato, resistendo al gravame.
All’udienza del 10 febbraio 2016, ascoltati i rappresentanti delle parti, la causa è passata in decisione.
Il ricorso è infondato.
Va premesso che, per costante giurisprudenza, nella nozione di concausa efficiente e determinante di servizio, da considerarsi fattore generativo della malattia, possono farsi rientrare soltanto fatti ed eventi eccedenti le ordinarie condizioni di lavoro, gravosi per intensità e durata, che è onere degli interessati documentare di volta in volta, con esclusione, quindi, delle circostanze e situazioni del tutto generiche, quali inevitabili disagi, fatiche e momenti di stress, che costituiscono fattore di rischio comune in relazione alla singola tipologia di prestazione lavorativa, nel presupposto che, se non può escludersi il nesso eziologico, quanto meno sotto il profilo concausale, tra il servizio prestato e l’insorgenza di una infermità, il riconoscimento della dipendenza delle patologie da causa di servizio deve pur sempre essere ancorato a specifici fatti ed episodi che, evidentemente, non possono coincidere con lo svolgimento ordinario del servizio stesso, per quanto impegnativo esso sia risultato (v., tra le altre, TAR Puglia, Lecce, Sez. II, 15 ottobre 2015 n. 2937;v. anche Cons. Stato, Sez. II, 22 ottobre 2014 n. 3219);in particolare, l’onere di dimostrare l’aggravio rispetto alle condizioni normali di lavoro, che possa avere influito in senso nocivo sulle patologie in questione, incombe sull’attore, in applicazione della regola generale posta dall’art. 2697 cod.civ., e non è sostituibile dalla consulenza tecnica d’ufficio, in quanto questa non è un mezzo di prova, ma può essere disposta al solo fine di fornire al giudice un ausilio per la valutazione, sotto il profilo tecnico, di fatti già acquisiti e dimostrati, sicché l’onere probatorio che pesa sul ricorrente non è soddisfatto dalla produzione di una relazione tecnica che si limiti a menzionare l’esistenza di condizioni di lavoro impegnative, ma richiede che si dimostri che le modalità di svolgimento delle mansioni hanno in concreto superato la soglia della “ordinarietà” e hanno quindi acquisito caratteristiche tali da poter assurgere al rango di fattore di rischio specifico, circostanza che costituisce elemento indefettibile per il riconoscimento della causa di servizio (v. TAR Lazio, Sez. I, 19 marzo 2015 n. 4348). Inoltre, il sindacato giurisdizionale esercitabile sulle valutazioni tecniche degli organi medico-legali circa la dipendenza da causa di servizio dell’infermità denunciata dal pubblico dipendente è limitato ai profili di irragionevolezza, illogicità e travisamento dei fatti, oltre alla generale verifica dell’attendibilità delle operazioni tecniche compiute quanto a correttezza dei criteri utilizzati e applicati – fermo restando il limite dell’opinabilità che contraddistingue la stessa discrezionalità tecnica –, e al giudice amministrativo spetta di conseguenza una valutazione esterna di congruità e sufficienza del giudizio di non dipendenza, relativa alla mera esistenza di un collegamento logico tra gli elementi accertati e le conclusioni che da essi si ritiene di trarre, rappresentando l’accertamento del nesso di causalità tra la patologia insorta e i fatti di servizio un tipico esercizio di attività di merito tecnico riservato all’organo di verifica a ciò preposto dalla legge (v., ex multis , TAR Umbria 11 settembre 2015 n. 423;TAR Friuli - Venezia Giulia 15 luglio 2015 n. 338);il sindacato del giudice, in altri termini, deve arrestarsi qualora l’operato dell’Amministrazione non presenti indizi di manifesta irragionevolezza, arbitrarietà e travisamento dei fatti, e non siano criticabili i criteri tecnici impiegati, non essendo ammesso che, alla luce del generale principio di separazione delle funzioni giurisdizionali da quelle amministrative, il giudice sostituisca con proprie valutazioni le valutazioni tecniche opinabili, ma non irragionevoli, espresse dall’Amministrazione (v. TAR Emilia-Romagna, Bologna, Sez. I, 10 luglio 2013 n. 525).
Ciò posto, emerge dagli atti di causa che il parere negativo del Comitato di verifica per le cause di servizio è stato così motivato: “… l’infermità: “-OMISSIS-” non può riconoscersi dipendente da fatti di servizio, trattandosi di affezione prevalentemente a sfondo neuro-distonico endogeno, sull’insorgenza e decorso della quale, nel caso di specie, non può avere nocivamente influito, neppure sotto il profilo concausale efficiente e determinante, il servizio reso e non caratterizzato da condizioni di particolare e protratta gravosità …”. Ad avviso del Collegio, il parere non si presenta insufficientemente motivato o arbitrario, in quanto pur nella sua concisione fornisce chiara e non illogica indicazione delle ragioni di ordine tecnico-scientifico che si oppongono all’invocato collegamento dell’infermità all’attività di servizio, sicché neppure v’è motivo di promuovere un approfondimento istruttorio attraverso l’invocato ricorso ad una consulenza tecnica d’ufficio, che nessuna utilità potrebbe verosimilmente apportare rispetto ad un quadro così delineato. L’organo tecnico, pertanto, lungi dal disattendere la realtà dei fatti dedotti dal dipendente o dall’astenersi dalle verifiche di propria competenza, ha valutato che le condizioni di lavoro – non caratterizzate da “… particolare e protratta gravosità …” – fossero inidonee ad assurgere a ruolo causale, o concausale di carattere efficiente e determinante, sull’insorgenza dell’infermità, in esito ad un giudizio che non presenta in sé evidenti vizi logici e attiene piuttosto alla sfera di “opinabilità” tipica degli apprezzamenti tecnico-discrezionali, sfera contraddistinta dal fatto che, ove non emerga l’erroneità dei presupposti di fatto o l’incoerenza dell’operazione valutativa, al giudice è precluso sovrapporre il proprio convincimento a quello espresso dall’organo tecnico. D’altra parte, il ricorrente ha fatto essenzialmente discendere l’insorgere dell’infermità dalla circostanza di avere partecipato ad incarichi all’estero, nell’àmbito delle c.d. “missioni di pace”, e di avere quindi operato in situazioni di significativa difficoltà, così come dall’essersi anche in Italia occupato di funzioni impegnative in sede di interventi di contrasto ai fenomeni mafiosi ed eversivi, sostenendo che “… l’ansia delle missioni, le tensioni, gli stress subiti, i cibi secchi, le condizioni di particolare e protratta gravosità delle mansioni svolte hanno comportato per il ricorrente una somatizzazione a livello addominale portando nel 1998 l’insorgenza della gastrite cronica superficiale e della duodenite congestizia (…) aggravatasi nel 2003 in -OMISSIS- …” (v. pag. 9 del ricorso);tuttavia, nella non manifestamente illogica lettura datane dall’organo tecnico, si tratta di attività di servizio in Italia che rientra comunque nelle ordinarie, seppur impegnative, funzioni proprie della qualifica rivestita, e di mansioni all’estero che, in assenza di documentati e ripetuti episodi rivelatori di condizioni di effettiva alterazione degli ordinari turni di lavoro o di impiego in contesti ambientali considerevolmente avversi (vaghe risultano le indicazioni in tal senso fornite e la documentazione esibita appare sul punto generica), non si presentano in sé suscettibili di dare luogo, per cause esterne, a quell’alterazione dell’equilibrio del tono del sistema nervoso che la scienza medica pone a fondamento dell’ingenerarsi della malattia in esame, secondo valutazioni che, come si è detto, attengono per la loro verosimiglianza alla sfera di “opinabilità” sottratta al sindacato di legittimità del giudice amministrativo.
Né una motivazione specifica occorreva in ragione della lamentata discrepanza rispetto alle valutazioni della Commissione medica ospedaliera, essendo noto come il Comitato di verifica per le cause di servizio non sia tenuto ad indicare le ragioni per le quali si discosta dal giudizio medico-legale espresso dall’organo sanitario, atteso che la competenza a stabilire l’eventuale rapporto di derivazione tra prestazioni di servizio ed insorgenza di un’infermità ricade in via esclusiva sul Comitato stesso, il quale non svolge la funzione di mera revisione del precedente giudizio sanitario e fonda invece le proprie competenze su ulteriori profili di complessiva valutazione tecnico-discrezionale, con il solo l’obbligo di articolare il proprio parere a mezzo di una concreta considerazione delle risultanze istruttorie e diagnostiche già scrutinate dalla Commissione (v., tra le altre, TAR Umbria 26 giugno 2014 n. 360). Quanto, poi, all’Autorità amministrativa chiamata ad adottare l’atto finale, è sufficiente l’adesione al parere espresso dal Comitato di verifica per le cause di servizio, cui l’Amministrazione è tenuta ad uniformarsi, salva la possibilità di chiedere per una volta al Comitato il riesame della posizione già vagliata (v. Cons. Stato, Sez. III, 6 agosto 2015 n. 3878).
Il ricorso, in conclusione, va respinto.
La particolarità del caso oggetto della controversia induce alla compensazione delle spese di lite.