Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2015-03-19, n. 201501509

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2015-03-19, n. 201501509
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201501509
Data del deposito : 19 marzo 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01395/2014 REG.RIC.

N. 01509/2015REG.PROV.COLL.

N. 01395/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1395 del 2014, proposto da:
Societa' Autostrada Brescia Verona Vicenza Padova Spa, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv. C G, G T, con domicilio eletto presso E Associati P&I Guccione in Roma, corso d'Italia, 45;

contro

B G S, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv. M A S, L P, con domicilio eletto presso M A S in Roma, corso Vittorio Emanuele, 349;
Sita Spa, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv. L P, M A S, con domicilio eletto presso M A S in Roma, corso Vittorio Emanuele, 349;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. del VENETO –Sede di VENEZIA - SEZIONE I n. 01231/2013, resa tra le parti, concernente revoca sub concessione per la gestione dell'area di servizio "Monte Baldo Est".


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di B G S e di Sita Spa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 febbraio 2015 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli Avvocati Guccione, Picotti, Sandulli e Leopoldo Di Bonito (su delega di Terracciano);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con la sentenza in epigrafe impugnata, il Tribunale amministrativo regionale del Veneto ha accolto il ricorso proposto dalla odierna parte appellata Bauli Grill s.r.l.., teso ad ottenere l'annullamento del provvedimento prot. n. 116 del 27 luglio 2012, con il quale era stata disposta la revoca, ai sensi dell'art. 21 quinquies L. 241/1990, della (sub) concessione attualmente in capo a Bauli Grill srl di cui al contratto del 18 ottobre 1965;
nonchè di ogni atto annesso, connesso o presupposto.

L’avversato provvedimento di revoca era motivato dalle seguenti considerazioni:

l’esigenza di aprire il mercato alla concorrenza;

la necessità che il concessionario rispettasse la scadenza fissata al 31 dicembre 2002 indicata dall’allegato G della convenzione del 1999;

l’interesse di rispettare i diritti dei terzi e dei concorrenti, compromessi dalla sottrazione al mercato dell’area di servizio in argomento;

la riqualificazione dell’area;

la possibilità di ottenere corrispettivi di concessione enormemente superiori.

La odierna appellata era insorta prospettando otto macrocensure di violazione di legge ed eccesso di potere.

Al termine di un approfondito excursus, il T ha espresso il convincimento per cui i motivi addotti a sostegno della revoca del provvedimento non soddisfacessero punto le condizioni indicate dall’art. 21 quinques L. 241/1990, ed ha annullato la revoca in quanto viziata da eccesso di potere.

Il percorso logico seguito per pervenire a detta statuizione può essere così sommariamente sintetizzato.

Il T ha ricostruito analiticamente e cronologicamente la risalente vicenda processuale, dando atto

che la odierna appellante aveva ottenuto, in concessione, dalla società ANAS e sin dal 1956, la gestione del tratto autostradale denominato A/4.

La detta concessione, originariamente di durata pari a trenta anni, era stata, poi, con successive proroghe (intervenute negli anni 1972, 1986, 1992, 1999 e 2006) prolungata sino al 24 novembre 2026;
ciò mercè: le convenzioni del 1956, del 1972, gli atti aggiuntivi del 1986, 1990, 1992, la concessione del 1999 e quella del 9 luglio 2007, che si autodefiniva “ricognitiva e novativa della precedente convenzione del 1999”.

Autostrada Brescia -Verona-Vicenza-Padova s.p.a. aveva affidato all’appellata la sub concessione per la gestione dell’area di servizio “ Monte Baldo est”, sulla corsia autostradale sud dell’autostrada A/4.

Sotto il profilo normativo, andava posto in luce che l’art. 11 della legge 23 dicembre 1992, n. 498 - Interventi urgenti in materia di finanza pubblica -, aveva conferito al CIPE il potere di emanare direttive per la revisione delle convenzioni e degli atti aggiuntivi che disciplinavano le convenzioni stradali, per cui l’originaria convenzione stipulata nel 1992 era stata sostituita con quella stipulata, in data 7 dicembre 1999, che aveva prorogato la concessione al 2013.

Successivamente, con il decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 - Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria -, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 24 novembre 2006, n. 286, le parti contraenti avevano sostituito la convenzione del 1999 con una convenzione unica, stipulata il 9 luglio 2007, modificando la durata della concessione e fissandone la scadenza al 31 dicembre 2040 in funzione della realizzazione della Valdastico nord (la appellante società Autostrada Brescia – Padova, in data 4 giugno 1985, aveva incorporato la società autostradale Trento-Vandastico-Vicenza-Riviera Berica-Rovigo SPA, così assumendo la gestione anche del tratto autostradale A/31).

Contestualmente la Commissione europea aveva avanzato alle Autorità italiane una richiesta di informazioni in ordine all’avvenuta proroga della concessione e, nel 2006, aveva avviato la procedura di infrazione n. 4419.

Il legislatore, con il decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59 (comma 2 dell’art.

8-duodecies) - Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee -, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 giugno 2008, n. 101, aveva approvato tutti gli schemi di convenzione con l’ANAS già sottoscritti dalle società concessionarie autostradali alla data di entrata in vigore del medesimo decreto.

Detta norma aveva modificato l’originaria previsione temporale delle concessioni contenute nell’art. 2, comma 82, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n.286 e successive modificazioni, precisando che venivano abrogate le parole : "nonche' in occasione degli aggiornamenti periodici del piano finanziario ovvero delle successive revisioni periodiche della convenzione" e l'ultimo periodo veniva sostituito dal seguente: "La convenzione unica sostituisce ad ogni effetto la convenzione originaria, nonche' tutti i relativi atti aggiuntivi".

Il prodotto di tale intervento si traduceva nella riduzione di tredici anni della durata della prorogata concessione ad Autostrada, la cui scadenza, pertanto, veniva fissata al 31 dicembre 2026.

Ciò aveva determinato il superamento della procedura già avviata nei termini previsti dal comma 84 dell’art. 2 del d.l. n. 262 del 2006 (necessità del decreto interministeriale di approvazione), atteso che la convenzione si perfezionava ex lege.

La Commissione europea aveva archiviato, in data 8 ottobre 2009, i rilievi mossi all’Italia;
pertanto la convenzione intervenuta nel 2007, sospesa nelle more della procedura di infrazione, riacquisiva la sua piena efficacia e tra le odierne parti processuali veniva avviata (anche in considerazione di pregresse e pendenti vicende giudiziarie, relative alla vigenza della subconcessione) una attività transattiva che, però, non andava a buon fine.

Così ricostruita, attualmente e sotto il profilo cronologico la vicenda processuale, il T ha dato atto della tempestività del mezzo ed ha affermato che la giurisdizione sulla controversia spettava senza dubbio al plesso giurisdizionale amministrativo: non trattavasi di vicenda privatistica, in quanto il petitum sostanziale non atteneva punto alla interpretazione, ovvero alla violazione della relazione sinallagmatica che disciplinava la subconcessione, ma riguardava esclusivamente il provvedimento di revoca della subconcessione, di cui l’appellata era titolare in forza del contratto del 18 ottobre 1965 e delle successive proroghe (peraltro la vicenda riguardava un’area demaniale pubblica - area di servizio pertinenziale ai tratti autostradali, il cui affidamento a terzi poteva avvenire esclusivamente per concessione ex art. 24 D.lgs 285/1992).

Ad avviso del T, doveva essere preliminarmente valutata la questione attinente alla proroga della concessione autostradale alla odierna appellante Autostrade.

Quanto a tal profilo, dato atto della circostanza che costituiva ormai jus receptum il principio per cui l’affidamento della gestione, in concessione, di un servizio dovesse avvenire esclusivamente attraverso il sistema dell’evidenza pubblica, assumeva una particolare valenza interpretativa il fatto che la concessione a favore di Autostrade fosse stata prorogata ex lege ed attivata dopo aver superato i rilievi espressi dalla Commissione europea.

Ciò importava la non condivisibilità della tesi della odierna appellante secondo cui tale proroga assumeva una esclusiva consistenza novativa della precedente convenzione (così che tutti i rapporti giuridici sorti ed instaurati in forza dei precedenti provvedimenti concessori, costantemente prorogati senza soluzione di continuità a far data dalla scadenza dell’originario atto del 1956, dovevano ritenersi caducati ex lege, compresa la subconvenzione in capo alla odierna appellata).

Doveva invece affermarsi la eccezionalità del provvedimento di proroga della concessione assunto in favore della appellante con la L.286/2006;
ne conseguiva che esso dovesse inquadrarsi, in termini di stretta continuità con i precedenti provvedimenti di proroga: era da escludersi l’asserito carattere novativo della stessa.

Ciò posto, costituiva jus receptum quello per cui la revoca dell’originario provvedimento concessorio dovesse essere annoverato tra i motivi estintivi della concessione: l’estinzione del provvedimento autoritario travolgeva automaticamente il conseguente rapporto negoziale accessivo.

Il provvedimento di revoca doveva essere scrutinato alla luce delle prescrizioni imposte dall’art. 21 quinquies della legge n. 241/1990: obbligo di adeguata motivazione e necessità di valutare, altresì, la consolidata posizione del destinatario e il suo conseguente affidamento costituivano consolidati precetti dai quali muovere.

Alla stregua di tale premessa, il T ha espresso il convincimento per cui dovesse essersi verificata una situazione innovativa, sia di carattere interno che esterno alla p.a. che avesse reso il provvedimento originario non più adeguato alle superiori esigenze della stessa

Ad avviso del T nessuno dei predetti requisiti risultava osservato nel provvedimento di revoca, la cui articolata motivazione atteneva più ad aspetti di soggettiva valutazione della complessa vicenda che espressione di diverso ed attuale interesse pubblico da soddisfare con la revoca del provvedimento subconcessorio.

A tal proposito, il primo giudice ha osservato che il motivo espresso al n. 3 (lettere a – c) del provvedimento di secondo grado era inconferente, atteso che la necessità di affidare, previa pubblica gara, l’area ed il servizio connesso, in uno con l’aspettative di terzi ad acquisire la concessione dell’area stessa, era subordinato alla materiale disponibilità della stessa secondo criteri conformi alle vigenti previsioni normative e non poteva procedersi invertendo i fattori concettuali.

Il soggetto appellante, nel prospettare esclusivamente gli effetti ad esso favorevoli (ed alla collettività) con la revoca della subconcessione, non aveva dimostrato la sussistenza dei requisiti normativamente previsti per l’adozione dei provvedimenti di secondo grado (in tesi, era sempre possibile prospettare evenienze migliorative con una nuova struttura organizzativa).

Quanto alla lettera b) del riferito motivo, l’indicazione fornita dall’ANAS non poteva assumere valenza retroattiva, ma si riferiva ad una esigenza, normativamente prevista, per le future assegnazioni;
e lo stesso doveva dirsi per le lettere : d, d1, d2, d3, d4, d5 del citato motivo 3: dette osservazioni non attenevano ad aspetti ed esigenze di obiettiva prevalenza dei contrapposti interessi privati, ma, ad eventuali, ipotetiche e generiche considerazioni di natura programmatica.

Neppure la rilevata esiguità del canone e la necessità di un suo adeguamento potevano costituire motivo di revoca della concessione, proprio perché estranee ai canoni indicati dal citato art. 21 quinques.

Il provvedimento revocatorio è stato pertanto annullato.

L’originaria resistente rimasta soccombente ha gravato la suindicata sentenza e, dopo avere ripercorso le principali tappe del contenzioso, ha sostenuto che la stessa fosse errata in quanto non si era soffermata sulla circostanza che, nella sostanza, la statuizione revocatoria non soltanto rispettava tutti i parametri di cui all’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990, ma, addirittura, si appalesava quale atto dovuto.

Con il primo motivo di censura ha quindi sostenuto che la revoca rispettava tutti i parametri di cui all’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990.

Con la seconda doglianza ha ribadito che uno dei motivi supportanti la determinazione revocatoria era rappresentato dalla necessità – sopravvenuta - di adeguare tecnologicamente l’area, ampliarla, e riqualificarla.

La sussistenza di tale esigenza non era stata contestata dall’appellata;
il T – che neppure aveva vagliato l’argomento - avrebbe dovuto dichiarare l’inammissibilità del mezzo di primo grado, in quanto la revoca si reggeva autonomamente su tale incontestato pilastro motivazionale.

Con la terza doglianza ha ribadito la tesi per cui il mezzo avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile, in quanto, ex art. 27 del dLgs. n. 285/1992, già art. 8 del r.d. n. 1740/1933, il rapporto concessorio (di durata massima pari a 29 anni) e risalente al 1965 era già spirato.

L’art.16 sulla proroga del contratto di concessione avrebbe dovuto essere interpretato armonicamente con detta disposizione imperativa sopravvenuta.

Con la quinta censura ha sostento la tesi per cui la concessione “madre” intercorsa con Anas era venuta meno e, a cascata, ciò si riverberava sulla subconcessione: era palese, infatti, il carattere novativo della concessione del 1999 e la intervenuta scadenza della subconcessione a far data dal 31.12.2002.

Anche la concessione del 2007, peraltro, possedeva carattere novativo.

L’appellata ha depositato una articolata memoria chiedendo la reiezione del mezzo, perché infondato, e la declaratoria di inammissibilità del primo motivo, perché generico.

Ha sostenuto che la pretesa dell’appellante era infondata ed ingiusta: in sostanza essa tentava di revocare una subconcessione motivando con la pretesa sussistenza di ragioni concorrenziali e di apertura del mercato, quando essa stessa concedente aveva per prima beneficiato delle disposizioni che le avevano consentito di permanere nel rapporto concessorio “primario”. Le supposte esigenze di “adeguamento tecnologico” erano in realtà del tutto insussistenti, concernendo modestissime opere che peraltro essa stessa si era sempre dichiarata disponibile ad eseguire (o comunque a consentirne l’adozione).

All’adunanza camerale del 18 marzo 2014, fissata per la delibazione dell’incidente cautelare, la causa, su richiesta delle parti, è stata rinviata al merito.

Tutte le parti processuali, in vista della pubblica udienza, hanno depositato scritti e memorie difensive tese a ribadire e puntualizzare le rispettive doglianze.

Alla pubblica udienza del 24 febbraio 2015 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.

DIRITTO

1. Deve affermarsi la infondatezza dell'appello.

1.1. Prima di prendere in esame le censure di merito appare necessario soffermarsi su alcune questioni che assumono portata pregiudiziale (altre eccezioni, in quanto strettamente legate a profili di merito, verranno vagliate successivamente).

1.1.1. Va preliminarmente osservato che nessuna delle parti processuali (ovviamente sarebbe stata l’odierna appellata il soggetto interessato a far emergere detto argomento) ha contestato il ricorso all’istituto della revoca (piuttosto che all’esercizio del diritto del recesso), siccome di recente affermato da questo Consiglio di Stato (Ad. Plen. 20.06.2014 n. 14). L’an della statuizione revocatoria è divenuto pertanto incontestabile, sotto tale profilo, e non potrebbe il Collegio incidere su di esso se non violando l’art. 112 cpc e l’art. 104 del cpa (vedasi sul punto la condivisibile deduzione contenuta nella memoria di replica di parte appellante del 2.2.2015, ultima pagina).

1.2. Ciò premesso, la prima di tali contrapposte eccezioni concerne l’ammissibilità dell’atto di appello, posta in dubbio da parte appellata. Contrariamente a quanto dall’appellata sostenuto nella propria memoria, esso pare al Collegio integralmente ammissibile.

L‘eccezione di inammissibilità (anche parziale, e quanto al primo motivo) per genericità delle censure non coglie nel segno, posto che parte appellante (seppur talvolta in modo embrionale) ha criticato tutti i passaggi motivazionali della sentenza gravata. Appare pertanto rispettato l’onere imposto dalla costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (ex aliis Cons. Stato Sez. IV, 13-12-2013, n. 6005: “nel giudizio amministrativo, costituisce specifico onere dell'appellante formulare una critica puntuale della motivazione della sentenza impugnata, posto che l'oggetto di tale giudizio è costituito da quest'ultima e non dal provvedimento gravato in primo grado, e che il suo assolvimento esige la deduzione di specifici motivi di contestazione della correttezza del percorso argomentativo che ha fondato la decisione appellata, con la conseguenza che il mancato assolvimento di tale onere, con le modalità appena precisate, implica l'inammissibilità della censura.” ).


1.3. Assume di converso parte appellante (seconda censura, pagg. 26/28 dell’atto di appello) che il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile in quanto l’appellata non aveva ivi criticato una delle ragioni poste a fondamento dell’atto di revoca.

In particolare, l’appellante sostiene che nel mezzo introduttivo del ricorso di primo grado l’odierna parte appellata non avesse svolto alcuna critica all’esigenza – sottesa alla revoca - riposante nella necessaria riqualificazione dell’area.

Il Collegio conosce – e condivide - il costante orientamento della giurisprudenza sul punto (“Ove l'atto impugnato (provvedimento o sentenza) sia legittimamente fondato su una ragione di per sé sufficiente a sorreggerlo, diventano irrilevanti, per difetto di interesse, le ulteriori censure dedotte dal ricorrente avverso le altre ragioni opposte dall'autorità emanante a rigetto della sua istanza.” -

Consiglio Stato, sez. VI, 31 marzo 2011 , n. 1981-; “laddove una determinazione amministrativa di segno negativo si fondi su una pluralità di ragioni, ciascuna delle quali di per sé idonea a supportarla in modo autonomo, è sufficiente che anche una sola di esse resista alle censure mosse in sede giurisdizionale perché il provvedimento nel suo complesso resti esente dall'annullamento.” -

Consiglio Stato, sez. VI, 29 marzo 2011, n. 1897).

Senonché, in punto di fatto, pare potersi affermare che il mezzo di primo grado contenesse una critica integrale alle motivazioni sottese all’atto di revoca;
ed in particolare che ivi fosse stata sostenuta la estrema genericità delle supposte esigenze riqualificative supportanti il provvedimento revocatorio.

Posto che si criticava in radice la sussistenza di tali esigenze di riqualificazione teconologica, la censura del mezzo di primo grado può ritenersi estesa all’argomento consequenziale prospettato dalla odierna appellante (quello, cioè, della necessità di coordinare la riqualificazione della detta area di servizio con quella di altre aree, così permettendo la simultanea/coordinata messa in gara di Monte Baldo unitamente a queste ultime).

Invero, sostenere che l’esigenza riqualificativa non sussisteva ed era prospettata in modo generico, implica la negazione della supposta esigenza di coordinamento ad essa sottesa. In definitiva, l’eccezione/doglianza di inammissibilità del mezzo di primo grado non è persuasiva, mentre costituisce profilo di indagine “nel merito” la verifica della effettiva sussistenza di dette asserite esigenze e la loro incidenza sulla prospettata legittimità della statuizione revocatoria.

2. Venendo all’esame del merito, in sostanza, la critica appellatoria si incentra su due versanti: l’uno postulante l’asserito – già maturato - spirare del rapporto subconcessorio tra le parti;
l’altro di natura ontologicamente subordinata, volto ad ipotizzare la sussistenza di giusti motivi per addivenire alla determina di autotutela.

2.1. La particolarità della vicenda processuale, quanto al primo versante di esame (che per elementari ragioni assume portata prioritaria sotto il profilo logico), poggia sulla circostanza che, per opposte e speculari ragioni, entrambe le parti in causa hanno sostenuto che tale “elemento” produca rilevanti conseguenze processuali.

Ad avviso di parte appellante, infatti, dalla circostanza che fosse già spirato il termine del rapporto di sub concessione discenderebbe che il ricorso della odierna appellata proposto avverso il provvedimento di revoca avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile per difetto di interesse (originario, o sopravvenuto: motivi nn. 3 e 4 dell’atto di appello).

Parte appellata, invece, sostiene che dette censure sarebbero inammissibili per un duplice motivo: da un canto, sarebbero “nuove”, ex art. 104 del cpa. Per altro verso, costituirebbero indebita duplicazione della diversa causa già incardinata innanzi al T del Veneto e decisa in primo grado con la sentenza n. 1341/2013.

2.2. Osserva in proposito il Collegio quanto segue.

La decisione di primo grado n. 1341/2013, resa sul ricorso n. 00637/2004, ha delibato in ordine alla l’intimazione al rilascio dell’area di servizio “ Monte Baldo est” ( area che insiste sulla corsia autostradale sud dell’autostrada A/4), che l’odierna appellante inviò all’appellata il 9 dicembre 2003. Il petitum concerneva (tra l’altro) la tesi, in detta sede articolata dalla odierna appellante, secondo cui l’originaria concessione era scaduta in data 31 dicembre 2002, travolgendo, così, anche la subconcessione in capo alla appellata come confermato dall’allegato G della successiva convenzione del 1999.

Il T ha declinato la giurisdizione;
la sentenza è stata gravata in appello (ric. 2139/2014) e questa Sezione, con la sentenza n. 03510/2014, ha confermato detta declinatoria di giurisdizione.

Armonicamente con l’insegnamento della giurisprudenza amministrativa (ex aliis

Cons. Stato Sez. VI, 24-03-2014, n. 1410, ma anche Cons. Stato, IV, 7 gennaio 2013, III, 28 marzo 2012, n.1867), secondo cui quando una domanda giudiziale sia già stata ritenuta inammissibile, tardiva o sia stata rigettata e comunque sia stata già definita con sentenza passata in giudicato, essa non può essere riproposta in un nuovo giudizio, stante il divieto di ne bis in idem”, i detti motivi di appello sono inammissibili.

2.3. Per il vero, parte appellante introduce un petitum che non parrebbe ricompreso nella portata preclusiva della detta sentenza n. 1341/2013, confermata della Sezione con la sentenza n. 03510/2014 , allorché fa riferimento alla asserita portata novativa della convenzione intercorsa tra le parti nel 2007 (la sentenza di primo grado n. 1341/2013, in quanto resa su un ricorso del 2004, non fa riferimento alla convenzione del 2007).

Senonché, la condivisibile recente sentenza n. 03510/2014 – dal cui approdo il Collegio non intende discostarsi – ha chiarito che “l’aspetto concernente la durata della sub concessione è stato disciplinato nell’ accordo intervenuto in piena autonomia delle parti contraenti, mentre A.n.a.s., in concreto, alla questione della durata della sub concessione è rimasta estranea.

Tale questione non ha quindi fatto parte della concessione del bene pubblico, né della concessione del pubblico servizio, cosicché correttamente l’intimazione al rilascio per cui è causa è stata ritenuta priva di contenuti provvedimentali.” Ciò partendo dal presupposto che “soltanto nella sub concessione art.16) è stabilito che la durata e la cessazione di quest’ultimo rapporto negoziale è collegata con la durata del primo, mentre non è avvenuto il contrario” e per tal via confermando la declinatoria di giurisdizione.

Ciò implica la conferma che la questione della avvenuta risoluzione del rapporto subconcessorio afferisca al rapporto “madre” e quindi possa rientrare nel fuoco della giurisdizione esclusiva amministrativa;
implica altresì che la domanda riferentesi alla concessione del 2007, in quanto fondata sulle stesse considerazioni di cui alla sentenza n. 1341/2013 non fosse ammissibile (la inammissibilità per bis in idem è rilevabile anche ex officio, in ogni stato e grado del processo: Cass. civ., 29-09-1981, n. 5187).

2.4. E’ appena il caso di rilevare, peraltro, che appare difficilmente scalfibile l’intuizione del T, secondo cui, se davvero l’odierna appellante fosse stata convinta dell’avvenuto spirare del rapporto subconcessorio per estinzione dello stesso, l’azione di revoca della subconcessione risulterebbe non solo inopportuna, ma assolutamente impertinente (nel senso etimologico del termine), proprio perché la eliminazione dal mondo giuridico del presupposto, che giustifica e consente l’esercizio della attività di servizio, in uno con l’occupazione dell’area pertinenziale, avrebbe condotto a ritenere la revoca superflua e/o inutile.

2.5. Il mezzo è pertanto in parte qua inammissibile: di ciò peraltro, parrebbe si siano rese conto anche tutte le parti processuali, che nelle ultime memorie depositate in vista dell’udienza pubblica hanno a lungo insistito nell’affermare che l’unico profilo di scrutinio riposa nella motivazione della revoca.

Con tali ultime valutazioni il Collegio concorda, per quanto si è prima chiarito: ciò comporta che l’unico oggetto dell’odierno giudizio consiste nella valutazione della legittimità – o meno - dell’atto revocatorio (neppure l’appellata contesta più che, nell’an, la concessionaria ben potesse adottare una simile statuizione).

2.6. Per completezza, deve comunque porsi il luce che, se anche detto mezzo di censura (il terzo motivo di appello, sebbene considerazioni analoghe siano state anche svolte nel primo motivo) fosse stato ritenuto ammissibile, esso non avrebbe potuto avere pratiche possibilità di accoglimento.

Invero, a tutto concedere, se pure si fosse voluto accedere alla tesi secondo cui il succedersi delle disposizioni normative avesse caducato/privato di vigore/risolto il rapporto concessorio e che la proroga della concessione in favore dell’appellante con la L.286/2006 avesse avuto carattere novativo, ugualmente l’argomento non avrebbe potuto spigare i pretesi effetti favorevoli auspicati dall’appellante medesima.

Invero, ciò che l’appellante oblia (e che non può invece essere sottaciuto, come puntualmente segnalato da parte appellata) è che, comunque, a fronte dei supposti provvedimenti legislativi estintivi succedutisi nel tempo, l’appellata continuò a gestire l’area, pacificamente ed indisturbatamente, per un lungo torno di tempo, senza che l’appellante intraprendesse alcuna iniziativa.

Ciò implica, in ogni caso, che, anche a volere aderire alla tesi di parte appellante, ci si troverebbe comunque al cospetto di una situazione tale da indurre a ravvisare in capo a parte appellata l’affidamento circa la stabilità (seppure de facto ) della situazione (a tutto concedere, lo ripete, pacificamente “tollerata” a lungo da parte appellante).

Dal che, dunque, di deduce che, anche a volere dare credito alla tesi della intervenuta caducazione del rapporto “madre”, con effetto a cascata sulla subconcessione, il provvedimento, per rimuovere detta situazione (proprio in virtù dell’affidamento creatosi sulla sua stabilità, per giunta fondante in parte proprio sulla protratta inerzia della stessa appellante) avrebbe dovuto possedere un’ampiezza motivazionale analoga a quella richiesta per i provvedimenti di autotutela “canonici” (si veda Cons. Stato Sez. V, 14-05-2013, n. 2603 ed anche, di recente, Corte europea dei diritti dell’uomo, Sezione Seconda, - decisione 21 ottobre 2014, DigrytÄ— KlibaviÄ�ienÄ— c. Lituania -, nella parte in cui censura interferenze statuali con situazioni “proprietarie” o comunque a questa assimilabili, produttive di situazioni di incertezza a distanza di tempo in vista dell fatto genetico dell’affidamento insorto in capo al privato).

Escluso quindi, ogni effetto caducatorio “automatico” della subconcessione, il problema si sposta sulla disamina del supporto motivazionale e sulle ragioni di fatto sottese alla revoca, il che costituirà oggetto di scrutinio immediatamente di seguito.

3. Proprio venendo all’esame della questione concernente l’immunità da vizi della detta revoca, alla stregua dell’art. 21 quinquies della L.241/1990, ritiene il Collegio che la risposta sia negativa.

3.1. Il tradizionale orientamento della dottrina e della giurisprudenza in relazione agli atti di esercizio dell’ autotutela, c.d. di “secondo grado”, è stato per lungo tempo contraddistinto da alcuni tratti peculiari.

In particolare, si riteneva che:

a) il c.d. “jus poenitendi” costituiva manifestazione paradigmatica della supremazia esercitata dalle pubbliche amministrazioni nei rapporti con gli amministrati (“corollario indefettibile dell’autarchia”, secondo prestigiosa dottrina) ;

b) la classificazione dei detti provvedimenti (autoannullamento, revoca, abrogazione, decadenza, etc) risentiva delle tradizionali classificazioni civilistiche del negozio giuridico e ruotava intorno al dato centrale del contrario apprezzamento dell’interesse pubblico sotteso all’atto e del vizio da cui era affetto il provvedimento da “rimuovere”;

c) la latitudine del potere esercitato mercé detti atti veniva riconosciuta amplissima, e si preferiva porre l’accento sulla necessità che essa fosse contornata da garanzie infraprocedimentali.

Conseguentemente, si affermava in passato che (ex aliis Cons. Stato Sez. V, 31-10-1980, n. 908) “della revoca dell'atto amministrativo può farsi uso non solo in presenza di mutata situazione di fatto ma anche quando muti l'apprezzamento circa il grado di intensità con cui l' interesse pubblico poteva essere raggiunto, ossia quando si debba eliminare o modificare una in origine incompleta o comunque meno soddisfacente valutazione del pubblico interesse” .

3.2. Le profonde evoluzioni del sistema, l’affermarsi di un concetto “allargato” delle pubbliche amministrazioni, in uno con il pervasivo intervento di queste ultime in svariati settori dell’economia, ed una mutata percezione della natura del rapporto intercorrente tra queste ed i cittadini, con insieme all’affermarsi dei moduli consensuali di esercizio del potere, hanno indotto via via dottrina e giurisprudenza a perimetrare in senso restrittivo l’esercizio dell’autotutela.

Culmine di tale evoluzione, (datato 2005) è rappresentato dal vigente testo dell’art. 21 quinquies della legge n. 241/1990 (inserito dall’art. 14, comma 1, L. 11 febbraio 2005, n. 15), che così dispone : “1. Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell'adozione del provvedimento o, salvo che per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell'organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l'amministrazione ha l'obbligo di provvedere al loro indennizzo.

1-bis. Ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l’indennizzo liquidato dall’amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico, sia dell’eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all’erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico.”.

3.3. E’ importante, ai fini in esame, porre l’accento sulla preclusione, rispetto ai provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, di una nuova valutazione dell'interesse pubblico originario.

3.3.1. La concessione per cui è causa, all’evidenza, attribuiva alla odierna parte appellata Bauli Grill S.R.L. proprio una “attribuzione di vantaggio economico”, per cui rientra nel perimetro preclusivo.

3.4. Deve pertanto affermarsi che, alla stregua della detta preclusione, “cadono” i profili di revoca incentrati sulla sopravvenuta non rimuneratività della concessione (o, il che è lo stesso, sulla possibilità di affidarla in futuro per un controvalore più redditizio).

Parte appellante, infatti, sostiene che, a cagione della imprevedibile espansione dell’area, incremento del traffico, etc, il canone pattuito non sia più “adeguato”: ma posto che, illo tempore, il profilo della remunerazione rientrò tra i parametri valutativi sottesi all’attribuzione della concessione, è evidente come sostenere che oggi il canone non sia più adeguato non vuol dire altro che rivalutare l’interesse pubblico originario sotteso all’affidamento: e ciò è appunto, precluso.

3.4. Gli altri macroprofili sottesi alla revoca si incentrano – in via di estrema sintesi - su due versanti:

a) la necessità di “aprire alla concorrenza”;

b) la necessità di procedere alla riqualificazione dell’area.

Con riferimento alla esigenza descritta al punto a), l’appellante “accompagna” detto profilo con ulteriori argomentazioni.

Si rinverrebbero,infatti:

a1) la necessità di ottemperare alle prescrizioni dettate dall’Anas;

a2) la necessità di garantire la posizione di ditte terze,aspiranti alla concessione;

Con riferimento alla esigenza descritta al punto b) l’appellante “accompagna” detto profilo con una ulteriore argomentazione, consistente nell’esigenza: b1) di mettere in gara in futuro tutte le concessioni simultaneamente.

3.5. Nessuno di essi argomenti appare, per il vero, persuasivo,né isolatamente considerato, né congiuntamente valutato.

3.5.1. Non lo è, certamente, quello indicato sub lettera a1), perché il concedente “originario” - che comunque non risulta avere intrapreso alcuna specifica iniziativa al riguardo, in pregiudizio di parte appellante - non può certo imporre una condotta non consentita dall’ordinamento, ovvero la cui legittimità sia stata denegata in sede giurisdizionale, né potrebbe da ciò far discendere conseguenze pregiudizievoli alla posizione dell’appellante.

In sintesi: Anas non potrebbe far discendere conseguenze negative in capo alla concessionaria Societa' Autostrada Brescia Verona Vicenza Padova Spa perché questa non è “riuscita” ad estinguere il rapporto subconcessorio in quanto la revoca è stata annullata.

3.5.2. Non lo è neppure quella sub lettera a): l’appellante concessionario, di fatto, si è giovato delle stesse disposizioni di proroga che oggi censura in capo all’appellata. Appare un paradosso che esso sostenga di agire per perseguire un interesse contrario alla propria stessa legittimazione ad agire, applicando una simile “tensione morale” alla posizione derivata di parte appellata.

Ed il connesso argomento di cui alla lettera a2) appare, da un canto, sfornito di persuasività proprio alla luce delle considerazioni in ultimo rese e, per altro verso, del tutto ipotetico ed inattuale: come fatto risaltare da parte appellata, non è stato dimostrato che alcuna ditta potenzialmente interessata abbia sollecitato l’appellante a revocare la detta subconcessione ed “aprire al mercato”;
neppure è stato dimostrato che alcuna ditta abbia invitato l’appellante a riconsiderare la durata della detta subconcessione.

Le “preoccupazioni” di parte appellante si riferiscono ad una evenienza futura ed incerta del tutto inattuale e non possono validamente supportare la revoca.

3.5.2. Più articolate considerazioni meritano le motivazioni revocatorie sintetizzate sub b) e l’argomento a queste connesso descritto sub b1).

3.5.3. Quanto a quella sub b) - in disparte la contestazione dell’appellata sulla strumentalità di tali supposte esigenze –, pare al Collegio che detta motivazione postuli una inversione concettuale.

Invero, data per provata la esigenza di riqualificare l’area, ed individuate le misure, l’appellante avrebbe (avuto) l’onere di sottoporle alla attuale subconcessionaria.

E soltanto laddove avesse ricevuto da questa un diniego, sarebbe stato legittimato ad agire per la revoca della subconcessione: non appare invece legittimo un percorso inverso, che muovendo dall’esigenza di riqualificare l’area, nella sostanza postuli e dia per presupposto che ciò non possa essere eseguito dalla subconcessionaria e perciò si risolva alla revoca del detto rapporto di affidamento.

Peraltro dagli atti di causa parrebbe: :

che trattavasi di modifiche – di natura ambientale e di sicurezza - di portata non rilevantissima;

che è rimasto incontestato come già in passato parte appellata aderì a richieste di interventi adeguatori prospettati da parte appellata;

che, quindi, non trattandosi di modifiche rilevantissime investenti l’area (e neppure di innovazioni che l’appellata non potesse assumersi l’onere di eseguire), detto profilo di revoca non appare evocato a ragione.

L’appellante – nella memoria in ultimo depositata - richiama la giurisprudenza comunitaria (Corte giustizia Unione Europea Grande Sez., 13-04-2010, n. 91/08 ).

Ma tale evocazione non appare pertinente, in quanto non ricorre, nel caso di specie, il presupposto fattuale di partenza per l’applicazione di tali ‘arresti’ .

Ivi la Corte di Giustizia precisa, condivisibilmente, che, se nel corso di un rapporto concessorio si rendono necessarie modifiche tali da rendere l’oggetto “sostanzialmente diverso da quelli che abbiano giustificato l'aggiudicazione del contratto di concessione iniziale e siano, di conseguenza, idonee (ndr.: tali modifiche) a dimostrare la volontà delle parti di rinegoziare i termini essenziali di tale contratto, devono essere concessi, conformemente all'ordinamento giuridico interno dello Stato membro interessato, tutti i provvedimenti necessari per reintrodurre la trasparenza nel procedimento” .

Così’ testualmente, si esprime la Corte, nella parte di interesse:

(“37 Al fine di assicurare la trasparenza delle procedure e la parità di trattamento degli offerenti, le modifiche sostanziali apportate alle disposizioni essenziali di un contratto di concessione di servizi costituiscono una nuova aggiudicazione di appalto, quando presentino caratteristiche sostanzialmente diverse rispetto a quelle del contratto di concessione iniziale e siano, di conseguenza, atte a dimostrare la volontà delle parti di rinegoziare i termini essenziali di tale appalto (v., per analogia con il settore degli appalti pubblici, sentenze 5 ottobre 2000, causa C-337/98, Commissione/Francia, Racc. pag. I-8377, punti 44 e 46, nonché 19 giugno 2008, causa C-454/06, Pressetext Nachrichtenagentur, Racc. pag. I-4401, punto 34).

38 La modifica di un contratto di concessione di servizi in corso di validità può ritenersi sostanziale qualora introduca condizioni che, se fossero state previste nella procedura di aggiudicazione originaria, avrebbero consentito l'ammissione di offerenti diversi rispetto a quelli originariamente ammessi o avrebbero consentito di accettare un'offerta diversa rispetto a quella originariamente accettata (v., per analogia, sentenza Pressetext Nachrichtenagentur, cit., punto 35).

39 La sostituzione del subappaltante, anche qualora la relativa possibilità sia prevista nel contratto, può in casi eccezionali costituire una modifica di tal genere di uno degli elementi essenziali del contratto di concessione, allorché il ricorso ad un subappaltante piuttosto che ad un altro, tenuto conto delle caratteristiche proprie della prestazione di cui trattasi, abbia costituito un elemento determinante della conclusione del contratto, cosa che spetta comunque al giudice del rinvio verificare.

40 Il giudice del rinvio osserva che, nel progetto accluso all'offerta presentata al Comune di Francoforte dalla FES, quest'ultima ha indicato che essa avrebbe utilizzato i «City-WC» di Wall. Secondo detto giudice è probabile che, in tal caso, la concessione sia stata attribuita alla FES a causa dell'identità del subappaltante che essa aveva proposto.

41 Spetta al giudice nazionale accertare se ricorrano le situazioni descritte ai punti 37-39 della presente sentenza.

42 Qualora, nell'ambito di tale valutazione, il giudice del rinvio concludesse per la sussistenza di una modifica di uno degli elementi essenziali del contratto di concessione, sarebbe necessario concedere, in conformità all'ordinamento giuridico interno dello Stato membro interessato, tutti i provvedimenti necessari per reintrodurre la trasparenza nel procedimento, compreso un nuovo procedimento di aggiudicazione. All'occorrenza, il nuovo procedimento di aggiudicazione dovrebbe essere organizzato secondo modalità adeguate alle specificità della concessione dei servizi di cui trattasi e consentire che un'impresa avente sede sul territorio di un altro Stato membro possa avere accesso ad adeguate informazioni relative a detta concessione prima che essa sia aggiudicata.

43 Conseguentemente, la terza questione va risolta dichiarando che, qualora le modifiche apportate alle disposizioni di un contratto di concessione di servizi presentino caratteristiche sostanzialmente diverse da quelle che abbiano giustificato l'aggiudicazione del contratto di concessione iniziale e siano, di conseguenza, idonee a dimostrare la volontà delle parti di rinegoziare i termini essenziali di tale contratto, devono essere concessi, conformemente all'ordinamento giuridico interno dello Stato membro interessato, tutti i provvedimenti necessari per reintrodurre la trasparenza nel procedimento, ivi compresa anche la possibilità di un nuovo procedimento di aggiudicazione. All'occorrenza, il nuovo procedimento di aggiudicazione dovrà essere organizzato secondo modalità adeguate alle specificità della concessione di servizi di cui trattasi e permettere che un'impresa avente sede sul territorio di uno Stato membro diverso possa avere accesso ad adeguate informazioni relative a detta concessione prima che essa sia attribuita.”).

Sin qui la Corte di Giustizia.

Ma se, al contrario, si tratti di modesti interventi, che non immutano la struttura del rapporto concessorio – come pare nel caso di specie -, detta esigenza non ricorre.

Interpretare assolutisticamente il dictum della Corte di Giustizia implicherebbe che possa disporsi la revoca in ogni ipotesi di prospettata, anche minima e modesta, “innovazione”.

Ma simile tesi (che si presterebbe peraltro a condotte elusive, poste in essere dal concedente insoddisfatto che voglia comunque liberarsi del concessionario – ormai - sgradito) non appare condivisibile;
e l’esigenza comunitaria non appare praticabile nel caso di specie, proprio per la non rilevantissima entità degli interventi riqualificativi prospettati.

3.5.5. In disparte quanto si è finora detto – e con portata troncante -, rileva, però, il Collegio che ciò che “manca” del tutto, ed a monte, nel caso di specie è la scaturigine logica di tale prospettata necessità di eseguire interventi.

Per dirla in altre parole, affinché tale prospettata necessità riqualificativa non possa essere il “veicolo” per estinguere rapporti subconcessori divenuti sgraditi per altre ragioni, occorre interrogarsi sulla avvenuta dimostrazione di una circostanza: da quali carenze, lacune, falle è affetto l’impianto? e/o di quali inosservanze si è resa protagonista in passato parte appellata tali da determinare l’insorgenza di siffatta necessità?

Non v’ è – anche embrionale – prova di alcuno di tali elementi, e pertanto anche sotto tale profilo la sentenza di primo grado appare immune da mende.

3.5.5. Quanto alla prospettazione sub b1), non si nega che una simile esigenza, di contestualità di rinnovo delle sub concessioni stradali, potrebbe in realtà in via teorica legittimare una statuizione revocatoria.

Senonché, un simile profilo di opportunità – sostanzialmente riposante appunto nella maggior comodità di procedere al rinnovo dei rapporti contemporaneamente - avrebbe reso necessitata una accurata ponderazione con riferimento all’interesse della subconcessionaria a mantenere integro il rapporto concessorio, sulla tempistica dell’operazione, sulla indispensabilità della revoca, sul pregiudizio economico discendente in capo all’appellata.

Di tale accurata ponderazione, in realtà, non v’è traccia alcuna nel provvedimento gravato.

E peraltro parte appellata (pag. 17 della memoria datata 13.3.2014) ha dimostrato che numerose aree sono state già messe in gara, pur non essendovi stata inclusa quella per cui è causa, il che dimostra che tale supposta “esigenza di coordinamento” non era di nodale importanza.

E se non era di nodale importanza (tanto che si è proceduto a mettere in gara altre aree prescindendo da quella Monte Baldo Est), non poteva detta esigenza, risolvendosi in una aspirazione di maggior comodità per l’appellante, prevalere – nel bilanciamento e contemperamento degli interessi reso obbligatorio ex art.21 quinquies - su quella opposta del subconcessionario.

4. Conclusivamente, l’appello va respinto nei termini di cui alla motivazione che precede, e la sentenza di primo grado confermata.

5. Quanto alle spese, esse possono essere integralmente compensate tra le parti, in quanto la complessità delle questioni prospettate e la circostanza che medio tempore sia intervenuta una sentenza regiudicata che ha spiegato effetti sulla presente controversia consentono di ritenere integrate le condizioni di legge per la compensazione delle spese del grado.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi