Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2015-07-01, n. 201503258

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2015-07-01, n. 201503258
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201503258
Data del deposito : 1 luglio 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 03427/2015 REG.RIC.

N. 03258/2015REG.PROV.COLL.

N. 03427/2015 REG.RIC.

N. 08384/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3427 del 2015, proposto da:
Comune di Monteroni di Lecce, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. A F, con domicilio eletto presso Antogiulio Agostinelli in Roma, Via Francesco Borgatti 25;

contro

L F, rappresentato e difeso dall'avv. A C, con domicilio eletto presso Marco Gardin in Roma, Via L. Mantegazza 24;



sul ricorso numero di registro generale 8384 del 2014, proposto da:
L F, rappresentato e difeso dall'avv. A C, con domicilio eletto presso Marco Gardin in Roma, Via L. Mantegazza 24;

contro

Comune di Monteroni di Lecce, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. A F, con domicilio eletto presso Antogiulio Agostinelli in Roma, Via Francesco Borgatti 25;
Commissario ad acta avv. Antonio Scrimitore, V B;

per la riforma

- quanto al ricorso n. 3427 del 2015:

della sentenza del T.a.r. Puglia - Sez. Staccata di Lecce: Sezione I n. 00088/2015, resa tra le parti, concernente condanna al risarcimento danni per mancato accoglimento denuncia attività per realizzare un'area espositiva con parcheggio e copertura fotovoltaica;

- quanto al ricorso n. 8384 del 2014:

della sentenza del T.a.r. Puglia - Sez. Staccata di Lecce: Sezione III n. 02139/2014, resa tra le parti, concernente adozione variante urbanistica al p.r.g. finalizzata alla riqualificazione area.


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di L F e del Comune di Monteroni di Lecce;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio e nella udienza del giorno 9 giugno 2015 il Cons. Nicola Russo e uditi per le parti gli avvocati Favale e Caggiula;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Il sig. L F è proprietario, dall’ottobre del 2008, di un terreno sito all’interno del territorio del Comune di Monteroni di Lecce, in località le “Mosche” ed individuato, al catasto terreni, al foglio 1 particelle nn. 41 e 163.

L’intera particella n. 41 ed, in parte, quella n. 163 risultavano ricadenti in fascia di rispetto stradale, ai sensi degli artt.

1.25 e 2.38 delle N.T.A.;
la superficie residuale della particella n. 163 rientrava, invece, nella viabilità prevista del P.R.G.: entrambi i vincoli risultavano apposti conseguentemente all’approvazione del P.R.G., avvenuta in data 11 ottobre 1996.

In data 10 giugno 2010, il sig. F presentava, ai competenti uffici del Comune, una denuncia di inizio attività finalizzata a realizzare, sul terreno di sua proprietà, un’area espositiva a terra con strutture precarie removibili, con relativa area a parcheggio e con copertura fotovoltaica.

Con nota prot. n. 15983 del 23 settembre 2011, il Comune di Monteroni di Lecce adottava parere negativo circa la fattibilità dell’intervento, in quanto avrebbe interessato una zona in parte ricadente su viabilità prevista dal piano regolatore vigente ed in parte ricadente in fascia di rispetto stradale;
inoltre, la predetta area sarebbe sottoposta a vincolo idrogeologico ai sensi del P.A.I., stante la sua classificazione a “Bassa Probabilità di Inondazione”.

In seguito all’emanazione del parere negativo, il sig. F, con ricorso r.g. n. 1781/2011, si rivolgeva al T.A.R. per la Puglia, sede di Lecce, al fine di ottenere l’annullamento della nota n. 15983 del 23 settembre 2011: il Tribunale territoriale, dapprima sospendeva in sede cautelare il provvedimento impugnato (ordinanza n. 24 del 13 gennaio 2012) ed in seguito, con sentenza n. 1294 del 16 luglio 2012, accoglieva l’impugnazione proposta, motivando in merito alla natura espropriativa del vincolo di viabilità ed alla applicabilità, nel caso di specie, dell’art. 9 d.p.r. n. 327/2001, stante l’omesso avvio della procedura espropriativa sull’area oggetto del giudizio: constatata l’inapplicabilità del primo vincolo, secondo il T.A.R. nemmeno la fascia di rispetto stradale, nonostante la sua diversa natura conformativa, poteva ritenersi validamente invocata. Infine, con riferimento al vincolo idrogeologico, il giudice di prime cure ne evidenziava il carattere non assoluto, richiamando, sul punto, l’art. 9 delle N.T.A..

Prima dell’adozione della sentenza n. 1294 del 2012, il Comune inoltrava all’autorità di Bacino, in data 20 gennaio 2012, la documentazione necessaria ai fini dell’esame del progetto concernente l’intervento indicato nella d.i.a., al fine del rilascio del parere ai sensi del P.A.I.: in data 28 febbraio 2012, l’Autorità di Bacino rilasciava parere favorevole per il progetto che il sig. Frassinato, di conseguenza, portava a completamento in data 25 agosto 2012, avviando, in tal modo, la procedura per l’acquisizione dell’incentivazione statale corrispondente alla tariffa prevista dal D.M. 5/5/2011 (c.d. “Quarto Conto Energia”).

Nelle more della definizione del giudizio, in data 27 ottobre 2011, il sig. F presentava al Comune una prima istanza di riqualificazione dell’area, al fine di rendere compatibile l’intervento indicato nella d.i.a., con l’assetto urbanistico impresso alle aree di sua proprietà. Tuttavia, preso atto dell’inerzia dell’Amministrazione Comunale, l’istante, con atto del 30 aprile 2012, diffidava nuovamente la stessa ad adempiere entro i termini ordinari di conclusione del procedimento, nel rispetto del principio di omogeneità: in particolare, secondo il sig. F, l’area di sua proprietà avrebbe dovuto qualificarsi in aderenza alla realtà urbanistica della zona, alla luce, soprattutto, della sopravvenuta sospensione in sede cautelare della nota n. 15983 del 23 settembre 2011.

Nonostante la diffida, il Comune di Monteroni di Lecce non provvedeva alla riqualificazione dell’area e, pertanto, il sig. F adiva nuovamente il T.A.R. per la Puglia, sede di Lecce, con ricorso r.g. n. 928/2012, al fine di ottenere la declaratoria di illegittimità del silenzio-inadempimento serbato dall’Amministrazione, nonché l’accertamento dell’obbligo, a carico del Comune di Monteroni di Lecce, a concludere il procedimento di riqualificazione dell’area con l’adozione di un provvedimento espresso.

La Terza Sezione del Tribunale territoriale, con la sentenza n. 1737 del 24 ottobre 2012, in accoglimento del ricorso proposto, dichiarava illegittimo il silenzio-inadempimento serbato dall’Amministrazione comunale, ordinando alla stessa di provvedere sulla richiesta di riqualificazione urbanistica, presentata dal ricorrente, entro novanta giorni dalla comunicazione della decisione e, in caso di inottemperanza, nominava, quale commissario ad acta, il Segretario Comunale di Monteroni di Lecce.

In seguito, persistendo l’inerzia del Comune, il commissario ad acta chiedeva al T.A.R., in data 7 marzo 2013, che fosse autorizzato ad eseguire la riqualificazione richiesta, un professionista esterno: ottenuto l’assenso del Tribunale, il commissario conferiva incarico all’arch. V B, con determinazione n. 160 del 17 luglio 2013.

Il commissario, con delibera n. 12856 del 12 agosto 2013, riteneva necessaria, in coerenza con la relazione tecnico-urbanistica, depositata in data 23 luglio 2013 dall’arch. B, la reiterazione dei vincoli espropriativi in virtù della persistenza dell’interesse pubblico alla realizzazione di una viabilità comunale alternativa a quella della S.P. 119.

Il sig. F impugnava il citato provvedimento del commissario ad acta, con motivi aggiunti al ricorso r.g. n. 928/2012, deducendo la violazione del giudicato, concretizzatasi nell’emanazione del provvedimento di reiterazione dei vincoli urbanistici, peraltro non sufficientemente motivati, in contrasto con i parametri fissati dall’art. 9 d.p.r. n. 327/2001. Il Tribunale territoriale, con sentenza n. 2139 del 5 agosto 2014 respingeva il ricorso per motivi aggiunti, ritenendo “pienamente ragionevoli, adeguate e corrette le motivazioni e le conclusioni indicate nella relazione tecnico-urbanistica redatta dall’arch. V B”.

Avverso la sentenza n. 2139/2014 propone appello (r.g. n. 8384/2014) il sig. F, affermando l’erroneità della decisione per aver omesso il proprio giudizio su diversi profili sollevati in primo grado ed afferenti all’infondatezza delle conclusioni, cui era giunto l’arch. B nella propria relazione tecnico-urbanistica, circa la necessità di reiterare i vincoli urbanistici stante l’attualità dell’interesse pubblico alla viabilità alternativa alla S.P. 119.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione comunale che, con memoria, ha replicato alle censure sollevate dal sig. F, concludendo per il rigetto dell’appello.

In vista dell’udienza di trattazione della causa, l’appellante ha presentato un’ulteriore memoria a sostegno delle proprie argomentazioni, confermando le conclusioni già esposte nell’atto di appello.

Parallelamente alla decisione sul ricorso r.g. n. 928/2012, il T.A.R. per la Puglia, sede di Lecce, veniva, altresì, investito della decisione sul ricorso r.g. n. 2084/2012, presentato dal sig. F dopo aver ottenuto l’annullamento del parere negativo n. 15983, con la sentenza n. 1294 del 2012: in particolare, veniva richiesto l’accertamento del diritto al risarcimento del danno ingiusto derivante dall’illegittimo comportamento dell’Amministrazione, concretizzatosi nell’adozione del citato provvedimento inibitorio.

Il giudice di primo grado, con sentenza n. 88 del 12 gennaio 2015, in accoglimento del ricorso, riteneva sussistenti gli elementi integranti la responsabilità dell’Amministrazione, accertando, in favore del sig. F, il risarcimento dei danni subiti relativi al mancato guadagno dovuto all’accesso alla tariffa incentivante del c.d. “Quarto conto energia”, in luogo di quella, più favorevole, riferibile al c.d. “Terzo conto energia”: secondo il giudice di prime cure, infatti, il tardivo inoltro della pratica del sig. F all’autorità di Bacino, avrebbe precluso al denunciante la possibilità di terminare i lavori entro il termine utile (30 novembre 2011) per accedere alla tariffa più vantaggiosa.

Il Comune di Monteroni propone appello (r.g. n. 3427/2015) nei confronti della sentenza n. 88 del 2015, ritenendo errato sia l’accertamento dell’an che del quantum del risarcimento: secondo l’Amministrazione comunale, infatti, non sussisterebbero i presupposti necessari ai fini dell’accertamento del nesso causale fra la condotta del Comune di Monteroni ed il danno subito dal sig. F;
inoltre, il giudice di primo grado avrebbe, comunque, errato nella determinazione dei criteri di quantificazione del danno, riconoscendo un risarcimento di ammontare eccessivo in favore dell’appellato.

Si è costituito in giudizio il sig. F che, con memoria, ha eccepito l’infondatezza dell’appello, concludendo per il suo rigetto.

Chiamate congiuntamente per la trattazione le due cause, una iscritta nel ruolo delle camere di consiglio (r.g. 3427/2015) e l’altra in quello dell’udienza pubblica (n. 8384/2014) in data 9 giugno 2015, le cause sono state entrambe trattenute in decisione. Per quella in camera di consiglio, in particolare, il Collegio, uditi sul punto i patrocinatori delle parti e ravvisata la completezza del contraddittorio e dell’istruzione, ha ritenuto di definire il giudizio con sentenza in forma semplificata.

DIRITTO

1. In via preliminare, occorre disporre la riunione degli appelli in epigrafe, per evidenti ragioni di connessione oggettiva e soggettiva, attenendo alla medesima vicenda contenziosa, sebbene chiamati uno in camera di consiglio e l’altro in udienza pubblica, essendovi, come detto, i presupposti per la definizione con sentenza breve del primo appello.

2. La fattispecie sottoposta all’esame del Collegio concerne, per un verso, l’esatta individuazione ed estensione dei poteri del commissario ad acta e, per altro verso, la verifica circa la sussistenza dei presupposti integranti la responsabilità della Pubblica Amministrazione.

3. Per ragioni di priorità logica, è necessario affrontare inizialmente le questioni sollevate nell’appello r.g. n. 8384/2014. Con esso, il sig. F impugna la sentenza n. 2139 del 2014 ritenendola errata per aver inammissibilmente condiviso la scorretta applicazione dell’art. 9 comma 4 d.p.r. n. 327/2001 effettuata dal commissario ad acta: nello specifico, infatti, il T.A.R. non avrebbe esaminato analiticamente le censure che il ricorrente in primo grado aveva sollevato nei confronti del provvedimento impugnato (delibera n. 12856 del 12 agosto 2013). Tali censure inerivano, in primo luogo, al difetto di istruttoria cui avrebbe dato seguito il commissario, omettendo di eseguire un esaustivo bilanciamento, all’interno del suo provvedimento, fra l’interesse del sig. F, titolare di un impianto fotovoltaico, e l’interesse pubblico alla risoluzione delle problematiche derivanti dalla circolazione stradale. In secondo luogo, il sig. F ritiene possibile, a differenza di quanto affermato nella relazione tecnico-urbanistica dall’arch. B, ovviare alle problematiche legate alla circolazione stradale nella zona considerata, mediante una soluzione alternativa all’apposizione del vincolo sui propri terreni: potrebbe, infatti, essere utilizzato parte del terreno adiacente a quello di sua proprietà che, allo stato attuale, risulterebbe inutilizzato. In terzo luogo, secondo l’appellante, la sentenza di primo grado non avrebbe rilevato l’assenza di un’adeguata motivazione circa l’attualità e la concretezza dell’interesse pubblico, nonché in merito ai ritardi nell’esecuzione delle opere stradali previste nel P.R.G. del 1996. Infine, non sarebbe stato valutato, dal giudice di primo grado, l’omesso accantonamento, nel provvedimento impugnato, delle somme previste per la procedura espropriativa in favore del sig. F.

3.1 L’appello è infondato.

Al riguardo vanno, preliminarmente, analizzati il ruolo ed i poteri spettanti al commissario ad acta nell’ambito della esecuzione delle sentenze adottate dal Giudice Amministrativo.

Come noto, il commissario ad acta rientra, ai sensi dell’art. 21 c.p.a., fra gli organi ausiliari del giudice: da tale qualificazione, va individuata la fonte dei suoi poteri nella sentenza da portare ad esecuzione.

La giurisprudenza costante di questo Consiglio ritiene che il commissario ad acta sia legittimato “ad adottare ogni misura conforme al giudicato che si appalesi, in concreto, idonea a garantire alla parte ricorrente il conseguimento effettivo del bene della vita di cui sia stato riconosciuto titolare nella sentenza da portare ad attuazione” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 1 marzo 2012 n. 1194).

Per consentire l’adempimento dei propri compiti, viene garantita una particolare autonomia al commissario, che si riverbera sul contenuto degli atti da esso adottati, i quali hanno gli stessi effetti verso i terzi di quelli dell’ente sostituito, per provvedere in luogo di quest’ultimo e per superare la paralisi dell’azione amministrativa, dando vita ad una relazione intersoggettiva, e non interorganica, con l’amministrazione (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 21 gennaio 2013 n. 327).

Il potere del commissario di sostituirsi all’amministrazione nella valutazione e nella attività di scelta, tra i vari interessi coinvolti in uno specifico procedimento, consentono di valorizzare l’elemento discrezionale degli atti emanati da questo soggetto, quale organo ausiliario del giudice: in tal modo, da un lato, in capo all’amministrazione non residua alcun potere discrezionale relativo all’attuazione del provvedimento adottato e, dall’altro lato, è possibile ricorrere all’autorità giudiziaria soltanto qualora vi sia un contrasto fra la sentenza da portare ad esecuzione ed il contenuto del provvedimento adottato dal commissario ad acta.

3.2 Nel caso di specie, occorre evidenziare che il provvedimento impugnato in primo grado non si pone in contraddizione con quanto previsto dal T.A.R. per la Puglia, nella sentenza n. 1737 del 24 ottobre 2012. In effetti, quest’ultimo provvedimento giurisdizionale ha accertato l’illegittimità del silenzio-inadempimento serbato dal Comune di Monteroni di Lecce nei confronti dell’istanza di riqualificazione dell’area di proprietà del sig. F, condannando l’Amministrazione comunale a determinarsi con provvedimento espresso su tale richiesta.

Le conclusioni cui è giunto il commissario, dunque, vanno ascritte alle valutazioni discrezionali, che sarebbero state di competenza del Comune di Monteroni di Lecce, ma che, constatata la sua inerzia, sono state adottate in sua vece.

Le censure sollevate dal sig. F ineriscono, dunque, al merito delle scelte effettuate dal commissario, le quali, a loro volta, rinviano alla relazione tecnico-urbanistica redatta dall’arch. B. A ben vedere, dette censure, si rivelano infondate: infatti, come già chiarito dal giudice di prime cure, le motivazioni indicate nel provvedimento del commissario possono ritenersi “pienamente ragionevoli, adeguate e corrette” in quanto esprimono l’interesse pubblico sotteso alla scelta di reiterazione dei vincoli (“non gravare ulteriormente la S.P. 119 (Lecce - Porto Cesareo) di carico di traffico locale”). Sul punto, il commissario ha chiarito che l’esigenza di un utilizzo armonico ed in condizioni di sicurezza, della porzione del territorio comunale considerata, rimane attuale e “prevalente rispetto alle singole esigenze dei privati proprietari delle aree interessate”.

Il commissario ha precisato, altresì, che il soddisfacimento dell’interesse pubblico non può essere realizzato con modalità alternative, rispetto a quelle prospettate, in quanto ulteriori soluzioni risulterebbero o tecnicamente impraticabili o non riconfigurabili “atteso che parte della viabilità comunale in questione (direzione Leverano) è stata realizzata con conseguente definizione di un assetto viario in parte configurato il cui completamento, quindi, implica l’ineluttabilità della scelta urbanistica operata, con la conseguenza che la sua realizzazione implica il coinvolgimento necessario ed attuale delle aree di proprietà privata già oggetto di vincolo, compresa quella del sig. F”

Quanto emerge dall’esame del provvedimento impugnato in primo grado, dunque, consente al Collegio di ritenere prive di fondamento le mende inerenti al difetto di motivazione circa l’attualità dell’interesse pubblico sotteso alla reiterazione dei vincoli, all’omessa considerazione degli interessi privati ed alla sussistenza di soluzioni alternative a quella proposta.

Parimenti infondate debbono ritenersi le censure secondo cui il commissario non avrebbe adeguatamente valutato lo specifico coinvolgimento degli interessi facenti capo al sig. F: tale assunto risulta smentito, sia da quanto sinora esposto, sia dalla origine stessa della vicenda sottoposta all’esame del Collegio. Infatti, il commissario, prima di adottare il provvedimento impugnato, ha ricevuto dal T.A.R., con ordinanza n. 344 del 7 febbraio 2014, una specifica richiesta di chiarimenti, esattamente adempiuta, “relativamente all’impatto che la viabilità programmata sull’area avrebbe su un impianto fotovoltaico asseritamente in funzione sulla proprietà del sig. F interessata dalla reiterazione dei vincoli”.

Da ultimo, per quanto concerne il profilo dell’omesso accantonamento delle somme necessarie ad attuare la procedura espropriativa, va rilevato che, al punto 2 della delibera n. 12856 del 12 agosto 2013, viene chiaramente affermato il riconoscimento del “diritto del Sig. F Luca all’indennizzo secondo i principi affermati dalla recente giurisprudenza e di rimettere pertanto all’ufficio tecnico comunale l’adozione di un separato provvedimento per la determinazione e la liquidazione dell’indennizzo dovuto per la reiterazione del vincolo sopra richiamato che in ogni caso si riconosce come dovuto al momento del’efficacia della reiterazione del vincolo e fino all’eventuale provvedimento di esproprio delle aree interessate dalle suesposte opere pubbliche”. Tale deliberazione conferma, secondo il Collegio, sia la serietà dell’impegno dell’Amministrazione, che l’intento di prevedere un adeguato indennizzo in favore del sig. F, per la quantificazione del quale sono stati trasmessi gli atti al competente ufficio: come correttamente affermato dalla difesa dell’Amministrazione, dunque, la legittimità del provvedimento non può ritenersi inficiata dalla mancata esatta quantificazione dell’indennizzo dovuto al sig. F, che, in caso di contestazioni sull’entità dello stesso, dovrà rivolgersi al Giudice Ordinario, ai sensi dell’art. 53 comma 2 d.p.r. 8 giugno 2001 n. 327.

In definitiva, il Collegio ritiene che il giudice di prime cure abbia esaminato e valutato tutte le censure sollevate con il ricorso depositato dal sig. F: proprio all’esito dell’esame del complesso dei vizi rilevati dal ricorrente in primo grado, infatti, il T.A.R. ha potuto affermare che “emerge, con ogni evidenza, l’inevitabilità (sul piano della coerenza logica, dei canoni di buona amministrazione e della tutela della sicurezza del traffico stradale) della contestata scelta urbanistica di reiterazione della previsione viaria sull’area in questione”.

Alla luce delle pregresse considerazioni, il Collegio ritiene che l’appello r.g. n. 8384/2014, proposto dal sig. F avverso la sentenza del T.A.R. per la Puglia, sede di Lecce, n. 2139 del 5 agosto 2014, vada respinto, in quanto infondato.

4. Passando all’esame dell’appello r.g. n. 3427/2015, proposto avverso la sentenza n. 88 del 2015, con esso il Comune di Monteroni di Lecce ritiene insussistenti sia gli elementi diretti a dimostrare i presupposti della responsabilità, sia i criteri utilizzati dal giudice di prime cure per la quantificazione del risarcimento del danno.

Sotto il primo profilo, secondo l’Amministrazione appellante, il giudice di primo grado avrebbe errato nel ritenere sussistente la responsabilità in capo al Comune, a causa del mero annullamento, intervenuto con sentenza del T.A.R. per la Puglia, sede di Lecce, n. 1294/2012, del provvedimento inibitorio della d.i.a. presentata dal sig. F. Infatti, l’esito del giudizio di primo grado (che trova riscontro nelle suesposte considerazioni, relative all’appello r.g. n. 8384/2014), instaurato nei confronti del provvedimento adottato dal commissario ad acta, dimostrerebbe la complessità della situazione di fatto, dalla quale deriverebbe la scusabilità dell’errore dell’Amministrazione.

4.1 L’appello è parzialmente fondato e va accolto nei limiti che seguono.

Come è noto, in tema di responsabilità della pubblica amministrazione, il risarcimento del danno subito non può conseguire in modo automatico dall’annullamento di un atto illegittimo adottato dall’amministrazione: la giurisprudenza, mediante il rinvio al sistema delle presunzioni semplici, di cui agli artt. 2727 e 2729 cod. civ., è pressoché unanime nel ritenere che l’illegittimità del provvedimento annullato costituisce soltanto uno degli indici presuntivi della colpevolezza dell’amministrazione. In virtù di tale configurazione, qualora si annulli un provvedimento illegittimo, graverà sull’amministrazione l’onere di provare l’assenza di colpa, mediante la deduzione di circostanze integranti gli estremi dell’errore scusabile (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 31 gennaio 2012 n. 482;
sez. V, 6 dicembre 2010, n. 8549;
id., 18 novembre 2010, n. 8091;
sez. VI, 27 aprile 2010, n. 2384;
id., 11 gennaio 2010, n. 14;
sez. V, 8 settembre 2008, n. 4242).

Quest’ultimo va configurato qualora si sia in presenza di un contrasto giurisprudenziale sull’interpretazione di una norma, di un fatto altamente complesso o dell’influenza di altri soggetti (da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 16 aprile 2015 n. 1953).

4,2 Ciò posto, nel caso di specie non si ritiene che possa sussistere una responsabilità dell’Amministrazione nei termini configurati dal giudice di primo grado.

In primo luogo, infatti, giova ricordare che il sig. F, in sede di presentazione del ricorso al T.A.R. per l’accertamento del diritto al risarcimento, aveva espressamente affermato che il danno causato dall’Amministrazione comunale era derivante “dalla colposa inosservanza del termine di conclusione del procedimento (rectius: trasmissione del progetto all’autorità di Bacino), confluita nell’adozione di un provvedimento illegittimo che ha di fatto impedito la realizzazione dell’impianto”: si è affermato, cioè, che l’elemento soggettivo della colpa fosse ravvisabile nel ritardo dell’azione amministrativa.

Il T.A.R., diversamente, ha ritenuto che l’elemento psicologico si fosse concretato nell’imperizia, riscontrata nelle errate affermazioni contenute nel provvedimento inibitorio della d.i.a., successivamente annullato (cfr. p. 6 sent. appellata).

L’errore in cui è incorso il giudice di primo grado, risiederebbe nella circostanza di aver ritenuto l’illegittimità del provvedimento, emanato dal Comune di Monteroni, un elemento sufficiente ex se a provare la colpa dell’Amministrazione: non sarebbe stata valutata adeguatamente l’instaurazione, in pendenza della decisione, di un contenzioso volto a verificare la legittimità della reiterazione dei vincoli urbanistici sull’area di proprietà del sig. F. Inoltre, occorre rilevare, sul punto, che l’esito del primo grado di giudizio (sent. n. 2139 del 5 agosto 2014) del citato contenzioso è intervenuto, tra l’altro, ben prima della pronuncia oggetto del presente appello. Tale circostanza appare idonea a giustificare un’eventuale scusabilità dell’errore in cui sarebbe incorsa l’Amministrazione in sede di adozione del provvedimento successivamente dichiarato illegittimo: tuttavia, essa non è stata adeguatamente considerata dal T.A.R., che, nel prosieguo della propria decisione, ha dato esclusivo rilievo al ritardo dell’azione amministrativa.

In ogni caso, anche prescindendo dall’esame dell’elemento psicologico effettuato dal T.A.R., devono ritenersi inesatte le conclusioni cui esso è giunto in relazione al nesso di causalità: nella sentenza impugnata, infatti, si è ritenuto che, se non vi fosse stato il ritardo nell’inoltro della pratica concernente la d.i.a. all’autorità di Bacino, sicuramente il sig. F avrebbe avuto accesso alle tariffe incentivante di cui al c.d. “Terzo conto energia”: senza dubbio, cioè, la tempestività dell’azione amministrativa avrebbe consentito all’impianto di entrare in funzione entro il 30 novembre 2011.

Tale affermazione non risulta, tuttavia, corroborata dall’esame delle circostanze fattuali. Sull’argomento, occorre, innanzitutto richiamare la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, che distingue, come noto, tra causalità materiale e causalità giuridica (Cass. Civ., 31 maggio 2005, n. 1609;
id., 2 febbraio 2001 n. 1516;
id., 21 dicembre 2001 n. 16163;
id., SS.UU. 26 gennaio 1971 n. 174).

In tema di causalità materiale, la giurisprudenza di questo Consiglio, partendo dai principi enunciati negli artt. 40 e 41 c.p., ha affermato che il rigore del principio della c.d. “equivalenza delle cause” viene temperato nel principio di “causalità efficiente”, di cui all’art. 41 co. 2 c.p.: in base ad esso, l’evento dannoso deve essere attribuito esclusivamente all’autore della condotta sopravvenuta solo se questa condotta risulti tale da rendere irrilevanti le altre cause preesistenti, ponendosi al di fuori delle normali linee di sviluppo della serie causale già in atto. Tuttavia, questa relazione causale non è sufficiente ai fini della determinazione di una causalità giuridicamente rilevante, poiché occorre attribuire rilievo alle relazioni causali che, nel momento in cui si produce l’evento causante non appaiano del tutto inverosimili, ma che si presentino come effetto non del tutto imprevedibile, secondo il principio della c.d. causalità adeguata o quello similare della c.d. regolarità causale. Successivamente, all’interno della serie causale così individuata, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano del tutto inverosimili in base ad una valutazione ex ante (cfr. Cons. Stato, 28 aprile 2014 n. 2195).

Alla luce di quanto espresso, il Collegio non ritiene che il ritardo nell’inoltro della pratica all’autorità di Bacino, ai fini del rilascio del relativo parere, sia stata la causa che, nell’ottica descritta, abbia contribuito alla dilatazione dei tempi di conclusione dei lavori dell’intervento sull’area di proprietà del sig. F.

A ben vedere, infatti, come correttamente rilevato dalla difesa dell’Amministrazione, tra il rilascio del parere dell’autorità di Bacino (20 febbraio 2012) e l’entrata in esercizio dell’impianto fotovoltaico (25 agosto 2012) sono trascorsi poco più di sei mesi: tempo che, anche qualora l’Amministrazione comunale avesse trasmesso gli atti alla competente autorità entro il 20 agosto 2011 (termine ultimo della conclusione del procedimento), non appare verosimilmente compatibile con la conclusione dei lavori entro il 30 novembre 2011.

Al riguardo, il sig. F sostiene, da un lato, che, per l’entrata in esercizio del gestore di rete, è assegnato un termine massimo di dieci giorni, ai sensi della delibera dell’Autorità per l’Energia Elettrica e per il Gas ARG/elt 51/2011 e, dall’altro lato che i sei mesi di tempo, necessari al completamento dei lavori, sono dipesi dalla volontà del proprietario di attendere la pronuncia del T.A.R. per la Puglia sulla legittimità del provvedimento inibitorio adottato dal Comune, una volta accertata l’impossibilità di accedere alle tariffe incentivanti del c.d. “Terzo conto energia”.

Tali affermazioni, tuttavia, risultano prive di pregio. Per un verso, infatti, l’esecuzione di un’area espositiva a terra con strutture precarie removibili, con relativa area a parcheggio e con copertura fotovoltaica, richiede verosimilmente più dei dieci giorni necessari alla diversa attività di entrata in esercizio del gestore di rete: il tempo utile per completare entrambe le attività non sarebbero comunque state idonee a porre in funzione l’impianto fotovoltaico entro il termine del 30 novembre 2011.

Per altro verso, l’attesa del sig. F avrebbe dovuto prolungarsi, seguendo i canoni dell’ordinaria diligenza, anche in relazione alla decisione definitiva sulla riqualificazione urbanistica dell’area di sua proprietà: in effetti, con la sentenza n. 1294 del 16 luglio 2012, il T.A.R. di Lecce non ha assentito all’intervento del sig. F, ma, in virtù della distinzione fra vincoli espropriativi e conformativi, ha dichiarato illegittimo il parere n. 15983 del 23 settembre 2011, senza, peraltro, né ammettere la conformità dell’opera da realizzare alle destinazioni urbanistiche delle aree interessate, né esautorare il potere spettante all’Amministrazione comunale in tema di pianificazione urbanistica. Quest’ultima competenza ben poteva, così come poi effettivamente accaduto, condurre alla reiterazione dei vincoli urbanistici impeditivi della realizzazione dell’opera.

5. Il comportamento inerte dell’Amministrazione, lungi dal configurare la causa del mancato accesso alle tariffe incentivanti del c.d. “Terzo conto energia” può, semmai, essere valutato ai fini della risarcibilità del c.d. “danno da mero ritardo”.

Con esso, come è noto, si individuano le fattispecie in cui l’oggettivo dato del superamento del termine legale di conclusione di un procedimento, rappresenta ex se un pregiudizio per l’operatore economico che ne subisce le conseguenze: questa ricostruzione del pregiudizio sofferto, prescinde del tutto dalle valutazioni circa la attribuibilità del bene della vita finale, cui il privato tendeva con la presentazione dell’istanza, alla quale l’Amministrazione non ha dato riscontro (o l’ha fatto con ritardo). Il fondamento della risarcibilità del danno da mero ritardo risiede “nell’affidamento del privato alla certezza dei tempi dell’azione amministrativa” che “sembra - nell’attuale realtà economica e nella moderna concezione del c.d. rapporto amministrativo - essere interesse meritevole di tutela in sé considerato, non essendo sufficiente relegare tale tutela alla previsione e all’azionabilità di strumenti processuali a carattere propulsivo” (Cons. Stato, Sez. IV, ord. 7 marzo 2005, n. 875).

La cristallizzazione di questa tipologia di danno si è avuta con l’introduzione, da parte del legislatore, dell’art.

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