TAR Napoli, sez. II, sentenza 2019-12-27, n. 201906158

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. II, sentenza 2019-12-27, n. 201906158
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201906158
Data del deposito : 27 dicembre 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 27/12/2019

N. 06158/2019 REG.PROV.COLL.

N. 01244/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 74 c.p.a.
sul ricorso numero di registro generale 1244 del 2012, integrato da motivi aggiunti, proposto da
LUIGI BORDO e ANNA IMBEMBA, rappresentata e difesa dagli Avv.ti A P e M R, con domicilio eletto in Napoli alla Via Sant’Aspreno n. 13 e con domicilio digitale presso la PEC Registri Giustizia dei loro difensori;

contro

COMUNE DI FRATTAMAGGIORE, rappresentato e difeso dagli Avv.ti L P, A D B ed A G dell’Avvocatura Municipale, con domicilio eletto in Napoli alla Via Ligorio Pirro n. 25 presso il Dott. Giuseppe Ferraro e con domicilio digitale presso la PEC Registri Giustizia dei suoi difensori;

per l'annullamento

quanto al ricorso introduttivo:

a) dell’ordinanza dirigenziale del Comune di Frattamaggiore n. 6 del 19 gennaio 2012, recante la demolizione di un fabbricato realizzato a seguito di un intervento di trasformazione di un preesistente edificio, sito nel territorio comunale al Vico I Trento n. 4;

b) di ogni altro atto presupposto, conseguente e comunque connesso, parimenti lesivo, ivi compreso il rapporto informativo della Polizia Municipale dell’11 novembre 2011, richiamato nella suddetta ordinanza;

quanto al ricorso per motivi aggiunti:

c) del provvedimento silenzioso di rigetto dell’istanza di accertamento di conformità presentata dai ricorrenti l’8 marzo 2012, finalizzata ad ottenere la sanatoria del fabbricato colpito dall’ordinanza di demolizione;

d) di ogni altro atto presupposto, conseguente e comunque connesso, parimenti lesivo.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’amministrazione resistente;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 3 dicembre 2019 il dott. Carlo Dell'Olio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;


Ritenuto che il ricorso, come integrato dai motivi aggiunti, si presta ad essere definito con sentenza in forma semplificata, giacché si presenta manifestamente infondato, il che rende superfluo lo scrutinio delle eccezioni di rito opposte dalla difesa comunale;

Premesso che, come risulta dalla documentazione versata in atti, con i provvedimenti impugnati in questa sede il Comune di Frattamaggiore persegue l’obiettivo di reprimere la realizzazione, avvenuta in accertata assenza di permesso di costruire, di un fabbricato di tre piani a seguito della trasformazione, tramite demolizione e ricostruzione, di un preesistente edificio di minore altezza e cubatura, costituito da un solo piano e da un sottotetto non abitabile a falda inclinata;

Rilevato che le censure complessivamente formulate nei mezzi di gravame avverso l’ordinanza di demolizione n. 6/2012 (emessa ex art. 31 del d.P.R. n. 380/2001), il presupposto rapporto informativo dell’11 novembre 2011 ed il successivo provvedimento silenzioso di rigetto dell’istanza di accertamento di conformità (presentata ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001) possono essere così riassunte:

a) il provvedimento demolitorio non è stato preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, in violazione delle prerogative partecipative garantite dall’art. 7 della legge n. 241/1990;

b) il rapporto informativo posto a base dell’ordine demolitorio risulta parzialmente smentito dalla relazione tecnica asseverata acclusa all’istanza di accertamento di conformità presentata dai ricorrenti;

c) l’ordinanza di demolizione è affetta da difetto di motivazione sia in relazione alle norme ritenute violate e alla consistenza delle opere sia in ordine alla prevalenza dell’interesse pubblico sul contrapposto interesse privato, tenuto conto dell’entità e della tipologia dell’abuso. Inoltre, nel caso specifico sarebbe comunque dovuta intervenire una motivazione rafforzata in termini di interesse pubblico prevalente, atteso il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’illecito, risalente a tre anni prima, che ha consolidato nella parte ricorrente una posizione di affidamento sulla conservazione del manufatto così come realizzato;

d) il difetto motivazionale, oltre che istruttorio, è altresì ravvisabile nella mancanza di qualsiasi riferimento, nel corpo dell’ordinanza in parola, all’eventuale sanabilità del fabbricato in ragione della sua possibile conformità alla normativa regionale in tema di recupero abitativo dei sottotetti e di piano casa (leggi regionali n. 15/2000 e n. 19/2009);

e) le abusività poste in essere sono inquadrabili nell’ambito della ristrutturazione edilizia, assolvendo ad una specifica funzione conservativa finalizzata “a lasciare immutati alcuni elementi strutturali e, peraltro, a concretizzarsi nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo di riferimento”. Ne conseguirebbe l’applicazione del più mite trattamento sanzionatorio di cui all’art. 33 del d.P.R. n. 380/2001, connotato dall’eventuale irrogazione – in via sostitutiva ed all’esito di ponderata valutazione tecnica che evidenzi il pericolo di pregiudizio per la parte regolarmente edificata – di una mera sanzione pecuniaria;

f) l’intervento di trasformazione sanzionato con la demolizione ha comportato anche la realizzazione di un soppalco, mediante l’inserzione di un solaio intermedio che ha suddiviso in due piani l’originario piano unico, che si configura come intervento interno soggetto a DIA e non a permesso di costruire;

g) il provvedimento silenzioso di diniego di sanatoria è affetto dall’invalidità derivata discendente dall’ordinanza di demolizione;

h) il diniego tacito di sanatoria è comunque illegittimo perché non consente in via postuma, anche in applicazione del principio della cd. sanatoria giurisprudenziale, il recupero abitativo del precedente sottotetto ai sensi della legge regionale n. 15/2000 (cfr. in tal senso TAR Campania Napoli, Sez. VIII, sentenza n. 1625/2011), e perché inibisce la regolarizzazione, sempre in via postuma, di un intervento straordinario di demolizione e ricostruzione conforme al paradigma normativo di cui all’art. 5 della legge regionale n. 19/2009;

Considerato che le prefate doglianze non meritano condivisione per le ragioni di seguito esplicitate:

aa) giova notare che la comunicazione di avvio del procedimento deve ritenersi superflua ai fini dell’adozione degli atti di repressione degli illeciti edilizi;
invero, tali procedimenti essendo tipizzati, in quanto compiutamente disciplinati da legge speciale e caratterizzati dal compimento di meri accertamenti tecnici sulla consistenza e sul carattere abusivo delle opere realizzate, non richiedono l’apporto partecipativo del destinatario, e ciò anche a prescindere dall’applicabilità dell’art. 21-octies della legge n. 241/1990 (orientamento consolidato: cfr. ex multis Consiglio di Stato, Sez. IV, 20 maggio 2014 n. 2568 e 25 giugno 2013 n. 3471;
TAR Campania Napoli, Sez. IV, 9 maggio 2016 n. 2338;
TAR Lazio Roma, Sez. I, 22 aprile 2016 n. 4720);

bb) inammissibili per genericità si palesano le critiche rivolte nei confronti del rapporto informativo posto a base dell’ordine demolitorio, giacché non è dato comprendere sotto quali specifici aspetti l’invocata relazione tecnica asseverata si ponga in contrasto con gli accertamenti effettuati in loco dalla Polizia Municipale;

cc) il Collegio osserva che, secondo la condivisibile giurisprudenza amministrativa prevalente, l’ordinanza di demolizione, in quanto atto dovuto e rigorosamente vincolato, non necessita di particolare motivazione, potendosi ritenere adeguata e autosufficiente la motivazione quando già solo siano rinvenibili la compiuta descrizione delle opere abusive, la constatazione della loro esecuzione in assenza o difformità dal permesso di costruire e l’individuazione della norma applicata, come ravvisabile nel caso di specie, ogni altra indicazione – ad esempio in tema di caratteristiche dimensionali o di collocazione temporale degli illeciti edilizi – esulando dal contenuto tipico del provvedimento (cfr. ex multis TAR Campania Napoli, Sez. VIII, 30 maggio 2017 n. 2870 e 28 gennaio 2016 n. 538;
TAR Campania Napoli, Sez. VI, 23 gennaio 2012 n. 315). Inoltre, si rileva che i provvedimenti di repressione degli abusi edilizi sono atti dovuti con carattere essenzialmente vincolato e privi di margini discrezionali, per cui è da escludere la necessità di una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico concreto ed attuale o di una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati;
ne discende che essi sono sufficientemente motivati con riguardo all’oggettivo riscontro dell’abusività delle opere ed alla sicura assoggettabilità di queste al regime dei titoli abilitativi edilizi e del corrispondente trattamento sanzionatorio, non rivelandosi necessario alcun ulteriore obbligo motivazionale. Quanto esposto vale anche nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione e gli atti conseguenti intervengano a distanza di tempo dalla commissione dell’illecito, sia perché il mero decorso del tempo non può affatto legittimare – in assenza di specifica causa di giustificazione normativamente individuata – l’edificazione avvenuta senza titolo ed il correlativo arretramento del potere di contrasto del fenomeno dell’abusivismo edilizio, sia perché non può riconnettersi alcun affidamento tutelabile al perdurante mantenimento di una situazione di fatto abusiva e, pertanto, contra legem (cfr. Consiglio di Stato, A.P., 17 ottobre 2017 n. 9;
Consiglio di Stato, Sez. VI, 27 marzo 2017 n. 1386 e 28 febbraio 2017 n. 908;
Consiglio di Stato, Sez. IV, 12 ottobre 2016 n. 4205 e 31 agosto 2016 n. 3750);

dd) va rimarcato che, una volta accertata l’esecuzione di opere in assenza di permesso di costruire, non costituisce onere dell’amministrazione comunale verificare la sanabilità delle stesse (a seguito di accertamento di conformità) in sede di vigilanza sull’attività edilizia, essendo per legge rimessa ogni iniziativa in merito all’impulso del privato interessato. Pertanto, l’ordine di demolizione può ritenersi validamente supportato, come nel caso di specie, dalla mera descrizione dell’abuso accertato, la quale costituisce presupposto giustificativo necessario e sufficiente a fondare la spedizione della misura sanzionatoria (cfr. TAR Campania Napoli, Sez. VI, 3 agosto 2015 n. 4190;
TAR Campania Napoli, Sez. IV, 24 settembre 2002 n. 5556);

ee) le perpetrate abusività sono state correttamente sussunte nell’ambito del concetto di nuova costruzione soggetta al trattamento sanzionatorio di cui all’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, poiché la ristrutturazione edilizia sussiste solo quando viene modificato un immobile già esistente nel rispetto delle caratteristiche fondamentali dello stesso, mentre nella fattispecie si è sostituito l’edificio preesistente con un fabbricato avente un piano aggiuntivo (considerando anche il vecchio sottotetto) nonché altezza e volumetria sensibilmente maggiori (cfr. elaborati grafici posti a corredo dell’istanza di accertamento di conformità), con conseguente creazione non solo di un considerevole aumento di volume abitativo ma anche di un disegno sagomale con connotati alquanto diversi da quelli della struttura originaria. Invero, pur consentendo l’art. 10, comma 1, lett. c), del d.P.R. n. 380/2001 di qualificare come interventi di ristrutturazione edilizia anche le attività volte a realizzare un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, implicanti modifiche della volumetria complessiva, della sagoma o dei prospetti, tuttavia occorre conservare sempre una identificabile linea distintiva tra le nozioni di ristrutturazione edilizia e di nuova costruzione, potendo configurarsi la prima solo quando le modifiche volumetriche e di sagoma siano di portata limitata e comunque riconducibili all’organismo preesistente (cfr. TAR Campania Napoli, Sez. II, 9 gennaio 2017 n. 189;
TAR Emilia Romagna Bologna, Sez. II, 25 febbraio 2010 n. 1613);

ff) come risulta dai succitati elaborati grafici e dalla documentazione fotografica in atti, l’intervento di trasformazione del precedente immobile non ha affatto dato luogo (anche) alla realizzazione di un soppalco, ossia di una divisione meramente interna di un volume di piano, ma viceversa si è tradotto nell’edificazione di un vero e proprio piano aggiuntivo, dotato di aperture e balconate autonome rispetto al piano originario di derivazione: ne consegue che nella specie si tratta di un classico intervento di trasformazione edilizia comportante maggior carico urbanistico, soggetto, pertanto, a permesso di costruire e non a DIA. Peraltro, vale osservare, in via dirimente, che nel ponderare l’impatto urbanistico di un intervento edilizio consistente in una pluralità di opere deve effettuarsi una valutazione globale delle stesse, atteso che la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprendere l’effettiva portata della complessiva operazione posta in essere. Ne discende che i singoli abusi eseguiti vanno riguardati nella loro interezza e, proprio perché visti nel loro insieme, possono determinare quella complessiva alterazione dello stato dei luoghi che legittima la sanzione applicata e persuade della sua appropriatezza e proporzionalità rispetto a quanto realizzato (cfr. TAR Puglia Bari, Sez. III, 9 aprile 2015 n. 577;
TAR Toscana, Sez. III, 30 gennaio 2012 n. 199;
TAR Campania Napoli, Sez. VI, 9 novembre 2009 n. 7053). In tale ottica, deve convenirsi con la valutazione di generale illiceità degli interventi effettuata dall’amministrazione comunale, tenuto conto della portata complessiva delle opere e delle significative dimensioni del nuovo manufatto, tali da comportare una radicale e corposa modificazione dello stato dei luoghi, necessariamente subordinata, nella sua interezza, al previo ottenimento del permesso di costruire;

gg) l’inattaccabilità dell’ordinanza di demolizione rende priva di consistenza la censura di invalidità derivata mossa nei riguardi del diniego tacito di sanatoria;

hh) infine, a prescindere dall’assorbente rilievo che nella fattispecie non può predicarsi affatto il recupero del sottotetto esistente, semplicemente perché quest’ultimo è stato trasformato da copertura a falda inclinata in copertura piana avente diversa altezza (cfr. elaborati grafici cit.), si evidenzia, quanto all’invocata applicabilità del precedente di questo Tribunale n. 1625/2011 – il quale ha ritenuto estensibile la legge regionale n. 15/2000 anche alle ipotesi di sanatoria degli interventi di trasformazione abusiva dei sottotetti – che tale orientamento è assolutamente minoritario nell’attuale panorama della giurisprudenza amministrativa: pertanto, si reputa sicuramente più consono alla ratio della normativa in parola l’opposto (e ormai consolidato) orientamento che esclude la possibilità di sanatorie postume. Invero, ritiene il Collegio che la normativa sul recupero abitativo dei sottotetti deve essere considerata di stretta interpretazione, essendo formata da disposizioni di natura eccezionale finalizzate a fronteggiare situazioni emergenziali caratterizzate da fenomeni di disagio abitativo. L’impianto normativo è caratterizzato, difatti, da una disciplina derogatoria di favore, che permette di superare una serie di limiti ed ostacoli che in condizioni ordinarie non consentirebbero la destinazione abitativa dei sottotetti. La natura eccezionale di questa normativa di carattere derogatorio ne impone un’interpretazione il più possibile aderente al dettato normativo e scevra in ogni caso da accezioni che, travalicando il significato proprio delle parole, intendano attribuirle una valenza di sanatoria che non le è propria. A voler argomentare diversamente si addiverrebbe ad introdurre nell’ordinamento una nuova forma di condono edilizio non prevista né voluta dal legislatore regionale e priva delle caratteristiche di onerosità che connotano tale istituto di carattere eccezionale, la cui scelta è comunque riservata alla legislazione di principio di matrice statale (cfr. TAR Campania Napoli, Sez. VIII, 7 maggio 2014 n. 2497;
TAR Campania Napoli, Sez. II, 14 dicembre 2012 n. 5203). Né riesce a trovare valido sostegno giuridico la tesi di corollario, pure adombrata dai ricorrenti, secondo la quale l’aver introdotto, attraverso il recupero abitativo dei sottotetti, la facoltà di consentire interventi in deroga agli strumenti urbanistici comunali (cfr. art. 6 della legge regionale n. 15/2000) equivalga, sic ed simpliciter, ad assegnare portata sanante alla normativa in commento. In tal modo, infatti, si verrebbe a creare una tipologia ibrida di sanatoria che nulla ha a che vedere con l’accertamento di conformità applicabile a regime, che, come è noto, riguarda le sole opere che siano formalmente illegittime in quanto prive di titolo, ma che presentino comunque il requisito della doppia conformità urbanistico-edilizia (cfr. TAR Campania Napoli, Sez. VIII, n. 2497/2014 cit.;
TAR Campania Napoli, Sez. II, 13 novembre 2012 n. 4575). Stesso discorso va fatto per la normativa sul piano casa (legge regionale n. 19/2009), la quale non si configura come una normativa di condono o di sanatoria, ma, riflettendo l’esigenza di promuovere gli investimenti privati nel settore dell’edilizia, si atteggia a disciplina di natura eccezionale in relazione a peculiari interventi, destinata ad operare per un arco temporalmente limitato e sempre dietro presentazione di un’istanza che deve precedere (e non seguire) l’esecuzione delle opere (cfr. TAR Campania Napoli;
Sez. VIII, 8 ottobre 2015 n. 4717;
TAR Campania Napoli, Sez. II, 14 dicembre 2012 n. 5203). Pertanto, contrariamente alla tesi attorea, va affermata, almeno sulla base del quadro normativo vigente ratione temporis, l’inapplicabilità in via di sanatoria delle leggi regionali sul recupero abitativo dei sottotetti e sul piano casa;

Ritenuto, in conclusione, che:

- resistendo gli atti impugnati a tutte le censure prospettate, il ricorso, come integrato dai motivi aggiunti, deve essere respinto siccome infondato;

- le spese processuali devono essere addebitate alla soccombente parte ricorrente, nella misura liquidata in dispositivo.

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