TAR Roma, sez. I, sentenza 2021-07-12, n. 202108239
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Pubblicato il 12/07/2021
N. 08239/2021 REG.PROV.COLL.
N. 06540/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6540 del 2018, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Vodafone Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avv.ti M L e F C, con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via Vittoria Colonna, 32;
contro
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui è domiciliata
ex lege
in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
Associazione Codici, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall'avv. Ivano Giacomelli, con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia;
e con l'intervento di
ad opponendum
:
Iliad Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Filippo Pacciani, Vito Auricchio e Valerio Mosca, con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via di San Nicola Da Tolentino, 67;
Associazione Codici, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall'avv. Ivano Giacomelli, con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia;
per l'annullamento
quanto al ricorso introduttivo:
- del provvedimento n. 27112 dell'11 aprile 2018, notificato in data 13 aprile 2018, con il quale è stata confermata la misura cautelare provvisoria deliberata in data 21 marzo 2018;
- del provvedimento n. 27087 del 21 marzo 2018, notificato a Vodafone in pari data, con il quale è stata adottata una misura cautelare provvisoria inaudita altera parte nei confronti di Vodafone Italia S.p.A. in ragione di un'asserita violazione dell'art. 101 TFUE;
- di ogni atto ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguenziale, nessuno escluso, ivi compreso il provvedimento di avvio del procedimento n. 27025 del 7 febbraio 2018;
quanto ai motivi aggiunti:
- del provvedimento n. 28102 del 28 gennaio 2020, notificato in data 31 gennaio 2020, con il quale è stata accertata la sussistenza di un'intesa restrittiva della concorrenza in violazione dell'articolo 101 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea ed è stata irrogata una sanzione amministrativa pecuniaria.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’AGCM e di Codici;
Visto l’atto di intervento;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatrice la dott.ssa L M;
Uditi, nell'udienza del giorno 26 maggio 2021, i difensori delle parti, in collegamento da remoto in videoconferenza, ai sensi dell’art. 4 D.L. 28/2020, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1 L. 25 giugno 2020, n. 70, cui rinvia l’art. 25 D.L. 137/2020, come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO
Nel 2015 i principali operatori telefonici, Telecom Italia S.p.A. (TIM), Vodafone Italia S.p.A. (Vodafone) e Wind Tre (Wind) modificavano il periodo di rinnovo e, quindi, di fatturazione delle offerte ricaricabili per la telefonia mobile portandolo da una cadenza mensile ad una quadrisettimanale, ossia ogni 28 giorni. Successivamente la fatturazione quadrisettimanale veniva adottata anche da Fastweb S.p.A. (Fastweb) e veniva estesa anche alla telefonia fissa.
L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCom), con la Delibera 121/17/CONS del 15 marzo 2017, interveniva stabilendo che l’unità temporale per la cadenza di rinnovo e per la fatturazione dei contratti di rete fissa dovesse essere il mese e che, per la telefonia mobile, non potesse essere inferiore ai 28 giorni: il regolatore tanto stabiliva ritenendo la suddetta modalità non trasparente, in quanto sostanzialmente rivolta a realizzare surrettiziamente aumenti tariffari, di non immediata percezione da parte dei consumatori.
Gli operatori telefonici non si adeguavano alle prescrizioni della delibera 121/17/CONS e, pertanto, anche tramite Asstel - associazione di categoria delle imprese della tecnologia dell’informazione esercenti servizi di telecomunicazione fissa e mobile – impugnavano la citata Delibera dinanzi al giudice amministrativo, che respingeva i ricorsi in primo grado e in appello (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, sentt. nn. 11303/2018;3261/2018, 5313/2018, 4988/2018 e n. 5001/2018. In appello: Cons. Stato, Sez. VI, sentt. nn. 879/ 2020, 987/2020;1368/2020, quest’ultima confermata anche in sede di revocazione da Cons. Stato, Sez.VI, n. 3327/2021 di rigetto del ricorso di Wind Tre).
Il mancato adeguamento alla modalità di fatturazione mensile portava all’avvio di procedimenti sanzionatori da parte dell’AGCom.
Sulla vicenda interveniva, infine, il legislatore con D.L. 16 ottobre 2017, n. 148 convertito, con modificazioni, dalla L. 4 dicembre 2017, n. 172, il quale, con l’art. 19 quinquiesdecies , introduceva l’obbligo per i fornitori di servizi di comunicazione elettronica di prevedere una cadenza di rinnovo delle offerte e della fatturazione dei servizi (sia di rete fissa che mobile) su base mensile o di multipli del mese.
Il legislatore concedeva un termine di centoventi giorni, decorrente dall’entrata in vigore della L. 172/2017 – ossia il 6 dicembre 2018 –, per adeguarsi alla suddetta previsione demandando all’AGCom la verifica circa la corretta informativa ai clienti consumatori.
Tale termine scadeva pertanto in data 5 aprile 2018.
Successivamente all’adozione da parte dell’AGCom delle “Linee Guida sull’attività di vigilanza da parte dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, a seguito dell’entrata in vigore dell’articolo 19- quinquiesdecies del D.L. 16 ottobre 2017 n. 148, convertito con modificazioni dalla L. 4 dicembre 2017, n. 172”, TIM, Vodafone, Fastweb e Wind Tre inviavano, tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio 2018, una comunicazione dall’identico contenuto ai propri clienti, con la quale li informavano del fatto che, in attuazione della citata L. 172/2017, la fatturazione delle offerte e dei servizi sarebbe stata effettuata su base mensile e non più quadrisettimanale, con la conseguenza che la spesa annuale complessiva sarebbe stata distribuita su 12 canoni anziché 13.
Tutti e quattro gli operatori precisavano che tale rimodulazione tariffaria, benché comportante l’aumento dei singoli canoni mensili (+8,6%), non avrebbe modificato il prezzo annuale dell’offerta di servizi.
Sulla base di informazioni pubbliche raccolte e di attività preistruttoria, l’Autorità deliberava in data 7 febbraio 2018 l’avvio del procedimento istruttorio I820, ai sensi dell’art. 14, L. 287/90 nei confronti di Asstel, Telecom, Vodafone, Fastweb e Wind, al fine di accertare la sussistenza di un’intesa restrittiva della concorrenza, nella forma di pratica concordata e/o di accordo in violazione dell’art. 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE).
Secondo l’Autorità le Parti, anche per il tramite di Asstel, avrebbero illegittimamente coordinato la propria strategia commerciale in fase di attuazione dei nuovi obblighi introdotti dal citato D.L. 148/2017, che imponevano ai fornitori di servizi di telecomunicazione di ripristinare la cadenza di rinnovo delle offerte e della fatturazione su base mensile o di multipli del mese anziché su una base di 28 giorni (c.d. “r ollback ”).
Contestualmente al rollback , in particolare, tutte le Parti avrebbero deciso di riparametrare la spesa annuale complessiva dei propri clienti su 12 cicli di fatturazione anziché su 13, con conseguente aumento del canone mensile nella medesima misura dell’8,6% (c.d. “ repricing ”): ciò a fine di limitare la fuoriuscita dei propri clienti verso i concorrenti, in ragione del fatto che l’uniformità dei comportamenti avrebbe determinato nel consumatore la percezione circa l’assenza di convenienza del cambio di operatore, così favorendone l’inerzia.
In data 15 e 16 febbraio 2018 si svolgevano accertamenti ispettivi presso le sedi di tutte le Parti del procedimento che portavano al rinvenimento di evidenze documentali sulla base delle quali emergeva non solo l’esistenza della pratica concordata ma anche il pericolo imminente di danno grave ed irreparabile alla concorrenza. Si osservava, infatti, che, laddove il r epricing comunicato da tutte le imprese agli utenti fosse stato effettivamente applicato con la tempistica annunciata (quindi dal 24 marzo ed entro il 5 aprile 2018), le dinamiche competitive sui mercati rilevanti sarebbero state irrimediabilmente compromesse e l’eventuale diffida intimata a conclusione del procedimento I820 (destinato a concludersi il 31 marzo 2019) sarebbe stata inidonea al ripristino delle condizioni di concorrenzialità dei mercati precedenti all’infrazione.
Quindi, in data 21 marzo 2018 l’Autorità deliberava l’adozione di un provvedimento cautelare inaudita altera parte , ai sensi dell’art. 14 bis L. 287/90, con cui intimava a TIM, Vodafone, Wind e Fastweb di sospendere, nelle more del procedimento, l’attuazione dell’intesa.
Con provvedimento dell’11 aprile 2018 l’Autorità confermava la misura cautelare provvisoria deliberata in data 21 marzo 2018 intimando a Fastweb, Telecom, Vodafone e Wind di definire i termini della propria offerta di servizi in modo indipendente dai concorrenti, in conformità al quadro regolamentare di riferimento al cui rispetto è tenuto ogni singolo operatore.
Le parti presentavano le relazioni prescritte contenenti l’indicazione delle misure poste in essere da ciascuno, che l’Autorità valutava adeguate concludendo tale fase con la presa d’atto in data 27 giugno 2018.
Nel corso del procedimento le parti e i terzi partecipanti sono stati sentiti in audizione e hanno esercitato in più occasioni il diritto di accesso alla documentazione contenuta nel fascicolo istruttorio;in data 1° agosto 2019 veniva notificata alle parti la Comunicazione delle Risultanze Istruttorie (CRI).
Il 15 ottobre 2019 si teneva l’audizione finale dinnanzi al Collegio dei rappresentanti di Asstel, nonché di Fastweb, Telecom, Vodafone, Wind e Iliad.
A seguire, in data 28 gennaio 2020 l’Autorità adottava il provvedimento n. 28102 con cui:
- deliberava che Fastweb, Telecom, Vodafone e Wind avevano posto in essere, almeno dal 14 novembre 2017, “un’intesa segreta, unica, complessa e continuata, restrittiva della concorrenza, in violazione dell’articolo 101 del TFUE, finalizzata a mantenere il livello dei prezzi esistente e a ostacolare la mobilità delle rispettive basi clienti, impedendo il corretto svolgersi delle dinamiche concorrenziali tra operatori nei mercati dei servizi di telefonia fissa e dei servizi di telefonia mobile, oggetto delle previsioni dell’articolo 19 quinquiesdecies del Decreto Legge n. 148/2017”;
- ordinava alle suddette società di astenersi in futuro dal porre in essere comportamenti analoghi a quelli oggetto dell’infrazione accertata;
- irrogava le seguenti sanzioni: € 14.756.250,00 a Fastweb;€ 114.398.325,00 a Telecom;€ 59.970.351,25 a Vodafone e € 38.973.750,00 a Wind.
Vodafone ha impugnato con il ricorso introduttivo il provvedimento cautelare n. 27112 dell’11 aprile 2018 e, con motivi aggiunti, il provvedimento conclusivo n. 28102 del 28 gennaio 2020.
L’AGCM e l’Associazione Codici si sono costituite in giudizio per resistere al gravame;Iliad Italia S.p.A. e l’Associazione Codici hanno spiegato autonomi interventi ad opponendum, quest’ultima avverso i motivi aggiunti.
In vista della trattazione le parti hanno depositato memorie conclusive;la ricorrente ha replicato con memoria del 15 maggio 2021 e all’udienza del 26 maggio 2021, sentiti i difensori presenti in collegamento da remoto, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Le censure relative al provvedimento cautelare sono affidate ai seguenti motivi.
I) Violazione e falsa applicazione degli artt. 101 TFUE e 2 L. 287/1990;violazione e falsa applicazione dell’art. 3 L. 241/1990;eccesso di potere per difetto di istruttoria, errore di fatto e carenza di motivazione;violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 14 L. 287/1990;violazione del diritto al contraddittorio procedimentale;violazione dell’art. 6 CEDU;eccesso di potere per illogicità e irragionevolezza intrinseca.
Il provvedimento cautelare si fonderebbe su un’istruttoria frettolosa e lacunosa.
II) Violazione e falsa applicazione degli artt. 101 TFUE e 2 L. 287/1990;violazione e falsa applicazione dell’art. 3 L. 241/1990;eccesso di potere per irragionevolezza, contraddittorietà e carenza di motivazione;violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 14 L. 287/1990. Mancherebbe la prova della pratica concordata né si sarebbe tenuto conto che il parallelismo di comportamenti può avere una diversa spiegazione. I contatti fra le parti si giustificherebbero in ragione della necessità di un confronto proprio in merito alla corretta interpretazione della normativa di riferimento. Infine l’aumento dell’8,6 % si è avuto in conseguenza della introduzione della fatturazione a 28 giorni e non quale repricing in concomitanza con la novella normativa.
III) Violazione e falsa applicazione dell’art. 14 bis L. 287/1990;violazione e falsa applicazione della Delibera n. 16218 del 14 dicembre 2006;violazione e falsa applicazione dell’art. 3 L. 241/1990;violazione dell’art. 101 TFUE;violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza;eccesso di potere per travisamento dei fatti.
Mancherebbe, nel caso di specie, il presupposto dell’irreparabilità del danno per l’adozione della misura cautelare.
Il provvedimento sanzionatorio è censurato per i seguenti motivi.
I) Violazione e falsa applicazione dell’art. 101 TFUE;eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità, difetto di istruttoria e contraddittorietà intrinseca, travisamento dei fatti;difetto di motivazione e conseguente violazione e falsa applicazione dell’art. 3 L. 241/1990;violazione delle norme sull’onere della prova (art. 2, Reg. CE/1/2003).
La spiegazione alternativa offerta da Vodafone sarebbe stata ignorata dall’AGCM la quale non avrebbe adeguatamente motivato le ragioni del suo dissenso rispetto agli specifici rilievi dell’AGCom.
L’Autorità non avrebbe assolto all’onere della prova su di essa incombente ai sensi dell’art. 2, Reg. 1/2003/CE, circa la non plausibilità della spiegazione alternativa offerta dalla parte.
Mancherebbero, in ogni caso, gli estremi per configurare un illecito antitrust “unico, complesso e continuativo”, sia per la breve durata, sia perché la ipotizzata intesa avrebbe riguardato un’unica questione, cioè il mantenimento di un aumento dell’8,6% già realizzatosi anni prima e non già una vera e propria politica dei prezzi.
Non sarebbe adeguatamente spiegato il superamento del confine scivoloso fra contatti leciti, e perfino necessari, fra gli operatori e contatti con finalità collusiva.
II) Sulla contestazione di un’intesa per oggetto: violazione e falsa applicazione dell’art. 101 TFUE;eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità, difetto di istruttoria.
Sarebbe errata la configurazione dell’intesa come restrizione “per oggetto”;l’Autorità non avrebbe assolto all’onere di dimostrare gli effetti della condotta adducendo quale motivazione che “il pieno esplicarsi degli effetti dell’intesa è stato evitato per effetto dell’adozione tempestiva delle misure cautelari da parte dell’Autorità”.
Nel provvedimento impugnato mancherebbe l’accertamento della proiezione della condotta (comunque diversa dai tipici cartelli di prezzo) verso la realizzazione dell’effetto anticoncorrenziale;anzi le evidenze acquisite mostrerebbero il contrario, come confermato dal parere AGCom, dal momento che da una parte, nei mesi da gennaio a marzo del 2018, in cui è stata comunicata la manovra, si è assistito ad un incremento del 6% rispetto ai tre mesi precedenti delle MNP in uscita (migrazioni di utenti verso altri operatori), dall’altra gli utenti sono invogliati a cambiare sulla base di offerte e promozioni differenziate e relative ad uno specifico prodotto. Quindi se vi fosse stato intento anticoncorrenziale, questo avrebbe dovuto riguardare l’accordo sui prezzi da praticare per specifici prodotti e promozioni. L’AGCM avrebbe ravvisato un’intesa per oggetto, senza tener conto delle reali leve competitive del mercato e degli effettivi andamenti della domanda.
III) Sulla assenza di un parallelismo nella condotta: violazione e falsa applicazione dell’art. 101 TFUE;eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità, difetto di istruttoria;difetto di motivazione e violazione dell’art. 3 L. 241/1990.
Sarebbe errata la conclusione che la concertazione avrebbe avuto quale conseguenza l’adozione di una condotta degli operatori, sostanzialmente identica nell’attuazione dell’art. 19 quinquiesdecies , finalizzata ad impedire l’esercizio del diritto di recesso da parte dei clienti essendo stato dimostrato che le condotte degli operatori sono state differenti, pur a fronte del mantenimento dell’aumento dell’8,6% comune a tutti, avendo Vodafone adottato specifiche politiche sia sui prezzi sia sui contenuti, nei confronti delle diverse categorie di clienti. Sicchè il comportamento di quest’ultima sarebbe diverso da quello degli altri operatori proprio con riferimento a quello che l’Autorità ritiene essere il “punto focale”.
IV) Violazione e falsa applicazione dell’art. 101 TFUE;eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità, difetto di istruttoria. difetto di motivazione e violazione dell’art. 3 L. 241/1990;violazione dei principi di riparto dell’onere della prova.
Con tale motivo la ricorrente contesta la valenza probatoria delle singole evidenze considerate dall’Autorità.
V) Violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 6, lett. c), n. 11 L. 249/1997;violazione e falsa applicazione dell’art. 3 L. 241/1990;difetto di motivazione;eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità, violazione del contraddittorio difensivo;violazione del principio di ne bis in idem.
L’AGCM non avrebbe fornito alcuna concreta e pertinente considerazione rispetto alle osservazioni con le quali AGCom ha chiesto di tener conto dei alcuni specifici profili, anzi li avrebbe superati sbrigativamente e senza riaprire il contraddittorio con le parti. Inoltre le imprese sono state già pesantemente sanzionate dall’AGCom, che ha imposto loro la restituzione agli utenti delle somme acquisite durante il periodo di mancata tempestiva attuazione della delibera 121 che aveva ordinato il ritorno alla mensilità per la telefonia fissa, sicchè la sanzione dell’AGCM rappresenterebbe una duplicazione di sanzione illegittima, oltre che sproporzionata.
VI) Violazione e falsa applicazione dell’art. 15 L. 287/1990;violazione e falsa applicazione dell’art. 11 L. 689/1981;violazione degli orientamenti della Commissione sul calcolo delle ammende;violazione e falsa applicazione delle linee guida AGCM. eccesso di potere per difetto di istruttoria, irragionevolezza, illogicità, ingiustizia manifesta e carenza di motivazione;violazione del principio di proporzionalità.
La ricorrente contesta la quantificazione della sanzione, che sarebbe errata sia per aver ritenuto molto grave l’intesa contestata, così calcolando la sanzione mediante applicazione automatica del c.d. coefficiente di gravità nella misura del 15% previsto dalle Linee Guida, sia per aver individuato in modo errato la data di inizio e di conclusione della asserita intesa, calcolando dunque una sanzione riferita ad un periodo eccessivamente lungo.
2. Come illustrato nella parte narrativa, con il provvedimento del 28 gennaio 2020, oggetto di impugnazione, l’Autorità ha ritenuto che le Parti del procedimento, anche per il tramite di Asstel, abbiano illegittimamente coordinato la propria strategia commerciale in fase di attuazione dei nuovi obblighi introdotti dal D.L. 148/2017, che imponevano ai fornitori di servizi di telecomunicazione di ripristinare la cadenza di rinnovo delle offerte e della fatturazione su base mensile o di multipli del mese anziché su una base di 28 giorni (c.d. “ rollback ”) e che, contestualmente, tutte le Parti abbiano concordato di riparametrare la spesa annuale complessiva dei propri clienti su 12 cicli di fatturazione anziché su 13, con conseguente aumento del canone mensile nella medesima misura dell’8,6% (c.d. “ repricing ”). Lo scopo di tale accordo risiederebbe, secondo l’AGCM, nella volontà di limitare la fuoriuscita dei propri clienti verso i concorrenti, in ragione del fatto che l’uniformità dei comportamenti avrebbe determinato nel consumatore la percezione circa l’assenza di convenienza del cambio di operatore, così favorendone l’inerzia.
L’Autorità ha fondato le proprie conclusioni su una serie di evidenze, successive all’adozione della delibera AGCom del 15 marzo 2017, che di seguito si elencano:
1) un documento acquisito presso Vodafone, consistente in una serie di email scambiate in data 1° giugno 2017 tra i responsabili della funzione regolamentare dei quattro Operatori, volta a condividere il contenuto di una lettera da inviare ad AGCOM a seguito di un incontro informale tenutosi presso la suddetta Autorità, in cui tutti gli Operatori mantengono la posizione di non adempiere agli obblighi della Delibera impugnata e tentano di proporre al regolatore una soluzione alternativa;
2) un documento interno (del 22 settembre 2017) rinvenuto nella sede di Fastweb;
3) un documento rinvenuto presso la sede della Associazione nel quale viene sintetizzato al Presidente e ad altri membri del consiglio il contenuto della call intervenuta con e tra gli operatori in data 30 ottobre 2017 sul tema dei 28 giorni, in cui è stata concordata l’adozione di una linea comune di minimizzazione del danno che include, tra l’altro, il mantenimento degli aumenti già realizzati;
4) una comunicazione interna di Vodafone del 23 ottobre 2017 a firma del responsabile degli affari istituzionali in cui si esprimono preoccupazioni su un comunicato stampa proposto da Asstel, quanto ad una “soluzione equilibrata” che abbia ad oggetto i prezzi;
5) documentazione acquisita presso Telecom Italia in cui si trova conferma della conference call interna riportata dal Messaggero in data 24 ottobre 2017 e del fatto che vi era l’intenzione di far trapelare all’esterno le decisioni assunte in quella sede al fine di lanciare un messaggio al mercato;
6) uno scambio di email interno a Telecom Italia, avvenuto il 30 ottobre 2017, ossia prima che la legge fosse approvata, in cui si discute delle dichiarazioni da rilasciare per un articolo del Corriere della Sera e, nel fare ciò, si dà conto della posizione dei principali competitor (Vodafone e Wind Tre) anche in relazione alle intenzioni concernenti il repricing ;
7) uno scambio di email interno a Fastweb, del 14 novembre 2017, in cui si trova una sintesi delle posizioni dei concorrenti, ove la natura e la specificità delle informazioni concernenti la posizione dei concorrenti su billing, repricing e tempistiche ha indotto l’Autorità ad escludere la possibilità che le stesse siano state ottenute da fonti esterne alle società;
8) una comunicazione interna di Telecom Italia del 7 dicembre 2017 in cui si discute di eventuali aumenti ulteriori rispetto a quelli derivanti dal passaggio alla fatturazione mensile rispetto a quella quadrisettimanale;
9) una email dell’Amministratore Delegato del 29 dicembre 2017 da cui risulta come Vodafone fosse a conoscenza delle manovre tariffarie di Telecom Italia essendo stati rinvenute evidenze di scambi di messaggi tra i vertici di Telecom Italia e Vodafone avvenuti il 20 dicembre 2017;
10) diversi documenti interni, rinvenuti presso gli operatori di comunicazione, da cui risultano discussioni sulle tempistiche di adeguamento dei sistemi di fatturazione, segnatamente un documento rinvenuto presso la sede di Fastweb (datato 18-20 dicembre 2017) dal quale si evince la sorpresa di Fastweb nel verificare che Telecom Italia aveva già comunicato la decorrenza dal 1° gennaio 2018 della rimodulazione di alcuni piani tariffari.
3. Deve premettersi che l’art. 101 T.F.U.E. (così come l’art. 2 L. 287/1990) stabilisce che sono incompatibili con il mercato interno e sono vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni d’imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza nell'ambito del mercato interno.
La funzione della disposizione è quella di tutelare la concorrenza nel mercato, al fine di garantire il benessere dei consumatori e un’allocazione efficiente delle risorse.
Ne deriva che, sulla base dei principi comunitari e nazionali in materia di concorrenza, ciascun operatore economico debba determinare in maniera autonoma il suo comportamento nel mercato di riferimento.
Nel fare ciò, l’operatore terrà lecitamente conto delle scelte imprenditoriali note o presunte dei concorrenti, non essendogli, viceversa, consentito instaurare con gli stessi contatti diretti o indiretti aventi per oggetto o per effetto la determinazione di una situazione di concorrenza non corrispondente alle condizioni normali del mercato.
Tali contatti vietati possono rivestire la forma dell’accordo ovvero quella delle pratiche concordate.
La fattispecie dell'accordo ricorre quando le imprese abbiano espresso la loro comune volontà di comportarsi sul mercato in un determinato modo;la pratica concordata corrisponde ad una forma di coordinamento fra imprese che, senza essere spinta fino all'attuazione di un vero e proprio accordo, sostituisce, in modo consapevole, un’espressa collaborazione fra le stesse per sottrarsi ai rischi della concorrenza (Cons. Stato, Sez. VI, 4 settembre 2015, n. 4123).
L’esistenza di una pratica concordata, considerata l’inesistenza o la estremamente difficile acquisibilità della prova di un accordo espresso tra i concorrenti, viene quindi ordinariamente desunta dalla ricorrenza di determinati indici probatori dai quali inferire la sussistenza di una sostanziale finalizzazione delle singole condotte allo scopo comune di restrizione della concorrenza.
In materia è dunque ammesso il ricorso a prove indiziarie, purché le stesse, come più volte affermato in giurisprudenza, si fondino su indizi gravi, precisi e concordanti.
In tema di prove va poi considerata la distinzione tra elementi di prova endogeni, afferenti all’anomalia della condotta delle imprese, non spiegabile secondo un fisiologico rapporto tra di loro, ed elementi esogeni, quali l'esistenza di contatti sistematici tra le imprese e scambi di informazioni.
La differenza tra le due fattispecie e correlative tipologie di elementi probatori - endogeni e, rispettivamente, esogeni - si riflette sul soggetto sul quale ricade l'onere della prova: nel primo caso, la prova dell'irrazionalità delle condotte grava sull'Autorità, mentre, nel secondo caso, si determina l’inversione dell’onere della prova che ricade in capo all'impresa.
In particolare, qualora, a fronte della semplice constatazione di un parallelismo di comportamenti sul mercato, il ragionamento dell'Autorità sia fondato sulla supposizione che le condotte poste a base dell'ipotesi accusatoria oggetto di contestazione non possano essere spiegate altrimenti se non con una concertazione tra le imprese, a queste ultime basta dimostrare circostanze plausibili che pongano sotto una luce diversa i fatti accertati dall'Autorità e che consentano, così, di dare una diversa spiegazione dei fatti rispetto a quella accolta nell'impugnato provvedimento.
Qualora, invece, la prova della concertazione non sia basata sulla semplice constatazione di un parallelismo di comportamenti, ma dall'istruttoria emerga che le pratiche possano essere state frutto di una concertazione e di uno scambio di informazioni in concreto tra le imprese, in relazione alle quali vi siano ragionevoli indizi di una pratica concordata anticoncorrenziale, grava sulle imprese l'onere di fornire una diversa spiegazione lecita delle loro condotte e dei loro contatti (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 13 maggio 2011, n. 2925).
3. La parte ricorrente lamenta un sostanziale e complessivo difetto di istruttoria.
In particolare l’AGCM non avrebbe adeguatamente valutato le argomentazioni delle parti tese a dimostrare come il mantenimento dell’aumento di prezzo dell’8,6% fosse la scelta più ovvia e, in un certo senso, obbligata per ciascun operatore, scelta la cui adozione dunque non necessitava di alcun accordo con gli operatori concorrenti e che non avrebbe incontrato la resistenza dei consumatori, i quali nessun disagio avrebbero subìto, essendosi l’aumento di presso già verificato in occasione del passaggio della fatturazione da mensile a cadenza di 28 giorni, come evidenziato nel parere dell’AGCom.
A tale proposito evidenzia che Vodafone, nel corso dell’istruttoria e fin dalle prime memorie difensive depositate, ha spiegato in maniera chiara e dettagliata le ragioni per le quali si è adeguata all’art. 19- quinquiesdecies , che imponeva il ritorno alla fatturazione mensile dei servizi, aumentando il costo di ogni singolo periodo di fatturazione dell’8,6% così da “riparametrare” su 12 periodi il costo delle offerte precedentemente addebitato con 13 periodi (e, dunque, con invarianza della spesa annuale). In particolare, la Società ha fornito tale spiegazione partendo da alcuni dati storici:
(i) l’aumento effettuato con la riduzione del periodo di fatturazione a 28 giorni era stato considerato legittimo da AGCom;
(ii) alle medesime conclusioni era giunta AGCM, sia con riguardo alla segnalazione, da parte di AGCom, nel luglio 2015, sia nel PS 10497 del 2016, in cui ha sì ritenuto di contestare una pratica commerciale scorretta, ma solo rispetto alle modalità accessorie di gestione delle rate residue in caso di riproporzionamento (da 30 a 28, all’epoca);
(iii) AGCom solo con la delibera n. 121 aveva ordinato, e per la sola telefonia fissa, il ritorno alla fatturazione mensile con effetto dal 23 giugno 2017, e solo per ragioni di trasparenza e per comodità del consumatore, e senza mai mettere in discussione la liceità del pregresso aumento, anzi presupponendone la liceità;
(iv) il successivo ordine di AGCom, pervenuto solo nel dicembre 2017, con la delibera n. 498/17/CONS, di restituire con storno ai clienti dei servizi di telefonia fissa l’importo dei giorni “erosi” aveva riguardato solo il periodo posteriore al 23 giugno 2017 e si era basato unicamente sulla violazione della delibera n. 121;
(v) il dibattito politico e mediatico nel quale è maturata l’emanazione dell’art. 19- quinquiesdecies si era distaccato da tale realtà giuridica e si era alimentato di non meglio argomentate pretese dei consumatori alla restituzione generalizzata delle somme “lucrate” dagli operatori con la riduzione del periodo di fatturazione a 28 giorni.
Afferma che, in questo contesto, in linea teorica, Vodafone aveva di fronte tre diverse possibilità per applicare l’art. 19- quinquiesdecies , ritornando alla fatturazione mensile: (i) tenere fermo il prezzo del singolo periodo di fatturazione, rinunciando così al precedente aumento;(ii) riproporzionare il prezzo dei periodi di fatturazione, aumentandoli ciascuno dell’8,6 %, ma mantenendo (su base annuale) l’aumento precedentemente effettuato;(iii) aumentare ancor più dell’8,6 % il prezzo di ciascun periodo di fatturazione (aumentando così il costo annuale).
Evidenzia che le ipotesi (i) e (iii) avrebbero generato delle forti criticità per Vodafone:
- non si poteva ragionevolmente rinunciare dall’oggi al domani ad un aumento effettuato alcuni anni prima e per di più espressamente giudicato lecito, se non violando le più elementari regole di buona gestione imprenditoriale e vi sarebbe stata una perdita netta di fatturato che avrebbe determinato problemi seri rispetto agli equilibri economici e finanziari dell’azienda;
- si temevano le reazioni della politica, dei media e delle associazioni dei consumatori, rispetto ad un aumento ulteriore;vista l’opposta e pressante richiesta delle associazioni dei consumatori di restituire l’aumento in occasione del ritorno alla mensilità, sarebbe stata vissuta come una provocazione una manovra di ulteriore aumento compiuta proprio con l’applicazione dell’art. 19 quinquiesdecies .
A sostegno di tale tesi la parte ricorrente ricorda che, rispetto a tale scenario, l’A.D. di Vodafone rappresentava di essere “molto preoccupato da aumenti in percentuale che possono scatenare reazioni pesanti [di] associazioni, istituzioni e stampa, soprattutto sul mobile” (doc. 13, ISP. 297).
Una ulteriore e significativa prova di tale contesto e di tale spiegazione alternativa della condotta sarebbe nella la corrispondenza email che si è svolta il 7 gennaio 2018 tra l’A.D. di Vodafone Italia e l’A.D. del Gruppo Vodafone, con sede a Londra, sui diversi scenari che in quel momento erano oggetto di valutazione (doc. 32 del fascicolo di parte ricorrente): da tale documento risulterebbe che anche dall’AD della holding era venuto il suggerimento di procedere con il riproporzionamento calibrato, senza aumenti del costo annuale. Il che dimostrerebbe che non vi erano affatto certezze indotte in capo a quest’ultimo dall’asserito cartello. Risulterebbe, altresì, che la motivazione che ha indotto Vodafone a seguire la strada del riproporzionamento con aumento dell’8,6 % per periodo di fatturazione con invarianza annuale, in luogo di maggiori aumenti, è stata quella del timore di danni reputazionali e di reazioni della politica e dei media.
La strada preferibile per Vodafone, dunque, era la seconda: cambiare il numero delle rate ma non anche il costo annuale, così difendendo l’aumento lecitamente effettuato tra il 2015 e il 2016 e, al contempo, attuando l’art. 19- quinquiesdecies mediante un mero riproporzionamento generale dell’offerta, facendo salve ulteriori manovre di aumento slegate dalla modifica della cadenza di fatturazione imposta dal legislatore.
Rimarca la parte ricorrente che, come ammesso anche nel Provvedimento, la delibera AGCom e la successiva novella normativa non avevano toccato minimamente il tema dell’aumento del prezzo annuale essendosi limitate la prima a ritenere illegittima la fatturazione quadrisettimanale e la seconda ad obbligare gli operatori a ripristinare la fatturazione mensile.
Sostiene altresì che i contatti fra gli operatori e lo scambio di informazioni, anche tramite Asstel, fossero originati dalla necessità di confrontarsi sulle modalità interpretative della novella legislativa e che tale sia stato l’unico oggetto di tali confronti;quindi contesta che vi sia stata alcuna “intesa”, tanto più “segreta”.
In ordine all’asserito scopo del presunto accordo di limitare, in tal modo, la fuoriuscita della clientela verso operatori concorrenti, la parte ricorrente ne rileva l’illogicità e l’inconferenza osservando come tale intento commerciale, nello specifico settore delle comunicazioni, si attui prevalentemente mediante la diversificazione delle offerte e l’implementazione dei contenuti, atteso che l’utente è di norma invogliato alla migrazione non dal minore prezzo praticato, bensì dalla maggiore offerta di contenuti (traffico rete, minuti chiamate ecc.).
Infine la ricorrente ritiene indimostrata e, comunque, irrilevante la tesi dell’AGCM secondo cui le Parti avrebbero posto in essere un coordinamento volto “a evitare il riconoscimento ai clienti del diritto di recesso senza penali in occasione della modifica della periodicità della fatturazione” (par. 168 del Provvedimento);osserva che oggetto di confronto era unicamente un tema di tipo interpretativo, ovvero se l’art. 70, comma 4, CEE fosse applicabile alle modifiche contrattuali unilaterali connesse alla manovra di rollback , tema dunque irrilevante ai fini antitrust .
4. Il Collegio ritiene che le surriportate censure siano complessivamente fondate.
L’AGCM afferma che la condotta delle Parti si configura come una restrizione della concorrenza per oggetto, idonea a ridurre le incertezze delle imprese in merito al funzionamento del mercato in un momento di shock esogeno dello stesso, inteso come mutamento normativo della periodicità di fatturazione (par. 192).
Aggiunge che “la strategia collusiva posta in essere da Fastweb, TIM, Vodafone e Wind Tre era finalizzata a mantenere il livello dei prezzi esistente e a ostacolare la mobilità delle rispettive basi clienti nel lasso temporale oggetto dell’istruttoria, così impedendo il corretto svolgersi delle dinamiche concorrenziali tra operatori. Il coordinamento era precipuamente volto a preservare il livello dei prezzi esistente, eliminando ogni incentivo per i consumatori ad esercitare il diritto di recesso, e quindi a cristallizzare le quote di mercato, limitando il livello di concorrenza tra gli
Operatori. Solo un comportamento coeso, infatti, avrebbe determinato una percezione di sostanziale inutilità della migrazione e quindi ridotto il livello di concorrenza in un momento di cambiamento normativo-regolamentare relativo alla periodicità di fatturazione” (par. 199).
L’Autorità ha, poi ritenuto che la suddetta intesa presentasse il carattere della segretezza.
Afferma, infatti, che “il coordinamento contestato in questa sede non concerne gli incontri ufficiali che gli operatori hanno avuto nel corso della partecipazione procedimentale ovvero in sede associativa, nei quali si è discusso dell’esercizio del diritto di difesa in forma collettiva ovvero di tutela degli interessi del settore, bensì i contatti inter-partes che ci sono stati a latere e a valle delle occasioni ufficiali di confronto. 207. I contatti da cui è scaturita l’intesa risultano, infatti, essere avvenuti tramite conference call ed email . Dalle evidenze istruttorie emerge come gli Operatori fossero attenti a preservare la segretezza delle interlocuzioni: si ricorda a tale proposito il monito di Vodafone di “scrivere poco”…”.
4.1. Osserva il Collegio che la delibera impugnata presenta un primo profilo di illogicità e di evidente difetto di istruttoria laddove desume e valorizza la asserita segretezza dall’intesa esclusivamente sulla base di un documento, quello relativo al «monito di Vodafone di “scrivere poco”», (il doc. isp. n. 507).
Si tratta della comunicazione interna di Vodafone del 23 ottobre 2017 (corrispondente al n. 4 dell’elenco riportato al punto 2 che precede).
In proposito, tuttavia, deve rilevarsi che l’Autorità, nel provvedimento conclusivo, ha collocato temporalmente l’intesa fra il 14 novembre 2017, data dello scambio di email interno a Fastweb (corrispondente al n. 7 dell’elenco riportato al punto 2 che precede) e il 13 aprile 2018, data di notifica del provvedimento cautelare.
Ne discende che il documento citato dall’AGCM per inferire la segretezza dell’intesa è del tutto inutilizzabile, essendo esterno al perimetro temporale di svolgimento della presunta pratica concordata, così come definito dalla stessa Autorità: ditalchè la segretezza dell’intesa risulta del tutto indimostrata.
4.2. Al rilievo che precede consegue la doverosa considerazione della totale ininfluenza e inutilizzabilità dei documenti da 1 a 6 dell’elenco riportato al punto 2 che precede, essendo gli stessi riferiti a fatti antecedenti al periodo di esplicazione della presunta intesa.
Dunque emerge, a parere del Collegio, un ulteriore profilo di difetto di istruttoria, atteso che la presunta intesa sarebbe ricostruibile da un unico documento, appunto lo scambio di email interno a Fastweb del 14 novembre 2017.
In particolare, nel suddetto scambio si trova una sintesi delle posizioni dei concorrenti dal seguente testo secondo cui: "TIM: non è stato ancora deciso se tornare alla fatturazione a 30gg o mensile solare o bimestrale. In finzione della scelta i tempi di progetto (migrazione esclusa) variano tra 3 e 6 mesi. 3 mesi nel caso di fatturazione a 30 giorni in quanto in questo scenario non prevedono di rivedere i prezzi dell'offerta (che quindi resterebbe valorizzata all'attuale prezzo applicato su 28 giorni). I clienti migreranno al primo ciclo di billing utile dopo il rilascio. H3G: non devono fare nulla in quanto stavano progettando solo ora la fatturazione a 28 giorni per i clienti mobili: in finzione delle novità hanno interrotto le attività. Non è quindi prevista attività di revisione prezzi. Da notare che H3G aveva introdotto da tempo i basket di traffico voce e dati inclusi con scadenza settimanale (ma prezzo offerta sempre su mese solare). WIND: dal 1/1/2018 gli attuali 5 cicli di billing (per fisso e mobile) diventeranno 4 su base mese solare. Non è prevista una revisione prezzi (che rimarranno gli stessi delle offerte a 28 giorni). I clienti migreranno al primo ciclo di billing utile dopo il rilascio. Adegueranno solo la clientela consumer (no enterprise e large account ). Rimarranno invece tariffari a 28 giorni i canoni dei comodati su beni non primari ( modem , telefoni..) anche perché, avendo implementato la cessione del credito verso enti terzi, non avrebbero potuto applicare la variazione. VODAFONE: sono in corso le analisi per la soluzione da implementare per la clientela fissa mentre non è stata ancora presa una decisione (attesa per fine mese) per la clientela mobile. Sarà prevista la revisione degli attuali prezzi delle offerte a 28 giorni. L'aspettativa è che il progetto sarà in grado di essere rilasciato entro la fine di marzo (con migrazioni a partire dal primo ciclo di billing utile)".
L’Autorità non chiarisce la paternità di questa mail ma aggiunge che nel medesimo documento è presente anche un messaggio dell'Amministratore Delegato di Fastweb che, in risposta alla precedente comunicazione, sintetizza il riscontro ricevuto in via diretta dai concorrenti: "Ciao questo il mio feedback . In sintesi preoccupazioni per tutti ma molto meno disperati di noi sia perchè sono confidenti che il mobile prepagato sia escluso sia perché sui loro sistemi sono più agili di noi Wind:[omissis] (CTO) riescono a marzo sul post paid ma assolutamente no sulle prepagate. [omissis] Relazioni Esterne: dice che una interpretazione (niente di scritto) e che si parli del traffico generato dopo la data e quindi almeno tu devi avere i cicli di billing per migrare cb (due mesi) e quindi si arriverebbe a Maggio. Seconda interpretazione sarebbe quelle adi comunicare prima della deadline che la fatturazione passera a mensile e ci sana un conguaglio appena i sistemi di fatturazione lo permetteranno (ad esempio fatturone a settembre). [AD VodafoneJ: non l'ho sentito preoccupato tecnicamente (magari anche loro hanno problema sulle prepagate e sperano di cavarsela) ma è d'accordo a provare se non altro di limare le penali e ricondurle alla ragione. TIM: stava a [omissis]…. Comunque rispondendo a [omissis] se i mobili (e le prepagate) sono esentati gli unici a rimetterci siamo noi e SKY. Le due interpretazioni di (omissis] almeno sarebbero due workaround che limitano l'impatto. Valutiamole (non so se ce ne vengono in mente altre. Adesso lo dico anche in Asstel alle /3".
Da questo scambio di email l’Autorità ha desunto che i nominativi dei rappresentanti dei concorrenti da cui sono state ottenute le informazioni confermerebbe la natura diretta dei contatti anche al di fuori di Asstel nonché il coinvolgimento del top management delle società, del pari ha ritenuto che la natura e la specificità delle informazioni concernenti la posizione dei concorrenti su billing, repricing e tempistiche escluderebbe la possibilità che le stesse siano state ottenute da fonti esterne alle società.
In proposito le Parti nel corso del procedimento hanno sostenuto che si trattasse di informazioni acquisite grazie ad attività di intelligence dei singoli Operatori, i quali legittimamente avrebbero cercato di scoprire quale fosse l’intento dei concorrenti onde pianificare la propria offerta in modo concorrenziale.
L’Autorità non ha condiviso tale tesi ritenendola intrinsecamente contraddittoria in quanto, da un lato, gli Operatori qualificano i contatti come mera «intelligence» sulle politiche commerciali dei concorrenti e, dall’altro, sostengono che il repricing effettuato in occasione del passaggio della fatturazione da quadrisettimanale a mensile fosse una scelta obbligata, senza alternative, indipendente dalle strategie degli altri Operatori. Quindi osserva che o il repricing era una scelta obbligata, e quindi sarebbe stata del tutto superflua la quasi giornaliera attività di «intelligence», o
l’eliminazione dell’incertezza circa il comportamento dei concorrenti era funzionale alle determinazioni circa la politica commerciale da adottare in occasione dell’adeguamento normativo (par. 232).
Ha anche osservato che il fatto che il repricing dei canoni mensili non fosse il portato automatico dell’attuazione dell’obbligo normativo risulterebbe anche dall’esame delle Linee Guida AGCOM secondo cui: «In occasione del ripristino della cadenza di rinnovo delle offerte e della fatturazione dei servizi su base mensile o multipli del mese, in ossequio a quanto previsto dal nuovo comma 1- bis , articolo 1 del decreto legge 31 gennaio 2007, n. 7, convertito con modificazioni dalla legge 2 aprile 2007, n. 40, gli operatori potrebbero decidere di modificare anche altri elementi dell’offerta, ivi inclusi i profili tariffari. In tal caso, si precisa che una eventuale variazione del prezzo dei servizi e/o dei rinnovi delle offerte costituisce esercizio dello ius variandi di cui all’art. 70, comma 4, del d. l.vo 259/2003 e fa sorgere, dunque, in capo agli utenti il diritto a essere informati con adeguato preavviso, non inferiore a trenta giorni, in merito alle suddette modifiche nonché in ordine alla
possibilità di esercitare il diritto di recesso senza penali né costi di disattivazione» (Delibere