Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2021-07-26, n. 202105534

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2021-07-26, n. 202105534
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202105534
Data del deposito : 26 luglio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/07/2021

N. 05534/2021REG.PROV.COLL.

N. 00187/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 187 del 2016, proposto dall’Immobiliare Falasca &
T s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato G R, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Panama, n. 86;

contro

i signori D N, M C e E D S, e Asia s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , tutti rappresentati e difesi dall’avvocato U S, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via G. B. Morgagni, n. 2/A;

nei confronti

del Comune di Terni, in persona del Sindaco pro tempore , dei signori Rosanna Cecchetti, Giovanna Paesani, Paola Salvati e Andrea Salvati, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria (Sezione Prima) n. 285, del 12 giugno 2015, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dei signori D N, M C ed E D S, e della società Asia s.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 aprile 2021, svoltasi da remoto in video conferenza ai sensi dell’art. 25 d.l. n. 137 del 2020, il consigliere M C;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. I signori D N, M C e la società “Asia” s.r.l., nella dedotta qualità di proprietari di unità immobiliari in edifici confinanti, hanno impugnato il piano attuativo di iniziativa privata, proposto dalla società “Immobiliare Falasca&T” s.r.l. e dai sig.ri Cecchetti, Paesani, Salvati e De Santis, per il recupero di alcuni edifici situati fra Viale Brin e via Braccini nel territorio del comune di Terni, approvato con la delibera di Giunta comunale n. 362, del 6 novembre 2013, con la quale sono state altresì respinte le osservazioni proposte dai ricorrenti.

1.1. L’area in questione risulta classificata dal P.r.g. approvato con delibera del Consiglio comunale n. 307 del 2008, come zona Bb “Nuclei di conservazione e completamento”.

2. I ricorrenti hanno dedotto che l’ambito territoriale contemplato nel piano oggetto del presente giudizio risultava disciplinato, in precedenza, dal Piano di recupero delle zone Sant’Agnese, vie Regionali e Borgo Bovio, approvato con la deliberazione del Consiglio comunale n. 93, del 20 marzo 2000.

2.1. Il suddetto strumento di pianificazione prevedeva, quanto all’edificio su viale Brin e via Braccini (particella 173), la ristrutturazione con un incremento volumetrico di mc. 650,00, da attuare portando da 3 a 4 i piani esistenti, e con un incremento di altezza da 12 ai 13 metri.

3. Il Piano attuativo impugnato, invece, ha previsto l’integrale demolizione con successiva ricostruzione dell’edificio esistente, con l’aumento della sua altezza sino a mt. 18,92 (con correlato aumento dei piani esistenti da 4 a 6) e della volumetria, in applicazione della premialità del 25% per edifici di classe energetica A (art. 32, legge regionale n. 13/2009), nonché della premialità concessa dal pregresso Piano di recupero.

4. Avverso gli atti dell’amministrazione comunale hanno proposto domanda di annullamento sia i sig.ri Niselli e Coccetta (ricorso n.r.g. 376 del 2014) sia la società Asia s.r.l. (ricorso n.r.g. 377 del 2014).

5. I ricorrenti hanno prospettato, in entrambi i ricorsi, le seguenti identiche censure.

5.1. Con il primo motivo, si è dedotto l’eccesso di potere per inadeguatezza dell’istruttoria e della motivazione: secondo i ricorrenti, il piano approvato ingloberebbe una fascia d’area demaniale estranea alla particella n. 174, denominata, in passato, “fosso della Bardesca”, con conseguente parziale difetto di legittimazione dei proponenti il piano attuativo alla realizzazione dell’intervento e violazione dell’art. 11 del d.P.R. n. 380 del 2001.

5.2. Con il secondo motivo, si è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 13 della legge regionale n. 1/2004, dell’art. 3, comma 1, lett. d), del T.U. edilizia, della n.t.a., dell’art. 32 della legge regionale n. 13/2009, contrasto con la precedente deliberazione del Consiglio comunale n. 280 del 21 dicembre 2012: secondo i ricorrenti, sarebbe del tutto impropria la riconducibilità del realizzando intervento di cui al piano attuativo impugnato alla categoria della “ristrutturazione edilizia”, trattandosi di intervento strutturalmente diverso da quello preesistente, per superficie utile coperta (SUC), volumetria ed altezze, rispetto a quanto previsto nel Piano di recupero, approvato nel 2000.

5.3. Con il terzo motivo, si è lamentata la violazione dell’art. 32, comma 3, della legge regionale n. 13/2009, nonché delle statuizioni previste dal Piano di recupero e richiamate nel Piano attuativo approvato: secondo i ricorrenti, poiché la deliberazione di approvazione del Piano attuativo richiama il precedente Piano di recupero e quest’ultimo prevedeva l’altezza massima di tredici metri per l’edificato, si configurerebbe una contraddittorietà tra i due atti, posto che il Piano attuativo consentirebbe un’edificazione per un’altezza ben maggiore.

5.4. Con il quarto motivo, si è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 23, comma 2, del R.R. n. 9, del 3 novembre 2008, dell’art. 9 del d.M. n. 1444/1968: secondo i ricorrenti, l’opera prevista nell’avversato piano attuativo si distaccherebbe dal fronte dell’edificio di via Bardesca n. 3 di circa cinque metri, in luogo dei dieci previsti.

5.5. Con il quinto motivo, si è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 24, comma 2, lett a), del R.R. n. 9/2008, falsa applicazione dell’art. 55, comma 10, lett b), delle n.t.a. del P.r.g., in quanto risulterebbe violato il limite di distanza di cinque metri, tra il perimetro del lato interno, nel segmento che fronteggia il lato interno del fabbricato di via della Bardesca n. 3, e il confine della particella 174.

5.6. Con il sesto motivo, si è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 25 del R.R. n. 9/2008, relativamente alla prescritta distanza di almeno cinque metri dal confine stradale.

5.7. Con il settimo motivo, si è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 23, commi 2 e 3, del R.R. n. 9 /2008, relativamente alla prescritta distanza di dieci metri tra il realizzando edificio e la parete dell’edificio di via Bardesca, n. 3.

5.8. Con l’ottavo motivo, si è dedotta la violazione e falsa applicazione degli art. 11 commi 1, 4 e 6, e 14, commi 1 e 2, del R.R. n. 7 /2010, poiché l’Amministrazione comunale avrebbe del tutto immotivatamente consentito la monetizzazione degli standards .

5.9. Con il nono motivo, si è dedotta la violazione dell’art. 11 del Regolamento edilizio del Comune di Terni, in quanto l’intervento per cui è causa verrebbe a chiudere su tre lati l’ambito interno sul quale prospettano le facciate interne dell’edificio al civico 3 di via della Bardesca.

6. Si è costituito il Comune di Terni, chiedendo il rigetto del ricorso.

7. Si è altresì costituita la controinteressata “Immobiliare Falasca e T” s.r.l., eccependo l’irricevibilità e l’inammissibilità del gravame, poiché:

a) il piano attuativo pubblicato all’albo pretorio del Comune di Terni dal 12 al 28 novembre 2013 risulta impugnato con ricorso notificato soltanto il 26 maggio 2014, ovvero ben oltre la scadenza del termine decadenziale di sessanta giorni di cui all’art. 42 cod. proc. amm.;

b) risulta inoppugnata la presupposta delibera di Giunta comunale n. 243, del 4 luglio 2012, di adozione del Piano attuativo, rispetto alla quale la deliberazione di approvazione della Giunta comunale, n. 362, del 6 novembre 2013, gravata nel presente processo, risulterebbe meramente confermativa;

c) non risultano impugnati il Piano di recupero approvato con delibera del Consiglio comunale n. 93 del 2000 e l’art. 137, comma 5.6., delle n.t.a., che legittimerebbero il Piano attuativo in questione, sicché quest’ultimo non potrebbe essere utilmente contestato.

7.1. Nel merito, la parte controinteressata ha dedotto l’infondatezza dei ricorsi.

8. Con la sentenza n. 285, del 12 giugno 2015, il Tribunale amministrativo regionale, dopo aver riunito i ricorsi, per l’evidente connessione oggettiva e soggettiva, ha respinto le eccezioni pregiudiziali e ha accolto le domande di annullamento dei provvedimenti gravati.

8.1. Segnatamente, il T.a.r.:

a) ha respinto l’eccezione di tardività, evidenziando che, qualora, come nel caso di specie, l’efficacia dello strumento di pianificazione sia condizionata alla pubblicazione sul Bollettino ufficiale regionale (c.d. B.U.R.), avvenuta dopo la pubblicazione della delibera di approvazione del piano attuativo all’albo pretorio comunale, ai sensi dell’art. 124, comma 2, del d.lgs. n. 267 del 2000 (c.d. T.u.e.l.), il dies a quo da cui decorre il termine per l’impugnazione vada individuato a partire dal momento in cui si è perfezionata l’avvenuta pubblicazione sul B.U.R., per il periodo previsto dalla legge (e, segnatamente, nel caso di specie, in data 25 marzo 2014), e non già a partire dal momento in cui si è verificato il compimento del periodo di pubblicazione sull’albo pretorio;

b) ha respinto l’eccezione di inammissibilità per mancata impugnazione della delibera di Giunta comunale n. 243/2012 di adozione del piano attuativo, perché, per consolidata giurisprudenza, essa costituisce una facoltà e non un onere e, dunque, non impedisce l’impugnazione del provvedimento di approvazione;

c) ha respinto l’eccezione di inammissibilità per mancata impugnazione dell’art. 137 n.t.a. e del correlato Piano di recupero approvato con delibera del Consiglio comunale n. 93 del 2000, poiché è soltanto con l’efficacia del piano attuativo da ultimo approvato, che è risultato leso l’interesse sostanziale azionato in giudizio dai ricorrenti;

d) ha dichiarato la sussistenza della legittimazione e dell’interesse ad agire dei ricorrenti, in base al criterio della vicinitas ;

e) ha accolto i ricorsi (in particolare, il secondo, terzo, quarto e quinto motivo di impugnazione), qualificando l’intervento progettato come “nuova costruzione” (e non come “ristrutturazione edilizia”) e ritenendo, pertanto, che ciò comporti l’applicazione della disciplina in tema di distanze dai confini, distacchi dagli altri edifici, terrazze e pareti finestrate, distanze dalle strade, limiti di altezza e standards, che, nel caso di specie, risulterebbe dunque violata;

f) ha condannato alle spese, in solido, il Comune di Terni e la controinteressata.

9. La società controinteressata ha proposto appello avverso la sentenza di primo grado, articolando plurimi motivi di impugnazione.

10. Si sono costituiti in giudizio gli appellati, con la memoria depositata in data 15 febbraio 2016, nella quale hanno controdedotto alle censure di controparte, domandandone il rigetto, e hanno riproposto i motivi non esaminati in primo grado.

11. Le parti hanno depositato ulteriori scritti difensivi, nei quali hanno illustrato ulteriormente le rispettive deduzioni e hanno, al contempo, controdedotto su quelle altrui.

12 All’udienza del 22 aprile 2021, la causa è stata trattenuta per la decisione.

13. È controversa la legittimità della delibera di Giunta comunale n. 362, del 6 novembre 2013, con la quale si è approvato il Piano attuativo di iniziativa privata, proposto dalla società “Immobiliare Falasca e T” s.r.l. e dai sigg. Cecchetti, Paesani, Salvati e De Santis, per il recupero di alcuni edifici ubicati fra Viale Brin e Via Braccini nel territorio del Comune di Terni.

14. Può procedersi all’esame del gravame, seguendo l’ordine dei motivi articolato dagli appellanti.

15. Con la prima censura (pag. 9-12), parte appellante si duole della mancata declaratoria di irricevibilità dei ricorsi introduttivi del giudizio, per tardività.

Viene dedotto che, essendo stato impugnato un atto di pianificazione comunale, soggetto a pubblicazione sull’albo pretorio del Comune, il termine di impugnazione inizierebbe a decorrere dal giorno della scadenza del termine di pubblicazione sul suddetto albo e non, invece, a partire dalla scadenza dell’avvenuta pubblicazione sul B.U.R. dell’atto pianificatorio, prevista dalla relativa legge regionale.

La sentenza del T.a.r. avrebbe confuso il termine rilevante per l’efficacia dell’atto, con il termine rilevante per la sua impugnazione in sede giurisdizionale.

15.1. La censura è infondata.

15.2. La sentenza del T.a.r. ha correttamente individuato il termine iniziale per la proposizione del ricorso per l’eventualità in cui l’atto di pianificazione, come nel caso di specie, sia sottoposto ad una duplice pubblicazione: nell’albo pretorio comunale e nel B.U.R..

15.3. Il Collegio ritiene opportuno richiamare le norme rilevanti ai fini dello scrutinio del motivo in esame.

L’art. 124, del d.lgs. n. 267/2000, prevede che “ Tutte le deliberazioni del comune e della provincia sono pubblicate mediante pubblicazione all'albo pretorio, nella sede dell'ente, per quindici giorni consecutivi, salvo specifiche disposizioni di legge ”.

L’art. 10, comma 6, della legge n. 1150/1942 prevede, inoltre, che “ Il decreto di approvazione del piano è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del Regno. Il deposito del piano approvato presso il comune, a libera visione del pubblico è fatto nei modi e termini stabiliti dal regolamento ”.

L’art. 16, comma 10, della medesima legge prevede, invece, che “ Il decreto di approvazione di un piano particolareggiato deve essere depositato nella segreteria comunale e notificato nelle forme delle citazioni a ciascun proprietario degli immobili vincolati dal piano stesso entro un mese dall'annuncio dell'avvenuto deposito ”.

L’art. 24, comma 11, della legge della regione Umbria n. 11 del 2005 prevede, infine, che “ La deliberazione comunale di approvazione del piano attuativo è trasmessa, entro quindici giorni, alla Regione che provvede alla pubblicazione della stessa nel Bollettino Ufficiale della Regione, dalla quale decorre l'efficacia dell'atto ”.

15.4. Dalla disamina del quadro normativo emerge che il regime normativo che disciplina la pubblicazione degli strumenti di pianificazione generale e quello che invece disciplina la pubblicazione della pianificazione attuativa presenta significative differenze.

15.4.1. Mentre nel caso di approvazione degli strumenti urbanistici di carattere generale si prevede il deposito del piano generale approvato presso il comune, a libera visione del pubblico, unitamente alla documentazione propedeutica alla sua preparazione e la notizia dell’espletamento di questo incombente attraverso la pubblicazione sull’albo pretorio comunale, in caso di approvazione degli strumenti urbanistici di carattere attuativo non è prevista un’analoga informativa e simili oneri di deposito.

15.4.2. L’art. 16 della legge n. 1150/1942 prevede infatti che l’informazione dell’avvenuta approvazione dello strumento attuativo venga comunicata soltanto a quei proprietari che sono direttamente destinatari degli effetti giuridici del piano, mentre non si prevede un onere di deposito degli atti a “ libera visione del pubblico ”.

15.4.3. Invero, anche di recente, la giurisprudenza (Cons. Stato, sez. II, 8 maggio 2020, n. 2893) ha ribadito che “ la pubblicazione del provvedimento di approvazione definitiva sul Bollettino Ufficiale della Regione (olim Gazzetta Ufficiale del Regno e Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana) e quella dell’avviso di deposito all’Albo pretorio comunale sono entrambe indubitabilmente obbligatorie, ma – all’evidenza – si fondano su presupposti ontologicamente diversi ”, cosicché “ l’attuale pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione, come quella precedentemente fatta sulla Gazzetta Ufficiale, conferisce il requisito dell’efficacia allo strumento urbanistico, nel mentre la pubblicazione dell’avviso di deposito all’Albo pretorio comunale rende noto che ivi sono per l’appunto “pubblicati” gli elaborati del nuovo strumento urbanistico unitamente alla deliberazione con la quale il Consiglio comunale li ha approvati e, proprio in dipendenza di tale adempimento, fa pertanto decorrere il termine per l’impugnabilità dello strumento urbanistico medesimo da parte dei soggetti portatori di un interesse a ciò qualificato ”.

15.4.4. I principi espressi dalla pronuncia appena richiamata non possono essere estesi de plano alla diversa fattispecie dell’approvazione di uno strumento di pianificazione attuativa, per la quale mancano quei riferimenti normativi sui quali si innesta l’orientamento formatosi in materia di approvazione dei piani urbanistici generali.

15.4.5. Seppure possa sembrare, prima facie , che la sentenza del 2020 affermi, in termini assoluti, che la pubblicazione sul B.U.R. riguardi soltanto il profilo dell’efficacia dell’atto e sia irrilevante ai fini del decorso del termine di impugnazione del provvedimento, ad un più attento esame si evince, chiaramente, che il decorso del termine di impugnazione risulta correlato non tanto alla pubblicazione della delibera di approvazione sull’albo pretorio, quanto alla pubblicazione sul medesimo albo dell’avviso di deposito della documentazione relativa al piano e del piano stesso presso gli uffici comunali, affinché la collettività possa prenderne visione (e così determinarsi circa la sua lesività e la sua eventuale impugnazione).

15.5. Il Collegio ritiene invece che, nel caso in cui si decida della tempestività dell’impugnazione di strumenti attuativi, non possa giungersi alle medesime conclusioni, in assenza di un’indicazione normativa qual è quella dell’art. 10 legge n. 1150/1942, costituente il fondamento della tesi divisata.

15.6. A tale riguardo, va evidenziato, peraltro, come il richiamato precedente del 2020 menzioni, così manifestando di condividerne i principi, il dictum espresso da un’altra pronuncia di questo Consiglio (si tratta di Sez. IV, 25 novembre 2003, n. 7771;
si cfr., inoltre, Sez. IV, 18 gennaio 1996, n. 45), secondo cui “ La data da cui muove il termine di sessanta giorni per impugnare la previsione della strumentazione generale decorre come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza - dal momento conclusivo dell’ultima misura conoscitiva messa in atto;
vale a dire dall’ultimo giorno del periodo di quindici giorni da quando l’avviso dell'avvenuta approvazione è stata affissa all’Albo pretorio
”.

15.6.1. Mentre nella vicenda decisa dalla pronuncia del 2020, la seconda misura conoscitiva coincideva con la pubblicazione sull’albo pretorio dell’avviso di deposito dell’approvazione (e non della mera approvazione del piano urbanistico generale o di una sua variante), nell’odierna controversia l’ultima misura conoscitiva coincide con la pubblicazione sul B.U.R.

15.7. In base ai principi generali del processo amministrativo, può poi affermarsi che è l’efficacia dell’atto a determinarne la lesività e a far sorgere, conseguentemente, l’interesse alla sua impugnazione.

15.7.1. Nulla vieta, infatti, in astratto, che l’atto non ancora efficace possa essere ritirato in autotutela oppure annullato da altra autorità amministrativa che abbia il relativo potere oppure “superato” da un altro e successivo atto che disciplina diversamente la medesima situazione o da sopravvenienze in fatto o in diritto, senza aver dunque mai dispiegato alcuna lesività nella sfera giuridica dell’interessato.

15.7.2. Rilevato, inoltre, che la tutela giudiziaria costituisce, per pacifica giurisprudenza, “ una risorsa scarsa ” (per tutti, Cons. Stato, Ad. plen., 27 aprile 2015, n. 5;
Cass civ., Sez. un., 12 dicembre 2014, nn. 26242 e 26243), è conseguenziale affermare che il Giudice debba essere adito soltanto come estrema ratio e, dunque, solamente allorquando l’atto ha acquisito efficacia giuridica e, conseguentemente, piena lesività.

15.8. Ne consegue che, in presenza dell’obbligo di procedere a due distinte pubblicazioni, effettuate in tempi diversi, in assenza di chiare indicazioni normative circa l’individuazione del dies a quo del termine di impugnazione, dovrà aversi riguardo a quella pubblicazione che integra l’efficacia dell’atto, per l’individuazione del momento iniziale della decorrenza del termine di impugnazione, secondo quanto disposto dall’art. 41, comma 2, c.p.a..

15.9. Conseguentemente, alla luce delle suesposte motivazioni, risulta condivisibile la sentenza del T.a.r. e, pertanto, la prima censura d’appello va respinta.

16. Con la seconda censura (pag. 12-13), l’appellante impugna il capo della sentenza che ha respinto l’eccezione di inammissibilità, relativa alla mancata impugnazione dell’atto di adozione del Piano attuativo (D.G.C. n. 243 del 2012).

Secondo l’appellante sarebbe errato il riferimento del T.a.r. all’istituto della disapplicazione, che non sarebbe invocabile rispetto ad atti amministrativi, qual è l’atto di adozione del Piano attuativo.

Inoltre, il consolidarsi dell’atto di adozione del Piano renderebbe priva di interesse la domanda di annullamento dell’atto di approvazione, perché il procedimento retrocederebbe comunque alla fase in cui l’adozione si è già perfezionata e si è consolidata a causa della sua mancata impugnazione.

Inoltre, poiché la delibera di approvazione del Piano del 2013, è meramente confermativa delle scelte pianificatorie deliberate con l’atto di adozione, nel 2012, l’impugnazione del provvedimento attuativo sarebbe inammissibile.

16.1. La censura è infondata.

16.2. Costituisce jus receptum l’orientamento secondo cui non vi è un onere di impugnazione dell’atto di adozione degli strumenti di pianificazione, ivi compreso, dunque, il Piano attuativo, costituendo la proposizione della domanda di annullamento una facoltà e ben potendosi, pertanto, agire direttamente con l’impugnazione del provvedimento di approvazione (Cons. Stato, Sez. IV, 12 maggio 2014, n. 2403;
Sez. IV, 15 febbraio 2013, n. 921;
sez. IV, 23 luglio 2009, n. 4662;
Sez. IV, 23 settembre 1985, n. 403;
Ad. Plen., 7 febbraio 1983 n. 1).

16.3. Nessun rilievo assumono, dunque, le censure relative alla “disapplicazione degli atti amministrativi” o alla circostanza che l’emanazione degli atti attuativi della pianificazione non determinano la reviviscenza dei termini di impugnazione dei piani, perché tali aspetti non hanno alcuna pertinenza al caso in esame.

16.4. Neppure è corretta, sulla base dei consolidati principi poc’anzi richiamati, la deduzione secondo cui non sussisterebbe l’interesse ad agire contro l’atto di approvazione del Piano, ove non si sia impugnata previamente la sua adozione, o secondo cui l’atto di approvazione, in quanto, in concreto, meramente confermativo dell’atto di adozione non sarebbe autonomamente impugnabile.

16.5. La seconda censura va dunque respinta

17. Con la terza censura (pag. 13-14), l’appellante si duole del mancato accoglimento dell’eccezione di inammissibilità argomentata « per l’omessa impugnazione del piano di recupero ‘S. Agnese – B.Bovio’ » approvato con D.C.C. n. 93/2000 e della norma tecnica di attuazione della parte operativa del P.R.G. (art. 137), sulla cui base il Piano attuativo è stato approvato.

Secondo l’appellante, poiché la censura centrale del ricorso (accolta dal T.a.r.) attiene alla ritenuta illegittimità della qualificazione dell’intervento come “ristrutturazione edilizia”, si ritiene che l’omessa impugnazione dell’art. 137 delle n.t.a. del P.r.g. e del suddetto Piano di recupero, che consentirebbero, per l’appunto, l’intervento in questione, determinerebbe l’inammissibilità dei ricorsi di primo grado, per omessa impugnazione di questi atti che ne costituiscono dei presupposti.

17.1. Anche la terza censura è infondata.

17.2. Va rilevato, in proposito, che il Piano di recupero “S. Agnese – Bovio” (approvato con D.C.C. n. 93/2000) e l’art. 137 delle n.t.a. del P.r.g., a dispetto della deduzione di parte appellante, non rendono ammissibile l’attività edificatoria controversa nel presente giudizio, così come auspicato dall’appellante.

In particolare, mentre il piano di recupero “S. Agnese – Bovio” costituisce il precedente strumento di pianificazione della zona ora interessata dal piano sub iudice , quella di cui all’art. 137 costituisce una norma di carattere generale che disciplina le zone “A e B di conservazione e completamento”.

17.3. Diversamente da quanto opinato dall’appellante, è contestato, fra le parti, che il pregresso Piano di recupero e la norma tecnica indicata costituiscano il fondamento che renda legittimo il piano approvato (cfr. pag. 11 della memoria del 7 luglio 2014, depositata in primo grado) e, anzi, con specifico riferimento all’art. 137 delle n.t.a., gli appellati hanno condivisibilmente dedotto che proprio tale norma impedirebbe la realizzazione dell’intervento progettato, sicché non v’era alcun onere di impugnazione da parte loro.

17.4. Il rilievo del Piano di recupero e dell’art. 137, comma 5.6, delle n.t.a., rispetto al Piano attuativo impugnato nel presente processo, costituisce, quindi, una questione di merito e la loro asserita mancata impugnazione non determina, pertanto, l’inammissibilità dell’impugnazione.

17.5. La terza censua va pertanto respinta.

18. Con la quarta doglianza (pag. 14–15), si censura la declaratoria di sussistenza dell’interesse ad agire e della legittimazione ad agire.

18.1. Sulla sussistenza della legittimazione e dell’interesse ad agire, è sufficiente evidenziare che, anche di recente, questa Sezione ha ribadito come la nozione di vicinitas , sia già di per sé sufficiente a fondare il titolo e l’interesse a ricorrere.

18.2. Con la pronuncia n. 8313 del 24 dicembre 2020 questa Sezione ha ricordato che:

il criterio giuridicamente rilevante per verificare la sussistenza non solo della legittimazione, ma anche dell’interesse a ricorrere, è dato dallo ‘stabile collegamento’ tra il ricorrente e il contesto territoriale nel quale si trova l’area presa in considerazione dal provvedimento impugnato;

tale principio ha un rilievo generale, non solo quando si impugna un titolo edilizio (Cons. Stato, Sez. IV, 18 novembre 2014, n. 5662;
Sez. IV, 18 aprile 2014, n. 1995;
Sez. V, 21 maggio 2013, n. 2757), sussistendo indubbiamente una lesione della propria sfera giuridica – e non occorrendo la prova di uno specifico pregiudizio - quando si deduca che la violazione edilizia sia idonea a procurare un pregiudizio e ad incidere negativamente sulla qualità della vita o sulla salute (Cons. Stato, Sez. IV, 16 marzo 2020, n. 1882;
Sez. VI, 10 dicembre 2019, n. 8402;
Sez. VI, 23 maggio 2019, n. 3386;
Sez. IV, 24 aprile 2019, n. 2654;
Sez. IV, 26 luglio 2018, n. 4583;
Sez. VI, 21 marzo 2016, n. 1156;
Sez. III, 17 novembre 2015, n. 5257;
Sez. IV, 13 marzo 2014, n. 1217), ma anche quando si impugna un atto che pianifica diversamente un terreno vicino (Cons. Stato, Sez. IV, 13 dicembre 2019, n. 8492), o che localizza un’opera pubblica (Cons. Stato, Sez. IV, 9 novembre 2020, n. 6895) o una discarica di rifiuti (Cons. Stato, Sez. IV, 29 novembre 2018, n. 6777;
Sez. V, 22 gennaio 2015, n. 263) o una stazione radio base (Sez. IV, 5 novembre 2019, n. 7552) o un atto che consente l’apertura di una struttura di vendita o l’ampliamento di quella esistente (Cons, Stato, Sez. IV, 9 novembre 2020, n. 6895;
Sez. IV, 19 novembre 2015, n. 5278) e comunque qualsiasi atto che consenta la trasformazione del territorio (Sez. V, 14 febbraio 2011, n. 946);
va ribadita la perdurante attualità del consolidato orientamento di questo Consiglio, formatosi nel vigore dell’art. 10 della legge n. 765 del 1967 (che consentiva a ‘chiunque’ la legittimazione a ‘ricorrere contro il rilascio della concessione edilizia’), che – dapprima con la sentenza leading case della Sez. V, 9 giugno 1970, n. 523, e poi con sentenze conformi (Ad. Plen., 7 novembre 1977, n. 23;
Sez. V, 10 luglio 1981, n. 360;
Sez. V, 17 aprile 1973, n. 399) - ha attribuito decisivo rilievo proprio al criterio della vicinitas, per evitare che si giunga ad ammettere un’actio popularis, che il legislatore non ha introdotto in materia di tutela del territorio
”.

18.3. I principi qui ribaditi sono pienamente condivisi dal Collegio e determinano la reiezione del motivo di appello esaminato.

18.4. La quarta doglianza va pertanto respinta.

19. Con la quinta, la sesta e la settima doglianza (pag. 15 – 18;
pag. 18 – 19;
pag. 19 - 22), l’appellante si duole della qualificazione come “nuova costruzione” (piuttosto che “ristrutturazione edilizia”) dell’intervento da realizzarsi.

19.1. I motivi di doglianza di cui al quinto, al sesto e al settimo motivo, possono essere esaminati congiuntamente, in quanto logicamente connessi.

19.2. Tali doglianze sono infondate.

19.3. Giova evidenziare, in punto di fatto, che l’intervento che l’appellante si propone è costituito dalla demolizione di tre edifici collocati nell’area ricompresa fra le vie Brin e via Braccini, nel Comune di Terni e dalla loro successiva ricostruzione.

Alcuni elementi salienti dell’intervento in esame, per come si traggono dalla relazione tecnico-illustrativa, depositata dall’appellante, in primo grado, in data 9 luglio 2014, sono i seguenti:

a) l’intervento parte da uno “stato di fatto” che riguarda un cubatura edificata pari a 4.500 mc, mentre lo “stato di progetto” prevede di arrivare, attraverso il preteso riconoscimento di una serie di premialità edilizie, alla realizzazione di circa 7.546,54 mc;

b) l’intervento parte da un’altezza di “stato di fatto” pari a 12,20 mt, mentre lo “stato di progetto” prevede di innalzare gli edifici ad un’altezza pari a 18,92 mt.

19.4. Posti questi dati, va osservato che, con la quinta censura, parte appellante afferma che l’art. 137 delle n.t.a. ammetterebbe la ristrutturazione con incremento volumetrico e che ciò si desume dal fatto che “ il citato comma 5.6 dell’art. 137 (riferito al lotto oggetto di causa) mantiene salve le quantità e le destinazioni d’uso dei piani attuativi scaduti. Nella specie piano di recupero “S. Agnese – Bovio” approvato con D.C.C. n. 93/2000 ”.

Secondo l’appellante, sarebbe dunque corretto il provvedimento comunale che ha tenuto conto delle “ previsioni inerenti le quantità (quindi la volumetria) e la destinazione d’uso ” e che ha autorizzato l’intervento “ tenendo conto della cubatura indicata nel piano di recupero del 2000 e [che] l’incremento è consentito dalla normativa vigente ”.

19.5. L’assunto da cui muove parte appellante è palesemente errato.

19.5.1. L’art. 137, comma 5.6, n.t.a. invocato dall’appellante dispone che “ Per i Piani Attuativi di iniziativa pubblica inclusi nei nuclei B, ancorché decaduti per decorso del termine di validità, i cui interventi siano realizzati o la cui realizzazione non sia ancora completata alla data di adozione della presente normativa, rimangono in vigore le quantità e le destinazioni d’uso fissate per i nuclei originari ”.

19.5.2. Ebbene, nel caso in esame, non v’è prova che ricorra la circostanza, enunciata nella proposizione incidentale della norma, della realizzazione degli interventi o dell’inizio di tale realizzazione (e suo mancato completamento), alla quale è condizionata la perdurante efficacia delle quantità e delle destinazioni d’uso fissate con gli strumenti “decaduti”.

19.6. Il quinto motivo è dunque infondato.

19.7. Neanche le argomentazioni esposte con la censura successiva risultano fondate.

19.7.1. Non assume alcun rilievo la circostanza che, in una precedente vicenda, il medesimo T.a.r. abbia ritenuto legittimo il piano attuativo che prevedeva un incremento di volumetria e di altezza degli edifici.

La deduzione, oltre ad essere estremamente generica, poiché non vengono chiariti gli aspetti salienti della vicenda che si assume essere stata scrutinata diversamente, è in ogni caso irrilevante, perché la legittimità dell’atto in esame va giudicata in ragione delle norme e degli strumenti urbanistici sovraordinati e non in considerazione di precedenti giurisprudenziali.

19.7.2. Inoltre, la deduzione di parte appellante, relativa all’irrilevanza della maggiore altezza degli edifici che si intendono realizzare, non è idonea ad infirmare la correttezza della motivazione della sentenza gravata.

19.8. Per il T.a.r., infatti, la circostanza dirimente, per qualificare quanto progettato come “nuova costruzione” e non come “ristrutturazione edilizia”, è che l’intervento edilizio oggetto del Piano attuativo sia sensibilmente diverso dal tessuto edilizio esistente.

19.8.1. In particolare, il T.a.r. ha operato tale qualificazione, prendendo in considerazione le caratteristiche dell’opera e rilevando come, pur essendo la legge della regione Umbria, più estensiva rispetto a quella nazionale, la normativa regionale richiederebbe comunque il “ mantenimento della superficie utile coperta ”, il che non avverrebbe, nel caso di specie, in ragione dell’incremento volumetrico e di altezza degli edifici preesistenti nell’ambito della loro asserita “ristrutturazione”.

19.9. Il Collegio ritiene pienamente condivisibile il percorso logico-argomentativo seguito dal T.a.r. e corrette le conclusioni che vengono tratte in punto di qualificazione dell’intervento edilizio assentito.

19.10. Il sesto motivo va dunque respinto.

19.11. Non comporta, infine, una diversa conclusione neppure la doglianza contenuta nel settimo motivo, laddove si invoca l’art. 35 della legge della Regione Umbria n. 13 del 2009.

19.11.1. La norma è infatti “neutra” rispetto alla qualificazione dell’intervento edilizio contemplato dal Piano, poiché essa prevede, semplicemente, al primo comma, che “ Gli edifici a destinazione residenziale possono essere demoliti e ricostruiti con un incremento della SUC entro il limite massimo del venticinque per cento di quella esistente ”.

19.11.2. La premialità in questione, evidentemente, per poter essere fruita, implicherà il ricorso alla categoria dell’intervento di “nuova costruzione”, piuttosto che a quello di “ristrutturazione edilizia”, il quale ultimo, per poter risultare ammissibile, dovrà rispettare la legge regionale, vigente all’epoca dei fatti, e, dunque, il divieto di aumento della superficie utile coperta o “S.U.C.”.

19.12. Le argomentazione dell’appellante, per quanto suggestive, sono dunque infondate.

19.13. Vanno pertanto respinti il quinto, il sesto e il settimo motivo di impugnazione.

20. Con l’ottava censura (pag. 22), si impugna la motivazione, evidenziandosi che “ l’errata qualificazione dell’intervento edilizio come “nuova costruzione” determina l’erroneità della decisione anche in ordine alla presunta violazione delle distanze legali ”.

20.1. La reiezione delle censure volte a qualificare l’intervento come di “ristrutturazione edilizia” comporta che debba essere respinta altresì l’ottava censura contenuta nell’appello, che presuppone invece il loro accoglimento nel presente giudizio.

20.2. L’ottava doglianza va pertanto respinta.

21. Con la nona censura (pag. 22-24), si puntualizza il precedente mezzo di impugnazione, con riferimento a ciascuna delle distanze contestate, ribadendosi, comunque, che, trattandosi di ristrutturazione edilizia, la relativa disciplina sulle distanze non troverebbe applicazione.

Si contesta, inoltre, anche la doglianza di controparte, articolata in primo grado, relativa agli standard che, a detta dell’appellante, sarebbe stata rispettata in quanto essi devono essere ri-conteggiati soltanto con riferimento agli incrementi volumetrici e tenendo conto che le aree destinate a finalità commerciali si sono ridotte, con conseguente decremento del carico urbanistico (e, dunque, degli standard necessari).

21.1. La nona censura è inammissibile.

21.2. Si tratta infatti della mera pedissequa riproposizione della difesa contenuta nella memoria di costituzione nel giudizio di primo grado, depositata il 7 luglio 2014, senza alcuna diretta censura dei paragrafi 5.9, 5.10 e 5.11, della sentenza di primo grado.

21.3. A tale riguardo, si osserva che per costante giurisprudenza di questo Consiglio “ Nel processo amministrativo di appello è inammissibile la mera riproposizione dei motivi di primo grado senza che sia sviluppata alcuna confutazione della statuizione del primo giudice, dato che l'effetto devolutivo dell'appello non esclude l'obbligo dell'appellante di indicare nel relativo atto le specifiche critiche rivolte alla sentenza impugnata e le ragioni per le quali le conclusioni, cui il primo giudice è pervenuto, non sono condivisibili, non potendo l'appello limitarsi ad una generica riproposizione degli argomenti dedotti in primo grado .” (Cons. Stato, Sez. III, 1 luglio 2019, n. 4512).

21.4. La massima, riferita ai motivi di ricorso, vale, ovviamente, per simmetria fra le parti processuali (c.d. “ principio di parità delle parti ”) e per elementari principi di logica, anche per le difese esposte dalle parte resistenti, poi divenute appellanti, in quanto evidentemente confutate dalla motivazione del Giudice di primo grado, risultandone dunque inammissibile la mera pedissequa riproposizione.

21.5. L’ultima censura d’appello va pertanto dichiarata inammissibile.

22. La reiezione dei motivi di appello determina l’assorbimento dei motivi di ricorso di primo grado, ritualmente riproposti dagli appellati.

23. Nondimeno, il Collegio ritiene opportuno scrutinare nel merito, nell’interesse sostanziale delle parti, per l’eventualità in cui il progetto dovesse essere ripresentato nel rispetto delle prescrizioni ora vigenti, il terzo motivo riproposto, indicato come “VIII” (pag. 9 e 10 della memoria di costituzione nel giudizio d’appello, del 15 febbraio 2016), in quanto esso non richiede accertamenti istruttori come quelli indicati come “I” (primo motivo riproposto, pag. 7 e 8) e “IX” (ultimo motivo riproposto, pag. 10), né risulta superato in ragione della suesposte motivazioni, come quello indicato come “III” (secondo motivo riproposto, pag. 8 e 9).

23.1. Il motivo è fondato.

23.2. Nella deliberazione di adozione e in quella di approvazione del Piano attuativo sub iudice , si legge in proposito che “ La prevista monetizzazione delle aree trova riscontro nell’art. 14 del Regolamento Regionale n. 7 del 25 marzo 2010 che permette la possibilità di monetizzare le dotazioni territoriali e funzionali che non possono trovare dislocazione all’interno del nucleo di intervento mediante la corresponsabile, in fase di stipula della convenzione, di un adeguato corrispettivo economico ”.

23.3. Il Collegio rileva che non è stato chiarito, nel corso del procedimento e con l’atto impugnato, la ragione per la quale non sarebbe possibile la “ dislocazione all’interno del nucleo di intervento ” degli standard richiesti e ciò, tanto più, a fronte del rilievo, di parte ricorrente, che si sarebbe potuto optare per una minore cubatura, in modo da non aumentare la dotazione a standard necessaria per l’edificazione delle opere progettate.

23.4. La motivazione esposta nella deliberazione del consiglio comunale, con la quale si consente la monetizzazione, risulta dunque insufficiente a spiegare le ragioni per le quali l’ente rinuncia agli standard previsti dalla disciplina di riferimento.

23.5. Va evidenziato (e ribadito) che la monetizzazione costituisce un’eccezione alla regola della realizzazione in situ degli standard urbanistici, poiché essa si pone in aperta deroga alla regola generale e, soprattutto, ai principi ai quali essa è informata.

23.6. Come evidenziato da questo Consiglio (Sez. IV, 10 febbraio 2014, n. 616), la monetizzazione e il mancato reperimento degli standard incidono sulla qualità della vita di coloro che abitano nella zona nella quale si è scelto di non realizzare le infrastrutture ritenute necessarie per una migliore qualità dell’abitato, esigendo, in luogo della loro realizzazione o in luogo del diniego dell’intervento, un equivalente espresso in termini monetari. Si è affermato che, “monetizzando” le utilità che sarebbero state altrimenti fruite, concretamente e in maniera preponderante dalla comunità stanziata nell’area, “ da un lato… si legittima la paradossale situazione di separare i commoda dagli incommoda e, dall'altro, si nega tutela giuridica agli interessi concretamente lesi degli abitanti dell’area ” (Cons. Stato, n. 616 del 2014, cit.).

23.7. Allorché il Comune ritiene ammissibile la monetizzazione, deve dunque essere fornita una congrua e completa motivazione delle ragioni che depongono per una simile scelta.

23.8. Nel caso di specie, poiché essa manca, va dichiarata la fondatezza del motivo di ricorso in esame, assorbito in prime cure e ritualmente riproposto dagli appellati.

24. L’atto gravato si profila dunque illegittimo anche per questo ulteriore motivo.

25. In conclusione, in considerazione delle suesposte motivazioni, l’appello va respinto.

26. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo. Si compensano le spese del giudizio di appello nei confronti del Comune di Terni.

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