TAR Napoli, sez. VII, sentenza 2016-11-21, n. 201605368
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Pubblicato il 21/11/2016
N. 05368/2016 REG.PROV.COLL.
N. 06904/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6904 del 2009, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Isidoro Mastrobuoni C.F. MSTSDR59E31A783C, con domicilio eletto presso Gennaro Di Natale in Napoli, via Cirillo 10/A;
contro
Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliata in Napoli, via Diaz, 11;
per l'annullamento
del decreto del -OMISSIS-, rilasciato dal Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Direzione Generale del Personale e della Formazione e dei relativi atti presupposti, ivi compreso il parere posizione -OMISSIS-del Comitato di Verifica per le Cause di Servizio, con il quale non sono state riconosciute dipendenti da causa di servizio l’infermità -OMISSIS- sofferte dal ricorrente con conseguente diniego di accertamento e riconoscimento della dipendenza da causa di servizio delle stesse e del diritto del ricorrente alla liquidazione dell’equo indennizzo;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 settembre 2016 la dott.ssa D C e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.Con atto notificato in data 19 novembre 2009 e depositato il successivo 10 dicembre, -OMISSIS-, assistente capo presso il Corpo della Polizia Penitenziaria, in servizio presso la casa circondariale di -OMISSIS-, ha impugnato il decreto del -OMISSIS-, rilasciato dal Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Direzione Generale del Personale e della Formazione e i relativi atti presupposti, ivi compreso il parere posizione -OMISSIS-del Comitato di Verifica per le Cause di Servizio, con il quale non sono state riconosciute dipendenti da causa di servizio l’infermità “ ipertensione arteriosa con impegno d’organo ” nonché l’infermità “ ateromasia carotidea bilaterale non emodicamente significativa e pregressa dislipidemia mista ”, con conseguente diniego di accertamento e riconoscimento della dipendenza da causa di servizio delle stesse e del diritto del ricorrente alla liquidazione dell’equo indennizzo.
2. A sostegno del ricorso deduce in punto di fatto di essersi arruolato nel 1981 di essere stato da sempre adibito al lunghi turni di servizio presso le varie sedi - ovvero durante il corso di formazione presso scuola di-OMISSIS- e da ultimo presso la Casa Circondariale di -OMISSIS- - anche all’esterno con conseguente esposizione alle escursioni climatiche e al clima umido e di avere svolto numerose esercitazioni da tiro, godendo, per carenza di personale di ridotti periodi di riposo.
3. Ritenendo gli atti gravati illegittimi li ha impugnati, articolando avverso i medesimi, in cinque motivi di ricorso, le seguenti censure:
1) Difetto di motivazione. Violazione di legge ex art. 3 l. n. 241/990 ed art. 14 D.P.R. 461/2001.
In via prioritaria parte ricorrente assume il difetto di motivazione del decreto di diniego oggetto di impugnativa in relazione alla non dipendenza da causa di servizio delle lamentate infermità, anche a volere fare riferimento alla motivazione per relationem risultante dal rinvio al parere del Comitato di Verifica per le Cause di Servizio, in quanto recante motivazione del tutto generica.
2) Eccesso di potere in relazione al conflitto tra servizio prestato e le risultanze mediche ed il decreto impugnato in uno con il parere del Comitato di Verifica per le Cause di Servizio, essendosi tralasciate le indicazioni di carattere medico legale e gli elementi connessi con lo svolgimento del servizio, quali risultanti dagli atti, laddove l’Amministrazione avrebbe potuto non uniformarsi al parere ma, ai sensi dell’art. 14 D.P.R. n. 461/2001, richiedere un nuovo parere.
Ciò avuto riguardo all’erroneità dell’istruttoria e al conseguente difetto di motivazione, comprovati, a dire del ricorrente, dalle risultanze delle consulenza tecnica di parte, dalla quale emergerebbe che l’attività di lavoro svolta dal ricorrente, altamente impegnativa e stressante, congiuntamente all’alterazione del ritmo sonno - veglia e lavoro - riposo avrebbe rappresentato la causa preponderante per l’insorgenza e l’evoluzione della lamentate patologie.
3) Violazione delle norme sul procedimento. Violazione dell’art. 14 del D.P.R. n. 461/2001. Violazione degli artt. 24 e 97 Cost.
Assume parte ricorrente la violazione dell’art. 14 del D.P.R. n. 461/2001, per non avere l’Amministrazione adottato il decreto nel termine normativamente previsto di 20 gg. dalla ricezione del parere del Comitato di Verifica per le Cause di Servizio, nonché avuto riguardo al notevole lasso di tempo trascorso tra la presentazione dell’istanza di riconoscimento e la notifica dell’atto di diniego.
4) Violazione dell’art. 6 della l. n. 15/2005.
Il ricorrente lamenta inoltre la violazione dell’indicato disposto normativo (di introduzione nel corpo della L. 241/90 dell’art. 10 bis) con conseguente vulnus al contraddittorio procedimentale, cui sarebbe finalizzata la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, essendo stata omessa la prescritta comunicazione.
5) Violazione degli artt. 3 e 97 Cost. in relazione al principio di uguaglianza, imparzialità e buon andamento dell’Amministrazione,
La superficiale ed erronea valutazione degli elementi risultanti dagli atti sarebbero altresì indicativi, a dire del ricorrente, anche delle dedotte violazioni.
6) Dipendenza da causa di servizio dell’infermità accertata e diritto del ricorrente all’equo indennizzo. Violazione degli artt. 32 e 38 Cost. e delle disposizioni della L. 626/1994 in tema di ambiente e sicurezza dei luoghi di lavoro.
Il ricorrente richiede altresì l’accertamento della dipendenza da causa di servizio delle indicate patologie, con conseguente diritto al riconoscimento dell’equo indennizzo.
4. Si è costituita la resistente Amministrazione, instando per il rigetto del ricorso.
5. Con memoria difensiva depositata in data 10 agosto 2016 il ricorrente ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
5.1. Il ricorso è stato trattenuto in decisione all’esito dell’udienza pubblica del 14 settembre 2016.
6. Nell’esaminare il presente ricorso e le connesse censure, preliminarmente giova ricordare - anche ai fini dell’applicazione della disciplina processuale relativa all’onere di formulazione dei motivi di gravame e della valutazione dell’ammissibilità delle domande proposte - che il giudizio instaurato innanzi al G.A. per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di una malattia o di una menomazione fisica, così come anche quello volto alla liquidazione di un equo indennizzo per le stesse, si configura come impugnatorio, essendo la posizione del dipendente di interesse legittimo;mentre una posizione di diritto soggettivo sorge solo una volta che ne sia avvenuto il riconoscimento ad opera della P.A. (cfr. T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 07 settembre 2010, n. 17330;Cons. di Stato sez. VI, n. 4621 del 23.9.2009;Cons. di Stato sez. VI, n. 4368 dell'8.7.2009;Cons. di Stato sez. VI, n. 5293 del 24.10.2008;Cons. di Stato sez. IV, n. 3914 del 10.7.2007;Cons. di Stato sez. IV, n° 3769 del 27.6.2007;T.A.R. Liguria n. 802 del 3.6.2005;T.A.R. Lazio-Roma n. 3093 del 26.4.2005;T.A.R. Lazio-Roma n. 12056 del 29.10.2004;T.A.R. Campania-Salerno n. 224 del 27.3.2003).
6.1 Pertanto la deduzione di parte ricorrente - sottesa al sesto motivo di ricorso con cui si richiede il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio e la conseguente condanna del Ministero resistente alla liquidazione dell’equo indennizzo - circa la qualificazione della posizione giuridica soggettiva azionata come diritto soggettivo, va disattesa.
6.2 Va del pari conseguentemente dichiarata inammissibile la domanda, contenuta in tale motivo di ricorso e nelle conclusioni del medesimo, relativa all’accertamento della dipendenza da causa di servizio dalla patologie indicate, nonché quella relativa al riconoscimento dei conseguente beneficio dell’equo indennizzo.
7. Ciò posto, le censure vanno esaminate in ordine logico, non avendo parte ricorrente espressamente graduato le stesse (non potendo valere come graduazione la mera numerazione delle medesime cfr. sul punto Adunanza Plenaria n. 5/2015), con accorpamento di quelle connesse.
8. In tale ottica va esaminata prioritariamente, in quanto comportante una riedizione del potere amministrativo con emendamento della violazione procedimentale, ove accertata, la censura di cui al quarto motivo di ricorso con cui parte ricorrente deduce la violazione dell’art. 10 bis l. n. 241/90, quale introdotto dalla l. n. 15/2005, la quale va peraltro letta in connessione con la censura, di cui al terzo motivo di ricorso, con cui il medesimo ricorrente ha dedotto la violazione dei termini procedimentali prescritti dal D.P.R. n. 461/2001 essendo il decreto impugnato intervenuto a notevole distanza di tempo dalla ricezione del parere del Comitato di Verifica per le Cause di Servizio e a distanza di diversi anni dalla presentazione dell’istanza.
La Sezione, ritiene al riguardo, aderendo all’orientamento da ultimo espresso con la sentenza 05436/2015 con la quale , re melius perpensa , ha rivisto il pregresso orientamento giurisprudenziale seguito, considera la censura fondata, avuto riguardo all’opposto orientamento giurisprudenziale, da ritenersi maggiormente condivisibile che va sempre più radicandosi nella giurisprudenza amministrativa di primo grado, come confermato dalle pronunce di seguito indicate.
Va premesso che l'art. 10 bis, l. n. 241 del 1990 stabilisce un onere procedimentale propedeutico all'adozione di ogni provvedimento finale reiettivo dell'istanza del privato al fine di consentire allo stesso di dedurre tempestivamente, nel procedimento, eventuali circostanze idonee ad influire sul contenuto dell'atto finale così anticipando e prevenendo il contenzioso che potrebbe verificarsi in sede giurisdizionale.
Tale adempimento si applica anche ai procedimenti, quale quello di specie, sorti a seguito dell'istanza del dipendente finalizzata al riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di determinate infermità.
L'adempimento partecipativo in questione, secondo quanto previsto dall'art. 10 bis u.c. l. n. 241/90, non si applica infatti “ alle procedure concorsuali e ai procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali ".
Tale esclusione non riguarda, pertanto, i procedimenti, come quello oggetto di causa, sorti a seguito dell'istanza del dipendente finalizzata al riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di determinate infermità, in quanto gli stessi non hanno natura previdenziale ma indennitaria e, comunque, non sono gestiti da enti previdenziali ma dall'amministrazione datrice di lavoro, nella fattispecie il Ministero della Giustizia (in questo senso TAR Liguria n. 1195/10;TAR Piemonte n. 2374/10;T.A.R. Roma Lazio sez. I del 10 gennaio 2011 n. 69;T.A.R. Piemonte, sez. I, n. 00132/2014;sentenza di questa Sezione n. 05436/2015). Pertanto “ Il provvedimento recante diniego ad un'istanza tesa all'ampliamento della sfera soggettiva, quale è il riconoscimento dell'infermità da causa di servizio nonché dell'equo indennizzo, deve essere stato preceduto dal necessario rispetto dell'obbligo di cui all'art. 10 bis l. 241 del 1990, di comunicazione dei motivi ostativi anteriormente al provvedimento definitivo, specie laddove il diniego avvenga ben oltre la scadenza del termine ordinatorio di durata del procedimento ” (T.A.R. Genova Liguria sez. II del 18 marzo 2010 n. 1195), come del resto avvenuto nell’ipotesi di specie.
Conseguentemente è illegittimo il provvedimento recante diniego di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell'infermità denunciata dal pubblico dipendente che non sia stato preceduto dalla comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza, preavviso di diniego imposto dall'art. 10 bis l. 7 agosto 1990 n. 241, introdotto dalla l. 11 febbraio 2005 n. 15.
Com'è noto, la norma de qua pone a carico dell'autorità procedente un obbligo di comunicazione all'interessato che abbia presentato domanda per ottenere un provvedimento ampliativo, dei motivi che eventualmente si frappongano al suo accoglimento, stabilendo che "nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l'autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all'accoglimento della domanda”.
La disposizione ha la finalità di incentivare il contraddittorio tra il destinatario di un provvedimento negativo e l'autorità emanante, già in sede di procedimento, allo scopo, da un lato, di anticipare il momento della disputa alla naturale sede di formazione della decisione amministrativa, ovverosia al procedimento, onde apprestare un filtro alle possibili iniziative contenziose processuali. Dall'altro, sottende la finalità di stimolare e agevolare l'apporto collaborativo del privato, con il duplice consueto risultato di permettere al medesimo di rappresentare le sue ragioni in un'ottica di democratizzazione e dialettica procedimentale dell'agire amministrativo per provvedimenti e, al contempo, di illuminare l'amministrazione affinché pervenga alla decisione più giusta grazie anche all'esposizione che l'interessato abbia svolto di tutte le circostanze di fatto e di diritto che ruotano intorno alla vicenda afferente alla sua istanza.
Le delineate finalità garantistiche e deflattive impongono, correlativamente, che le eccezioni all'obbligo di comunicazione dei motivi ostativi, pure individuate dalla norma, siano interpretate con canoni di rigida tassatività. Al riguardo, come detto, l'art. 10-bis precisa che " le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle procedure concorsuali e ai procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali ".
Ne consegue che, oltre alle procedure concorsuali, debbono essere escluse dal raggio di applicazione della norma in analisi solo i procedimenti in materia di previdenza ed assistenza sorti a seguito di istanza di parte - precisazione questa per il vero superflua, atteso che tutta la norma si applica solo ai procedimenti ad istanza di parte - ma che siano gestiti dagli enti previdenziali (INPS, INPDAP, INAIL, eccetera) e non anche a quei procedimenti in materia previdenziale ed assistenziale gestiti da enti diversi ovvero a procedimenti che esulino dalla materia strettamente previdenziale ed assistenziale.
Tale è il caso del procedimento finalizzato al riconoscimento della dipendenza di una determinata patologia da causa di servizio e al conseguimento del relativo equo indennizzo, che non ha natura previdenziale (Cassazione civile, sez. lav., 20 agosto 2004, n. 16392;Cassazione civile , sez. lav., 17 dicembre 2001, n. 15955) e verosimilmente non ha neppure natura assistenziale, posto che si conclude, in caso di accoglimento dell'istanza, con l'erogazione di una provvidenza che la legge espressamente qualifica come indennizzo, e che quindi ha natura indennitaria e non assistenziale” (T.A.R. Torino Piemonte sez. I del 12 maggio 2010 n. 2374).
Ancora di recente il T.AR. Piemonte ha avuto modo di precisare (T.A.R. Piemonte, sez. I, n. 00132/2014) “ sul punto si osserva che la giurisprudenza – anche di questa Sezione - ha già affermato che é illegittimo il provvedimento recante diniego di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell'infermità denunciata dal pubblico dipendente che non sia stato preceduto dalla comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza, preavviso di diniego imposto dall'art. 10-bis L. 7 agosto 1990 n. 241, introdotto dalla L. 11 febbraio 2005 n. 15, con esclusione dei soli procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali.
Fra questi ultimi non rientra il procedimento finalizzato al riconoscimento della dipendenza di una determinata patologia da causa di servizio e al conseguimento del relativo equo indennizzo (T.A.R. Piemonte, sez. I, 12 maggio 2010, n. 2374;T.A.R. Liguria, sez. II, 18 marzo 2010, n. 1195).
Né, ai fini dell'applicazione della sanatoria giurisprudenziale di cui all'art. 21-octies L. n. 241/1990 - evocata dalla difesa erariale - rileva che l'amministrazione non avrebbe comunque potuto concludere diversamente il procedimento, stante la natura vincolante del parere negativo espresso dal Comitato di verifica per le causa di servizio.
In disparte la circostanza che l'art. 14 comma 1 del D.P.R. 29.10.2001, n. 461 contempla espressamente la possibilità, per l'amministrazione, di richiedere un ulteriore parere al C.V.C.S. ove non ritenga - a ciò eventualmente sollecitata da pertinenti, puntuali e persuasive osservazioni del privato - di conformarsi al primo parere, è dirimente il rilievo che l'argomentazione sollevata dalla difesa erariale confonde la natura vincolante del parere del C.V.C.S. con la natura certamente discrezionale (quantomeno, dal punto di vista della discrezionalità tecnica, cioè di una valutazione operata secondo i criteri della scienza medico-legale) del provvedimento di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio delle infermità sofferte da pubblici dipendenti.
Donde l'illegittimità del provvedimento impugnato, con il conseguente obbligo per l'amministrazione di pronunciarsi nuovamente sull'istanza, previa comunicazione dei motivi ostativi ”.
8.1. Peraltro, nel senso della rivisitazione dell’opposto orientamento giurisprudenziale, militano anche ragioni di carattere sistematico, avendo riguardo alla finalità e alla ratio sottesa alla formulazione dell’art. 10 bis l. 241/90.
La novella alla disciplina generale sul procedimento amministrativo, introdotta con legge n. 15/2005, si é innestata, restituendogli nuova linfa, nello spirito originario delle riforme amministrative degli anni ’90, orientate nel senso di ridurre il divario tra P.A. - Autorità, in posizione di supremazia, e cittadino in posizione di soggezione, spesso irrimediabilmente penalizzante per quest’ultimo oltre che per la completa acquisizione degli elementi fattuali e logico-cognitivi su cui deve poggiare ogni decisione pubblica.
Il preavviso di rigetto pertanto, quale istituto volto ad accrescere le possibilità di dialogo tra la parte pubblica e la parte privata, appare ispirato alla finalità di riportare i due interlocutori, pubblico e privato, su un piano di parità, consentendo al cittadino di rappresentare tutte le circostanze utili alla definizione dell’assetto di interessi e alla tutela della propria posizione sostanziale e, al contempo, onerando l’amministrazione della considerazione del quadro istruttorio nella sua completezza organica, comprensiva delle difese e controdeduzioni dell’istante. In tale ottica, le funzioni che il nuovo istituto procedimentale persegue, secondo l’orientamento giurisprudenziale ormai invalso, ovvero il potenziamento della funzione partecipativa in chiave di vero e proprio contraddittorio equiordinato, la leale collaborazione tra soggetti parimenti coinvolti nella vicenda amministrativa, unitamente alla deflazione del contenzioso che potrebbe insorgere, sembrano riconducibili, anche per l’evidente incentivo alla reciproca fiducia, nascente dall’abbattimento dell’effetto “sorpresa”, al generale canone di correttezza e buona fede nell’amministrazione della cosa pubblica.
In tal senso, la norma dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990 esprime una regola di portata generale, il cui fondamento costituzionale va rinvenuto negli artt. 3 e 97 della Costituzione, nel principio del giusto procedimento e nei diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione Europea, ormai entrati a far parte del patrimonio dei diritti umani giustiziabili nell’ordinamento europeo e negli ordinamenti interni degli Stati membri, per effetto del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007.
In particolare, la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, sancisce i diritti di cittadinanza europea, tra i quali assume primario rilievo il “Diritto ad una buona amministrazione”, che, a norma dell’art. 41, secondo comma, comprende, tra l’altro, “il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio”.
In un simile contesto normativo, appare assai arduo estendere in via interpretativa i casi, nominativamente contemplati dal medesimo art. 10-bis, che fanno eccezione all’obbligo di previa comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, atteso che, al di fuori delle fattispecie, predeterminate dal legislatore, in cui le garanzie di ragionevolezza, imparzialità, buon andamento e tutela sono apprestate dalle norme specialmente disciplinanti i procedimenti enumerati, ogni altra pretermissione comporta la violazione del principio costituzionale e comunitario del contraddittorio, “imposto dalla succitata norma al duplice scopo di porre il destinatario del provvedimento in condizione di far valere in tempo utile le sue ragioni e, al tempo stesso, di consentire alla P.A. di compiere una completa valutazione e comparazione degli interessi coinvolti” (T.A.R. Puglia, Bari, Sez. II, 14 gennaio 2010, n. 53).
Alla luce di quanto sopra, ritiene il Collegio che le deroghe all’obbligo previsto dall’art. 10-bis della legge n. 241/1990, previste per le “ procedure concorsuali e i procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali ”, vadano intese in senso restrittivo, avendo il legislatore della novella del 2005 inteso accrescere le garanzie di trasparenza poste a presidio del cittadino di fronte all’esercizio del pubblico potere, di talchè le eccezioni a siffatta ratio legis devono essere trovare un’applicazione necessariamente tassativa, non suscettibile di estensione analogica (conforme, TAR Sicilia, Palermo, Sez. II, 23.3.2011 n. 518, Tar Lazio Roma, Sez. III-ter, 17 luglio 2007, n. 6503;Tar Sicilia, Palermo, Sez. II, 13 marzo 2007, n. 809;Cons. Stato, ord. 30 agosto 2006, n. 4519).
9. Peraltro la fondatezza di tale censura appare tanto più lampante se si ha riguardo alla circostanza che l’Amministrazione ha adottato il gravato provvedimento a distanza di notevole lasso di tempo dalla ricezione del parere del Comitato di Verifica per le Cause di Servizio, come denunciato dal ricorrente con il terzo motivo di ricorso, censura da ritenersi fondata solo se letta in relazione alla denunciata violazione dell’art. 10 bis l. n. 241/90, non comportando di per sé la violazione dei termini procedimentali nell’ipotesi di specie l’esauribilità del potere e dunque l’illegittimità del provvedimento amministrativo.
Pertanto l’Amministrazione avrebbe dovuto, dopo la ricezione del parere del Comitato di Verifica per le Cause di Servizio interloquire, con la comunicazione ex art. 10 bis l. n. 241/90, con il ricorrente ed eventualmente, all’esito della ricezione delle controdeduzioni, richiedere un nuovo parere al Comitato di Verifica per le Cause di Servizio, come prescritto dall’art. 14 D.P.R. n. 461/01, alla luce di quanto anche di seguito indicato.
L’importanza del contraddittorio con la parte istante, anche nei procedimenti volti al riconoscimento della dipendenza da causa, di servizio, risulta viepiù confermata avuto riguardo alla pronuncia del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana resa con la sentenza n. 138/2011 che ha ritenuto illegittimo il parere del Comitato di verifica per le cause di servizio e il conseguente provvedimento di diniego emessi senza esprimere alcuno specifico riferimento alla documentazione esibita dall’istante, con particolare riferimento a quella sanitaria rilasciata dallo specialista di parte.
In tal modo è stato, pertanto, ritenuto che in materia di equo indennizzo ben può incidere l’apporto collaborativo del privato interessato sull’esito finale del provvedimento stesso conducendolo ad un diverso e più favorevole esito. Ed invero, all’esito della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza ben avrebbe potuto parte ricorrente esibire la consulenza di parte, prodotta agli atti del giudizio ed in ogni caso, evidenziare la gravosità delle mansioni espletate quali risultanti dalle relazioni di servizio depositate agli atti.
10. Nonostante la logica assorbenza di questo profilo procedimentale, per esigenze di completezza ed in vista del successivo riesercizio del potere nel rispetto del vincolo conformativo derivante dalla sentenza, andranno, sia pure sinteticamente, analizzate le restanti censure, di carattere sostanziale, le quali, in quanto complessivamente fondate sul difetto di motivazione e di istruttoria, possono essere esaminate congiuntamente.
11. Al riguardo giova premettere che nel sistema delineato dal D.P.R. n. 461/01 – applicabile ratione temporis alla fattispecie di cui è causa - il Comitato di Verifica per le cause di servizio (corrispondente all'ex C.P.P.O.) è l'unico organo competente, ai sensi dell'art. 11, D.P.R. 29 ottobre 2001 n. 461 - Regolamento recante semplificazione dei procedimenti per il riconoscimento della dipendenza delle infermità da causa di servizio - ad esprimere un giudizio circa il riconoscimento della dipendenza di infermità da causa di servizio.
11.1. In tale ottica si è precisato in giurisprudenza che in sede di liquidazione dell'equo indennizzo, l'autorità decidente, in presenza di pareri medico - legali di segno opposto sulla dipendenza da causa di servizio dell'infermità contratta o della lesione sofferta dal pubblico dipendente, civile o militare che sia, non ha alcun obbligo di indicare le ragioni dell'opzione per quello reso dal Comitato di Verifica, atteso che il D.P.R. 29 ottobre 2001 n. 461 non solo attribuisce a detto organo competenza esclusiva nella materia de qua , ma impone all'organo di amministrazione attiva di conformarsi al parere da esso reso e di assumerlo come motivazione dell'adottando provvedimento, sia esso di accoglimento che di rigetto (T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 07 settembre 2010, n. 17330;T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 10 maggio 2010, n. 10480;T.A.R. Trentino Alto Adige Trento, sez. I, 25 marzo 2010, n. 92;Cons. di Stato sez. IV, n. 3911 del 10.7.2007).
Infatti, compito della Commissione Medica Ospedaliera è solo la diagnosi sull'infermità, l'indicazione della categoria, il giudizio di idoneità al servizio, mentre spetta al Comitato di Verifica accertare la riconducibilità ad attività lavorativa delle cause produttive di infermità o lesione, in relazione a fatti di servizio ed al rapporto causale tra i fatti e l'infermità o lesione, e pronunciarsi con parere motivato sulla dipendenza dell'infermità o lesione da causa di servizio (T.A.R. Basilicata Potenza, sez. I, 16 maggio 2009, n. 222).
11.2. Si è del pari chiarito che ai sensi del combinato disposto degli art. 11 e 14, D.P.R. n. 461 del 2001, il parere del Comitato di Verifica delle cause di servizio si impone, nel suo contenuto tecnico - discrezionale, all'Amministrazione, la quale, nell'adottare il provvedimento finale, deve limitarsi ad eseguire soltanto una verifica estrinseca della completezza e regolarità del precedente iter valutativo e non ad attivare una nuova ed autonoma valutazione che investa il merito tecnico, essendo tenuta ad esprimere una specifica motivazione solamente nei casi in cui - in base ad elementi di cui disponga e che non siano stati vagliati dal Comitato, ovvero in presenza di evidenti omissioni e violazione delle regole procedimentali - ritenga di non potere aderire al parere del Comitato anzidetto. In altre parole, l'Amministrazione deve conformarsi al suddetto parere, al quale può senz'altro rinviare " per relationem " e, solo ove ritenga di non poterlo fare, certamente per ragioni non di tipo tecnico e che deve in ogni caso esplicitare, può chiedere un ulteriore parere;nessuna particolare motivazione deve, invece, assicurare nel provvedimento, laddove aderisca a tale parere (T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 10 maggio 2010, n. 10480;in senso analogo Consiglio Stato, sez. VI, 31 marzo 2009, n. 1889).
In tale ottica si è precisato che “al G.A. è precluso ogni sindacato in ordine al merito dell'attività tecnico-discrezionale a base dei provvedimenti concernenti il riconoscimento del diritto all'equo indennizzo, dovendo l'indagine del G.A. limitarsi ad accertare la sussistenza di un completo “iter” istruttorio da cui emerga il pieno apprezzamento di tutti i presupposti di fatto, quali elementi attinenti ai requisiti di legittimità dei conseguenti provvedimenti amministrativi. Pertanto, ai fini di un legittimo riconoscimento, o meno, della dipendenza da causa di servizio delle infermità denunciate dai pubblici dipendenti, deve emergere nel contesto motivazionale del relativo provvedimento, sia pure " per relationem " con il richiamo dei pareri medici presupposti, l'accertamento del predetto nesso di causalità con l'attività lavorativa, in termini non presuntivi o generici, bensì specifici, con riferimento al ruolo, quantomeno concausale, della prestazione determinante la genesi o l'aggravamento dell'infermità riscontrata” (T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 03 ottobre 2006, n. 9867;in senso analogo T.A.R. Campania Salerno, sez. I, 03 settembre 2010, n. 10718 secondo cui “Il giudizio espresso dal Comitato di Verifica, nell’ambito delle sue esclusive competenze, ha poi carattere di discrezionalità tecnica, in quanto tale non sindacabile nel merito e censurabile per eccesso di potere solo in caso di assenza di motivazione, manifesta irragionevolezza sulla valutazione dei fatti o mancata considerazione della sussistenza di circostanze di fatto tali da incidere sulla valutazione conclusiva”).
11.3 Anche la sezione ha aderito a tale orientamento giurisprudenziale, affermando che “I giudizi resi dagli organi medico-legali sulla dipendenza da causa di servizio dell'infermità denunciata dal pubblico dipendente sono connotati da discrezionalità tecnica, sicché il sindacato esperibile su di essi dal giudice amministrativo deve intendersi limitato ai profili di irragionevolezza, illogicità o travisamento dei fatti;si tratta, quindi, di limite che permette al giudice amministrativo una valutazione esterna di congruità e sufficienza del giudizio di non dipendenza, vale a dire sulla mera esistenza di un collegamento logico tra gli elementi accertati e le conclusioni che da essi si ritiene di trarre, mentre l'accertamento del nesso di causalità tra la patologia insorta e i fatti di servizio, che sostanzia il giudizio sulla dipendenza o meno dal servizio, costituisce tipicamente esercizio di attività di merito tecnico riservato all'organo medico” (T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 11 marzo 2011, n. 1449).
12. Poste queste premesse, va evidenziato come nell’ipotesi di specie il giudizio tecnico espresso dal Comitato di Verifica per la Cause di Servizio sia all’evidenza fondato su un’acritica ed incoerente valutazione in merito all'accertamento del predetto nesso di causalità con l'attività lavorativa, da esprimersi, secondo l’indicato giurisprudenza (T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 03 ottobre 2006 , n. 9867 cit.) in termini non presuntivi o generici, bensì specifici, con riferimento al ruolo, quantomeno concausale, della prestazione determinante la genesi o l'aggravamento dell'infermità riscontrata.
12.1 Ed invero nel parere reso dal Comitato si nega la dipendenza da causa di servizio della patologia dell’ “ipertensione arteriosa con impegno d’organo” sulla base della generica motivazione secondo la quale “ trattandosi frequentemente di affezione di natura primitiva, insorgente sovente in individui con familiarità ipertensiva, per probabile errore genetico e conseguente-OMISSIS-, favorita da fattori individuali spesso legati ad abitudini di vita del soggetto. Nel determinismo e nel successivo decorso dell’affezione, di natura prevalentemente endogena, nessun ruolo può avere svolto il servizio prestato, tenuto conto anche delle modalità di svolgimento e dei disagi descritti negli atti, i quali, considerati nel loro insieme, non risultano tali da assurgere al ruolo di causa, ovvero di concausa efficiente e determinante ”. Nell’indicato parere non si esclude, dunque, in assoluto la dipendenza da causa di servizio della indicata patologia, ma la si esclude in concreto, con generico rinvio alle risultanze degli atti, senza alcuna specifica valutazione delle relazioni di servizio, nelle quali si evidenziava per contro la gravosità del servizio prestato, reso ancor più pesante dalla avverse condizioni climatiche.
Evidente appare pertanto, il difetto di motivazione del parere del Comitato di Verifica per le Cause di Servizio, richiamato nel decreto gravato, in quanto del tutto generico e stereotipato, come dedotto dal ricorrente con il primo motivo di ricorso.
Parimenti generica è la motivazione relativa alla non dipendenza da causa di servizio della patologia -OMISSIS- per la quale si afferma “ in quanto trattasi di una variante dell’-OMISSIS-caratterizzata dallo stesso danno a carico dell’intima, con l’aggiunta di accumulo locale di -OMISSIS-, i cui fattori di rischio possono essere di natura intrinseca, legati ad una familiarità costituzionale patologica -OMISSIS-), pertanto sulla sua insorgenza e decorso non possono assurgere a fattori causali o concausali efficienti e determinanti, gli invocati fatti di servizio non caratterizzati, comunque, da particolari e gravose situazioni di disagio, che abbiano potuto anticipare o aggravare il fatto evolutivo e degenerativo..
Anche in relazione a siffatta patologia non si esclude in via generale la possibile correlazione con fattori di stress psicofisico, eventualmente correlabili alle modalità di svolgimento del servizio, ma la si esclude in concreto, con rinvio generico alle risultanze degli atti;ciò senza tralasciare di considerare la possibile correlazione di tale patologia con quella -OMISSIS-, affermata dallo stesso Comitato di Verifica per le Cause di Servizio, in relazione alla quale sussiste del pari l’indicato difetto di motivazione e di istruttoria.
12.2 A fronte di un’erronea ed incoerente valutazione dei presupposti di fatto - rilevabile senza il ricorso a particolari conoscenze tecniche in quanto da riconnettersi alla valutazione dei presupposti di fatto e non alla valutazione tecnica dell’eziopatogenesi, non avendo il Comitato escluso in astratto che i fattori di servizio possano rilevare quale concausa delle patologie - e a fronte del difetto di istruttoria e di motivazione del parere del Comitato, il Ministero della Giustizia non avrebbe dovuto uniformarsi in prima battuta a tale parere.
In altri termini, in presenza di un parere manifestamente viziato sotto tali profili non può assumersi la vincolatività dello stesso, divenendo in tali ipotesi il parere reso dal Comitato vincolante solo a seguito del riesame sollecitato dall’Amministrazione, secondo quanto evincibile dal disposto dell’art. 14 del D.P.R. 461/2001.
Pertanto, nell’ipotesi di specie, il Ministero della Giustizia avrebbe dovuto richiedere un nuovo parere, evidenziando l’irrazionalità del primo, e solo a seguito della conferma del medesimo avrebbe dovuto uniformarsi alla valutazione tecnico discrezionale espressa dal Comitato, secondo quanto dedotto dal ricorrente con il secondo motivo di ricorso.
Per regola generale, infatti, il macroscopico difetto di motivazione, sub specie di irrazionalità ed incompletezza della stessa in relazione ai presupposti di fatto, in quanto sintomatico del travisamento dei fatti e del difetto di istruttoria, deve annoverarsi fra quei vizi procedurali in presenza dei quali si impone all’Amministrazione la richiesta di un nuovo parere al Comitato di Verifica delle Cause di Servizio, ai sensi del citato art. 14.
Ne discende che le censure articolate da parte ricorrente, circa la non vincolatività del parere reso nell’ipotesi di specie dal Comitato di Verifica per le Cause di Servizio, e circa il difetto di motivazione e di istruttoria degli atti gravati sono fondate.
13. Parimenti fondata è la censura di difetto di motivazione e di istruttoria dedotta con il quinto motivo di ricorso, non essendovi nel parere del Comitato di Verifica alcun concreto riferimento agli atti del procedimento.
14. In conclusione il ricorso va accolto, con conseguente annullamento degli atti gravati.
15. Ne consegue che l’Amministrazione dovrà ripronunciarsi sull’istanza prodotta da parte ricorrente, chiedendo previamente un nuovo parere al Comitato di Verifica per le Cause di Servizio, ai sensi del disposto dell’art. 14 D.P.R. 461/2001, il quale dovrà valutare tutti i presupposti di fatto rilevanti per la decisione.
16.Al riguardo va ricordato, secondo quanto già evidenziato in premessa, che la domanda di accertamento del diritto della parte ricorrente al riconoscimento della dipendenza da causa di servizio e dei conseguenti benefici di legge, è da considerarsi inammissibile, con la conseguenza che sull’istanza presentata dal ricorrente deve comunque pronunciarsi l’Amministrazione.
16.1 Infatti vertendosi in tema di sindacato della discrezionalità tecnica, e non essendo consentito al giudice di sostituirsi all’Amministrazione con una rinnovazione del giudizio di spettanza dell’Amministrazione, neanche con il ricorso alla C.T.U., non è consentito in questa sede l’accertamento dell’esistenza dei presupposti per il riconoscimento della causa di servizio e del conseguente diritto alla riscossione dell’equo indennizzo.
17. Sussistono eccezionali ragioni, in considerazione della risalenza della causa, della particolarità della fattispecie, della declaratoria di inammissibilità della domanda di accertamento del diritto alla fruizione dell’equo indennizzo ed avuto riguardo al superamento del pregresso orientamento giurisprudenziale seguito dalla Sezione in riferimento alla problematica dell’applicabilità dell’art. 10 bis l. 241/90 ai procedimenti come quello di cui è causa, per compensare integralmente fra le parti le spese di lite.