TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2023-01-23, n. 202301204

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2023-01-23, n. 202301204
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202301204
Data del deposito : 23 gennaio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 23/01/2023

N. 01204/2023 REG.PROV.COLL.

N. 00270/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quinta Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 270 del 2018, proposto da -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato M C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso la segreteria del Tar Lazio Roma in Roma, via Flaminia 189;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

del decreto del Ministero dell'Interno prot. -OMISSIS-del 18.09.2017, notificato il 22.10.2017, avente per oggetto il rifiuto della domanda di concessione della cittadinanza italiana, presentata ai sensi dell'art. 9, comma 1, lett. f), della legge 91/1992 in data 9.12.2014


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 novembre 2022 la dott.ssa A G e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

I. - La ricorrente ha presentato istanza intesa ad ottenere la concessione della cittadinanza italiana, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992, in data 9 dicembre 2014.

II. - Esperita l’istruttoria di rito, l’Amministrazione ha respinto la domanda dell’interessata, ritenendo che non vi fosse coincidenza tra l’interesse pubblico e quello della richiedente alla concessione della cittadinanza.

Dall’informativa della Questura e dal certificato del casellario giudiziario è emersa la presenza di una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (art. 444, 445 cpp) del 14/02/2011 irrevocabile il 26/04/2011, per il reato di furto tentato in concorso art. 56, 110, 624 c.p. (commesso il 22/6/2009).

III. – La ricorrente eccepisce l’illegittimità dell’atto impugnato, chiedendone l’annullamento dell’efficacia per i seguenti motivi:

I – VIOLAZIONE DI LEGGE (art. 3 legge 07.08.1990 n.241) ed ECCESSO DI POTERE PER MOTIVAZIONE INSUFFICIENTE E CARENZA DI ISTRUTTORIA, PER FALSITÀ ED ERRONEITÀ DEI PRESUPPOSTI DI FATTO, ILLOGICITÀ MANIFESTA. ERRONEA e/o FALSA APPLICAZIONE DI LEGGE (art. 9, comma 1, lett. f), legge 05.02.1992 n.91;
art. 6 e 8 legge 91/1992)

Parte ricorrente contesta il carattere ostativo al rilascio dello status della condanna richiamata nel provvedimento in quanto relativo ad un reato vetusto e di lieve entità (di contro il giudizio di gravità della p.a, di cui il provvedimento non spiegherebbe le ragioni) e su cui è intervenuta l’estinzione, che è equiparabile quoad effectum alla riabilitazione ex art. 6, comma 3, legge n. 91/1992. Inoltre lamenta la mancata valutazione del livello di integrazione raggiunto nel tessuto sociale nazionale.

II – VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 97 E 24 DELLA COSTITUZIONE. VIOLAZIONE DI LEGGE (art. 10 bis legge 07.08.1990 n.241). ECCESSO DI POTERE PER VIOLAZIONE DEL GIUSTO PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO .

L’amministrazione non avrebbe spiegato le ragioni del mancato accoglimento delle osservazioni formulate in riscontro al preavviso di diniego.

IV. - Si è costituito in giudizio il Ministero dell’interno per resistere al ricorso, con mero atto di stile.

V. – Con ordinanza n. -OMISSIS-è stata respinta la domanda cautelare con la seguente motivazione: “ Considerato che il ricorso, ad un sommario esame proprio della sede cautelare, non appare assistito dai prescritti requisiti per la concessione della richiesta misura cautelare, poiché, dagli elementi di valutazione acquisiti in corso di causa, non emergono profili che inducono ad una ragionevole previsione sull’esito favorevole del ricorso, in quanto il rigetto dell’istanza è correttamente ed adeguatamente motivato con il richiamo ai precedenti penali a carico del ricorrente ”;

VI. – In vista dell’udienza pubblica l’Amministrazione resistente ha depositato documenti del fascicolo del procedimento e una relazione difensiva, insistendo per il rigetto del ricorso.

VII. – All’udienza pubblica del 25 novembre 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

I. - Il ricorso è infondato.

II. - Il Collegio reputa utile una premessa di carattere teorico in ordine al potere attribuito all’amministrazione in materia, all’interesse pubblico protetto e alla natura del relativo provvedimento (vedi, da ultimo, TAR Lazio, sez. V bis, n. 2943, 2944, 2945, 3018 e 3471/2022).

L'acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione, che presuppone l'esplicarsi di un'amplissima discrezionalità in capo all'Amministrazione. Ciò si desume, ictu oculi , dalla norma attributiva del potere, l’art. 9, comma 1, della legge n. 91/1992, a tenore del quale la cittadinanza “ può ” - e non “ deve ” - essere concessa.

La dilatata discrezionalità in questo procedimento si estrinseca attraverso l’esercizio di un potere valutativo che si traduce in un apprezzamento di opportunità in ordine al definitivo inserimento dell'istante all'interno della comunità nazionale, apprezzamento influenzato e conformato dalla circostanza che al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti - consistenti, sostanzialmente, oltre nel diritto di incolato, nei “diritti politici” di elettorato attivo e passivo (che consentono, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del Paese di cui si entra a far parte e la possibilità di assunzione di cariche pubbliche) - ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità – consistente nel dovere di difenderla anche a costo della propria vita in caso di guerra (“ il sacro dovere di difendere la Patria ” sancito, a carico dei soli cittadini, dall’art. 52 della Costituzione), nonché, in tempo di pace, nell'adempimento dei “ doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale ”, consistenti nell’apportare il proprio attivo contributo alla Comunità di cui entra a far parte (art. 2 e 53 Cost.).

A differenza dei normali procedimenti concessori, che esplicano i loro effetti esclusivamente sul piano di uno specifico rapporto Amministrazione/Amministrato, l’ammissione di un nuovo componente nell’elemento costitutivo dello Stato (Popolo), incide sul rapporto individuo/Stato-Comunità, con implicazioni d’ordine politico-amministrativo;
si tratta, pertanto, di determinazioni che rappresentano un'esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (vedi, da ultimo, Consiglio di Stato, sez. III, 7.1.2022 n. 104;
cfr. Cons. Stato, AG, n. 9/1999;
sez. IV n. 798/1999;
n. 4460/2000;
n. 195/2005;
sez, I, n. 1796/2008;
sez. VI, n. 3006/2011;
Sez. III, n. 6374/2018;
n. 1390/2019, n. 4121/2021;
TAR Lazio, Sez. II quater, n. 10588 e 10590 del 2012;
n. 3920/2013;
4199/2013).

È stato, in proposito, anche osservato che il provvedimento di concessione della cittadinanza refluisce nel novero degli atti di alta amministrazione, che sottende una valutazione di opportunità politico-amministrativa, caratterizzata da un altissimo grado di discrezionalità nella valutazione dei fatti accertati e acquisiti al procedimento: l'interesse dell'istante ad ottenere la cittadinanza deve necessariamente coniugarsi con l'interesse pubblico ad inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale.

E se si considera il particolare atteggiarsi di siffatto interesse pubblico, avente natura “composita”, in quanto coevamente teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell’identità nazionale, è facile comprendere il significativo condizionamento che ne deriva sul piano dell’ agere del soggetto alla cui cura lo stesso è affidato.

II.1. - In questo quadro, pertanto, l’amministrazione ha il compito di verificare che nel soggetto istante risiedano e si concentrino le qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l’assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprime integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile.

La concessione della cittadinanza deve rappresentare il suggello sul piano giuridico di un processo di integrazione che nei fatti sia già stato portato a compimento, la formalizzazione di una preesistente situazione di “cittadinanza sostanziale” che giustifica l’attribuzione dello status giuridico (in proposito, Tar Lazio, Sez. II quater, sent. n. 621/2016: “ concessione che costituisce l’effetto della compiuta appartenenza alla comunità nazionale e non causa della stessa ”).

In altre parole, si tratta di valutare il possesso di ogni requisito atto ad assicurare l’inserimento in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all’ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato, gravare sulla finanza pubblica (cfr. ex multis , Tar Lazio, Roma, Sez. I ter, n. 3227 e n. 12006 del 2021 e sez. II quater, n. 12568/ 2009;
Cons. Stato, sez. III, n. 104/2022;
n. 4121/2021;
n. 7036 e n. 8233 del 2020;
n. 1930, n. 7122 e n. 2131 del 2019;
n. 657/2017;
n. 2601/2015;
sez. VI, n. 3103/2006;
n.798/1999).

III. - Se, dunque, il potere dell’Amministrazione ha natura discrezionale, il sindacato giurisdizionale sulla valutazione dell’effettiva e compiuta integrazione nella comunità nazionale deve essere contenuto entro i ristretti argini del controllo estrinseco e formale, esaurendosi nello scrutinio del vizio di eccesso di potere, nelle particolari figure sintomatiche dell’inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o difetto di motivazione, con preclusione di un’autonoma valutazione delle circostanze di fatto e di diritto oggetto del giudizio di idoneità richiesto per l’acquisizione dello status di cui è causa;
il vaglio giurisdizionale non deve sconfinare nell’esame del merito della scelta adottata, riservata all’autonoma valutazione discrezionale dell’Amministrazione ( ex multis , Cons. Stato, sez. III, 7.1.2022 n. 104;
Sez. IV, n. 6473/2021;
Sez. VI, n. 5913/2011;
n. 4862/2010;
n. 3456/2006;
Tar Lazio, Sez. I ter, n. 3226/2021, Sez. II quater, n. 5665/2012).

IV. – Alla luce del quadro ricostruito, è possibile ritenere prive di pregio le censure di parte attrice, volte a confutare l’operato dell’amministrazione resistente che ha formulato un giudizio di inaffidabilità della ricorrente e di non compiuta integrazione nella comunità nazionale in ragione della precedente condanna per furto tentato in concorso, non dichiarata all’atto della domanda, all’esito del contraddittorio con la richiedente ai sensi dell’art. 10- bis della legge n. 241/1990.

IV.1. - Il diniego impugnato si fonda su una condanna del 2011, per un comportamento tenuto dall’istante penalmente rilevante, che, anche se risalente, è comunque stato posto in essere nel 2009 c.d. “periodo di osservazione” – il decennio antecedente la domanda (che nel caso in esame è stata presentata nel 2014) in cui devono essere maturati i requisiti per la concessione dello status , compreso quello dell’irreprensibilità della condotta – e che, contraddicendo il giudizio di modesto valore formulato dalla ricorrente, è suscettibile di essere valutato ai fini della formulazione delle valutazioni prognostiche demandate all’Amministrazione in merito all’utile inserimento dell’istante nella Comunità e della sua attitudine a rispettare i valori fondamentali dell’ordinamento (in questo possono essere inclusi anche i reati relativi ai beni materiali della persona, quali il patrimonio personale, la proprietà privata, che sono ostativi, in alcune forme, persino al rilascio del titolo autorizzatorio al soggiorno in Italia, anche se considerati di scarso rilievo, quali il furto di un capo di abbigliamento manipolando il dispositivo antitaccheggio). Per cui detta condotta, valutata non isolatamente, ma nell’ambito del complessivo comportamento della richiedente, unitamente alla mancata dichiarazione della precedente condanna nella domanda di cittadinanza, non appare prima facie – e quindi senza sconfinare in una valutazione che afferisce al merito - inidonea a giustificare il diniego.

Peraltro, si aggiunga che il giudizio di lievità del reato, formulato dalla parte, è fatto discendere dalle contenute conseguenze penali e dalla realizzazione del delitto solo nella forma del tentativo.

Orbene, in sede processuale penale, la disciplina di favore sul piano del trattamento sanzionatorio del delitto tentato si giustifica perché manca l’offesa al bene protetto dalla norma, pure a fronte di “ atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto”. Il reato non si consuma, tuttavia, non per volontà dell’agente (eccettuata l’ipotesi della desistenza, ex art. 56, terzo comma, c.p.) ma perché l’azione non si è compiuta ovvero l’evento non si è realizzato. Il proposito criminoso nel tentativo è lo stesso di quello sotteso ai reati consumati e non si realizza per cause estranee alla sfera di volontà del soggetto, tanto che non mancano tesi che rinvengono il fondamento della punibilità del tentativo, non nella minaccia o messa in pericolo al bene protetto dalla norma, ma proprio nella risoluzione criminosa dell’agente, nell’intenzione manifestata all’esterno che non può essere tollerata dallo Stato.

Da questo punto di vista, tenuto conto dell’esigenza di valutare sul piano amministrativo nell’ambito del procedimento concessorio la propensione dell’aspirante cittadino a rispettare i valori posti a fondamento del nostro ordinamento, è evidente che nella formulazione del conseguente giudizio prognostico non può riconoscersi minore valore rivelatore al delitto tentato, salvo che la consumazione non sia stata preclusa dalla desistenza del soggetto agente (esimente che, tenuto conto degli atti di causa, non risulta ricorrere nel caso all’esame).

IV.2 – Peraltro, ad avviso del Collegio non colgono nel segno nemmeno i rilievi sulla mancata valutazione degli esiti processuali favorevoli alla richiedente, visto il provvedimento di estinzione - adottato dal Tribunale dell’esecuzione -OMISSIS-prima della conclusione del procedimento concessorio - non considerato dalla p.a., che nella prospettazione attorea si risolverebbe in una sopravvenuta irrilevanza del precedente penale contestato “ stante il venir meno dell’effetto ostativo di cui all’art. 6 comma 1 lett. B) della L. 91/1992. Se infatti a mente dell’art. 6 comma 3 L. 91/1992 la riabilitazione fa cessare gli effetti preclusivi della condanna, tale effetto, al cui verificarsi è condizionata la cessazione dell’effetto preclusivo della condanna alla concessione dello status civitatis, si realizza anche nel caso di estinzione del reato ”.

I rilievi di parte si mostrano fallaci per molteplici ragioni.

Innanzi tutto, è priva di fondamento giuridico la predicata equiparazione degli effetti dell’estinzione e della riabilitazione, come è stato puntualmente chiarito dal Consiglio di Stato, sez. III, nella sentenza n. 7122 del 21 ottobre 2019: “ La riabilitazione ai sensi dell’art. 178 c.p., sul presupposto che la pena principale sia stata scontata o altrimenti estinta, estingue le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna.

La ratio della norma è individuata dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione nella considerazione che "la riabilitazione, infatti, non può essere considerata fungibile, ai detti fini, con altre cause di estinzione del reato, come quella di cui all'art. 460 c.p.p., dalle quali differisce, secondo la giurisprudenza penale di legittimità, per la peculiarità di presupporre - essa soltanto - l'accertamento di un completo ravvedimento del reo" ( così ad es. Cassazione civile, sez. VI, 26/09/2014, n. 20399).

Ai fini della riabilitazione non è sufficiente la mancata commissione di altri reati, come nel caso dell'estinzione, ma occorre l'accertamento del "completo ravvedimento dispiegato nel tempo e mantenuto sino al momento della decisione, e tradotto anche nella eliminazione (ove possibile) delle conseguenze civili del reato" (Cass. Pen. Sez. I, 18 giugno 2009, n. 31089).

Ai fini specifici dell’acquisto della cittadinanza, poi, va rilevato che l’art. 6, comma 3, l. n. 91 del 1992 prevede che solo la riabilitazione faccia cessare l'effetto preclusivo delle condanne, tassativamente indicate dal comma 1 dello stesso articolo come automaticamente ostative all’acquisto della cittadinanza ex art. 5 della legge (acquisto della cittadinanza per matrimonio), per cui la riabilitazione costituisce, in tali casi, l'unico rimedio previsto dalla l. n. 91 del 1992 per elidere l'effetto preclusivo dei precedenti penali (in tal senso, il parere C.d.S. Sez. I 8/05/2018 n. 1225/2018;
C.d.S., Sez. III 29/05/2017, n. 2552;
30/07/2018, n. 4686)
”.

Peraltro, occorre anche evidenziare che l’art. 6, comma 3, della legge 91/1992, evocato dalla ricorrente nelle proprie difese, trova applicazione - per espressa volontà del legislatore - con esclusivo riferimento alle istanze di conferimento della cittadinanza per matrimonio con cittadino italiano ex art. 5 della legge n. 91/1992 – che, in quanto relative ad un vero e proprio diritto soggettivo per il richiedente (a tutela dell’unità familiare del cittadino italiano) godono di un trattamento di maggior favore - e non anche con riferimento alle domande di concessione per residenza, quale quella in esame, in cui, invece, il legislatore ha preferito non precludere all’Amministrazione la possibilità di valutare, “caso per caso” la situazione dell’istante e la sua meritevolezza di fare ingresso in maniera stabile e irreversibile nella comunità nazionale (da ultimo, Cons. Stato sez. III, 14 maggio 2019, n. 3121;
id., 21 ottobre 2019, n. 7122;
cfr. TAR Lazio, Roma, sez. I-ter, sentenza nr. 1285/2020).

Lo stesso giudice d’appello nella succitata sentenza n. -OMISSIS-afferma: “ In altri termini, mentre gli effetti della riabilitazione sono chiaramente diretti ad agevolare il reinserimento nella società del reo, in quanto, eliminano le conseguenze penali residue e fanno riacquistare all’interessato la capacità giuridica persa in seguito alla condanna;
viceversa, la valutazione che l’Amministrazione è chiamata a compiere per concedere lo status di cittadino ha riguardo principalmente all’interesse pubblico alla tutela dell’ordinamento.

Nel riconoscere la cittadinanza ai sensi dell'art. 9 della l. n. 91 del 1992, pur se intervenuta la riabilitazione, l’Amministrazione è chiamata, comunque, ad effettuare la delicata valutazione discrezionale in ordine alla effettiva e complessiva integrazione dello straniero nella società e l’interesse del richiedente deve essere comparato con l’interesse della collettività sotto il profilo più generale della tutela dell’ordinamento, ovvero con lo scopo di “proteggere il particolare rapporto di solidarietà e di lealtà tra esso e i propri cittadini nonché la reciprocità di diritti e di doveri, che stanno alla base del vincolo di cittadinanza” (Corte di giustizia UE, causa Rotmann, punto 51) ”.

Invero, in giurisprudenza è stato altresì costantemente osservato che, in generale, i provvedimenti di riabilitazione, estinzione della pena e persino i provvedimenti collettivi di clemenza non incidono sulla capacità dell’Amministrazione di negare il richiesto status civitatis , proprio perché, al contrario, confermano l’esistenza di un fatto storico adeguatamente accertato e sanzionato dal Giudice Penale, contrario alle regole proprie della Comunità nazionale, consentendo poi l’accesso a misure di ripristino e/o alternative che, sebbene inibiscano la pienezza della sanzione penale, non obliterano la capacità valutativa dell’Amministrazione in sede di accertamento, prognostico e complessivo, dei presupposti di concessione della cittadinanza.

V. Il Collegio, inoltre, osserva, in linea con la prospettazione di parte resistente, che il provvedimento deve ritenersi fondato sull’ulteriore elemento ostativo, rappresentato dall’omessa autocertificazione della precedente condanna, contestata nel preavviso di diniego del 16 maggio 2017 e richiamata, quindi, ob relationem nel provvedimento impugnato.

La giurisprudenza, al riguardo, ha affermato che la dichiarazione non veritiera è suscettibile di determinare la reiezione della domanda anche a prescindere dalla sussistenza del reato di falso, ai sensi dell'art. 75 del d.P.R. n. 445/2000, essendo comunque indicativa di una non compiuta integrazione, in quanto può essere considerata sintomatica della mancata conoscenza dei principi che informano i rapporti con l’Amministrazione, anche con riferimento al procedimento in questione, che il richiedente ha il dovere di acquisire, ovvero di uno scarso rispetto delle regole del contesto giuridico in cui si è inseriti, sicché tale comportamento può essere valutato, oltre che sul piano penale, anche sul piano del procedimento amministrativo in esame come comportamento indicativo di scarsa affidabilità nel rapportarsi con le Istituzioni dello Stato di cui aspira a divenire cittadino;
il che avvalora ulteriormente il giudizio di insufficiente adesione da parte dello straniero ai valori dell'ordinamento del Paese di cui chiede lo status civitatis (cfr. La dichiarazione non veritiera fatta dallo straniero in sede di domanda di riconoscimento della cittadinanza italiana, in ordine alle condanne riportate ed ai procedimenti penali pendenti, anche a prescindere dalla sussistenza del reato di falso, ai sensi dell'art. 75 del d.P.R. n. 445/2000, in quanto sintomatica " di scarsa affidabilità nel rapportarsi con le Istituzioni dello Stato di cui aspira a divenire cittadino ”;
il che avvalora ulteriormente il giudizio di insufficiente adesione da parte dello straniero ai valori dell'ordinamento del Paese di cui chiede lo status civitatis (vedi, tra tante, T.A.R. Lazio, sez. V bis, n. 2944, 2945, 2946, 2947, 3026, 3475, 3621/2022, 8234/2022, nonché, da ultimo, in particolare, T.A.R. Lazio, sez. V bis, 27/06/2022, n.8749;
cfr.  Cons. Stato, sez. I, n. 653/2022 e n. 632/2022, nel senso che in tali casi “ viene meno anche la valutazione discrezionale dell’Amministrazione in quanto il diniego della cittadinanza si pone come inevitabile conseguenza dell’accertata dichiarazione mendace ”;
cfr.da ultilmo, Cons. St., sez. III, n. 6789 e n. 11304 del 2022, ove precisa che “ In linea generale, deve ritenersi che la lealtà e la correttezza dello straniero che formula la richiesta sono elementi di assoluto rilievo al fine di apprezzare le condizioni soggettive dell'interessato. In questo senso, la falsa dichiarazione ad un pubblico ufficiale presenta un oggettivo disvalore che l'amministrazione deve considerare con la massima attenzione ”, includendo tale elemento nella valutazione complessiva del grado di integrazione raggiunto).

Tanto chiarito, non appaiono dirimenti le argomentazioni difensive della parte che invoca la predicabilità di un errore scusabile involontario, dovuto al fatto che la sentenza di applicazione di pena non era menzionata ai sensi dell’art.175 c.p. nel certificato del casellario giudiziale rilasciato a richiesta del privato, rappresentando altresì che in ogni caso non si tratta di una sentenza di “condanna” (che comporta l’accertamento di piena responsabilità del fatto di reato) ma di una sentenza di applicazione di pena” ex art.444 c.p.p. che è solo equiparata ad una condanna ma non costituisce di per sé condanna nel senso tecnico-giuridico del termine (inteso come accertamento del fatto-reato).

Infatti, di contro a detti argomenti, in via preliminare si impone il dirimente rilievo della chiara formulazione letterale del modulo di domanda di cittadinanza, compilato dalla ricorrente, che richiedeva espressamente di autocertificare l’aver o meno riportato condanne penali in Italia, anche ai sensi dell’art. 444 c.p.p. , precisando, tra parentesi “patteggiamento”, nonché l’essere o meno sottoposto/a a procedimenti penali in Italia.

Non giova, pertanto, di fronte a tale dato insuperabile, alla ricorrente disquisire in merito alla natura e valenza del tipo di pronunce giurisdizionali con una prospettazione teorica che, peraltro, non è nemmeno condivisibile. È sufficiente al riguardo ricordare che l’insegnamento della giurisprudenza è costante nell’affermare che, quando una norma assume l'esistenza di una condanna penale come presupposto (più o meno vincolante) per l'adozione di un provvedimento amministrativo, ovvero quale preclusione all'esercizio di determinate facoltà o diritti, a questi fini vale come sentenza di condanna anche quella emessa a seguito di patteggiamento ex art. 444 c. p. p (cfr. Cons. di Stato, 7 ottobre 2013, n. 4921;
27 marzo 2012, n. 1781;
TAR Lazio, 10 gennaio 2017, n. 324, T.A.R. Lazio, Roma, sez. I ter, 03.06.2021, n. 6541). Vieppiù, non è superfluo rilevare che la scelta di riti premiali contempla, nel codice del rito penale, sempre una scelta o una condivisione da parte del soggetto sottoposto all’esercizio dell’azione penale;
nell’applicazione della pena su richiesta delle parti (art. 444 ss. c.p.p.), la volontà del soggetto richiedente di accedere al rito premiale e alle relative conseguenze è vagliata con particolare accuratezza (art. 446 c.p.p.), per cui il fatto storico, in mancanza di pronunce pienamente assolutorie, oltre che accettato dalle parti, è accertato e confermato dal Giudice penale.

VI. – Alla luce dei postulati sopra enucleati, è possibile disattendere anche le censure formulate con il secondo motivo di ricorso con cui la parte, evocando la violazione dell’art. 10- bis della legge n. 241/1990, lamenta la mancata valutazione delle circostanziate controdeduzione formulate (pressoché sovrapponibili a quelle di cui al sopra scandagliato primo motivo di ricorso) e dei documenti allegati da parte ricorrente in riscontro al preavviso di diniego.

Tali doglianze risultano inconclucenti, atteso che, nelle premesse dell’atto impugnato, sono riportate sia le osservazioni della ricorrente sia le puntuali “controdeduzioni” della PA.

VII. – Neanche l’allegazione del raggiunto livello di integrazione nel tessuto sociale italiano dell’interessata consente di mettere in discussione la correttezza dell’operato dell’autorità pubblica.

Sul punto questa Sezione, peraltro, ha più volte chiarito che lo stabile inserimento socio-economico non rappresenta un elemento degno di speciale merito, in grado di far venir meno i constatati motivi ostativi alla concessione dello status anelato, esso è solo il prerequisito della richiesta di cittadinanza, in quanto presupposto minimo per conservare il titolo di soggiorno, che autorizza la permanenza dello straniero sul territorio nazionale ( ex multis , Tar Lazio, Sez. V bis, nn. 2945 e 4295 del 2022).

In altre parole, si richiede che l’istante sia non solo materialmente in condizioni di effettivo inserimento nella società italiana, ma che sul piano dei valori mostri, indefettibilmente, una convinta adesione ai valori fondamentali dell'ordinamento di cui egli chiede di far parte con il riconoscimento della cittadinanza.

VIII. – In ogni caso, a favore della posizione della ricorrente, il Collegio ritiene opportuno rammentare che il diniego della cittadinanza non preclude all’interessata di ripresentare l’istanza nel futuro (già dopo un anno dal primo rifiuto) e che dunque le conseguenze discendenti dal provvedimento negativo sono solo temporanee e non comportano alcuna “interferenza nella vita privata e familiare del ricorrente” (art. 8 CEDU, art. 7 Patto internazionale diritti civili e politici), dato che l’istante può continuare a rimanere in Italia ed a condurvi la propria esistenza alle medesime condizioni di prima.

Quindi, per il provvedimento impugnato, con cui, nel bilanciamento degli interessi pubblici e privati in gioco, ha ritenuto recessivo l'interesse del privato ad essere ammesso come componente aggiuntivo del Popolo italiano, l’irragionevolezza è altresì esclusa alla luce della circostanza che il diniego di cittadinanza provoca il solo svantaggio temporale sopraindicato, il quale risulta “giustificato” ove si consideri la rilevanza degli interessi in gioco e l’irreversibilità degli effetti connessi alla concessione di tale status. Da tale punto di vista, infatti, risulta inopportuno ampliare la platea dei cittadini mediante l'inserimento di un nuovo componente ove sussistano dubbi sulla sua attitudine a rispettare i valori fondamentali per la comunità di cui diviene parte essenziale con piena partecipazione all’autodeterminazione delle scelte di natura politica.

IX. - In conclusione, per tutto quanto osservato, il ricorso deve essere respinto.

X. - Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

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