TAR Milano, sez. I, sentenza 2020-03-24, n. 202000548

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Milano, sez. I, sentenza 2020-03-24, n. 202000548
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Milano
Numero : 202000548
Data del deposito : 24 marzo 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 24/03/2020

N. 00548/2020 REG.PROV.COLL.

N. 02752/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOE DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2752 del 2017, integrato da motivi aggiunti, proposto da
-OISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati F E S, E O B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e con domicilio eletto presso lo studio dell’avv F E S in Vigevano (PV), via Mulini n. 11;

contro

Ministero dell’Interno-U.T.G. Prefettura di Milano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, presso i cui uffici domicilia in Milano, via Freguglia, 1 e con domicilio pec come in atti;

per l'annullamento

1) Per quanto riguarda il ricorso introduttivo:

- del provvedimento prot. n. 12B7/201245364 dell'11.10.17 – Comunicazione emissione informazione antimafia interdittiva -OISSIS-;

- della conseguenziale cancellazione dalla White List comunicata con PEC del 30.10.2017;

- nonché di ogni altro atto o provvedimento, ancorché non noto, antecedente o successivo, comunque connesso, presupposto o consequenziale, o connesso.

2) Per quanto riguarda il ricorso per motivi aggiunti:

- del provvedimento numero 0192527, prot. n. 12B7/2012045364, notificato via PEC in data 21/12/2017, con cui la Prefettura di Milano ha respinto l'istanza di aggiornamento e riesame dell'interdittiva antimafia presentata dall'Impresa -OISSIS- in data 18/12/2017 e, per l'effetto, confermato il provvedimento interdittivo n. 12B7/2012045364 del 10/10/2017 e la contestuale cancellazione della medesima impresa dalla c.d. white list;

- di ogni ulteriore atto o provvedimento, ancorché non noto, che sia presupposto, connesso e/o consequenziale.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di U.T.G. - Prefettura di Milano e di Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 gennaio 2020 il dott. Fabrizio Fornataro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il ricorso principale e il successivo ricorso per motivi aggiunti, -OISSIS- impugna i provvedimenti indicati in epigrafe, deducendone l’illegittimità per eccesso di potere e violazione di legge, sotto diversi profili e ne chiede l’annullamento.

Si costituisce in giudizio il Ministero dell’Interno, eccependo l’infondatezza delle impugnazioni avversarie di cui chiede il rigetto.

Con ordinanza n. 264/2018, depositata in data 22 febbraio 2018, il Tribunale ha respinto la domanda cautelare presentata dalla ricorrente.

Le parti producono memorie e documenti.

All’udienza del 29 gennaio 2020, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1) Con il provvedimento prot. n. 12B7/201245364, in data 11.10.2017, il Prefetto di Milano ha disposto l’interdittiva antimafia a carico della società -OISSIS-, ai sensi degli artt. 67, comma 8, 84, comma 4, e 91, comma 6, del Decreto Legislativo del 6 settembre 2011 n. 159 e ne ha disposto la cancellazione dall’elenco dei fornitori di beni e prestatori di servizi (c.d. White List), ai sensi dell’art. 5, comma 3, del D.P.C.M. del 18 aprile 2013.

A seguito dell’istanza di aggiornamento presentata dalla società interessata, il Prefetto di Milano, con provvedimento numero 0192527, prot. n. 12B7/2012045364, ha confermato l’interdittiva evidenziando l’irrilevanza ai fini dell’accertamento del pericolo di infiltrazione delle variazioni nell’organizzazione societaria consistenti in: a) -OISSIS- non ricopre più il ruolo di direttore tecnico;
b) dal 25/09/2017, in sostituzione di -OISSIS-, la carica di amministratore unico della -OISSIS- è ricoperta da -OISSIS-, rappresentante e direttore tecnico della società, nonché titolare del 66,67 %, pari ad euro 30.000,00 di quote nominali e padre di -OISSIS-.

Nel contempo è stata confermata la cancellazione della società dalla white list.

-OISSIS- contesta, con le impugnazioni in esame, i provvedimenti suindicati, formulando più censure, da trattare congiuntamente, perché strettamente connesse sul piano logico e giuridico, con le quali lamenta che l’interdittiva, oltre ad essere stata adottata in violazione delle garanzie partecipative, sarebbe supportata da un quadro probatorio inadeguato rispetto al paradigma normativo, dettato dagli artt. 84 e seguenti del d.l.vo n. 159/11.

Insomma, secondo la prospettazione della ricorrente, l’interdittiva esprimerebbe delle mere congetture, elaborate solo in forza dei rapporti di parentela esistenti tra i soci di -OISSIS-, uno dei quali condannato per traffico illecito di rifiuti, senza dimostrare una concreta contiguità della società con ambienti malavitosi.

2) Le censure, formulate tanto con il ricorso principale, quanto con il ricorso per motivi aggiunti, sono infondate.

In primo luogo non sussiste la dedotta violazione delle garanzie partecipative.

Sul punto, il Tribunale si limita ad evidenziare che, secondo la prevalente giurisprudenza, in relazione all'informazione antimafia la Pubblica Amministrazione è esonerata dall'obbligo di comunicare l’avvio del procedimento.

L'art. 93, comma 7, del codice antimafia prevede, invero, la mera facoltatività dell’audizione dell’impresa interessata.

La norma richiamata recita: “Il prefetto competente al rilascio dell'informazione, ove lo ritenga utile, sulla base della documentazione e delle informazioni acquisite invita, in sede di audizione personale, i soggetti interessati a produrre, anche allegando elementi documentali, ogni informazione ritenuta utile”.

Sul punto, la giurisprudenza afferma che “l'Amministrazione è esonerata dall'obbligo di comunicazione di cui all'art. 7 della l. 7 agosto 1990, n. 241, relativamente all'informativa antimafia e al successivo provvedimento di revoca un'aggiudicazione rilasciata, atteso che si tratta di procedimento in materia di tutela antimafia, come tale intrinsecamente caratterizzato da profili di urgenza (v., ex plurimis, Cons. St., sez. V, 2 marzo 2009, n. 1148;
Cons. St., sez. VI, 7 luglio 2006, n. 6555)” (T.A.R. Piemonte, sez. I, 16 gennaio 2019, n. 58;
Cons. Stato, sez. III, 24 ottobre 2016, n. 4454).

In ogni caso, ai fini dell’art. 21 octies della legge 1990 n. 241, va osservato che la ricorrente neppure in sede processuale ha offerto elementi di fatto idonei a scalfire il quadro indiziario posto dalla Prefettura a fondamento delle determinazioni adottate.

Va, pertanto, ribadita l’infondatezza della censure in esame.

Sotto altro profilo, ricorrente contesta in generale il modus operandi della Prefettura di Milano, che avrebbe posto a fondamento dell’interdittiva elementi di fatto privi di pregnanza dimostrativa dell’attuale esistenza di un pericolo di condizionamento dell’impresa da parte della criminalità organizzata.

Non solo, l’amministrazione avrebbe assunto un’interpretazione dei presupposti di adozione della misura non coerenti con i criteri individuati dalla giurisprudenza amministrativa.

Il contenuto delle doglianze induce il Tribunale ad evidenziare, in generale, quali siano, da un lato, la ratio e i presupposti necessari per l’adozione dell’interdittiva antimafia, dall’altro, quali siano gli elementi di fatto idonei ad assumere - sempre secondo il criterio dell’ id quod plerumque accidit e nel contesto della complessiva consistenza, anche sociale, del fenomeno “mafioso” - un valore indiziario del pericolo di infiltrazione mafiosa, sulla scorta di consolidati principi enucleati nella materia de qua dalla giurisprudenza, cui aderisce.

2.1) In particolare, la giurisprudenza amministrativa (cfr. ex multis Consiglio di Stato, sez. III, 13 novembre 2017, n. 5214;
Consiglio di Stato, sez. III, 23 ottobre 2017, n. 4880;
Consiglio di Stato, sez. III, 20 luglio 2016, n. 3299;
Consiglio di Stato, sez. III, 03 maggio 2016, n. 1743;
Consiglio di Stato, sez. III, 31 agosto 2016, n. 3754;
Tar Campania Napoli, sez. I, 06 febbraio 2017, n. 731;
Tar Lombardia Milano, sez. IV, 6 ottobre 2017, n. 1908;
Tar Campania Napoli, sez. I, 7 novembre 2016, n. 5118) precisa che:

- l’informativa antimafia, ai sensi degli artt. 84, comma 4, e 91, comma 6, del d.l.vo n. 159/2011, presuppone “concreti elementi da cui risulti che l’attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata”;

- per quanto riguarda la ratio dell’istituto della interdittiva antimafia, va premesso che si tratta di una misura volta alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della pubblica Amministrazione: nella sostanza, l’interdittiva antimafia comporta che il Prefetto escluda che un imprenditore - pur dotato di adeguati mezzi economici e di una adeguata organizzazione - meriti la fiducia delle Istituzioni (vale a dire che risulti “affidabile”) e possa essere titolare di rapporti contrattuali con le pubbliche amministrazioni o degli altri titoli abilitativi, individuati dalla legge;

- il codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al d.l.vo. n. 159 del 2011 - come già avevano disposto l'art. 4 del d.l.vo 8 agosto 1994, n. 490, e il d.p.r. 3 giugno 1998, n. 252 - ha tipizzato un istituto mediante il quale si constata un’obiettiva ragione di insussistenza della perdurante “fiducia sulla affidabilità e sulla moralità dell'imprenditore”, che deve costantemente esservi nei rapporti contrattuali di cui sia parte una amministrazione (e di per sé rilevante per ogni contratto d'appalto, ai sensi dell'art. 1674 c.c.), ovvero comunque deve sussistere affinché l’imprenditore risulti meritevole di conseguire un titolo abilitativo, ovvero di conservarne gli effetti;

- insomma, l’interdittiva prefettizia antimafia integra, secondo una logica di anticipazione della soglia di difesa dell’ordine pubblico economico e degli altri interessi pubblici primari già ricordati, una misura preventiva, volta a colpire l’azione della criminalità organizzata, impedendole di avere rapporti contrattuali con la Pubblica amministrazione, cosicché, proprio per il suo carattere preventivo, essa prescinde dall’accertamento di singole responsabilità penali nei confronti dei soggetti che, nell’esercizio di attività imprenditoriali, hanno rapporti con la Pubblica amministrazione e si fonda sugli accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia e analizzati, per la loro rilevanza, dal Prefetto territorialmente competente, la cui valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità (cfr. in argomento, Tar Lombardia Milano, sez. III, 29 aprile 2009, n. 3593;
T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 06 aprile 2011, n. 1966;
Consiglio di Stato, sez. III, 30 gennaio 2015, n. 455), che può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità, in relazione alla rilevanza dei fatti accertati;

- tanto in sede amministrativa, quanto in sede giurisdizionale, rileva il complesso degli elementi concreti emersi nel corso del procedimento: una visione “parcellizzata” di un singolo elemento, o di più elementi, non può che far perdere a ciascuno di essi la sua rilevanza nel suo legame sistematico con gli altri (cfr. Tar Lombardia Milano, sez. IV, 10 gennaio 2017, n. 39, che richiama sul punto, fra le tante, Consiglio di Stato, sez. III, 15 settembre 2016, n. 3889);

- con riferimento alla consistenza del quadro indiziario rilevante dell’infiltrazione mafiosa, la giurisprudenza precisa che esso deve dar conto in modo organico e coerente, ancorché sintetico, di quei fatti aventi le caratteristiche di gravità, precisione e concordanza, dai quali, sulla base della regola causale del “più probabile che non” (già Consiglio di Stato, sez. III, 7 ottobre 2015, n. 4657;
Cassazione civile, sez. III, 18 luglio 2011, n. 15709), il giudice amministrativo, chiamato a verificare l'effettivo pericolo di infiltrazione mafiosa, possa pervenire in via presuntiva alla conclusione ragionevole che tale rischio sussista, valutatene e contestualizzatene tutte le circostanze di tempo, di luogo e di persona;

- resta estranea al sistema delle informative antimafia, non trattandosi di provvedimenti nemmeno latamente sanzionatori, qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (né - tanto meno - occorre l’accertamento di responsabilità penali, quali il “concorso esterno” o la commissione di reati aggravati ai sensi dell'art. 7 della legge n. 203 del 1991), poiché simile logica vanificherebbe la finalità anticipatoria dell'informativa, che è quella di prevenire un grave pericolo e non già quella di punire, nemmeno in modo indiretto, una condotta penalmente rilevante;

- occorre valutare il rischio di inquinamento mafioso in base all’ormai consolidato criterio del più “probabile che non”, alla luce di una regola di giudizio, cioè, che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, qual è, anzitutto, anche quello mafioso;

- ne consegue che gli elementi posti a base dell’informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione;

- i fatti che l’Autorità prefettizia deve valorizzare prescindono, infatti, dall’atteggiamento antigiuridico della volontà mostrato dai singoli e finanche da condotte penalmente rilevanti, non necessarie per la sua emissione, ma sono rilevanti nel loro valore oggettivo, storico, sintomatico, perché rivelatori del condizionamento che la mafia, in molteplici, cangianti e sempre nuovi modi, può esercitare sull’impresa, anche al di là e persino contro la volontà del singolo;

- anche soggetti semplicemente conniventi con la mafia (dovendosi intendere con tale termine ogni similare organizzazione di stampo criminale “comunque localmente denominata”), per quanto non concorrenti, nemmeno esterni, con siffatta forma di criminalità, e persino imprenditori soggiogati dalla sua forza intimidatoria e vittime di estorsioni sono passibili di informativa antimafia;
ciò anche in considerazione del fatto che la criminalità organizzata di matrice mafiosa non si avvale solo di soggetti organici o affiliati ad essa, ma anche di soggetti compiacenti, cooperanti, collaboranti, nelle più varie forme e qualifiche societarie, sia attivamente, per interesse economico, politico o amministrativo, che passivamente, per omertà o, non ultimo, per il timore della sopravvivenza propria e della propria impresa;

- le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa, tipizzate dal legislatore, comprendono dunque una serie di elementi di vario genere e, spesso, anche di segno opposto, che spaziano dalla condanna, anche non definitiva, per taluni delitti da considerare sicuri indicatori della presenza mafiosa (art. 84, comma 4, lett. a), del d.l.vo n. 159 del 2011), alla mancata denuncia di delitti di concussione e di estorsione, da parte dell’imprenditore, dalle condanne per reati strumentali alle organizzazioni criminali (art. 91, comma 6, del d.l.vo n. 159 del 2011), alla sussistenza di vicende organizzative, gestionali o anche solo operative che, per le loro modalità, evidenzino l’intento elusivo della legislazione antimafia;

- esistono poi, come emerge dalla giurisprudenza formatasi sul punto nel corso degli anni, numerose altre situazioni, non tipizzate dal legislatore, che sono altrettanto sintomatiche dell’infiltrazione, nella duplice forma del condizionamento o del favoreggiamento dell’impresa;

- insomma, gli elementi di inquinamento mafioso, lungi dal costituire un numerus clausus , assumono forme e caratteristiche diverse secondo i tempi, i luoghi e le persone e sfuggono, per l’insidiosa pervasività e mutevolezza del fenomeno mafioso, ad un rigido inquadramento, tanto che il legislatore ha enucleato un catalogo aperto di situazioni sintomatiche del condizionamento mafioso;

- l’Autorità prefettizia deve valutare perciò il rischio che l’attività di impresa possa essere oggetto di infiltrazione mafiosa, in modo concreto ed attuale, sulla base dei seguenti elementi: a) i provvedimenti “sfavorevoli” del giudice penale;
b) le sentenze di proscioglimento o di assoluzione;
c) la proposta o il provvedimento di applicazione di taluna delle misure di prevenzione previste dallo stesso d.l.vo n. 159 del 2011;
d) i rapporti di parentela;
e) i contatti o i rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia;
f) le vicende anomale nella formale struttura dell’impresa;
g) le vicende anomale nella concreta gestione dell'impresa;
h) la condivisione di un sistema di illegalità, volto ad ottenere i relativi “benefici”;
i) l’inserimento in un contesto di illegalità o di abusivismo, in assenza di iniziative volte al ripristino della legalità;

- ecco, allora, che concorrono a formare un quadro indiziario significativo, innanzitutto, i provvedimenti del giudice penale che dispongano una misura cautelare o il giudizio o che rechino una condanna, anche non definitiva, di titolari, soci, amministratori, di fatto e di diritto, direttori generali dell'impresa, per uno dei delitti previsti dall’art. 84, comma 4, lett. a), del d. lgs. n. 159 del 2011;
tra questi delitti - rilevanti pur se “risalenti nel tempo” - un particolare rilievo hanno quelli di turbata libertà degli incanti (art. 353 c.p.), turbata libertà di scelta del contraente (art. 353-bis c.p.), estorsione (art. 629 c.p.), truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis c.p.), usura (art. 644 c.p.), riciclaggio (art. 648-bis c.p.) o impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita (art. 648-ter c.p.), e quelli indicati dall'art. 51, comma 3-bis, c.p.p., cioè, tra gli altri, i delitti di associazione semplice (art. 416 c.p.) o di associazione di stampo mafioso (art. 416-bis c.p.) o tutti i delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all'art. 416-bis c.p. o per agevolare le attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, nonché l'art. 12-quinquies del d.l. n. 306 del 1992, convertito con modificazioni dalla l. n. 356 del 1992;

- rilevano, altresì, tutti i provvedimenti di condanna anche non definitiva per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali, di cui all’art. 91, comma 6, del d.l.vo n. 159 del 2011;

- anche le sentenze di proscioglimento o di assoluzione hanno una specifica rilevanza, ove dalla loro motivazione si desuma che titolari, soci, amministratori, direttori generali dell'impresa, pur essendo andati esenti da condanna, abbiano comunque subìto, ancorché incolpevolmente, un condizionamento mafioso, che pregiudichi le libere logiche imprenditoriali;

- può rilevare, più in generale, qualsivoglia provvedimento del giudice civile, penale, amministrativo, contabile o tributario, quale che sia il suo contenuto decisorio, dalla cui motivazione emergano elementi di condizionamento, in qualsiasi forma, delle associazioni malavitose sull’attività dell’impresa o, per converso, l’agevolazione, l’aiuto, il supporto, anche solo logistico, che questa abbia fornito, pur indirettamente, agli interessi e agli affari di tali associazioni;

- rileva, ovviamente, anche la proposta o il provvedimento di applicazione di taluna delle misure di prevenzione, previste dallo stesso d.l.vo n. 159 del 2011, siano esse di natura personale o patrimoniale, nei confronti di titolari, soci, amministratori, direttori generali dell'impresa e dei loro parenti, proprio in coerenza con la logica preventiva e anticipatoria che sta a fondamento delle misure in esame;

- quanto ai rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell'impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni mafiose, l’amministrazione può dare loro rilievo, laddove tale rapporto, per la sua natura, intensità, o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere, secondo criteri di verosimiglianza, che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una regia familiare, di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti, ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto col proprio congiunto;

- del resto, ai rapporti di parentela l’Autorità amministrativa, in presenza di altri elementi univoci e sintomatici, può anche assimilare quei “rapporti di comparaggio”, derivanti da consuetudini di vita;
difatti, specialmente nei contesti sociali in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all'interno della famiglia si può verificare un’ “influenza reciproca” di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza;

- vale precisare che una tale influenza può essere desunta non dalla considerazione - che sarebbe in sé apodittica e in contrasto con i principi costituzionali - che il parente di un mafioso sia anch’egli mafioso, ma per la doverosa considerazione, per converso, che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della “famiglia”, sicché in una “famiglia” mafiosa anche il soggetto che non sia attinto da pregiudizio mafioso può subire, nolente, l’influenza del “capofamiglia” e dell’associazione criminale;

- sotto tale profilo, da un lato, hanno rilevanza circostanze obiettive, come a titolo meramente esemplificativo, la convivenza, la cointeressenza di interessi economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti, che pur non abbiano dato luogo a condanne in sede penale, dall’altro, rilevano le peculiari realtà locali, ben potendo l’amministrazione evidenziare come sia stata accertata l’esistenza - su un’area più o meno estesa - del controllo di una “famiglia” e del sostanziale coinvolgimento dei suoi componenti, a fortiori se questi non risultino avere proprie fonti legittime di reddito (per tali considerazioni si veda in particolare Consiglio di Stato, sez. III, 03 maggio 2016, n. 174);

- similmente, il provvedimento del Prefetto può ritenere sussistente il pericolo di condizionamento mafioso, quando l’imprenditore conviva con un congiunto, risultato appartenente ad un sodalizio criminoso;

- quanto ai contatti o ai rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia, di titolari, soci, amministratori, dipendenti dell’impresa con soggetti raggiunti da provvedimenti di carattere penale o da misure di prevenzione antimafia, l’amministrazione può ragionevolmente attribuire loro rilevanza quando essi non siano frutto di casualità o, per converso, di necessità;

- ne consegue che se di per sé è irrilevante un episodio isolato ovvero giustificabile, sono invece altamente significativi i ripetuti contatti o le frequentazioni di soggetti coinvolti in sodalizi criminali, di coloro che risultino avere precedenti penali o che comunque siano stati presi in considerazione da misure di prevenzione;

- rilevano, altresì, le vicende anomale nella formale struttura dell'impresa, sia essa in forma individuale o collettiva, nonché l’abuso della personalità giuridica;

- più in generale, possono rilevare tutte le operazioni fraudolente, che siano modificative o manipolative della struttura dell’impresa, esercitata in forma individuale o collettiva, con la precisazione che tali operazioni possono essere ritenute fraudolente quando sono eseguite al malcelato fine di nascondere o confondere il reale assetto gestionale, ovvero mediante un abuso delle forme societarie, dietro il cui schermo si vuol celare la realtà effettiva dell’influenza mafiosa, diretta o indiretta, ma pur sempre dominante;

- assumono rilevanza, inoltre, eventuali vicende anomale nella concreta gestione dell’impresa, riscontrate dal Prefetto anche mediante i poteri di accesso e di accertamento di cui alle lettere d) ed e) dell'art. 84, comma 4, del d. lgs. n. 159 del 2011, consistenti in fatti che lasciano intravedere, nelle scelte aziendali, nelle dinamiche realizzative delle strategie imprenditoriali, nella stessa fase operativa e nella quotidiana attività di impresa, evidenti segni di influenza mafiosa;

- vale precisare che può essere sufficiente a giustificare l’emissione dell’informativa anche uno dei sopra indicati elementi indiziari: la valutazione del provvedimento prefettizio si può ragionevolmente basare anche su un solo indizio, che comporti una presunzione, qualora essa sia ritenuta di tale precisione e gravità da rendere inattendibili gli elementi di giudizio ad essa contrari;

- ciò in quanto, come afferma la consolidata giurisprudenza, il ragionamento indiziario può fondarsi anche su un unico elemento presuntivo, purché non contrastato da altro ragionamento presuntivo di segno contrario, con la conseguenza che il requisito della concordanza, previsto dall'art. 2729 c.c., perde il carattere di requisito necessario e finisce per essere elemento eventuale della valutazione presuntiva, destinato ad operare solo laddove ricorra una pluralità di presunzioni (cfr., ex plurimis, Cassazione civile, sez. I, 26 marzo 2003, n. 4472).

2.2) I principi ora richiamati sono stati rispettati nel caso di specie, in quanto il provvedimento impugnato si basa su elementi di diversa natura, che, nella loro complessiva articolazione, supportano la valutazione di attuale e concreto pericolo di infiltrazione mafiosa.

Si tratta di un quadro istruttorio ampio, emergente non solo dal provvedimento impugnato, ma anche dagli atti istruttori e dalle intercettazioni valorizzate dall’amministrazione, la cui pregnanza indiziaria non è scalfita dalle contestazioni della ricorrente.

L’amministrazione non ha valorizzato un singolo elemento, consistente nei legami familiari, come asserisce la ricorrente, ma ha esaminato sia la situazione della società, considerandone la struttura organizzativa e gestionale, sia il contesto complessivo di riferimento e i rapporti con esponenti della criminalità organizzata, che hanno interessato almeno uno dei soci e uno dei dipendenti nel corso degli anni.

Si tratta, allora, di vagliare siffatti elementi, non solo nella loro individualità, al fine di verificarne la coerenza con le risultanze istruttorie, ma anche nel loro insieme, per il quadro generale che delineano, poiché l’interdittiva integra una misura preventiva la cui legittimità va valutata sulla base del complesso degli elementi emersi durante il procedimento, al di là di una visione meramente “parcellizzata”.

Quanto alla struttura societaria, la documentazione in atti evidenzia che la società -OISSIS-, è stata costituita il 31/05/1985, per lo svolgimento di attività di scavi per l’edilizia, di costruzioni e di trasporto merci per conto terzi;
con riferimento al tempo di emanazione della prima interdittiva, il capitale sociale risultava così suddiviso: a) -OISSIS- titolare del 66,67 % del capitale e rappresentante legale;
b) -OISSIS-, figlio di -OISSIS-, titolare del 16,67 %, e direttore tecnico;
c) -OISSIS-, figlia di -OISSIS-, titolare del 16,67 % del capitale.

In sede di richiesta di aggiornamento, la ricorrente ha documentato che -OISSIS- non ricopre più il ruolo di direttore tecnico e che dal 25/09/2017 -OISSIS- ha assunto anche la carica di amministratore unico della società, continuando ad esserne rappresentante e direttore tecnico, nonché titolare del 66,67 % delle quote.

I dati evidenziati palesano, in primo luogo, che si tratta di una società a ristretta base sociale e a struttura rigidamente familiare.

In tale contesto, occorre soffermarsi, in particolare, sulla figura di -OISSIS-.

Come evidenziato dai provvedimenti impugnati, egli è stato condannato con sentenza n. -OISSIS- del Tribunale di Milano, Quarta Sezione Penale, per il reato di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti di cui all’art. 260 del d.l.vo 3 aprile 2006, n. 152, alla pena di anni tre di reclusione e all’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni, dall’esercizio degli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese, dall’esercizio di impianti di recupero o smaltimento o trattamento di rifiuti e a contrarre con la pubblica amministrazione per due anni.

La citata sentenza è stata confermata dalla Corte di Appello di Milano, Quinta Sezione Penale, con sentenza n. -OISSIS-.

Le sentenze indicate riferiscono di rapporti economici intrattenuti, in modo continuativo, da -OISSIS- con soggetti contigui alla criminalità organizzata e titolari di società destinatarie di provvedimenti interdittivi antimafia.

In particolare, sono documentati i continui contatti e i durevoli rapporti economici instaurati da -OISSIS- con -OISSIS-, soggetto contiguo alla ‘ndrangheta calabrese, legale rappresentante della società “-OISSIS-”, interdetta con provvedimento della Prefettura di Milano del 16/05/2013 e socio della “-OISSIS-”, interdetta con provvedimento della Prefettura di Milano del 10/06/2013.

Gli accertamenti dei giudici penali riferiscono di un’articolata attività organizzata per l’illecito smaltimento di ingenti quantitativi di rifiuti speciali, gestito dalla società -OISSIS-con la partecipazione di numerose società fra le quali la -OISSIS- e la-OISSIS-.

In sintesi, come emerge dalle sentenze e chiaramente precisato dai provvedimenti impugnati, i rifiuti speciali, prelevati dai cantieri milanesi, venivano gestiti dalla -OISSIS-, previa falsificazione dei formulari e dei documenti di trasporto, effettuata con transito apparente presso gli impianti di talune società, fra le quali la -OISSIS-, indicate come destinatari dello smaltimento dei rifiuti, che in realtà venivano “dirottati”, senza alcun trattamento, presso destinazioni diverse.

In particolare, i rifiuti speciali venivano trasportati dalla società -OISSIS- presso gli impianti della -OISSIS-, dove non venivano sottoposti ad alcun trattamento, ma semplicemente “declassificati”, per poi essere indirizzati presso le cave di destinazione finale, mediante un sistema di c.d. giro bolle.

Le indagini sottese alle condanne penali suindicate evidenziano che -OISSIS- è soggetto sicuramente legato alla criminalità, che per il conseguimento e la gestione di commesse inerenti al movimento terra in Lombardia si è rivolto sistematicamente a personaggi di spicco della criminalità organizzata quali -OISSIS-, che gli indicavano, di volta in volta, quanti e quali mezzi doveva inviare sui cantieri.

Insomma, -OISSIS- ha instaurato stabili relazioni economiche con esponenti delle famiglie ‘ndranghetiste -OISSIS-.

Le indagini palesano che -OISSIS- è il “punto di riferimento per i clan calabresi, in grado di trovare i giusti agganci per lo smaltimento dei rifiuti prodotti dai cantieri, diventando lui stesso e la sua società la porla attraverso la quale essi riescono ad entrare nei cantieri privati e in quelli pubblici eludendo i relativi controlli”.

Il meccanismo ora descritto coinvolgeva direttamente la società -OISSIS-, come emerge dalle intercettazioni, laddove -OISSIS-, parlando telefonicamente con -OISSIS- – fratello di -OISSIS- e dipendente della -OISSIS- – descrive l’operazione di falsificazione dei formulari effettuata mediante una falsa vidimazione di transito, attestante la ricezione del rifiuto e il suo trattamento, ancorché mai eseguito.

Non solo, durante tale conversazione -OISSIS- chiede a -OISSIS- se siano stati predisposti i documenti dati “prima da timbrare”, quelli “che ho lasciato ad -OISSIS-”;
-OISSIS- risponde affermativamente e -OISSIS- avvisa che sarebbe andato a ritirarli.

A fronte di tali risultanze probatorie, è del tutto ragionevole, perché basata su oggettivi dati istruttori, la valutazione dell’amministrazione, laddove afferma che -OISSIS- è direttamente coinvolto nel sistema di falsificazione dei formulari e che ciò ha dato vita ad un collaudato e consolidato rapporto tra -OISSIS- e -OISSIS-, volto alla perpetrazione dell’indicata attività illecita.

Tanto -OISSIS-, dipendente della società ricorrente, quanto -OISSIS-, socio e direttore tecnico della società al tempo dei fatti, hanno intrattenuto rapporti durevoli di matrice economica con soggetti sicuramente legati alla criminalità organizzata di matrice mafiosa, utilizzando la ditta -OISSIS- per la consumazione dell’attività illecita, che è stata accertata dal giudice penale.

L’insieme degli elementi ora evidenziati è stato posto dalla Prefettura di Milano, espressamente o mediante il rinvio agli istruttori, a fondamento dell’interdittiva impugnata, la quale, pertanto, si fonda - contrariamente a quanto adombrato dalla ricorrente - su una corretta rappresentazione della situazione di fatto riferibile alla struttura societaria di -OISSIS-, al contesto familiare di riferimento e ai rapporti intrattenuti con persone legate ad esponenti di associazioni criminali di tipo mafioso.

Non è condividibile la tesi per cui i provvedimenti impugnati poggerebbero su un corredo motivazionale insufficiente.

In relazione al tema dell’adeguatezza della motivazione dei provvedimenti interdittivi antimafia, la giurisprudenza (per la sintesi dell’interpretazione giurisprudenziale si considerino, tra le altre, Consiglio di Stato, sez. III, 03 maggio 2016, n. 1743;
Consiglio di Stato, sez. III, 20 luglio 2016, n. 3299) ha, da tempo, tracciato alcune linee interpretative, in coerenza con la peculiarità dei presupposti, dell’oggetto e degli effetti dell’interdittiva stessa, precisando che:

- la motivazione dell’informativa deve “scendere nel concreto” e cioè deve indicare sia gli elementi di fatto posti a base delle relative valutazioni, sia le ragioni in base alle quali gli elementi emersi nel corso del procedimento siano tali da indurre a concludere in ordine alla sussistenza dei relativi presupposti e, dunque, in ordine alla “perdita di fiducia”, nel senso di perdita dell’affidabilità, che le Istituzioni nutrono nei confronti dell'imprenditore;

- non solo, qualora i fatti valutati risultino chiari ed evidenti o quanto meno altamente plausibili, ad esempio perché risultanti da articolati provvedimenti dell’Autorità giudiziaria o da relazioni istruttorie, il provvedimento prefettizio si può anche limitare a rimarcare la loro sussistenza, provvedendo di conseguenza, atteso che anche nel settore in esame la motivazione può essere formulata ob relationem;

- ove, invece, i fatti emersi nel corso del procedimento risultino in qualche modo marcatamente opinabili, e si debbano effettuare collegamenti e valutazioni, il provvedimento prefettizio deve motivatamente specificare quali elementi ritenga rilevanti e come essi si leghino tra loro;

- quand’anche il provvedimento prefettizio contenga una motivazione poco curata o scarna, come accade qualora si sia limitata ad elencare o a richiamare le risultanze procedimentali, senza alcuna rielaborazione concettuale, profili di eccesso di potere possono risultare effettivamente sussistenti solo se, a loro volta, anche gli atti del procedimento non siano congruenti e siano carenti di effettivi contenuti, frettolosi o immotivati e, sostanzialmente, non sindacabili nemmeno nel loro valore indiziario;

- di conseguenza profili di inadeguatezza della valutazione vanno esclusi se - mediante una motivazione ob relationem - negli atti risultino richiamate le effettive ragioni sostanziali poste a base del provvedimento prefettizio;

- in ogni caso, l’impianto motivazionale dell’informativa (ex se o col richiamo agli atti istruttori) deve fondarsi su una rappresentazione complessiva, riferibile all’Autorità prefettizia, degli elementi di permeabilità criminale, che possano influire anche indirettamente sull’attività dell’impresa, la quale si viene a trovare in una condizione di potenziale asservimento, o, comunque, di condizionamento, rispetto alle iniziative della criminalità organizzata di stampo mafioso.

Nel caso di specie i parametri ora indicati sono stati rispettati dall’amministrazione.

Invero, il provvedimento reca, oltre ad un puntuale richiamo agli atti istruttori, l’esplicita enucleazione delle ragioni dell’interdittiva, riferendosi tanto alle condanne riportate da -OISSIS-, quanto allo spessore criminale dei soggetti con cui si è rapportato nel perpetrare, mediante l’utilizzo della struttura aziendale della società -OISSIS-, l’attività di gestione illecita di rifiuti per la quale è stato condannato.

Va precisato che, nel contesto complessivo dei provvedimenti impugnati, il riferimento alla condanna appena indicata, non assume rilevanza come mera esplicitazione di un dato storico-giuridico, ma rende manifesta la reale dimensione criminale delle persone coinvolte nella vicenda in esame.

In tal senso è significativo il consolidato legame tra -OISSIS- e lo zio -OISSIS- con -OISSIS-, gestore delle società implicate con la -OISSIS- nel traffico di rifiuti e legato a numerosi esponenti della criminalità organizzata di matrice ‘ndranghetista.

Non solo, le sentenze di condanna richiamate descrivono un intreccio di affari economici tra -OISSIS- e le società gestite da -OISSIS-, caratterizzato da un collaudato modus operandi, che testimonia la durevolezza e la stabilità dei legami tra le indicate società per la realizzazione di un traffico illecito di rifiuti in connessione con esponenti di note famiglie della ‘ndrangheta.

Insomma, la circostanza che l’interdittiva si diffonda nella narrazione delle vicende penali non è la conseguenza dell’asserito appiattimento sulla relazione delle Forze dell’ordine, ma ha la funzione di esplicitare il contesto in cui viene a situarsi l’attività di -OISSIS-.

Non solo, il puntuale riferimento ai legami familiari esistenti tra i soci -OISSIS- (padre), -OISSIS- (figlio), -OISSIS- (figlia) e i dipendenti, come -OISSIS- (fratello di A) evidenzia la ristretta base sociale e la sua struttura rigidamente familiare.

In tal senso è significativo che la sentenza della Corte d’Appello che ha condannato -OISSIS-, ha trattato anche la posizione dell’imputato -OISSIS-, evidenziando, da un lato, che costui è stato dal 1999 amministratore unico e legale rappresentante della -OISSIS-, oltre che socio al 50% con la moglie, dall’altro, che sussisteva un lunghissimo e collaudato rapporto di collaborazione tra la -OISSIS- e la -OISSIS-, infine, precisando che i dati raccolti, pur importanti, non consentivano la condanna dell’imputato in ordine al delitto a lui ascritto “al di là di ogni ragionevole dubbio”.

Ecco, allora, che l’impianto motivazionale delle interdittive dimostra che l’esistenza di relazioni tra -OISSIS- e le società di -OISSIS- – a sua volta espressione della criminalità organizzata di matrice ‘ndranghetista – non è l’effetto della condotta del solo -OISSIS-, ma la conseguenza di una condotta riferibile all’intera compagine amministrativa della società.

2.3) Neppure può essere condivisa la censura di irragionevolezza della motivazione sollevata dalla ricorrente, secondo la quale l’affermazione dell’attuale pericolo di infiltrazione mafiosa sarebbe del tutto apodittica, perché non supportata da un coerente quadro indiziario.

Invero, il quadro indiziario esposto dall’amministrazione, oltre ad essere tutt’altro che carente sul piano della pregnanza significativa, risulta coerente con il paradigma indiziario ed interpretativo di riferimento, enucleato dalla consolidata giurisprudenza già esaminata.

In particolare: la società ricorrente è a base rigidamente familiare;
le intercettazioni telefoniche e le sentenze di condanna evidenziano stabili e durevoli rapporti economici, finalizzati a realizzare un traffico illecito di rifiuti, tra i gestori dell’azienda e imprenditori legati alla criminalità organizzata;
nella gestione delle società erano direttamente coinvolti non solo -OISSIS-, ma anche -OISSIS- e -OISSIS-, ossia l’intera compagine gestionale dell’azienda.

In tale contesto, il riferimento al tempo trascorso dalla commissione dei fatti di reato non vale ad escludere il pericolo di infiltrazione criminale.

Sul punto, la giurisprudenza consolidata evidenzia che il mero decorso del tempo è in sé un elemento neutro, che non smentisce, da solo, la persistenza di legami, vincoli e sodalizi e comunque non dimostra, da solo, l'interruzione di questi, se non corroborato da ulteriori e convincenti elementi indiziari, ma anche perché trascura di considerare che l'infiltrazione mafiosa, per la natura stessa delle organizzazioni criminali dalle quali promana e per la durezza e, insieme, durevolezza dei legami che esse instaurano con il mondo imprenditoriale, ha una stabilità di contenuti e, insieme, una mutevolezza di forme, economiche e giuridiche, capace di sfidare il più lungo tempo e di occupare il più ampio spazio possibile (cfr. Consiglio di Stato, III, 7 ottobre 2015 n. 4657).

Del resto, l’interdittiva ha una funzione spiccatamente preventiva, essendo rivolta ad evitare il pericolo di infiltrazione mafiosa e ad essa non si correla alcun effetto sanzionatorio, sicché non postula l’accertamento di reati o di comportamenti in sé penalmente rilevanti, ma il riscontro di elementi rilevanti nel loro valore oggettivo, storico, sintomatico, perché rivelatori del condizionamento che la mafia può esercitare sull'impresa anche al di là e persino contro la volontà del singolo (cfr. giur cit e in particolare Consiglio di Stato,10 marzo 2017, n. 1131).

In tale contesto, il riferimento, contenuto nell’interdittiva, tanto ai legami familiari che connotano i gestori della -OISSIS-, quanto agli stretti rapporti d’affari con le società di -OISSIS-, non integra una mera “suggestione”, come sostenuto negli atti difensivi della ricorrente, ma integra la doverosa evidenziazione del reale contesto in cui opera la società interdetta.

Né è condivisibile l’obiezione secondo la quale mancherebbe l’attualità del pericolo di infiltrazione, a causa della mancata dimostrazione dell’attuale appartenenza di taluno dei familiari ad un’organizzazione criminale.

Invero, l’attualità del pericolo non presuppone l’attuale inserimento di uno dei gestori dell’azienda in un’organizzazione criminale, ma emerge dalla perdurante esistenza di una situazione tale da evidenziare, nel contesto complessivo di riferimento e al di là di ogni strumentale parcellizzazione, la contiguità della compagine societaria ad esponenti della criminalità organizzata.

Nel caso in esame si è assistito all’instaurazione di una vera e propria “comunanza di affari tra la società ed esponenti della criminalità organizzata”, atteso che -OISSIS- ha operato con le società di -OISSIS- dando vita ad un traffico illecito di rifiuti inserito nelle attività proprie di specifiche e note famiglie ‘ndranghetiste.

Non solo le condotte penalmente rilevanti per le quali -OISSIS- è stato condannato, ma anche il complesso degli elementi che caratterizzano la gestione e l’attività dell’impresa confermano la contiguità dell’impresa alla criminalità organizzata.

Simili dati, presi in esame dall’amministrazione nel caso concreto, appaiono rilevanti per il loro valore oggettivo, storico, sintomatico, in quanto rivelatori del condizionamento che la mafia, attraverso molteplici schemi d’azione non rigidamente predeterminabili, può esercitare sull’impresa, anche al di là e persino contro la volontà del singolo amministratore.

Del resto, ciò che rileva è il pericolo di assoggettamento dell’impresa alla gestione mafiosa, non l’attuale dimostrazione di una perdurante condivisione economica dell’azienda con la criminalità organizzata.

In definitiva, nel caso di specie, l’amministrazione, oltre ad avere preso in esame un quadro istruttorio completo, ha chiaramente evidenziato, anche mediante il rinvio agli atti istruttori, la situazione di fatto e le ragioni sottese all’interdittiva adottata, che complessivamente e oggettivamente esprimono, sostenute da valutazioni coerenti e ragionevoli, l’attuale pericolo di infiltrazione mafiosa nei confronti della ricorrente.

Né tale situazione è mutata per effetto delle variazioni intervenute dopo l’adozione della prima interdittiva.

La ricorrente ritiene che l’amministrazione non avrebbe coerentemente valutato le misure di self cleaning poste in essere dalla compagine aziendale.

In particolare, si evidenzia che -OISSIS- non ricopre più il ruolo di direttore tecnico e che, dal 25/09/2017, in sostituzione di -OISSIS-, la carica di amministratore unico della -OISSIS- è ricoperta da -OISSIS-, rappresentante e direttore tecnico della società, nonché titolare del 66,67 % del capitale.

Sul punto, va osservato che il capitale sociale è ancora diviso tra i tre soci -OISSIS-, -OISSIS- e -OISSIS-.

La circostanza che quest’ultimo non sia più direttore tecnico non muta, nella sostanza, la realtà della situazione aziendale, atteso che egli conserva la quota di capitale sociale di cui era titolare al tempo dei fatti esaminati dai provvedimenti prefettizi.

Insomma, la base rigidamente familiare della gestione e della proprietà societaria, in presenza della quale è stato realizzato un intreccio di affari economici illeciti con persone legate alla criminalità organizzata di matrice mafiosa, non è mutata e ciò rende del tutto coerente con il parametro del “più probabile che non” la valutazione di attuale pericolo di infiltrazione mafiosa formulata dall’amministrazione.

Né rileva la circostanza che -OISSIS- abbia assunto il ruolo di amministratore unico della società, atteso che le indagini di polizia e la stessa sentenza con la quale è stato condannato -OISSIS-, attestano che le relazioni esistenti tra la -OISSIS- e le società gestite da -OISSIS-, come -OISSIS-, sono di lunga data e risalgono agli anni in cui (a partire dal 1999), proprio -OISSIS- era amministratore unico e legale rappresentante della -OISSIS-, oltre che socio al 50% con la moglie.

Ne deriva che la circostanza che ora -OISSIS- rivesta nuovamente l’incarico di amministratore unico non crea alcuna discontinuità nella struttura della gestione aziendale in presenza della quale si sono verificati i fatti posti a base delle interdittive impugnate.

Ecco, allora, che risulta del tutto ragionevole la valutazione dell’amministrazione laddove evidenzia l’attualità del pericolo di infiltrazione criminale.

Va, pertanto, ribadita l’infondatezza delle censure proposte.

Sono infondate anche le censure sviluppate, in termini di illegittimità derivata e propria, avverso il provvedimento che ha disposto la cancellazione della ricorrente dalla withe list.

In primo luogo, è evidente che l’insussistenza dei vizi denunciati dalla ricorrente in ordine all’interdittiva antimafia esclude la configurabilità dell’illegittimità derivata del provvedimento di cancellazione, sicché la censura sollevata sul punto è destituita di fondamento.

Parimenti, non possono essere condivise le censure con le quali la ricorrente lamenta l’irragionevolezza della determinazione.

Invero, l’interdittiva è un provvedimento volto alla cura degli interessi di rilievo pubblico - attinenti all’ordine e alla sicurezza pubblica nel settore dei trasferimenti e di impiego di risorse economiche dello Stato, degli enti pubblici e degli altri soggetti presi in considerazione dalla normativa di riferimento - il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva all’Autorità di pubblica sicurezza, sicché una volta intervenuta, rende dovuta e vincolata ogni ulteriore determinazione amministrativa.

Insomma, “ogni successiva statuizione” dell’amministrazione “si configura, in conseguenza, dovuta e vincolata a fronte del giudizio di disvalore dell'impresa …” (cfr. in argomento Consiglio di Stato, sez. III, 12 marzo 2015, n. 1292).

Ne deriva che la cancellazione della società dalla white list è un atto dovuto e vincolato, in ragione delle interdittive adottate, con conseguente infondatezza delle doglianze sviluppate sul punto dalla ricorrente.

3) In definitiva, il ricorso è infondato e deve essere respinto

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

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