TAR Roma, sez. 5S, sentenza 2024-08-29, n. 202415989
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Testo completo
Pubblicato il 29/08/2024
N. 15989/2024 REG.PROV.COLL.
N. 14483/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Quinta Stralcio)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 14483 del 2019, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato L B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Chiuduno, via C. Battisti n. 6;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria
ex lege
in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l’annullamento
del provvedimento K10/-OMISSIS- emesso dal Ministero dell’interno in data 4 luglio 2019 e notificato alla ricorrente in data 6 settembre 2019, con il quale respinge l’istanza della sig.ra -OMISSIS- volta all’ottenimento della cittadinanza italiana per naturalizzazione
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 17 maggio 2024 la dott.ssa Antonietta Giudice e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
I. – La ricorrente ha presentato istanza intesa ad ottenere la concessione della cittadinanza italiana, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992, in data 8 luglio 2015.
II. - Esperita l’istruttoria di rito, l’Amministrazione con d.m. 4 luglio 2019 ha repsinto la domanda, previa comunicazione del preavviso di rigetto all’interessata, a causa di una notizia del 20 aprile 2017 per lesioni personali ex art. 582 c.p.
III. – Con l’atto introduttivo del giudizio si deduce l’illegittimità dell’atto impugnato e se ne chiede l’annullamento dell’efficacia, lamentando il mancato rispetto del termine di conclusione del procedimento, che avrebbe nella prospettazione attorea dato vita alla formazione del silenzio-assenso, e la mancata rappresentazione delle ragioni per poste alla base del diniego, frustando il principio della buona amministrazione (art. 97 Cost.), nonché dell’obbligo di motivazione degli atti amministrativi.
IV. - Il Ministero dell’interno, costituito in giudizio per resistere al ricorso ha depositato documenti del fascicolo del procedimento e una relazione difensiva, contestando nel merito le censure ex adverso svolte e concludendo per il rigetto della domanda di annullamento del diniego impugnato.
V. – All’udienza straordinaria del 17 maggio 2024, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
I. - Il ricorso è infondato.
II. – Deve essere preliminarmente scrutinato il rilievo sul mancato rispetto del termine previsto per la conclusione del procedimento, vigente ratione temporis .
La censura è priva di pregio.
In effetti, per la richiesta di cittadinanza per naturalizzazione di cui all'articolo 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91 del 1992 non sussiste alcun limite temporale che impedisca l'adozione di un provvedimento negativo (cfr. Tar Lazio, Sez. II quater, sentenza n. 9800/2013): come affermato costantemente dalla giurisprudenza - che l’amministrazione intimata correttamente richiama - il mancato rispetto del termine per la conclusione del procedimento legittima soltanto il ricorso al giudice amministrativo per la dichiarazione dell'obbligo dell'Amministrazione di provvedere espressamente sulla domanda (Tar Lazio, , sez. V bis, sentenze nn. 8041, 8852, 9418 del 2022;sez. II - quater, sentenze n. 1171 del 2012;n. 4021 del 2012;n. 4369 del 2013).
II. - In ordine alle restanti censure, relative alla motivazione del provvedimento, il Collegio reputa utile una premessa di carattere teorico in ordine al potere attribuito all’amministrazione in materia, all’interesse pubblico protetto e alla natura del relativo provvedimento (vedi, da ultimo, TAR Lazio, sez. V bis, n. 2943, 2944, 2945, 3018 e 3471/2022).
L'acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione, che presuppone l'esplicarsi di un'amplissima discrezionalità in capo all'Amministrazione. Ciò si desume, ictu oculi , dalla norma attributiva del potere, l’art. 9, comma 1, della legge n. 91/1992, a tenore del quale la cittadinanza “ può ” - e non “ deve ” - essere concessa.
La dilatata discrezionalità in questo procedimento si estrinseca attraverso l’esercizio di un potere valutativo che si traduce in un apprezzamento di opportunità in ordine al definitivo inserimento dell'istante all'interno della comunità nazionale, apprezzamento influenzato e conformato dalla circostanza che al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti - consistenti, sostanzialmente, oltre nel diritto di incolato, nei “diritti politici” di elettorato attivo e passivo (che consentono, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del Paese di cui si entra a far parte e la possibilità di assunzione di cariche pubbliche) - ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità – consistente nel dovere di difenderla anche a costo della propria vita in caso di guerra (“ il sacro dovere di difendere la Patria ” sancito, a carico dei soli cittadini, dall’art. 52 della Costituzione), nonché, in tempo di pace, nell'adempimento dei “ doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale ”, consistenti nell’apportare il proprio attivo contributo alla Comunità di cui entra a far parte (art. 2 e 53 Cost.).
A differenza dei normali procedimenti concessori, che esplicano i loro effetti esclusivamente sul piano di uno specifico rapporto Amministrazione/Amministrato, l’ammissione di un nuovo componente nell’elemento costitutivo dello Stato (Popolo), incide sul rapporto individuo/Stato-Comunità, con implicazioni d’ordine politico-amministrativo;si tratta, pertanto, di determinazioni che rappresentano un'esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (vedi, da ultimo, Consiglio di Stato, sez. III, 7.1.2022 n. 104;cfr. Cons. Stato, AG, n. 9/1999;sez. IV n. 798/1999;n. 4460/2000;n. 195/2005;sez, I, n. 1796/2008;sez. VI, n. 3006/2011;Sez. III, n. 6374/2018;n. 1390/2019, n. 4121/2021;TAR Lazio, Sez. II quater, n. 10588 e 10590 del 2012;n. 3920/2013;4199/2013).
È stato, in proposito, anche osservato che il provvedimento di concessione della cittadinanza refluisce nel novero degli atti di alta amministrazione, che sottende una valutazione di opportunità politico-amministrativa, caratterizzata da un altissimo grado di discrezionalità nella valutazione dei fatti accertati e acquisiti al procedimento: l'interesse dell'istante ad ottenere la cittadinanza deve necessariamente coniugarsi con l'interesse pubblico ad inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale.
E se si considera il particolare atteggiarsi di siffatto interesse pubblico, avente natura “composita”, in quanto coevamente teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell’identità nazionale, è facile comprendere il significativo condizionamento che ne deriva sul piano dell’ agere del soggetto alla cui cura lo stesso è affidato.
In questo quadro, pertanto, l’amministrazione ha il compito di verificare che nel soggetto istante risiedano e si concentrino le qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l’assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprime integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile.
La concessione della cittadinanza deve rappresentare il suggello sul piano giuridico di un processo di integrazione che nei fatti sia già stato portato a compimento, la formalizzazione di una preesistente situazione di “cittadinanza sostanziale” che giustifica l’attribuzione dello status giuridico (in proposito, Tar Lazio, Sez. II quater, sent. n. 621/2016: “ concessione che costituisce l’effetto della compiuta appartenenza alla comunità nazionale e non causa della stessa ”).
In altre parole, si tratta di valutare il possesso di ogni requisito atto ad assicurare l’inserimento in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all’ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato, gravare sulla finanza pubblica (cfr. ex multis , Tar Lazio, Roma, Sez. I ter, n. 3227 e n. 12006 del 2021 e sez. II quater, n. 12568/ 2009;Cons. Stato, sez. III, n. 104/2022;n. 4121/2021;n. 7036 e n. 8233 del 2020;n. 1930, n. 7122 e n. 2131 del 2019;n. 657/2017;n. 2601/2015;sez. VI, n. 3103/2006;n.798/1999).
III. - Se, dunque, il potere dell’Amministrazione ha natura discrezionale, il sindacato giurisdizionale sulla valutazione dell’effettiva e compiuta integrazione nella comunità nazionale deve essere contenuto entro i ristretti argini del controllo estrinseco e formale, esaurendosi nello scrutinio del vizio di eccesso di potere, nelle particolari figure sintomatiche dell’inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o difetto di motivazione, con preclusione di un’autonoma valutazione delle circostanze di fatto e di diritto oggetto del giudizio di idoneità richiesto per l’acquisizione dello status di cui è causa;il vaglio giurisdizionale non deve sconfinare nell’esame del merito della scelta adottata, riservata all’autonoma valutazione discrezionale dell’Amministrazione ( ex multis , Cons. Stato, sez. III, 7.1.2022 n. 104;Sez. IV, n. 6473/2021;Sez. VI, n. 5913/2011;n. 4862/2010;n. 3456/2006;Tar Lazio, Sez. I ter, n. 3226/2021, Sez. II quater, n. 5665/2012).
IV. - Alla luce del quadro ricostruito, è possibile escludere la fondatezza delle censure formulate da parte attrice, che, sono volte a confutare l’operato dell’amministrazione resistente che ha formulato un giudizio di mancata integrazione nella comunità nazionale sulla base delle risultanze del rapporto informativo della prefettura e della Questura territorialmente competenti. In particolare, nel corso dell’attività istruttoria è emersa a carico della ricorrente una notizia di reato del 20 aprile 2017, per la fattispecie delittuosa di lesioni personali, di cui all’art. 582 c.p.
In altri termini, avverso il diniego impugnato l’istante deduce il vizio carenza della motivazione e difetto di istruttoria, assumendo la ricorrente che la notizia di reato, segnalata quale unico pregiudizio penale a carico è stata acriticamente recepita nella sua storicità senza alcun autonomo vaglio critico, come dato idoneo ad accreditare un giudizio di disvalore ai fini della concessione della cittadinanza, senza una valutazione del caso concreto né un'approfondita analisi del vissuto dell'istante e del contesto familiare, sociale ed economico che la qualifica.
Di contro il Collegio osserva sul piano della significatività della condotta contestata all’interessata che la stessa è stata posta in essere in concomitanza dell’ iter procedimentale e della fase di raccolta di tutti gli elementi idonei a condurre una puntuale valutazione della richiedente lo status , per cui non può escludersi che la p.a. abbia a ragione ritenuto di trovarsi al cospetto di una “ situazione di astratta pericolosità ”.
In questa prospettiva dunque, non appare irragionevole la determinazione di cui al decreto impugnato, visto che l’autorità chiamata a valutare la meritevolezza al rilascio dello status ha dovuto tenere conto della riconducibilità all’istante di un fatto rispetto a cui è stata formulata un’ipotesi di reato, per la fattispecie di lesioni personali, posta in essere nelle more del procedimento concessorio (segnatamente il 20 aprile 2017). È chiaro, infatti, che una simile circostanza, anche in (e proprio a causa della) mancanza di definizione sul piano penale, ha finito non irragionevolmente per riflettersi in maniera negativa sulla formulazione del giudizio prognostico di idoneità da parte dell’amministrazione, chiamata a contemperare l’interesse pubblico composito da tutelare, come in premessa individuato, e l’interesse vantato dal richiedente, risultato destinatario di un procedimento penale.
È pacifico in giurisprudenza che lo stadio del procedimento penale, la natura del reato commesso, nonché il quando della condotta rispetto al momento in cui l'istanza di concessione della cittadinanza viene proposta e al procedimento amministrativo sono tutti profili che incidono sul livello di discrezionalità dell'amministrazione per la quale la valutazione della condotta penalmente rilevante deve costituire, a norma di legge, uno degli elementi rilevanti ai fini della decisione sulla concessione della cittadinanza (cfr. ex plurimis , Consiglio di Stato sez. I, 04/04/2022, n.713;cfr., in senso conforme, Cons. Stato, Sez. II, 31 maggio 2021, n. 4151).
D’altronde, nella vicenda in esame non emerge tanto un giudizio di pericolosità, che potrebbe comportare anche la revoca del titolo di soggiorno, ma una valutazione di non adeguatezza della ricorrente ad uno stabile inserimento nella comunità nazionale, sussistendo forte incertezza – in pendenza di un procedimento penale in corso di definizione per un fatto niente affatto vetusto – sul possesso del requisito di una condotta irreprensibile.
Difatti, sul piano amministrativo, visto che la valutazione che l’Amministrazione è chiamata a compiere per concedere lo status di cittadino ha riguardo principalmente all’interesse pubblico alla tutela dell’ordinamento, la condotta comunque addossata all’istante rileva per il particolare valore sintomatico che può assumere in quel procedimento (Consiglio di Stato, Sez. III, 14 febbraio 2022, n. 1057;id. 28 maggio 2021, n. 4122;id., 16 novembre 2020, n. 7036;id., 23 dicembre 2019, n. 8734;id., 21 ottobre 2019, n. 7122;id., 14 maggio 2019, n. 3121;sez. IV, n. 1788/2009, n. 4862/2010;T.A.R. Lazio sez. V bis, nn. 2944, 4469 e 4651 del 2022;sez. II quater, n. 10590/12;10678/2013).
Invero, il riconoscimento della cittadinanza, per sua natura irrevocabile, presuppone, altresì, che “ nessun dubbio, nessuna ombra di inaffidabilità del richiedente sussista, anche con valutazione prognostica per il futuro, circa la piena adesione ai valori costituzionali su cui Repubblica Italiana si fonda ” (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 14 febbraio 2017, n. 657;n. 1390/19;n. 3121/2019;n. 7122/19;n 7036/20;sez. VI, n. 3106/2006;TAR Lazio, sez. I ter, n. 5917/2021;sez. II quater, n. 12568/2009).
Ebbene, nel caso di specie, l’emersione di pregiudizi penale cronologicamente coevi al procedimento concessorio, in cui viene scandagliato il contegno complessivo dell’istante durante la sua permanenza sul territorio nazionale, ha fornito un quadro personale della ricorrente inidoneo a fornire garanzia di un suo proficuo stabile inserimento nell’ambito della comunità nazionale, tale da escludere per il futuro inconvenienti o, addirittura, la commissione di fatti di rilievo penale (cfr. Tar Lazio, sez. II quater, n. 12568 del 2009).
È chiaro dunque che, ai fini della valutazione della significatività dei comportamenti addebitati alla richiedente ha inciso particolarmente l’elemento del tempus commissi delicti , collocandosi la condotta addossata nel c.d. “periodo di osservazione” - che coincide con il decennio antecedente la presentazione dell’istanza e a fortiori con quello successivo rappresentato dal frangente temporale in cui si dipana il procedimento amministrativo fino eventualmente alla concessione dello status e al giuramento – nel corso del quale devono essere maturati e conservati i requisiti per la cittadinanza, ai sensi dell'art. 9 legge n. 91 del 1992, inclusi quelli dell’irreprensibilità della condotta, salve le fattispecie di particolare gravità che possono essere apprezzate nel loro particolare valore “sintomatico”, in quanto indicative di tendenze caratteriali, anche oltre il decennio (Consiglio di Stato sez. VI n. 52/2011, Consiglio di Stato sez. III n. 1726/2019, 5271/2019, 4122/2021;TAR Lazio, sez. II quater, n. 10678/2013, 5615/2015, 5917/2021;cfr. TAR Lazio, sez. V bis, n. 2643, 2644, 2945, 2946, 4469, 4618, 4621, 4623, 11286 e 11026 del 2022, nonché, da ultimo, n. 10363/2024: “ il requisito della residenza legale da almeno di 10 anni nel territorio della Repubblica prescritto dal comma 1 lett. f) della richiamata disposizione va inteso non solo nel senso “quantitativo” della “durata minima del soggiorno” che legittima la presentazione dell’istanza, in quanto indicativo del “legame” che si è venuto a instaurato con il Paese di accoglienza, ma anche nel senso “qualitativo” del “periodo di osservazione” in cui chi aspira ad essere ammesso in una Comunità politica, per determinarne le sorti, assumendo diritti politici ed esercitato funzioni pubbliche, deve dare prova di saper mantenere – per lo meno nell’arco dell’ultimo decennio - un “comportamento senza mende” in modo da dimostrare di aver conseguito un adeguato grado di assimilazione dei valori fondanti per la nostra Comunità ”);valore sintomatico che, in effetti, è tanto maggiore quanto più il fatto pregiudizievole è temporalmente vicino alla presentazione della domanda di cittadinanza (addirittura, nel caso in esame, è stato commesso dopo la presentazione della stessa) e quindi, a maggior ragione, all’adozione del provvedimento.
VI. – Alla luce delle argomentazioni svolte, il provvedimento appare posarsi su un adeguato sostrato istruttorio e motivazionale, vista la contestazione di fatti penalmente rilevanti, posti in essere nelle more della fase istruttoria del procedimento concessorio e atteso l’inevitabile negativo riflesso che una simile circostanza finisce per avere nella formulazione del giudizio prognostico di idoneità e di capacità di rispettare le regole di civile convivenza e i valori identitari dello Stato, ad onta, come nel caso di specie, della dedotta avvenuta integrazione dello straniero nella comunità nazionale.
Sul punto questa Sezione, peraltro, ha più volte chiarito che lo stabile inserimento socio-economico non rappresenta un elemento degno di speciale merito, in grado di far venir meno i constatati motivi ostativi alla concessione dello status anelato, esso è solo il prerequisito della richiesta di cittadinanza, in quanto presupposto minimo per conservare il titolo di soggiorno, che autorizza la permanenza dello straniero sul territorio nazionale ( ex multis , Cons. Stato, Sez. III, n. 8050/2023;n. 6720/2021, n. 3896/2021;Tar Lazio, Sez. V bis, nn. n. 20023 del 2023;2945 e 4295 del 2022).
L’inserimento sociale e professionale del richiedente rappresenta un elemento sintomatico di una raggiunta situazione di normalità che consente la permanenza dello straniero in Italia, ma non consiste in una particolare benemerenza tale da indurre la Pubblica Amministrazione a ritenere l’interesse pubblico ad integrare nella comunità nazionale un elemento se ha dimostrato di non condividerne i fondamentali valori di solidarietà e sicurezza.
In altre parole, si richiede che l’istante sia non solo materialmente in condizioni di effettivo inserimento nella società italiana, ma che sul piano dei valori mostri, indefettibilmente, una convinta adesione ai valori fondamentali dell'ordinamento di cui egli chiede di far parte con il riconoscimento della cittadinanza.
VII. - In ogni caso, a favore della posizione della ricorrente, il Collegio ritiene opportuno rammentare che il diniego della cittadinanza non preclude all’interessata di ripresentare l’istanza nel futuro e che dunque le conseguenze discendenti dal provvedimento negativo sono solo temporanee e non comportano alcuna “ interferenza nella vita privata e familiare del ricorrente ” (art. 8 CEDU, art. 7 Patto internazionale diritti civili e politici), dato che l’interessata può continuare a rimanere in Italia ed a condurvi la propria esistenza alle medesime condizioni di prima.
Quindi, per il provvedimento impugnato, con cui, nel bilanciamento degli interessi pubblici e privati in gioco, ha ritenuto recessivo l'interesse del privato ad essere ammesso come componente aggiuntivo del Popolo italiano, l’irragionevolezza è altresì esclusa alla luce della circostanza che il diniego di cittadinanza provoca il solo svantaggio temporale sopraindicato, il quale risulta “giustificato” ove si consideri la rilevanza degli interessi in gioco e l’irreversibilità degli effetti connessi alla concessione di tale status . Da tale punto di vista, infatti, risulta inopportuno ampliare la platea dei cittadini mediante l'inserimento di un nuovo componente, ove sussistano dubbi sulla sua attitudine a rispettare i valori fondamentali per la comunità di cui diviene parte essenziale con piena partecipazione all’autodeterminazione delle scelte di natura politica.
VIII. - Il Collegio ritiene, alla luce di tutto quanto sopra osservato, il provvedimento immune dai vizi dedotti da parte ricorrente.
IX. - In conclusione, per quanto osservato, il Collegio respinge il ricorso.
X. - Sussistono giustificate ragioni, attesa la specificità della fattispecie esaminata, per disporre la composizione delle spese di lite.