Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-06-27, n. 202205261

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-06-27, n. 202205261
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202205261
Data del deposito : 27 giugno 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 27/06/2022

N. 05261/2022REG.PROV.COLL.

N. 09385/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9385 del 2018, proposto dal
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato O M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Arno, n. 6;

contro

Ministero dell'Economia e delle Finanze, Guardia di Finanza - Comando Generale, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente l’impugnativa del provvedimento del 20 maggio 2011 di sospensione dal servizio


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Economia e delle Finanze e del Comando generale della Guardia di Finanza;

Visti tutti gli atti della causa;

Vista l'istanza di passaggio in decisione senza discussione depositata da parte appellante;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 giugno 2022 il Cons. C A e udito per la parte appellata l'Avvocato dello Stato Liborio Coaccioli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Il 26 gennaio 2010 Carabinieri del Nucleo radiomobile di -OMISSIS- arrestavano il maresciallo capo della Guardia di Finanza -OMISSIS-, in servizio presso la Compagnia di -OMISSIS-, nella flagranza del reato di furto aggravato.

A seguito dell’arresto, il 27 gennaio 2010 personale della Guardia di Finanza della Compagnia di -OMISSIS- procedeva ad effettuare una perquisizione presso l’abitazione del maresciallo in -OMISSIS-.

Nel corso della perquisizione venivano rinvenuti nella cabina armadio una provetta in plastica e 7 involucri di cellophane contenenti sostanza che, a seguito delle analisi effettuate presso l’Arpa -OMISSIS-, si rivelava sostanza stupefacente, in particolare circa 2 dosi e mezzo di hashish e 2 dosi e mezzo di marijuana.

Il maresciallo veniva quindi indagato per il reato di cui all’art. 73 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, per il quale il 4 marzo 2010 il pubblico ministero chiedeva l’archiviazione - in quanto il quantitativo rinvenuto era compatibile con l’uso personale - disposta dal GIP presso il Tribunale di -OMISSIS- con decreto del 19 marzo 2010.

Il 20 dicembre 2010 il Comandante della Regione -OMISSIS- della Guardia di Finanza ha disposto un'inchiesta formale disciplinare in relazione all’accertata detenzione di sostanze stupefacenti;
il 21 dicembre 2010, con atto notificato all'interessato il 22 dicembre 2010, sono stati contestati gli addebiti;
il 21 febbraio 2011 l’ufficiale inquirente ha presentato il rapporto finale proponendo la sanzione della sospensione disciplinare dall'impiego nella misura di sei mesi condivisa dal Comandante Regionale della -OMISSIS-.

Nel corso del procedimento disciplinare l’incolpato deduceva di non avere mai fatto uso di stupefacenti, che non sapeva come la sostanza si trovasse nell’armadio e che poteva averla lì collocata una domestica straniera.

Con provvedimento del 20 maggio 2011, notificato il 2 luglio 2011, il Comandante interregionale dell’Italia Sud Occidentale della Guardia di Finanza, ritenendo non accoglibili le deduzioni difensive del Maresciallo -OMISSIS-, irrogava la sanzione della sospensione per dodici mesi, ravvisando una particolare gravità della vicenda e le conseguenze in termini di immagine e prestigio del Corpo.

Avverso tale provvedimento è stato proposto ricorso al Tribunale amministrativo regionale della -OMISSIS-, sede di -OMISSIS-, formulando varie censure di eccesso di potere e difetto di motivazione. In particolare con il primo motivo si deduceva che il ricorrente era stato già sospeso precauzionalmente dall’impiego nel corso del procedimento penale, ai sensi dell’art. 20 della legge 31 luglio 1954 n. 599 e che l’ordinamento non prevedeva più la sospensione precauzionale disciplinare.

Con il secondo motivo si lamentava la violazione dei termini del procedimento, in quanto il provvedimento di archiviazione era stato emesso dal GIP del Tribunale di -OMISSIS- il 19 marzo 2010, mentre il provvedimento disciplinare è stato adottato più di un anno dopo il 20 maggio 2011 ed il relativo procedimento avviato nel dicembre 2010.

Con le ulteriori censure contestava che il possesso della sostanza stupefacente fosse a lui riconducibile, deducendo che molte altre persone avevano le chiavi di casa, che la sostanza era nascosta nell’armadio da molto tempo, come risulterebbe dalla scarsa efficacia del principio attivo;
inoltre aveva immediatamente chiesto di essere sottoposto ad analisi per la verifica dell’uso di stupefacenti;
indicava come proprietaria della sostanza la colf straniera che aveva confermato tale circostanza;
deduceva altresì che nei 18 anni di servizio aveva sempre tenuto un comportamento irreprensibile, circostanza non valutata dall’Amministrazione, con conseguente difetto di motivazione;
contestava poi la proporzionalità della sanzione irrogata rispetto alle concrete circostanze della vicenda.

Si costituiva in giudizio il Ministero dell’Economia e delle Finanze, che contestava la fondatezza del ricorso, sostenendo la corretta applicazione delle norme del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66, codice dell’ordinamento militare, in particolare dell’art. 1357, che prevede la sospensione come sanzione di stato, restando dunque irrilevanti le argomentazioni difensive in ordine alla sospensione precauzionale. Con riferimento al superamento del termine per il procedimento disciplinare la difesa erariale deduceva che l’Amministrazione aveva avuto conoscenza integrale del decreto di archiviazione il 29 settembre 2010;
era stato, quindi, pienamente rispettato il termine di novanta giorni per l’avvio del procedimento disciplinare previsto dall’art. 1392 del codice dell’ordinamento militare;
inoltre il provvedimento finale era stato adottato nel termine di 270 giorni previsto dal medesimo articolo del codice dell’ordinamento militare. Sosteneva poi la correttezza delle valutazioni dell’Amministrazione che aveva ritenuto non credibili le dichiarazioni della domestica e la adeguata motivazione del provvedimento impugnato.

Con la sentenza n. -OMISSIS- il ricorso è stato respinto sulla base della disciplina dell’art. 1392 C.O.M., applicata nel caso di specie, e del rispetto dei termini previsti da tale disposizione, in relazione all’avvenuta comunicazione del decreto di archiviazione il 29 settembre 2010, circostanza non contestata dal ricorrente. Sono state respinte le ulteriori censure, in quanto il “ provvedimento specifica dettagliatamente le attività istruttorie svolte e dà conto delle ragioni per cui sono state ritenute inattendibili le giustificazioni fornite dall’incolpato e le dichiarazioni ” della domestica;
è stata poi ritenuta la sufficienza della motivazione in relazione alla gravità della condotta e alla incidenza della stessa sui compiti di istituto, “ mentre l’episodicità del fatto addebitato al ricorrente è adeguatamente valorizzata dall’irrogazione di una sanzione non espulsiva ”.

Avverso tale pronuncia è stato proposto il presente appello lamentando l’errore in iudicando del giudice di primo grado in ordine ai vari motivi di ricorso.

In particolare, con il primo motivo si deduce l’errore del giudice di primo grado per avere ritenuto la tempestività dell’avvio del procedimento disciplinare essendo la sanzione irrogata 15 mesi dopo l’archiviazione ed essendo già stata inflitta una sanzione disciplinare con la sospensione precauzionale, quindi – secondo la ricostruzione difensiva- il procedimento disciplinare sarebbe iniziato già con il primo procedimento di sospensione cautelare.

Con il secondo motivo si deduce che giudice di primo grado si sarebbe appiattito rispetto alla ricostruzione del fatto sulle tesi dell’Amministrazione, mentre non sarebbe provato l’uso della sostanza e la sua proprietà.

Con il terzo motivo si deduce che il giudice di primo grado non avrebbe considerato che l’ufficiale inquirente aveva chiesto una sanzione più mite di sei mesi e si insiste nel difetto di motivazione del provvedimento disciplinare.

L’Amministrazione si è costituita in giudizio presentando memoria, in cui ha contestato la fondatezza dell’appello, richiamando l’applicazione dell’art.1392 del codice dell’ordinamento militare e la decorrenza del termine dall’integrale conoscenza del provvedimento di archiviazione, avvenuta il 29 settembre 2010.

La parte appellante ha presentato istanza di passaggio in decisione senza discussione orale.

All’udienza pubblica del 14 giugno 2022 l’appello è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

L’appello è infondato.

Il provvedimento di sospensione disciplinare è stato irrogato ai sensi dell’art. 1357 del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66, entrato in vigore il 9 ottobre 2010, prima dell’avvio del procedimento disciplinare per cui è causa.

Tale norma indica tra le sanzioni di stato “ la sospensione disciplinare dall'impiego per un periodo da uno a dodici mesi”.

Le argomentazioni dell’appellante per cui la sospensione disciplinare precauzionale non sarebbe più prevista dall’ordinamento sono quindi irrilevanti rispetto alla presente vicenda, in cui l’Amministrazione ha esercitato un potere sanzionatorio di stato espressamente previsto dalla disciplina del codice dell’ordinamento militare.

In base all’art. 1379 comma 1 c.o.m., inoltre “ la sospensione disciplinare è adottata a seguito di inchiesta formale, senza il necessario preventivo deferimento a una commissione di disciplina ”.

Ai sensi del comma 2 “ la sospensione precauzionale dall'impiego sofferta per gli stessi fatti oggetto di sanzione disciplinare è computata nel periodo di tempo della sospensione disciplinare irrogata ”.

Nel caso di specie neppure tale riferimento normativo (peraltro non indicato dall’appellante) può essere utile, in quanto l’Amministrazione nella relazione depositata nel giudizio di primo grado ha dedotto che la sospensione precauzionale dal servizio era stata disposta per altro procedimento penale, circostanza non contestata in giudizio.

In ogni caso, anche la legge n. 599 del 1954 distingueva la misura cautelare della sospensione nel corso del procedimento penale dalla sospensione come sanzione disciplinare (cfr. art. 20 della legge n. 599 del 1954, che prevedeva la sospensione precauzionale fino all'esito del procedimento penale o disciplinare espressamente disponendo che “ quando sia inflitta al sottufficiale la sospensione dall'impiego di carattere disciplinare, nel periodo di tempo di tale sospensione viene computato il periodo della sospensione precauzionale sofferta ” ;
art. 21 che prevedeva che la sospensione disciplinare dall'impiego fosse inflitta previa inchiesta formale).

Quanto ai termini del procedimento disciplinare, l’art. 1392 comma 1 C.O.M. applicabile alla presente vicenda prevede che il procedimento disciplinare di stato a seguito di giudizio penale debba essere instaurato con la contestazione degli addebiti all'incolpato, entro 90 giorni dalla data in cui l'amministrazione abbia avuto “ conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale irrevocabili, che lo concludono, ovvero del provvedimento di archiviazione ”.

In base al comma 3, “ il procedimento disciplinare di stato, instaurato a seguito di giudizio penale, deve concludersi entro 270 giorni dalla data in cui l'amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale, divenuti irrevocabili, ovvero del provvedimento di archiviazione ”.

La difesa appellante sostiene la tardività dell’avvio e della conclusione del procedimento disciplinare, prendendo a riferimento la data di pronuncia del decreto di archiviazione, il 19 marzo 2010.

Tale ricostruzione è in chiaro contrasto con il dato normativo, che indica la decorrenza del termine al momento in cui l'amministrazione abbia avuto conoscenza integrale del provvedimento di archiviazione.

Nel caso di specie, l’Amministrazione ha avuto conoscenza del provvedimento di archiviazione il 29 settembre 2010, con la conseguenza che sono tempestivi sia l’avvio del procedimento disciplinare, con la contestazione degli addebiti il 22 dicembre 2010 sia la conclusione del procedimento disciplinare con la irrogazione della sanzione il 20 maggio 2011.

Inoltre la data del 29 settembre 2010, indicata dall’Amministrazione e posta a base del rigetto della censura di tardività nella sentenza di primo grado, non è stata specificamente contestata dalla parte appellante, quale momento di conoscenza del decreto di archiviazione da parte dell’Amministrazione stessa.

Con riguardo alle ulteriori censure relative al travisamento dei fatti e al difetto di motivazione, ritiene il Collegio di richiamare la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, per cui le valutazioni dell'Amministrazione in materia di sanzioni disciplinari sono connotate da ampia discrezionalità, anche quelle in ordine alla valutazione dei fatti ascritti al dipendente, al convincimento sulla gravità delle infrazioni e alla conseguente sanzione da infliggere, ciò in considerazione degli interessi pubblici che devono essere attraverso tale procedimento tutelati. Quindi, il provvedimento disciplinare sfugge ad un pieno sindacato di legittimità del giudice, il quale non può sostituire le proprie valutazioni a quelle operate dall'Amministrazione, salvo che queste ultime siano inficiate da travisamento dei fatti, evidente sproporzionalità o qualora il convincimento non risulti formato sulla base di un processo logico e coerente ovvero sia viziato da palese irrazionalità (Cons. Stato Sez. IV, 10 febbraio 2020, n. 1013).

Pertanto, la valutazione circa il rilievo e la gravità dell'infrazione disciplinare commessa dal militare è rimessa alla discrezionalità dell'Amministrazione, la quale esprime un giudizio non sindacabile nel merito, ma soltanto in sede di legittimità nelle ipotesi in cui risulti abnorme o illogico in rapporto alle risultanze dell'istruttoria (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 4 ottobre 2018, n. 5700, Sez. II, 15 maggio 2020, n. 3112).

Nell’ambito, quindi, di tali limiti al sindacato giurisdizionale sui procedimenti disciplinari, nel caso di specie, in relazione alle specifiche circostanze di fatto risultanti dal procedimento disciplinare non si può non ritenere integrato il comportamento di violazione dei principi di correttezza e lealtà assunti con il giuramento, nonché dei doveri legati al proprio status ed al grado rivestito, in relazione all’acquisto e al possesso della sostanza stupefacente.

Non può infatti essere considerata affetta da travisamento dei fatti o da manifesta irragionevolezza la valutazione dell’Amministrazione, che ha ritenuto non credibile la versione difensiva dell’odierno appellante relativa alla proprietà della sostanza in capo alla domestica, avendo la stessa Amministrazione espressamente dato conto nel provvedimento impugnato delle circostanze per cui le dichiarazioni rese dalla domestica sono state ritenute non attendibili.

E’ stata, quindi, espressamente valutata anche la ricostruzione difensiva, resa dall’incolpato, la cui attendibilità è stata esclusa con una valutazione che non appare viziata da incongruenze rispetto agli elementi di fatto.

Quanto al difetto di proporzionalità, anche in relazione alla mancata considerazione della più lieve sanzione della sospensione di sei mesi proposta dall’inquirente, si deve rilevare che la giurisprudenza anche della Sezione considera anche la valutazione di gravità dei fatti addebitati in relazione all'applicazione di una sanzione disciplinare come espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità, salvo che in ipotesi di manifesta illogicità, manifesta irragionevolezza, evidente sproporzionalità e travisamento. In particolare, le norme relative al procedimento disciplinare sono necessariamente comprensive di diverse ipotesi e, pertanto, spetta all'Amministrazione, in sede di formazione del provvedimento sanzionatorio, stabilire il rapporto tra l'infrazione e il fatto, il quale assume rilevanza disciplinare in base ad un apprezzamento di larga discrezionalità, insindacabile nel merito da parte del giudice amministrativo (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 29 marzo 2021, n. 2629;
Sez. II, 8 ottobre 2020, n. 5969, id. 15 maggio 2020, n. 3112).

Sulla base di tali consolidati orientamenti giurisprudenziali, nel caso di specie, l'amministrazione ha esercitato motivatamente e congruamente la propria discrezionalità tecnica nella valutazione della gravità della condotta, sicché, in assenza di una macroscopica illogicità o di un'erroneità fattuale, il giudice amministrativo non può sostituire una propria diversa valutazione a quella effettuata dalla pubblica amministrazione (Cons. Stato Sez. II, 21 marzo 2022, n. 2004).

Si deve tenere conto, infatti, che non è stata neppure irrogata la più grave sanzione disciplinare di stato, di natura espulsiva, ma la sospensione di dodici mesi, anche se in difformità dalla proposta dell’inquirente che aveva indicato la sospensione di sei mesi.

Tale scelta del Comandante interregionale, in relazione alla gravità dei fatti e al tipo di sanzione irrogata, non appare manifestamente illogica o irragionevole, anche alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale, che ritiene ontologicamente incompatibile, per un appartenente alle Forze di polizia (ad ordinamento sia civile sia militare), il consumo di sostanza stupefacente, pur se occasionale, isolato e non inquadrato in una complessiva situazione di dipendenza, in quanto condotta frontalmente confliggente con i doveri del ruolo ed oggettivamente incompatibile con la prospettica prosecuzione nel servizio (Cons. Stato;
Sez. IV, 21 aprile 2009, n. 2415;
12 maggio 2009, n. 2904;
13 maggio 2010, n. 2927;
30 giugno 2010, n. 4163;
Sez. III, 6 giugno 2011, n. 3371;
Sez. IV, 24 marzo 2016 n. 1120;
31 agosto 2016 n. 3736;
2 novembre 2016, n. 4581;
1 febbraio 2017, n. 413;
8 marzo 2017, n. 1086;
27 ottobre 2017, n. 4957;
30 agosto 2018, n. 5107;
15 gennaio 2020, n. 381;
21 gennaio 2020, n. 484;
13 marzo 2020, n. 1823).

Ribadita la ampia discrezionalità dell'Amministrazione in punto di individuazione e, eventualmente, commisurazione della sanzione, sindacabile in sede giurisdizionale solo ab externo nei casi di manifesta irrazionalità, insostenibile illogicità, palese arbitrarietà, evidente travisamento del fatto, senza alcuna sostituzione da parte dell'organo giudicante di proprie valutazioni di opportunità a quelle operate dall'Amministrazione, è stato affermato con riferimento alle condotte relative all’uso e al possesso di sostanze stupefacenti da parte di appartenenti alle forze dell’ordine, che spetta unicamente all'Amministrazione stabilire se la condotta contestata giustifichi la massima sanzione espulsiva, ovvero possa essere inflitta una sanzione di minore gravità (Cons. Stato Sez. II, 30 giugno 2021, n. 4950), come, nel caso di specie, la sospensione per 12 mesi.

Sulla base di tali consolidati orientamenti giurisprudenziali, da cui il Collegio non ritiene di discostarsi nel caso di specie, anche tale motivo risulta infondato.

In conclusione l’appello è infondato e deve essere respinto con conferma della sentenza appellata.

In considerazione della particolarità della vicenda le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate.

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