Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2021-10-15, n. 202106949
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Pubblicato il 15/10/2021
N. 06949/2021REG.PROV.COLL.
N. 01084/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sull’appello n. 1084 del 2015, proposto da-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato S Z, domiciliato presso la segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, n. 13;
contro
la Questura di Modena ed il Ministero dell'Interno, in persona dei rispettivi legali rappresentanti
pro tempore
, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato
ex lege
in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna, -OMISSIS-, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Questura di Modena e della Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza del giorno 12 ottobre 2021 il pres. Luigi Maruotti e udito per le parte appellante il difensore indicato nel verbale d’udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Nei confronti dell’appellante, gestore della licenza di un esercizio pubblico -OMISSIS-, in data -OMISSIS- il Questore della provincia di Modena ha disposto la sospensione della licenza per trenta giorni.
2. In accoglimento del ricorso dell’interessato, il TAR per l’Emilia Romagna, Sede di Bologna, con la sentenza -OMISSIS- ha annullato il provvedimento del Questore.
3. Con il ricorso di primo grado -OMISSIS- (proposto al medesimo TAR per l’Emilia Romagna, Sede di Bologna), l’interessato ha chiesto il risarcimento dei danni, conseguenti alla chiusura del locale.
4. Il TAR, con la sentenza -OMISSIS-, ha respinto la domanda risarcitoria ed ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio nella misura di 6.000 euro, rilevando da un lato l’assenza di profili di colpa dell’Amministrazione, tenuto anche conto del ‘forte grado di discrezionalità in ordine alla valutazione dei dati acquisiti’, e dall’altro lato l’assenza di elementi idonei ad evidenziare un ‘danno effettivamente subito’.
5. Con l’appello indicato in epigrafe (composto da 19 pagine e 4 motivi), l’interessato ha impugnato la sentenza del TAR ed ha chiesto che, in sua riforma, sia accolta la domanda risarcitoria formulata in primo grado, quantificata in questa sede in 700.000 euro.
6. Col primo motivo, l’appellante ha dedotto che la sentenza appellata sarebbe viziata per travisamento dei fatti, irragionevolezza e manifesta contraddittorietà, poiché:
- il provvedimento di data -OMISSIS- è stato annullato con la sentenza -OMISSIS-, per insussistenza dei relativi presupposti;
- nella specie è stato leso un suo interesse oppositivo e si sarebbe dovuto tenere conto del pregiudizio economico causato dal provvedimento illegittimo.
7. Col secondo motivo, l’appellante censura sotto altro profilo la sentenza del TAR, deducendo che l’annullamento dell’atto da parte del TAR rileverebbe quale ‘indice presuntivo della colpa, restando a carico dell’Amministrazione l’onere di dimostrare che si è trattato di un errore scusabile’.
Egli inoltre ha rilevato che, dalla motivazione della sentenza del TAR -OMISSIS-, si desume che il provvedimento del Questore non si è basato su ‘elementi sufficienti per integrare la fattispecie del pericolo per l’ordine pubblico che l’art. 100 del r.d. n. 773 del 1931 individua tra quelle che possono indurre alla sospensione della licenza’: si sarebbe anche inciso sulla sua reputazione, con sviamento della clientela.
8. Col terzo motivo, l’appellante ha lamentato l’erroneità della sentenza del TAR per erroneità sulla asserita assenza di prova del danno ed ha dedotto che si sarebbe dovuta considerare la perdita di chance (considerata rilevante dalla giurisprudenza richiamata), consistente nella specie nella privazione della possibilità di sviluppo nell’attività lavorativa.
In particolare, l’appellante ha dedotto che il provvedimento di sospensione della licenza avrebbe causato un ‘senso di sfiducia’, ‘continui controlli’ e ‘numerosi articoli pubblicati su diversi giornali locali’, dove si faceva riferimento che l’esercizio commerciale in questione era frequentato da ‘persone ritenute pericolose o extracomunitari non in regola’.
9. Ritiene il Collegio che tali censure vadano decise congiuntamente, perché strettamente connesse.
Esse risultano infondate e vanno respinte.
9.1. La responsabilità dell’Amministrazione per la lesione arrecata all’interesse legittimo è configurabile quando sussistano tutti gli elementi costitutivi dell’illecito, tra cui quello della rimproverabilità dell’Amministrazione: la sussistenza concreta di tale elemento costitutivo non si può presumere (nel senso che non è di per sé sufficiente la sussistenza del vizio dell’atto annullato) e va riscontrata dal giudice che decide la domanda risarcitoria, sulla base di tutte le circostanze che si sono verificate (cfr. Cons Stato, Sez. IV, n. 8756 del 2019;Sez. IV n. 6775 del 2019;Sez. IV, n. 6412 del 2019;Sez. VI, n. 5531 del 2018;Sez. VI, n. 1649 del 2017;Sez. VI, n. 5611 del 2015;Sez. VI, n. 3521 del 2013;Sez. VI, n. 4297 del 2006;n. 1047 del 2006).
9.2. Nella specie, nessun profilo di rimproverabilità può essere in concreto rilevato.
E’ innanzitutto decisivo considerare che il provvedimento di data -OMISSIS- è stato emesso perché:
- il giorno precedente il gestore è stato denunciato all’Autorità giudiziaria ‘per aver somministrato bevande alcoliche a persona in stato di manifesta ubriachezza’;
- altre analoghe segnalazioni erano state effettuate in data -OMISSIS- e -OMISSIS-;
- la segnalazione del -OMISSIS- evidenziava altresì che alcuni avventori avevano precedenti penali.
Pur se la sentenza del TAR -OMISSIS- (non appellata) ha annullato il provvedimento del -OMISSIS- per il profilo di eccesso di potere che ha ravvisato, in questa sede – nell’esaminare la domanda risarcitoria già respinta in primo grado – il Collegio ritiene che il medesimo provvedimento non si è basato su ragioni biasimevoli o arbitrarie e, mirando motivatamente a tutelare l’interesse pubblico, ha preso atto di circostanze obiettive e di per sé rimaste incontestate (anche l’aver somministrato birra a persona in evidente stato di ubriachezza).
9.3. Risulta anche condivisibile la ratio decidendi con cui il TAR ha rilevato che non vi è stata alcuna prova del verificarsi di un danno.
Gli importi oggetto della domanda formulata in appello non trovano supporto in alcun elemento probatorio.
Va richiamata la pacifica giurisprudenza (cfr. per tutte, Cons. Stato, Sez. VI, 9 settembre 2021, n. 6240), per la quale:
- quando è proposta una domanda risarcitoria, l’assenza di prova non potrebbe essere sopperita neppure facendo leva sul metodo acquisitivo, proprio del processo amministrativo impugnatorio, avendo questo Consiglio ripetutamente precisato come “nell'azione di responsabilità per danni, il principio dispositivo e dell'onere della prova, sancito in generale dall' art. 2697, primo comma, cod.. civ., opera con autonoma pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio invece dell'azione di annullamento (in termini, Cons. Stato, IV, 5 febbraio 2018, n. 701)” (Consiglio di Stato Sez. V, 18 marzo 2019, n. 1737);
- non si può liquidare il danno con una valutazione equitativa, poiché l'onere della prova di cui all'art. 2697 c.c. “non può essere assolto mediante consulenza tecnica d'ufficio, che non è un mezzo di prova, ma uno strumento di valutazione delle prove già fornite dalle parti (Cons. Stato, sez. V, 29 aprile 2016, n. 1649)” (Consiglio di Stato, sez. V, 29 maggio 2019, n. 3596).
- l’art. 1226 c.c., da un lato, non consente di sopperire alle carenza probatorie imputabili al danneggiato, essendo funzionale soltanto a “colmare le lacune insuperabili ai fini della precisa determinazione del pregiudizio” (Consiglio di Stato, sez. IV, 28 maggio 2018, n. 3169), dall’altro, si riferisce al solo quantum debeatur , “aprendo alla valutazione equitativa “se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare”;non certo all’an debeatur , ovverosia alla prova della sussistenza del danno, che resta ovviamente a carico del ricorrente” (Consiglio di Stato Sez. III, 11 giugno 2021, n. 4514).
10. Va pertanto confermata la statuizione con cui la sentenza impugnata ha respinto la domanda risarcitoria, formulata in primo grado.
11. Con l’ultimo motivo, l’appellante ha censurato la statuizione con cui il TAR lo ha condannato al pagamento di 6.000 euro per le spese del primo grado.
Egli ha ipotizzato che l’entità dell’importo liquidato sarebbe la conseguenza della sua iniziativa processuale, volta a censurare l’operato della Questura di Modena.
13. La censura va respinta.
Per la pacifica giurisprudenza amministrativa, il TAR ha ampi poteri discrezionali in ordine alla statuizione sulle spese e, se del caso, al riconoscimento, sul piano equitativo, dei giusti motivi per far luogo alla compensazione delle spese giudiziali, ovvero per escluderla (Cons. Stato, Ad. Plen., 24 maggio 2007, n. 8), con il solo limite, in pratica, che non può condannare alle spese la parte risultata vittoriosa in giudizio o disporre statuizioni abnormi (per tutte, Consiglio Stato, Sez. IV, 30 dicembre 2020, n. 8523;Sez. IV, 9 ottobre 2019, n. 6887;Sez. IV, 8 ottobre 2019, n. 6797;Sez. IV, 23 settembre 2019, n. 6352;Sez. V, 28 ottobre 2015, n. 4936;Sez. III, 9 novembre 2016, 4655;Sez. IV, 3 novembre 2015, n. 5012;Sez. VI, 9 febbraio 2011, n. 891;Sez. IV, 22 giugno 2004, n. 4471;Sez. IV, 27 settembre 1993, n. 798).
Nella specie, la sentenza impugnata ha condannato al rimborso delle spese in coerenza con la statuizione di reiezione del ricorso ed ha liquidato un importo che non risulta anomalo: al riguardo, rilevano la domanda risarcitoria per come è stata proposta e le disposizioni contenute nel decreto ministeriale 10 marzo 2014, n. 55 (‘ Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, ai sensi dell'articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247 ’), per le quali, ai fini della liquidazione del compenso, si tiene anche conto « delle caratteristiche, dell’urgenza e del pregio dell’attività prestata, dell’importanza, della natura, della difficoltà e del valore dell’affare, delle condizioni soggettive del cliente, dei risultati conseguiti, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate » (art. 4, comma 1).
Rilevato che l’appellante neppure ha dedotto la violazione di tale decreto ministeriale, la censura va respinta.
14. Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto.
15. La condanna al pagamento delle spese del secondo grado segue la soccombenza. Di essa è fatta liquidazione nel dispositivo.