Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-12-07, n. 202310635

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-12-07, n. 202310635
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202310635
Data del deposito : 7 dicembre 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 07/12/2023

N. 10635/2023REG.PROV.COLL.

N. 06093/2023 REG.RIC.

N. 06314/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6093 del 2023, proposto da
Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

Fastweb S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati F P e V M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. F P in Roma, via di San Nicola Da Tolentino, n. 67;
Wind Tre S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Sara Fiorucci e R S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Sky Italia S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati O G e Daniele Majori, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Telecom Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati F S C, Francesco Cardarelli e Filippo Lattanzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Francesco Cardarelli in Roma, via G.P. Da Palestrina, n. 47;
Vodafone Italia S.p.A., non costituita in giudizio;



sul ricorso numero di registro generale 6314 del 2023, proposto da
Fastweb S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresenta e difesa dagli avvocati F P e V M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. F P in Roma, via di San Nicola Da Tolentino, n. 67;

contro

Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti

Telecom Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati F S C, Francesco Cardarelli e Filippo Lattanzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Francesco Cardarelli in Roma, via G.P. Da Palestrina, n. 47;
Wind Tre S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Sara Fiorucci e R S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Sky Italia S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati O G e Daniele Majori, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Vodafone Italia S.p.A., non costituita in giudizio;


per la riforma

quanto sia all’appello n. 6093 del 2023 che n. 6314 del 2023:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale Per Il Lazio (sezione Prima) n. 6405/2023.


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Wind Tre S.p.A., di Sky Italia S.r.l., di Fastweb S.p.A., di Telecom Italia S.p.A. e dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 novembre 2023 il Cons. G G e uditi per le parti gli avvocati dello Stato L G V D, R S, F S C, A B in sostituzione dell'avv. F P e O G A B in sostituzione dell'avv. F P, dello Stato L G V D, R S, O G e F S C;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con ricorso notificato l’1 aprile 2022 e depositato il 5 aprile 2022 Fastweb S.p.A. ha impugnato e chiesto l’annullamento dinanzi al T.A.R. per il Lazio – sede di Roma della deliberazione n. 376/21/CONS del 18 novembre 2021 dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (di seguito anche A.G.Com.), recante “Misura e modalità di versamento del contributo dovuto all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni per l’anno 2022 dai soggetti che operano nel settore delle comunicazioni elettroniche”, della deliberazione n. 228/21/CONS della medesima Autorità, recante “Rendiconto ex articolo 34, comma 2-ter del Decreto Legislativo 1° agosto 2003, n. 259 - Anno 2020”, della deliberazione n. 429/21/CONS della medesima Autorità, recante “Bilancio di previsione per l’esercizio 2022 dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni” nonché di tutti gli atti comunque connessi, presupposti o consequenziali, inclusi i provvedimenti di approvazione delle deliberazioni impugnate.

1.1 A fondamento del ricorso ha dedotto i seguenti motivi:

1) violazione dell’art. 16 della Direttiva 2018/1972, dell’art. 16 del d.lgs. 259/2003, dell’art. 1, commi 65 e 66 della legge 266/2005;
dei principi espressi dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza 18.7.2013, C – 228/2012 e nell’ordinanza 20.4.2020, n. 399;
eccesso di potere per violazione del principio di proporzionalità, difetto d’istruttoria e di motivazione
.

2) Sotto altro profilo, violazione dell’art. 16 della Direttiva 2018/1972, dell’art. 16 del d.lgs. 259/2003, dell’art. 1, commi 65 e 66 della legge 266/2005;
dei principi espressi dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza 18.7.2013, C – 228/2012 e nell’ordinanza 20.4.2020, n. 399;
eccesso di potere per violazione del principio di proporzionalità, difetto d’istruttoria e di motivazione_;

3) Sotto altro profilo, violazione dell’art. 16 della Direttiva 2018/1972, dell’art. 16 del d.lgs. 259/2003, dell’art. 1, commi 65 e 66 della legge 266/2005;
eccesso di potere per violazione del principio di proporzionalità, difetto d’istruttoria e di motivazione
;

4) Sotto altro profilo, violazione dell’art. 16 della Direttiva 2018/1972, dell’art. 16 del d.lgs. 259/2003, dell’art. 1, commi 65 e 66 della legge 266/2005;
eccesso di potere per violazione del principio di proporzionalità, difetto d’istruttoria e di motivazione, sviamento
;

5) Sotto altro profilo, violazione dell’art. 16 della Direttiva 2018/1972, dell’art. 16 del d.lgs. 259/2003, dell’art. 1, commi 65 e 66 della legge 266/2005;
eccesso di potere per violazione del principio di proporzionalità, difetto d’istruttoria e di motivazione
.

2. Ad esito del relativo giudizio, con la sentenza indicata in epigrafe n. 6405 del 2023, il T.A.R. per il Lazio – sede di Roma ha:

- ritenuti infondati il primo, quarto e quinto motivo di ricorso;

- ha ritenuto fondati il secondo e terzo motivo di ricorso a mezzo dei quali è stato dedotto un difetto d’istruttoria e di motivazione;

- ha, per l’effetto, accolto il ricorso e annullato gli atti impugnati.

3. Con ricorso n. r.g. 6093 del 2023 l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha proposto appello avverso la suddetta decisione chiedendone, previa sospensione dell’efficacia, la riforma.

3.1 A sostegno del gravame ha dedotto i motivi così rubricati:

1) Violazione del combinato disposto di cui all’art. 39 c.p.a. e all’art. 112 c.p.c. in relazione ai motivi accolti, errore di giudizio e vizio della motivazione per contraddittorietà ed illogicità;
§§. Incongruità della motivazione per travisamento dei fatti e della motivazione della delibera oggetto di giudizio ed erronea applicazione dei principi affermati nella richiamata sentenza del Consiglio di Stato n. 208 del 2022
;

2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 66, della L. n. 266/2005 e dell’art. 34 del D.Lgs. n. 259/2003;
violazione e falsa applicazione dell’art. 12 della direttiva 2002/20/CE oggi sostituito dall’art. 16 della direttiva 1972/2018
.

4. Nelle date, rispettivamente, del 19, 20, 24 luglio e 3 agosto 2023 si sono costituiti in giudizio per resistere avverso il suddetto appello Wind Tre S.p.A., Fastweb S.p.A., Telecom Italia S.p.A. e Sky Italia S.p.A..

4.1 In data 22 agosto 2023 Fastweb S.p.A. ha depositato memorie difensive insistendo per la reiezione dell’appello.

5. Ad esito dell’udienza in camera di consiglio del 24 agosto 2023, con ordinanza cautelare n. 3341 del 2023, questa Sezione, in accoglimento dell’istanza cautelare proposta da A.G.Com. ha fissato – ai sensi dell’art. 55, comma 10, c.p.a. - la discussione di merito della causa alla pubblica udienza del 30 novembre 2023.

6. Con ricorso n. r.g. 6314 del 2023 Fastweb S.p.A. ha proposto appello avverso la medesima sentenza n. 6405 del 2023 del T.A.R. per il Lazio – sede di Roma chiedendone la parziale riforma nella parte in cui la stessa ha respinto il primo, il quarto ed il quinto motivo del proprio ricorso di primo grado.

6.1 A sostegno dell’appello ha dedotto le censure così rubricate:

1) Sui profili di contraddittorietà, illogicità e irragionevolezza della sentenza ;

2) Sulla violazione delle disposizioni di derivazione ue in materia di imposizione di oneri economici agli operatori di comunicazioni elettroniche: error in iudicando. violazione e falsa applicazione dell’art. 16 della direttiva UE 2018/1972, dell’art. 16 d.lgs. 259/2003, dell'art. 1, commi 65 e 66, legge 266/2005, della sentenza corte di giustizia 18 luglio 2013, c-228/12, e dell’ordinanza corte di giustizia 29 aprile 2020, c-399/19.eccesso di potere in tutte le figure sintomatiche ed in particolare per violazione dei principi di proporzionalità e trasparenza. difetto di istruttoria e di motivazione ;

3) Illegittima inclusione nella base imponibile dei ricavi riversati a operatori terzi: omessa pronuncia. violazione e falsa applicazione dell’art. 16 della direttiva UE 2018/1972, dell’art. 16 d.lgs. 259/2003, dell'art. 1, commi 65 e 66, legge 266/2005, della sentenza corte di giustizia 18 luglio 2013, c-228/12, e dell’ordinanza corte di giustizia 29 aprile 2020, c-399/19. violazione del principio del divieto di doppia imposizione. eccesso di potere in tutte le figure sintomatiche ed in particolare per violazione dei principi di proporzionalità, trasparenza e sviamento. difetto di istruttoria e di motivazione ;

4) Illegittima inclusione nella base imponibile di ricavi relativi ad attività non rientranti nell’ambito di competenza dell’A.G.Com: omessa pronuncia. violazione e falsa applicazione dell’art. 16 della direttiva UE 2018/1972, dell’art. 16 d.lgs. 259/2003, dell'art. 1, commi 65 e 66, legge 266/2005. eccesso di potere in tutte le figure sintomatiche ed in particolare per violazione dei principi di proporzionalità, trasparenza e sviamento. difetto di istruttoria e di motivazione ;

5) Sulla violazione delle norme in materia di rendicontazione dei costi: error in iudicando. violazione e falsa applicazione dell’art. 16 della direttiva UE 2018/1972, dell’art. 16 d.lgs. 259/2003. violazione e falsa applicazione dell’art. 1, commi 65 e 66, della legge 266/2005. difetto di motivazione e di istruttoria. eccesso di potere in tutte le figure sintomatiche, ed in particolare per manifesta illogicità ed irragionevolezza, violazione dei principi di proporzionalità e trasparenza, sviamento ;

6) Sull’illegittimità delle modalità di rettifica della contribuzione: error in iudicando. violazione e falsa applicazione dell’art. 16 della direttiva UE 2018/1972, dell’art. 16 d.lgs. 259/2003. violazione e falsa applicazione dell'art. 1, commi 65 e 66, della legge 266/2005. eccesso di potere in tutte le figure sintomatiche, in particolare per ingiustizia manifesta, irragionevolezza e illogicità, difetto di istruttoria e di motivazione .

7. Nelle date, rispettivamente, del 2, 3 agosto e 25 ottobre 2023 si sono costituiti in giudizio nell’ambito dell’appello n. r.g. 6314 del 2023 Wind Tre S.p.A., Sky Italia S.p.A. Telecom Italia S.p.A. e A.G.Com.. In particolare la difesa erariale ha evidenziato, provvedendo al contempo al deposito della relativa documentazione, l’intervenuta adozione da parte dell’Autorità della delibera n. 268/23/CONS del 25 ottobre 2023, recante “Rendiconto ex articolo 16, comma 4, del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 – anno 2022” e del suo Allegato n. 1.

8. Nelle date del 14 e del 17 e 18 novembre 2023 le parti hanno depositato, sia nell’ambito del giudizio R.G. 6093 del 2023 e che del giudizio n. R.G. 6314 del 2023, memorie difensive ed in replica.

9. All’udienza pubblica del 30 novembre 2023 i ricorsi n. R.G. 6093 del 2023 e 6314 del 2023 sono stati chiamati congiuntamente e sono stati introitati per la decisione.

DIRITTO

1. Va preliminarmente disposta ex art. 96 c.p.a. la riunione degli appelli n. R.G. 6093 del 2023 e 6314 del 2023 in quanto proposti avverso la medesima sentenza.

2. Per ragioni di chiarezza e comodità espositiva può procedersi al simultaneo scrutinio dell’appello n. R.G. 6093 del 2023 proposto dall’Autorità e del primo, terzo e quarto motivo dell’appello n. R.G. 6314 del 2023 proposto da Fastweb S.p.A..

3. Con il primo motivo dell’appello n. R.G. 6093 del 2023 proposto dall’Autorità si censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha ritenuto fondati ed ha accolto il secondo e terzo motivo di ricorso di primo grado.

Osserva, in particolare, la difesa erariale che:

- con il secondo motivo del ricorso di primo grado Fastweb S.p.A. ha dedotto che la Delibera 376/21/CONS, a fronte di un’aliquota contributiva fissata all’1,3 per mille, avrebbe irragionevolmente ampliato la base imponibile a cui applicare la suddetta aliquota, anche per effetto dell’espresso divieto - stabilito dall’Allegato B, par. 10, Delibera 376/21/CONS - di detrarre dalla base imponibile i cd. ricavi riversati ad operatori terzi;

- con il terzo motivo del ricorso di primo grado Fastweb S.p.A. ha, poi, dedotto l’illegittimità dell’impugnata delibera contributiva n. 376/21/CONS anche nella parte in cui prevede l’inclusione nella base imponibile della contribuzione di ricavi estranei a qualsiasi competenza e /o attività di regolazione dell’Autorità, inglobando anche ricavi per i quali non vi è alcun effettivo collegamento con l’attività regolamentare dell’Autorità.

Ebbene, ad avviso della difesa erariale, il T.A.R. avrebbe erroneamente accolto dette censure operando un improprio richiamo alle sentenze nr. 208 e 205 del 2022 di questa Sezione. In particolare, il giudice di prime cure, anche sovrapponendo indebitamente il profilo attinente alla perimetrazione dei costi finanziabili (ai sensi dell’art. 12 della Direttiva 2002/20/CE e, oggi, dall’art. 16 della Direttiva 1972/2018) e quello della determinazione della base imponibile su cui viene calcolato il contributo, avrebbe acriticamente fatto proprio l’iter motivazionale speso in tali pronunce non esaminando, in violazione dell’art, 112 c.p.c., le specifiche doglianze formulate da Fastweb S.p.A. e limitandosi a rilevare un non denunciato “difetto di motivazione” della delibera gravata.

Più nel dettaglio, osserva la difesa erariale che le sopra menzionate sentenze n. 205 e 208 del 2022 di questa Sezione richiamate nella sentenza appellata si riferirebbero invero ad una fattispecie non sovrapponibile a quella oggetto del presente giudizio in quanto esse hanno annullato le delibere impositive relative alle annualità 2020 e 2018 che si caratterizzavano per un impianto motivazionale molto diverso e più scarno rispetto alla delibera relativa all’annualità 2022 gravata in prime cure. Si segnala, in particolare, che quest’ultima - come per la prima volta quella relativa all’annualità 2021 - sarebbe stata adottata dopo l’ordinanza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 29 aprile 2020 (causa C-399/19) e dopo le prime sentenze di questa Sezione del 2020 e del 2021 (cui sono seguite le sentenze nn. 205 e 208 del 2022 richiamate nella motivazione della sentenza impugnata) e recherebbe, pertanto, un’articolata ricostruzione dei costi finanziabili e della conseguente determinazione del contributo alle spese di funzionamento gravante sugli operatori nel settore delle comunicazioni elettroniche.

Il giudice di prime cure non avrebbe, pertanto, preso in alcuna considerazione l’ampia motivazione posta a base del provvedimento gravato in prime cure anche, e quanto alla base imponibile, con riferimento all’onere di dimostrare l’insussistenza di un rischio di doppia imposizione della inclusione nella base imponibile dei c.d. ricavi riversati (aspetto su cui si incentrava, invero, il secondo motivo di ricorso che il T.A.R. ha accolto limitandosi, come detto, a rilevare un difetto di motivazione e di istruttoria).

4. Con il secondo motivo dell’appello n. R.G. 6093 del 2023 proposto dall’Autorità si censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha ritenuto fondato ed ha accolto il ricorso di primo grado statuendo che “l’Autorità non ha – neppure per l’anno 2022 – puntualmente indicato, relativamente alle predette (tre) attività che soltanto possono legittimare la determinazione del contributo da imporre ai soggetti passivi, la precisa imputazione – ben oltre le percentuali genericamente indicate (40%;
16%;
44%) – dei ricavi ammissibili, venendo, pertanto, meno al principio di chiarezza e trasparenza, espressioni di una legittimità procedimentale preordinata alla possibilità che la stessa Autorità, in applicazione dell’art. 34 del d.lgs. 259/2003, «minimizzi i costi amministrativi aggiuntivi e gli oneri accessori». È, pertanto, evidente un difetto d’istruttoria e di motivazione che comporta, sul piano conformativo, che l’Autorità debba procedere ad una nuova istruttoria”.

4.1 Nel dettaglio, secondo la difesa erariale, la sentenza impugnata avrebbe errato nel ritenere fondato, senza tuttavia esaminarlo, il secondo motivo del ricorso di primo grado atteso che la suddetta statuizione si porrebbe in contrasto con i principi elaborati da questa Sezione con la sentenza n. 6828 pubblicata il 12 luglio 2023.

In particolare, si osserva che sulla questione dei ricavi riversati a operatori terzi la appena richiamata sentenza di questa Sezione ha affermato che:

- i “ricavi riversati” costituiscono i costi sostenuti dalla Società per l’acquisto dei servizi intermedi da parte dell’operatore infrastrutturato, indispensabili per offrire il servizio finale all’utente, le previsioni di cui agli artt. 34, comma 2-bis del D.lgs. n. 259/2003 e, comma 66, della L. 266/2005 ancorano il contributo al parametro costituito dai “ricavi maturati dalle imprese nelle attività oggetto dell’autorizzazione generale o della concessione di diritti d’uso”;
pertanto, trattandosi di attività che sono svolte in forza di un’autorizzazione generale, le stesse possono ricomprendersi all’interno della base imponibile;
né un differente esito risulta legittimato dalle peculiarità del settore delle comunicazioni elettroniche o dal divieto di doppia imposizione, considerato altresì che la Corte di Giustizia ritenga che un criterio di contribuzione basato sui “ricavi lordi” maturati dai soggetti autorizzati appare “obiettivo, trasparente e non discriminatorio” e, oltretutto, non privo di relazione con i costi sostenuti dall’autorità nazionale competente” (così nell’espresso richiamo a Corte di Giustizia 21 luglio 2011, Telefonica vs Administration del Estado, causa C.284/10);

- l’inserimento nella base imponibile dei ricavi riversati non si traduce in una doppia imposizione, avuto riguardo ai principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in materia tributaria e, dunque, in ragione della diversità nella specie dei soggetti passivi e della differenza delle voci assoggettate a contributi (ricavi da servizi retail nel bilancio dell’un operatore e ricavi da servizi wholesale nel bilancio dell’altro).

4.2 Si osserva, poi, che la sentenza impugnata sarebbe errata anche nella parte in cui ha accolto, parimenti senza esaminarlo, il terzo motivo del ricorso di primo grado. In proposito la difesa erariale osserva che, sulla questione della deducibilità dalla base imponibile di altre tipologie di ricavo in ipotesi non inerenti agli ambiti interessati dalle attività di cui all’art. 12 della Direttiva autorizzazione, sempre la richiamata sentenza n. 6828 pubblicata del 12 luglio 2023 di questa Sezione ha chiarito che:

- la base imponibile non può, comunque, che determinarsi in considerazione dei ricavi inerenti agli ambiti interessati dalle attività di ci all’art. 12 della Direttiva autorizzazione, sicché la stessa determinazione della base imponibile (prima ancora di possibili deduzioni) deve, comunque, effettuarsi tenendo conto dell’inerenza di tali ricavi ad attività interessate dalle funzioni di cui all’art. 12 citato, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia;

- in base a tale precisazione, la voce A1 del conto economico presa in considerazione dall’Autorità riguarda i ricavi derivanti dall’attività caratteristica dell’impresa e, quindi, in gran parte attività interessate dalle funzioni di cui all’art. 12 della Direttiva, tuttavia rischia di terminare per ricomprendere anche ricavi derivati da attività irrelate da tali funzioni;
di conseguenza risulta necessario – in sede di riedizione del potere – determinare in modo puntuale la base imponibile o, comunque, stabilire meccanismi di deduzione in relazione a ricavi riferiti ad attività irrelate dalle funzioni indicate dall’art. 12 della Direttiva;

- in difetto di una puntuale esclusione della deducibilità di alcuni costi, la casistica di ricavi deve piuttosto esaminarsi nel caso concreto e, in particolare, in relazione agli atti specifici di determinazione del contributo, non potendosi adottare una pronuncia su un dato meramente ipotetico che diverrà reale e sostanziale solo nella successiva fase di individuazione del contributo.

4.3 La difesa erariale aggiunge anche che le voci relative ai ricavi cui si riferiscono le affermazioni motive della sentenza n. 6828/2023 da ultimo richiamate non costituirebbero oggetto di specifica contestazione nel presente giudizio e che vi sarebbe, in ogni caso, la possibilità di escludere dalla base imponibile i ricavi maturati al di fuori dell’autorizzazione generale (potendo detti ricavi essere scomputati tramite indicazione del corrispondente codice Ateco).

Con specifico riguardo ai ricavi relativi alla vendita di apparati hardware ( id est le apparecchiature ed i dispositivi di telecomunicazione quali telefoni cellulari, router, etc.) - gli unici oggetto di specifica contestazione nel presente giudizio vertendo su di essi il terzo motivo del ricorso di primo grado - si aggiunge poi che sempre la sentenza n. 6828/2023 ha statuito che la vendita di apparecchi hardware risulta presa in considerazione dall’Autorità non isolatamente ma insieme ai contratti di servizi di comunicazione elettronica sicché essa costituisce elemento componente dell’offerta commerciale degli operatori di comunicazione elettronica (cd. offerta “bundle”), circostanza che giustifica – sul piano della ragionevolezza – la loro inclusione, in conformità al dettato normativo nazionale (che fa riferimento ai ricavi maturati dalle imprese nelle attività oggetto di autorizzazione generale), nel perimetro della base imponibile.

5. Con il primo motivo dell’appello n. R.G. 6314 del 2023 Fastweb S.p.A. censura, invece, la sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il primo motivo del ricorso di primo grado a mezzo del quale era stata denunciata la violazione da parte di A.G.Com. dei criteri e dei vincoli stabiliti dall’art. 16 Direttiva UE 2018/1972 e dall’art. 16 D.Lgs. n. 259/2003 in relazione alla determinazione dei costi che possono essere finanziati con la contribuzione in capo agli operatori affermando che “Non coglie nel segno il primo motivo, con cui la ricorrente ha genericamente dedotto che l’orientamento espresso dalla giurisprudenza comunitaria determinerebbe l’illegittimità dell’impugnata deliberazione” e, dopo aver richiamato la sentenza Cons. Stato n. 208/2022, che “alla luce dell’orientamento sopra illustrato, è necessario condurre una puntuale verifica, in concreto, in ordine agli elementi presi in esame ai fini della determinazione del contributo, non potendo, all’opposto, ritenersi integrata una violazione della normativa speciale sul generico assunto secondo cui «a oltre 10 anni dall’adozione della delibera 599/11/CONS relativa al contributo 2011 annullata in via definitiva dal giudice amministrativo, dunque, nel 2022 l’Agcom continua a perpetrare le medesime violazioni dei vincoli UE già ripetutamente stigmatizzate dalla giurisprudenza»”

Secondo l’appellante Fastweb S.p.A. tale capo della sentenza:

- sarebbe in palese contraddizione con l’ulteriore capo che ha invece accertato l’illegittimità delle delibere impugnate in relazione ad analoghi profili di violazione della normativa applicabile;

- non consentirebbe di comprendere in che modo le delibere impugnate sarebbero coerenti con l’art. 16 Direttiva UE 2018/1972 (e, quindi, da quale punto di vista il primo motivo di ricorso di Fastweb S.p.A. sarebbe infondato).

6. Con il terzo motivo dell’appello n. R.G. 6314 del 2023 Fastweb S.p.A. censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha mancato di pronunciarsi sul secondo motivo del ricorso di primo grado. Si osserva che, pur essendo formalmente indicato come accolto a pag. 12 della sentenza, detta statuizione risulta contenuta in un capo che, tuttavia, sarebbe in realtà riferito a contestazioni di Fastweb S.p.A. contenute nel primo motivo del ricorso.

A tal fine si ripropongono le doglianze svolte sul punto in prime cure deducendo che:

- la Delibera 376/21/CONS, a fronte di un’aliquota contributiva fissata all’1,3 per mille, amplierebbe irragionevolmente la base imponibile a cui applicare la suddetta aliquota, anche per effetto dell’espresso divieto - stabilito dall’Allegato B, par. 10, Delibera 376/21/CONS - di detrarre dalla base 21 imponibile i cd. ricavi riversati ad operatori terzi;

- i c.d. ricavi riversati a operatori terzi sono rappresentati da quella parte dei ricavi derivanti dalla fornitura di servizi a utenti finali che sono utilizzati per l’acquisto dei corrispondenti servizi wholesale da operatori terzi e che, in definitiva, costituiscono veri e propri costi operativi

- l’inclusione nella base imponibile anche dei c.d. “ricavi riversati a terzi” porterebbe alla paradossale situazione per cui un operatore dovrebbe calcolare il contributo A.G.Com. anche sulla base di ricavi che in realtà sono soltanto virtuali, e che dovrebbero essere più correttamente qualificati come “costi operativi”, in quanto corrisposti a un diverso operatore a titolo di corrispettivo per servizi all’ingrosso di varia natura (quali appunto la raccolta, il transito, la terminazione di chiamate su reti fisse e mobili);

- la necessaria esclusione dei ricavi riversati a operatori terzi dalla base imponibile della contribuzione risponderebbe alla funzione essenziale di evitare fenomeni di doppia contribuzione nei confronti di uno stesso flusso di ricavi;

- tale doppia imposizione si porrebbe in palese contrasto con i canoni di proporzionalità, trasparenza e obiettività sanciti dall’art. 16 Direttiva UE 2018/1972 e dall’art. 16 D.Lgs. n. 259/2003, dal momento che costringe gli operatori a sostenere un aggravio contributivo calcolato su importi che in realtà non costituiscono ricavi effettivi ma, in sostanza, costi da versare a operatori terzi che, a loro volta, calcolano su di essi il contributo da essi dovuto;

- proprio in virtù del fatto che i “ricavi riversati a terzi” rappresentano sostanzialmente dei costi operativi a carico dell’operatore contribuente, fino al 2013 l’A.G.Com. aveva sempre escluso tali somme dalla base di calcolo della contribuzione (seppur con ingiustificate limitazioni);

- anche questo Consiglio avrebbe già più volte accertato il suddetto profilo di illegittimità, riconoscendo che la mancata detrazione dalla base imponibile dei ricavi riversati a terzi “espone al conseguente rischio di duplice contribuzione (con specifico riferimento ai c.d. ricavi riversati) sia da parte dell'operatore che presta il servizio all'utente finale e al contempo paga il servizio di interconnessione/raccolta/terminazione sia da parte del terzo operatore cui le quote sono riversate a titolo di corrispettivo e per il quale rappresentano un ricavo parimenti sottoponibile a contributo” (sentenza Cons. Stato, Sez. VI, n. 206/2022;
analogamente, si vedano anche Cons. Stato, Sez. VI, 9 marzo 2021, n. 1995 e Cons. Stato, Sez. VI, 13 ottobre 2020, n. 6176).

7. Con il quarto motivo dell’appello n. R.G. 6314 del 2023 Fastweb S.p.A. censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha mancato di pronunciarsi sul terzo motivo del ricorso di primo grado. Si osserva che, pur essendo formalmente indicato come accolto a pag. 12 della sentenza, detta statuizione risulta contenuta in un capo che, tuttavia, sarebbe in realtà riferito a contestazioni di Fastweb S.p.A. contenute nel primo motivo del ricorso.

A tal fine si ripropongono le doglianze svolte sul punto in prime cure deducendo che le delibere impugnate sarebbero illegittime anche in relazione all’individuazione dei ricavi compresi nella base imponibile della contribuzione. In particolare parte appellante osserva che:

- la base imponibile del contributo de quo (ossia il complesso dei ricavi a cui applicare l’aliquota contributiva dell’1,3 per mille) è composta dai “ricavi conseguiti nei settori delle comunicazioni elettroniche”;

- nell’indeterminatezza di questa definizione, l’A.G.Com. ha stabilito di includere i ricavi di tutte le attività che, seppur estranee a qualsiasi competenza e/o attività regolamentare dell’A.G.Com., siano comunque in qualche modo ricollegabili a non meglio precisati “settori delle comunicazioni elettroniche”,

- per contro, nel rispetto dei vincoli di cui all’art. 16 Direttiva UE 2018/1972 ampiamente descritti e del principio di proporzionalità, il prelievo contributivo non potrebbe essere esteso anche ai ricavi da attività che non rientrino nell’ambito di intervento regolamentare dell’A.G.Com.;

- tra le attività indicate al par. 10 dell’All. B alla Delibera 376/21/CONS come incluse nella base imponibile vi sono anche: “- 46.52.01 - Commercio all’ingrosso di apparecchi e materiali telefonici;
- 46.52.09 - Commercio all’ingrosso di altre apparecchiature elettroniche per telecomunicazioni e di altri componenti elettronici;
- 47.42 - Commercio al dettaglio di apparecchiature per le telecomunicazioni e la telefonia in esercizi specializzati”;
attività, queste, che non sarebbero mai state in alcun modo regolamentate dall’ A.G.Com. e neanche rientrerebbero astrattamente tra le sue competenze;

- nel dettaglio non dovrebbero essere inclusi nella base imponibile della contribuzione i ricavi relativi alla vendita di apparecchiature e dispositivi di telecomunicazione (ad esempio, telefoni cellulari, router, etc.) in quanto svolta secondo “ordinarie” dinamiche commerciali da una molteplicità di soggetti estranei al perimetro della regolamentazione dell’A.G.Com.;

- analogamente, non sarebbero suscettibili di essere ricondotti alla base imponibile della contribuzione i ricavi relativi a c.d. servizi a valore aggiunto (o V.A.S.), dal momento che non sarebbero soggetti alla regolamentazione settoriale di A.G.Com., bensì alla normativa emessa dal Ministero dello Sviluppo Economico (D.M. 2 marzo 2006, n. 145) e alla relativa attività di vigilanza.

8. Tutti i suddetti motivi di gravame, che possono essere esaminati congiuntamente stante l’intima connessione tra loro esistente, sono infondati.

Il Collegio ritiene, tuttavia, di doversi in parte discostare dalla motivazione offerta dal giudice di prime cure a sostegno della propria decisione.

Quest’ultima, infatti, pur giungendo alla condivisibile conclusione che la delibera gravata in prime cure è illegittima in quanto affetta da un vizio di istruttoria e motivazione (statuizione che va, quindi, confermata), appare in certa misura fuori fuoco e segue un percorso argomentativo non perfettamente in linea con i più recenti sviluppi della giurisprudenza europea e di questa Sezione in subiecta materia .

Più segnatamente, il T.A.R. sembra essere incorso in un lapsus calami allorquando, nel ritenere sussistente il denunciato vizio di motivazione, ha dichiarato fondati ed ha, quindi, accolto il secondo e terzo motivo del ricorso di primo grado (invero incentrati, come correttamente rilevato dalla difesa erariale, su doglianze sostanzialmente differenti e relative, rispettivamente, all’illegittima inclusione nella base imponibile dei ricavi riversati a operatori terzi e all’illegittima inclusione nella base imponibile di ricavi relativi ad attività non rientranti nell’ambito di competenza dell’A.G.Com). Al contempo, il T.A.R. ha formalmente respinto il primo motivo del ricorso di primo grado a mezzo del quale pure era stato dedotto il rilevato vizio di istruttoria e motivazione. In ultimo, il giudice di prime cure ha totalmente omesso l’esame del secondo e terzo motivo sempre del ricorso di primo grado.

Detta grave carenza motivazionale della sentenza impugnata, denunciata seppur in chiave diversa da entrambe le parti appellanti, non è, tuttavia, ad avviso del Collegio, tale da integrare la nullità di tale pronuncia. Infatti, secondo l’Adunanza plenaria di questo Consiglio, il carattere sostitutivo dell’appello consente sempre al Giudice di secondo grado di correggere, integrare e completare la motivazione carente, contraddittoria o insufficiente e di pronunciarsi sul merito della causa (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 30 luglio 2018, n. 11). Diverso è il caso della motivazione radicalmente assente (o meramente apparente): infatti, in questa ipotesi, l’assenza o il difetto assoluto della motivazione, quale elemento indefettibile che consenta di rinvenire un concreto esercizio di potestas iudicandi (art. 88 c.p.a.), impedisce al giudice di appello di esercitare un qualsivoglia sindacato di tipo sostitutivo per essere mancata, nella sostanza, una statuizione sulla quale egli possa incidere, seppure nella forma di integrazione/emendazione delle motivazioni.

L’ipotesi di difetto assoluto di motivazione costituisce, quindi, vizio di marcata gravità riscontrabile:

i) nelle ipotesi estreme di mancanza “fisica” o “grafica” della motivazione o di motivazione palesemente non pertinente rispetto alla domanda proposta;

ii) nell’ipotesi di motivazione apparente, per tale intendendosi la motivazione tautologica o assertiva, espressa attraverso mere formule di stile e, quindi, non sorretta da indicazioni in ordine alle effettive ragioni a sostegno della decisione con conseguente inosservanza del precetto di cui all’art. 111, comma 6, della Costituzione.

Tali condizioni non ricorrono, tuttavia, nel caso di specie, atteso che la decisione reca, comunque, un corredo motivazionale che non può ritenersi meramente tautologico o assertivo.

Ne discende, pertanto, che, dando seguito ad un orientamento che ormai costituisce jus receptum , deve ribadirsi, anche nel caso di specie, che “l'omessa pronuncia su una o più censure proposte con il ricorso giurisdizionale non configura un error in procedendo, tale da comportare l'annullamento della decisione, con contestuale rinvio della controversia al giudice di primo grado ex art. 105, comma 1, c.p.a., ma solo un vizio dell'impugnata sentenza che il giudice di appello è legittimato ad eliminare, integrando la motivazione carente o, comunque, decidendo sul merito della causa” (così ex multis Cons. Stato sez. V, 12/11/2020, n.6973).

8.1 Tanto premesso, può muoversi in questa sede, anzitutto, dall’esame dei primi due motivi dell’appello dell’Autorità con cui è stata denunciata l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha ritenuto fondata la censura del ricorso di primo grado a mezzo della quale è stata denunciato un difetto di motivazione della delibera gravata in prime cure.

Ebbene, se è pur vero che, come dedotto dalla difesa erariale, la decisione appellata ha sbrigativamente riconosciuto la fondatezza del vizio in parola attraverso il laconico richiamo ad alcuni precedenti (le sentenze nr. 208 e 205 del 2022 sempre di questa Sezione) non conferenti in punto di fatto (in quanto riferiti aventi ad oggetto le delibere impositive relative alle annualità 2020 e 2018 che si caratterizzavano per un impianto motivazionale molto diverso e più scarno rispetto alla delibera relativa all’annualità 2022), la statuizione resa dal giudice di prime cure appare sostanzialmente corretta alla luce della giurisprudenza più recente di questa Sezione in subiecta materia .

In particolare, la delibera gravata in prime cure appare affetta da un difetto di motivazione ed istruttoria in quanto non in linea con lo standard minimo da ultimo tratteggiato, nel recepire le indicazioni fornite in sede di rinvio pregiudiziale dalla Corte di Giustizia UE (sez. X, ordinanza del 29 aprile 2020 resa nella causa C-399/19) con la sentenza Cons. Stato, sez. VI, 12/07/2023, n. 6828 (pronuncia resa con riguardo ad analoga delibera recante la disciplina per la misura e le modalità di versamento del contributo dovuto all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni per l’anno 2021).

E, infatti, la delibera impugnata in primo grado, anche se dotata di un corredo motivazionale più ampio e articolato rispetto a quelle degli anni 2019 e 2020, si è limitata a ripartire percentualmente il fabbisogno complessivo tra le diverse tipologie di attività svolte dai singoli centri di costo, non muovendosi pertanto in una logica “funzionale” e senza ottemperare correlativamente agli oneri istruttori e motivazionali puntualmente delineati nel punto 21. della anzidetta decisione.

Nel passaggio appena citato questa Sezione, nel delineare l’effetto conformativo della pronuncia e, quindi, nello stabilire quale debba essere il percorso motivazionale da seguire per l’adozione della delibere con cui si determinano misura e le modalità di versamento del contributo dovuto all’A.G.Com. ha, infatti, espressamente prescritto che quest’ultima debba attenersi alle seguenti indicazioni:

“i) individuare preventivamente le attività riferibili agli ambiti indicati dall’ordinanza della Corte di Giustizia del 29 aprile 2020, procedendo ad una chiara e definita elencazione di atti, procedimenti, e, in generale, funzioni riferibili a tale settore;

ii) esplicitare in modo chiaro e compiuto le ragioni che conducono ad inserire le attività di cui alla precedente lettera ii) nell’alveo della previsione di cui all’art. 12 della Direttiva autorizzazioni (ora art. 16 della Direttiva del 2018);

iii) computare - mediante un’analitica rendicontazione delle attività di cui alla precedente lettera i) - i costi relativi a tale attività da indicare in forma disaggregata, ivi compresi i costi per il personale impiegato in modo esclusivo e non in tali specifiche attività, utilizzando per questi ultimi costi un meccanismo di computo che dia evidenza dell’impiego delle risorse umane nell’esercizio delle funzioni di cui all’art. 12 della Direttiva autorizzazioni;

iv) in relazione ai costi sostenuti per le attività di cooperazione internazionale, di armonizzazione e di standardizzazione, di analisi di mercato, di sorveglianza del rispetto delle disposizioni e di altri controlli di mercato, nonché di preparazione e di applicazione del diritto derivato e delle decisioni amministrative, indicare in modo trasparente ed analitico quali di queste attività siano effettivamente riferibili all’ambito precisato dalla Corte di Giustizia nonché il meccanismo di imputazione pro quota dei predetti costi alle tre funzioni identificate dal Giudice europeo;

v) in generale, riferire ai diritti amministrativi i soli costi per i quali risulti in modo chiaro, evidente e trasparente il nesso con le attività di cui all’art. 12 della Direttiva autorizzazione secondo, quindi, un criterio di stretta pertinenza e, comunque, con modalità improntate a prudenza e trasparenza (così da minimizzare i costi amministrativi aggiuntivi e gli oneri associati), da esplicitare con congrua ed adeguata motivazione”.

Facendo applicazione delle suddette coordinate interpretative l’Autorità avrebbe dovuto, anche nel caso in esame, in applicazione della disciplina interna ed unionale di riferimento (e, in particolare degli artt. 16 della Direttiva UE 2018/1972 e dell’art. 16 D.Lgs. n. 259/2003), anzitutto, individuare le specifiche funzioni finanziabili a mezzo del contributo, indicandone analiticamente le ragioni. Avrebbe, poi, dovuto effettuare una stima del costo di ciascuna di essa. Inoltre, nel caso di funzioni trasversali, avrebbe dovuto individuare anche una modalità di imputazione pro quota del loro costo complessivo stimato rispetto alle tre aree funzionali finanziabili individuate dalla giurisprudenza europea. Solo successivamente avrebbe dovuto, in sede di rendicontazione, dare analiticamente atto dei costi effettivamente sostenuti.

Per contro, come evincibile in maniera piana dalla motivazione della delibera impugnata in primo grado, nel caso in esame l’A.G.Com. è partita con l’effettuare, sulla base della rendicontazione del 2020 (che ben poteva essere assunta, in assenza di altri e più recenti documenti contabili, a parametro solo indicativo di riferimento), una stima complessiva dei costi ritenuti finanziabili ed ha individuato, per l’effetto, il proprio fabbisogno complessivo, così ribaltando l’ordine logico da seguire nel percorso motivazionale. Il testo della motivazione sembra, peraltro, rivelare un obiettivo che è quello (dichiarato a pag. 8 della delibera n. 376/21/CONS) di raggiungere l’“equilibrio finanziario per ogni settore”. Quest’ultimo è ben diverso da quello che si deve perseguire a mezzo della delibera in questione, rappresentato dalla sola perimetrazione e quantificazione in via di stima dei costi finanziabili a mezzo del contributo imposto (che non coincidono, per logica, con tutti i costi sostenuti dall’Autorità).

Quest’ultima ha, poi, ripartito in percentuale tale fabbisogno complessivo ex art. 34 del Codice del comunicazioni elettroniche tra le tre categorie di attività identificate dalla giurisprudenza europea guardando, tuttavia, alle proprie articolazioni organizzative in chiave statica (Direzione tutela dei consumatori – Ufficio servizio universale, trasparenza e regolamentazione;
Ufficio per i diritti degli utenti di reti e servizi di comunicazione;
Ufficio garanzie e tutele, dall’Ufficio Corecom e coordinamento ispettivo e dall’Ufficio gestione Contact Center e relazioni con il pubblico del Segretariato Generale) piuttosto che, in chiave dinamica, alle proprie funzioni.

Pare, pertanto, che la valutazione effettuata dall’Autorità anche per il 2022 sia rimasta calibrata, come nelle precedenti delibere “su centri di costo che in modo diretto o indiretto svolgono attività ricondotta alla previsione di cui all’art. 12 della Direttiva autorizzazione” e non si sia, invece, fondata sulla individuazione e stima analitica (e non onnicomprensiva per categoria) delle “concrete attività” svolte (come prescritto nella sentenza n. 6828 del 2023 di questa Sezione).

In ultimo, nella delibera impugnata, A.G. Com. ha mancato di predisporre in relazione alle funzioni trasversali un meccanismo di imputazione pro quota che permetta di apprezzare in che misura esse siano effettivamente riferibili alle specifiche funzioni finanziabili.

8.2 È appena il caso di notare che, come correttamente obiettato dalle difese delle parti private, il deficit motivazionale ed istruttorio che affligge la delibera non può essere surrettiziamente superato alla luce della rendicontazione 2022 da ultimo depositata, solo in data 8 novembre 2023, dalla difesa erariale. Infatti, la rendicontazione è un atto formalmente e sostanzialmente distinto dalla deliberazione a monte (benché si inserisca nella medesima seriazione procedimentale) ed ha una funzione diversa (di verifica ex post della effettiva correttezza della stima anche nell’ottica dell’effettuazione di eventuali rettifiche). Ne è riprova che la sentenza n. 6828 del 2023 di questa Sezione dedica, in fase conformativa, una specifica prescrizione per la fase della rendicontazione (la iii).

Alla luce di queste considerazioni, deve ritenersi che, in disparte dalla attivazione di meccanismi di scomputo successivi ad esito della rendicontazione (che peraltro, come si dirà, può temporalmente avere luogo anche in altro e successivo esercizio), sull’Autorità gravi, già in sede di stima, un rigoroso onere motivazionale che non può essere assolto in un secondo momento attraverso un’inammissibile motivazione postuma. Del resto, la delibera qui in scrutinio è immediatamente lesiva della posizione degli operatori economici tenuti alla contribuzione (tanto da far scattare in capo a questi l’onere di insorgere tempestivamente in sede giudiziale avverso di essa) producendo autonomi effetti giuridici (tra cui, fra tutti, quello di potere avviare le operazioni di riscossione sulla base del dovuto accertato in via di stima). In questo senso il sopra richiamato punto 21. (iv) della sentenza n. 6828 del 2023 di questa Sezione che ha messo in evidenza come, nell’ambito di tutto il procedimento impositivo de quo (e, quindi, anche in fase di stima preliminare e non solo di rendicontazione) l’Autorità debba, in maniera rigorosa, “riferire ai diritti amministrativi i soli costi per i quali risulti in modo chiaro, evidente e trasparente il nesso con le attività di cui all’art. 12 della Direttiva autorizzazione secondo, quindi, un criterio di stretta pertinenza e, comunque, con modalità improntate a prudenza e trasparenza (così da minimizzare i costi amministrativi aggiuntivi e gli oneri associati), da esplicitare con congrua ed adeguata motivazione”.

Per le ragioni sopra esposte vanno, quindi, disattesi i primi due motivi di appello dell’Autorità ed il primo motivo dell’appello di Fastweb S.p.A. dovendosi ritenere, nella sostanza e al netto delle integrazioni sopra effettuate, corretta la statuizione con cui il giudice di primo grado ha rilevato un difetto di istruttoria e motivazione della deliberata gravata in prime cure.

8.3 Sono, altresì da disattendere, in quanto infondate le doglianze mosse da Fastweb S.p.A. con il terzo e quarto motivo del proprio appello (che ripropongono censure di cui, come detto, il T.A.R. ha del tutto omesso l’esame nella sentenza impugnata).

Nel dettaglio, appare destituita di giuridico fondamento la censura svolta a mezzo del terzo motivo dell’appello di Fastweb S.p.A. con cui si deduce la questione dei cd. “costi riversati”.

Con riferimento a quest’ultima il Collegio ritiene di dover condividere e fare propria la posizione espressa da questa Sezione, in parziale revirement rispetto al suo precedente orientamento, sempre nella sentenza n. 6828 del 2023.

È stato, in particolare, ivi osservato che i cd. “ricavi riversati” costituiscono “costi sostenuti dall’operatore economico per l’acquisto dei servizi intermedi da parte dell’operatore infrastrutturato;
in particolare, si tratta dei servizi che questi sostiene per acquistare «all’ingrosso» i servizi di accesso e interconnessione alla rete (di cui non dispone) e che sono indispensabili per offrire il servizio finale all’utente. Si tratta, inoltre, di attività svolte in forza di un’autorizzazione generale necessaria sia per vendere, a monte, il «servizio di accesso alla rete» (su rame e/o fibra), che, a valle, per vendere il «servizio di traffico telefonico» (sia voce che dati)” e che il ricavo preso in considerazione dell’Autorità in relazione ad essi è “il valore economico lordo che si genera in capo all’impresa per effetto della vendita di un bene ed un servizio” (sentenza n. 6828 del 2023).

Tanto premesso la Sezione ha, altresì messo in evidenza come “le previsioni di cui agli artt. 34, comma 2-bis del D.Lgs. n. 259/2003 e 1, comma 66, della L. n. 266/2005 ancorino il contributo al parametro costituito dai «ricavi maturati dalle imprese nelle attività oggetto dell’autorizzazione generale o della concessione di diritti d’uso». Pertanto, trattandosi di attività che, come esposto, sono svolte in forza di un’autorizzazione generale le stesse possono ricomprendersi all’interno della base imponibile” (sentenza n. 6828 del 2023 di questa Sezione).

Il precedente in parola si è anche fatto carico di escludere la violazione, nel computo dei cd. “costi riversati”, del divieto di doppia imposizione rilevando, da un lato, condivisibilmente, che “in ragione della liberalizzazione del mercato in esame da tempo realizzata dal legislatore, i costi in esame costituiscono, in sostanza, costi di acquisto dei fattori produttivi per l’operatore che non sviluppa la propria infrastruttura ma si avvale di altro operatore infrastrutturato per realizzare, dal punto di vista tecnico, il servizio offerto alla clientela” sicché “L’espunzione dalla base imponibile di tale voce si sostanzierebbe, quindi, nella deduzione di un costo legato ad un fattore produttivo, legando, per l’effetto, la base imponibile in parte qua all’utile e non al ricavo (sottraendosi, infatti, dal ricavo un costo di produzione)” (così sempre nella sentenza n. 6828 del 2023).

Dall’altro, ancora più specificamente, è stato ivi osservato che:

- secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, “la doppia imposizione si verifica soltanto nell'ipotesi di due [atti di imposizione] che assoggettino a tassazione il medesimo presupposto, non quando l'imposta venga chiesta in pagamento a fronte di due diversi titoli a due soggetti diversi” (Cassazione civile, Sezione tributaria, 30 ottobre 2018, n. 27625;
Cassazione civile, Sezione tributaria, 3 giugno 2021, n. 15393, secondo la quale “l’operatività del divieto di doppia imposizione postula la reiterata applicazione della medesima imposta in dipendenza dello stesso presupposto;
tale condizione non si verifica in caso di duplicità meramente economica di prelievo sullo stesso reddito, come quella che si realizza, proprio in caso di partecipazione al capitale di una società commerciale, con la tassazione del reddito sia ai fini dell'IRPEG, quale utile della società, sia ai fini dell'IRPEF, quale provento dei soci, attesa la diversità non solo dei soggetti passivi, ma anche dei requisiti posti a fondamento delle due diverse imposizioni”);

- per quanto qui interessa, nel settore delle comunicazioni elettroniche i “ricavi riversati” sono riportati nel bilancio dell’operatore nella voce dei ricavi da servizi retail e nel bilancio dell’altro operatore come ricavi da servizi wholesale sicchè si riscontra tanto una diversità dei soggetti passivi, quanto la differenza delle voci assoggettate a contributo con conseguente insussistenza dei visti presupposti di operatività del divieto di doppia imposizione.

8.4 Parimenti infondata è la censura, svolta a mezzo del quarto motivo dell’appello di Fastweb S.p.A., con cui si deduce la questione della computabilità dei ricavi relativi alla vendita di apparati hardware ( id est le apparecchiature ed i dispositivi di telecomunicazione quali telefoni cellulari, router, etc.).

Non v’è, anche con riguardo a questo aspetto, ragione per discostarsi dal recente arresto di questa Sezione prima invocato (sentenza n. 6828 del 2023) il quale non ha fatto altro che recepire, a sua volta, il già consolidamento insegnamento pretorio. Quest’ultimo muove, in particolare, dalla constatazione del fatto, qui pacifico tra le parti, che l’Autorità, nella propria attività di stima, prende in considerazione la vendita di apparecchi “ hardware ” non isolatamente ma insieme ai contratti di servizi di comunicazione elettronica. Tale rivendita viene, pertanto, in rilievo quale elemento componente l'offerta commerciale degli operatori di comunicazione elettronica (cd. offerta “ bundle ”). Circostanza che, secondo la Sezione, giustifica – sul piano della ragionevolezza - l'inclusione di tali ricavi. Inoltre, non vale rilevare che i due prodotti possono essere venduti separatamente occupando mercati distinti, in quanto se ciò è vero in generale, nella specie, la natura dell'operatore economico e la specifica attività che svolge induce a ritenere corretta l'affermazione svolta dall'Autorità (in termini Consiglio di Stato, Sez. VI, 15 marzo 2021, n. 2214;
Id., 9 marzo 2021, n. 1995).

Analoghe considerazioni sono spendibili anche con riguardo ai ricavi relativi ai c.d. servizi a valore aggiunto (o V.A.S.) in quanto questi ultimi, non essendo stato peraltro diversamente dedotto da parte appellante, pure ineriscono, in rapporto di accessorietà, all’offerta commerciale complessiva dell’operatore economico.

Resta, peraltro, in generale, ferma, come osservato dalla difesa erariale, la possibilità per gli operatori economici di scomputare i ricavi eventualmente maturati al di fuori dell’autorizzazione generale ed inseriti nella voce A1 del bilancio tramite indicazione del corrispondente codice Ateco in sede di compilazione del modello per il calcolo del contributo.

9. È ora possibile procedere allo scrutinio dei restanti motivi dell’appello n. R.G. 6314 del 2023 proposto da Fastweb S.p.A..

Con il secondo motivo dell’appello n. R.G. 6314 del 2023 Fastweb S.p.A. deduce, per l’ipotesi in cui il capo impugnato della sentenza di cui al primo motivo fosse interpretato in maniera tale da indicare effettivamente un profilo di coerenza della posizione di A.G.Com. rispetto all’art. 16 Direttiva UE 2018/1972, che tale posizione del T.A.R. sarebbe comunque da riformare, in ragione dell’evidente violazione da parte di A.G.Com. degli obblighi comunitari che regolano il sistema degli oneri contributivi a carico degli operatori autorizzati alla fornitura di reti e servizi di comunicazioni elettroniche.

In particolare, sarebbe radicalmente erroneo il presupposto stesso su cui A.G.Com. fonda la propria posizione (anche nelle delibere sulla contribuzione 2022), ossia che tutti i propri costi direttamente e indirettamente riconducibili al settore delle comunicazioni elettroniche sarebbero riferibili alle categorie indicate dall’art. 16 Direttiva UE 2018/1972, vale a dire le sole che possono essere finanziate con la contribuzione a carico degli operatori.

Si osserva, in proposito che l’art. 16, comma 1, Direttiva UE 2018/1972 identifica nei “soli costi amministrativi sostenuti per la gestione, il controllo e l’applicazione del sistema di autorizzazione generale, dei diritti d’uso e degli obblighi specifici” i costi suscettibili di essere coperti con oneri economici a carico degli operatori e che la Corte di Giustizia ha ripetutamente precisato (sentenza 18 luglio 2013, causa C-228/12;
sentenza 28 luglio 2016, causa C-240/15;
ordinanza 29 aprile 2020, causa C-399/19) che tale disposizione vieta alle autorità di regolamentazione di finanziare attraverso la contribuzione a carico degli operatori l’intero complesso dei propri costi riferiti al settore delle comunicazioni elettroniche, dovendosi invece effettuare una rigorosa identificazione dei costi riconducibili alle suddette tre macro-categorie.

Secondo la difesa dell’appellante Fastweb S.p.A., nel caso della contribuzione relativa all’anno 2022, la violazione dei suddetti vincoli comunitari deriverebbe dal fatto che il prelievo contributivo è stato determinato al fine di finanziare non già i costi delle sole attività regolamentari indicate dall’art. 16, comma 1, Direttiva 2018/1972, bensì l’intero complesso dei costi derivanti da tutte le attività direttamente e indirettamente rientranti nel settore delle comunicazioni elettroniche. Ciò sarebbe stato ammesso dalla stessa Autorità che, nel richiamato rendiconto del 2020, al fine di identificare i costi da coprire con la contribuzione annuale, ha affermato di aver condotto una verifica basata sulle seguenti fasi: “nella prima, sono state individuate le spese direttamente attribuibili al settore delle comunicazioni elettroniche;
nella seconda, quelle indirettamente attribuibili derivanti dalle attività di natura trasversale ai tre ambiti di regolazione” (Rendiconto 2020, pag. 4).

L’Autorità avrebbe, pertanto, preso in considerazione anche i costi indiretti e, più segnatamente, una porzione significativa delle proprie attività riferibili al settore delle comunicazioni elettroniche ma non direttamente ricollegabili a quelle indicate dall’art. 16, comma 1, Direttiva UE 2018/1972.

Nel dettaglio l’appellante Fastweb S.p.A. deduce che l’Autorità avrebbe preso in considerazione anche:

- la definizione dei piani nazionali di numerazione;

- la gestione e controllo del Registro degli Operatori di Comunicazione;

- la definizione dei criteri di utilizzo delle frequenze radiomobili;

- l’attività in materia di tutela del consumatore (procedimenti sanzionatori, interventi regolamentari in materia di carte dei servizi e qualità dei servizi, etc.);

- gli studi e consulenze;

- le attività del servizio economico-statistico;

- la partecipazione a istituzioni e organismi sovranazionali;

- gli uffici cd. strumentali (bilancio, personale, sistemi IT, etc.).

9.1 La doglianza non coglie nel segno.

È sufficiente, sul punto, fare applicazione del costante orientamento della giurisprudenza di questa Sezione in materia, da ultimo ribadito dalla già citata sentenza n. 6828 del 2023 (anche alla luce della complessa istruttoria ivi svolta che ha ricostruito, sul piano comparato, l’attuazione della disciplina unionale in materia di costi finanziabili nei diversi paesi membri).

In essa è stato, in particolare, osservato, sulla scorta del diritto vivente, che l’ambito applicativo della Direttiva autorizzazioni ricomprende anche “l’ulteriore attività strumentale, individuata [nei] costi di cooperazione internazionale, di armonizzazione e di standardizzazione, di analisi di mercato, di sorveglianza del rispetto delle disposizioni e di altri controlli di mercato, nonché di preparazione e di applicazione del diritto derivato e delle decisioni amministrative, quali le decisioni in materia di accesso e interconnessione” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 29 settembre 2020, n. 4827;
Id., 13 ottobre 2020, n. 6175, n. 6176, n. 6178 e n. 6179). Si tratta, in sostanza, di costi per il funzionamento di strutture dell’Autorità le cui attività non possono a priori espungersi dall’ambito applicativo della Direttiva autorizzazione atteso che le disposizioni di tale Direttiva – come rileva l’interpretazione della Corte di Giustizia - non mirano a predeterminare in astratto le tipologie di costi ammissibili in ragione delle strutture coinvolte ma, al contrario, si incentrano sull’attività svolta che, ove rientrante nelle categoria supra indicate, risulta finanziabile mediante il contributo. Del resto, nell’impianto della normativa euro-unitaria ciò che rileva non è tanto il singolo centro di costo astrattamente considerato ma la concreta riferibilità dell’attività che tale centro svolge nell’esercizio di funzioni e compiti ricompresi nell’art. 12 della direttiva.

Inoltre, come chiarito dalla Corte di Giustizia (ordinanza Sez. X, 29 aprile 2020, causa C-399/19) possono includersi nei costi amministrativi complessivi relativi alle tre categorie di attività anche i costi di cooperazione internazionale, di armonizzazione e di standardizzazione, di analisi di mercato, di sorveglianza del rispetto delle disposizioni e di altri controlli di mercato, nonché di preparazione e di applicazione del diritto derivato e delle decisioni amministrative, quali le decisioni in materia di accesso e interconnessione. In sostanza, nella misura in cui tali centri svolgano attività riferibili direttamente o indirettamente a quelle indicate nella previsione dell’art. 12 della Direttiva autorizzazioni, i costi di tali centri sono, comunque, suscettibili di copertura mediante contributo.

Ebbene, alla luce delle suddette coordinate ermeneutiche, non pare al Collegio che nessuno dei costi indiretti indicati nel presente motivo possano considerarsi, in astratto, estranei all’ambito di quelli finanziabili.

Sarà, per converso, compito dell’Autorità in sede di motivazione della delibera di stima, secondo le coordinate illustrate al precedente punto 8., indicare le ragioni per cui ciascuna delle funzioni rientra nell’ambito di quelle effettivamente finanziabili.

10. Con il quinto motivo dell’appello n. R.G. 6314 del 2023 Fastweb S.p.A. censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il quarto motivo del ricorso di primo grado affermando che “non è ravvisabile […] un difetto di trasparenza correlato alla mancata pubblicazione, in via preventiva, del rendiconto di gestione, neppure nella prefigurata ipotesi di assenza di conformità rispetto al modello legale di cui all’art. 34 del d.lgs. 259/2003. Ciò in quanto è il contenuto concreto delle valutazioni istruttorie del procedimento di determinazione del contributo a sostanziarne la legittimità”.

Secondo la difesa di Fastweb S.p.A. detta statuizione sarebbe erronea sotto una pluralità di profili. In particolare si deduce che:

- essa risulterebbe in contraddizione con il fatto che le delibere impugnate sono state annullate proprio con riguardo all’illegittimità del procedimento di determinazione del contributo;

- la centralità del rendiconto annuale ai fini della determinazione del contributo annuale sarebbe stabilita dalla normativa applicabile nonché anche dalla stessa A.G.Com. sicché il contenuto di detto documento non potrebbe ritenersi irrilevante ai fini della complessiva valutazione di legittimità dell’operato dell’Autorità.

Con riguardo a tale secondo aspetto si osserva più segnatamente che:

- ai sensi dell’art. 16, comma 2, direttiva UE 2018/1972 e dell’art. 16, comma 4, d.Lgs. n. 259/2003, l’A.G.Com. è obbligata a pubblicare annualmente un rendiconto annuale che indichi sia i costi sostenuti per le attività che possono essere finanziate dagli operatori (ossia quelle relative “al rilascio, alla gestione, al controllo e l’attuazione del sistema di autorizzazione generale”), sia l’importo dei contributi riscossi dagli operatori, apportando le opportune rettifiche sulla base delle differenze tra questi due importi;

- tali obblighi, tuttavia, non avrebbero trovato corretta applicazione nelle delibere impugnate atteso che queste ultime pretendono di fondare la quantificazione del contributo per il 2022 su un documento che, sebbene formalmente denominato come “Rendiconto ex articolo 34, comma 2 ter, del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259” (Delibera 228/21/CONS), in realtà non sarebbe assolutamente conforme a quanto richiesto dal medesimo art. 34 (ora art. 16) e, soprattutto, dall’art. 16, comma 2, direttiva CE 2018/1972;

- detta non conformità discenderebbe dalla circostanza che il Rendiconto 2020 avrebbe quantificato non già i soli costi delle attività regolamentari indicate dall’art. 16 Direttiva UE 2018/1972, bensì l’intero complesso dei costi derivanti da tutte le attività direttamente e indirettamente rientranti nel settore delle comunicazioni, conducendo a tal fine una verifica in due fasi: “nella prima, sono state individuate le spese direttamente attribuibili al settore delle comunicazioni elettroniche;
nella seconda, quelle indirettamente attribuibili” (Rendiconto 2020, pag. 4).

10.1 La doglianza in parola non merita positivo apprezzamento.

Fuori dell’isolato precedente del T.A.R. per il Lazio, sede di Roma n. 2313 del 2017, è ormai pacifica, nella giurisprudenza unionale e nazionale, l’ammissibilità di una rendicontazione anche postuma del Rendiconto ex artt. art. 16, comma 2, direttiva UE 2018/1972 e 16, comma 4, d.Lgs. n. 259/2003.

L’ordinanza della Corte di giustizia UE, Sez. X, 29 aprile 2020 (causa C-399/19) ha, infatti, chiarito che “La direttiva autorizzazioni non impone la rendicontazione delle spese nel corso dello stesso esercizio” e che “spetta agli Stati membri determinare le modalità della pubblicazione del rendiconto annuale e dell’attuazione delle opportune rettifiche imposte dall’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva autorizzazioni, garantendo al contempo la trasparenza in maniera tale che le imprese interessate possano verificare se vi sia equilibrio tra i costi amministrativi e i diritti. Orbene, né la pubblicazione del rendiconto annuale successivamente alla chiusura dell’esercizio finanziario annuale durante il quale i diritti amministrativi sono stati riscossi, né l’applicazione delle opportune rettifiche durante un esercizio finanziario che non sia immediatamente successivo a quello durante il quale tali diritti sono stati riscossi sembrano, di per sé, impedire il soddisfacimento di tale requisito. Occorre pertanto rispondere alla seconda questione dichiarando che l’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva autorizzazioni deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa di uno Stato membro in forza della quale, da un lato, il rendiconto annuale previsto da tale disposizione è pubblicato successivamente alla chiusura dell’esercizio finanziario annuale nel quale i diritti amministrativi sono stati riscossi e, dall’altro, le opportune rettifiche sono effettuate nel corso di un esercizio finanziario non immediatamente successivo a quello nel quale tali diritti sono stati riscossi”.

In altri termini, la disciplina europea (recepita poi sul piano nazionale) prevede l'obbligo di rendicontazione (e della relativa pubblicazione) ma senza prescrivere la tempistica del relativo adempimento sicché la redazione del rendiconto può avere luogo, come accaduto nel caso di specie, anche successivamente alla chiusura dell’esercizio in cui è stato riscosso il contributo.

Pertanto, è legittimo per l’Autorità adottare il rendiconto anche successivamente (come avvenuto nel caso di specie e come risulta per gli anni precedenti) alla chiusura dell’esercizio in cui è stato riscosso il contributo.

Sotto altro profilo preme evidenziare che il Rendiconto 2020, come già osservato, è stato impiegato dall’Autorità solo come base contabile-finanziaria alla luce della quale stimare i costi per l’anno 2022. Del resto, è il Rendiconto 2022 (adottato con la delibera n. 268/23/CONS del 25 ottobre 2025 depositato in atti) il documento contabile con cui l’Autorità ha dato analitica evidenza, per l’annualità 2022, dei costi sostenuti a fronte dei contributi riscossi.

11. Con il sesto motivo dell’appello n. R.G. 6314 del 2023 Fastweb S.p.A. censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il quinto motivo del ricorso di primo grado affermando che “l’illegittimità del contributo fissato dall’Autorità […] non può certo derivare in modo immediato e diretto dalla consistenza del risultato di amministrazione conseguito da Agcom, come, invece, sottolineato con il quinto motivo dalla ricorrente. […] Il risultato di amministrazione costituisce, piuttosto, il principio guida per la commisurazione del contributo, quale soglia definita in esito all’approvazione del rendiconto di gestione”.

Secondo la difesa di Fastweb detta statuizione sarebbe errata dal momento che la valutazione della legittimità del prelievo contributivo in esame non potrebbe considerarsi del tutto slegata rispetto ai risultati finanziari e gestionali dell’A.G.Com..

Sul punto si deduce che:

- almeno per le attività nel settore delle comunicazioni elettroniche, le entrate dell’A.G.Com. sarebbero rappresentate pressoché esclusivamente dagli introiti derivanti dalla contribuzione a carico degli operatori e da tanto discenderebbe una connessione tra risultati finanziari di A.G.Com. e l’ammontare della contribuzione annuale imposta agli operatori;

- la sentenza avrebbe completamente trascurato di valutare e accertare l’illegittimità dei provvedimenti impugnati con riguardo all’erronea rettifica del contributo alla luce dell’elevato surplus finanziario derivante dal prelievo contributivo degli anni precedenti eccedente rispetto al fabbisogno finanziario di A.G.Com..

Con riguardo a tale secondo aspetto si aggiunge che:

- nelle premesse della Delibera 376/21/CONS, si afferma che l’aliquota contributiva dell’1,3 per mille è stata calcolata anche in considerazione del fatto che “in base alle eventuali differenze tra l’importo totale dei diritti riscossi e i costi amministrativi sostenuti, risultanti dai Rendiconti annuali previsti nel citato articolo, sono apportate le opportune rettifiche”;

- l’A.G.Com. ha quindi ridotto il proprio fabbisogno finanziario di una quota pari a 4,6 milioni di euro relativa ai maggiori introiti contributivi registrati negli anni precedenti, giungendo quindi ad un fabbisogno netto di 36,7 milioni di euro;

- tale presunta rettifica sarebbe stata, tuttavia, effettuata in palese contrasto con la previsione di cui all’art. 16, comma 2, Direttiva UE 2018/1972 secondo cui “ove vi sia una differenza tra l’importo totale dei diritti e i costi amministrativi, vengono apportate opportune rettifiche”.

Nel dettaglio, parte appellante osserva che detta rettifica sarebbe stata effettuata sulla base di una quota del tutto minoritaria degli importi contributivi versati in eccedenza dagli operatori negli anni precedenti e ciò sarebbe dimostrato dal contenuto del Rendiconto 2020 che, al par. III.c, quantifica in 25,1 milioni di euro il surplus derivante dal prelievo contributivo degli anni precedenti eccedente rispetto al fabbisogno (“Saldo complessivo entrate / spese per regolazione del settore delle comunicazioni elettroniche al 31 dicembre 2019”). In altri termini la suddetta rettifica sarebbe stata effettuata tenendo in considerazione meno di un quinto degli importi contributivi effettivamente versati in eccedenza dagli operatori negli anni precedenti (ossia 4,6 milioni di euro).

Sotto altro profilo la difesa di Fastweb S.p.A. deduce che il T.A.R. avrebbe omesso di considerare anche il fatto che la rettifica in questione non sarebbe stata effettuata tra contributi versati dagli operatori e costi sostenuti dall’A.G.Com. nello svolgimento delle attività indicate dall’art. 16, comma 1, Direttiva UE 2018/1972 (come richiesto dal comma 2 del medesimo art. 16), bensì tra contributi versati dagli operatori e i costi sostenuti dall’A.G.Com. nello svolgimento di tutte le attività direttamente e indirettamente rientranti nel settore delle comunicazioni elettroniche.

11.1 La censura in parola non merita positivo apprezzamento.

La sentenza impugnata ha fatto, sul punto, buon governo dei principi elaborati dalla giurisprudenza di questa Sezione (e, segnatamente, della sentenza n. 208 del 12 gennaio 2022), secondo cui il risultato di amministrazione, quale soglia definita in esito all’approvazione del rendiconto di gestione, costituisce, senza automatismo alcuno, una mera guida per la commisurazione del contributo.

Né può pretendersi, del resto, in ossequio al principio contabile di prudenza (che pure impone la creazione di appositi fondi rischi per far fronte ad esborsi non preventivati), che il risultato di amministrazione sia assunto a parametro rigido secondo una logica di perfetto pareggio.

11.2 La determinazione delle eventuali rettifiche costituisce, peraltro, profilo connesso ma non sovrapponibile a quello della stima del contributo. Esse rappresentano, infatti, un posterius tanto da poter avere luogo “durante un esercizio finanziario che non sia immediatamente successivo a quello durante il quale tali diritti sono stati riscossi” (così Corte di giustizia UE, Sez. X, ordinanza 29 aprile 2020, causa C-399/19).

Non sembra peraltro che, almeno allo stato, l’Autorità abbia operato le proprie stime in maniera del tutto slegata rispetto ai propri risultati finanziari e gestionali atteso che , quantomeno nel corso delle ultime annualità, la stessa ha sempre individuato risorse nell’ambito dell’avanzo da destinare alle rettifiche proprio al fine di alleggerire il peso economico del contributo e richiedere agli operatori un contributo inferiore a quello teoricamente necessario per coprire il fabbisogno stimato per l’anno successivo.

Nel dettaglio non pare, sempre allo stato (con valutazione che dovrà essere necessariamente riattualizzata in futuro anche alla luce delle successive evoluzioni del quadro finanziario-contabile dell’ente), assolutamente irragionevole o illogica la scelta, invero discrezionale, dell’Autorità di assumere a riferimento per la parametrazione delle rettifiche la misura di circa un quinto degli importi contributivi effettivamente versati in eccedenza dagli operatori negli anni precedenti. Ciò in particolare alla luce dell’importo del surplus derivante dal prelievo contributivo, non solo considerato in termini assoluti ma anche in relazione alle entrate ed uscite complessive dell’Autorità

(così come, in particolare, risultanti dalla delibera n. 429/21/CONS recante “Bilancio di previsione per l’esercizio 2022 dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni” ed i suoi allegati A e B) nonché dell’esigenza, pure rappresentata dall’Autorità nel provvedimento gravato in prime cure (pag. 8), “di distribuire su più esercizi, in modo graduale, le conseguenti rettifiche, anche al fine di garantire la stabilità nel tempo delle aliquote contributive”.

12. In conclusione, per le ragioni sopra esposte, sia l’appello n. R.G. 6093 del 2023 proposto dall’Autorità che l’appello n. R.G. 6314 del 2023 proposto da Fastweb S.p.A. sono infondati e vanno respinti con conseguente conferma, seppur con diversa motivazione, della sentenza impugnata. Resta, quindi, fermo l’effetto demolitorio di quest’ultima, da ritenersi, invece, integrata sul piano motivazionale, quanto al suo profilo conformativo, dalle statuizioni qui rese al precedente punto 8.

13. Sussistono nondimeno, in ragione della parziale novità e complessità delle questioni affrontate e della reciproca soccombenza, giustificati motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di giudizio tra le parti costituite.

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