TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2023-06-06, n. 202309507

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2023-06-06, n. 202309507
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202309507
Data del deposito : 6 giugno 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 06/06/2023

N. 09507/2023 REG.PROV.COLL.

N. 10191/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOE DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quinta Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10191 del 2017, proposto da -OISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato M E V, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Fabio Massimo n. 60;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

del decreto del Ministro dell'Interno n. -OISSIS- datato 17/7/2017, notificato alla ricorrente in data 2/8/2017, con cui il Ministro dell'Interno ha rigettato la richiesta di cittadinanza italiana della ricorrente;

di ogni altro atto presupposto, precedente, susseguente o comunque connesso o consequenziale.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 21 aprile 2023 la dott.ssa A G e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

I. - La ricorrente ha presentato istanza intesa ad ottenere la concessione della cittadinanza italiana, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992, in data 18 aprile 2011.

II. - Esperita l’istruttoria di rito, l’Amministrazione ha respinto la domanda, ritenendo che non vi fosse coincidenza tra l’interesse pubblico e quello della richiedente alla concessione della cittadinanza.

Dal rapporto informativo della Questura di Modena (all.3), sono risultati i seguenti precedenti penali:

- 21/10/1997 sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (Artt. 444, 445 C.P.P.) del G.I.P. Tribunale di Modena irrevocabile il 02/04/1998, abbandono di minori in concorso, ex artt. 110, 591 comma 1 C.P. (commesso dal luglio 1996 e fino al 9/8/1996), circostanze: art. 591 comma 4 C.P., art. 62 bis C.P. reclusione mesi 2 giorni 20;

- 28/02/2008 decreto penale del G.I.P. Tribunale di Modena esecutivo il 25/03/2008, per il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, di cui all’art. 483 C.P. (commesso il 16/2/2006), multa 1.710,00 euro.

III. – Il ricorso, con cui si deduce l’illegittimità dell’atto impugnato, chiedendone l’annullamento dell’efficacia, è affidato ad un unico articolato motivo di censura:

Violazione di legge ed eccesso di potere per illogicità e per difetto di istruttoria. Carenza di motivazione in relazione ai presupposti per l'applicazione del provvedimento con particolare riferimento alle declaratorie di estinzione dei reati.

IV. - Si è costituito in giudizio il Ministero dell’interno per resistere al ricorso, con mero atto di stile.

V. – Con ordinanza n. 1932/2018 è stata respinta la domanda cautelare per mancanza del requisito del periculum in mora .

VI. – In vista dell’udienza pubblica l’Amministrazione resistente ha depositato documenti del fascicolo del procedimento e una relazione difensiva, contestando nel merito le censure ex adverso svolte e concludendo per il rigetto della domanda di annullamento del diniego impugnato.

VII. – All’udienza straordinaria del 21 aprile 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

I. - Il ricorso è infondato.

II. - Il Collegio reputa utile una premessa di carattere teorico in ordine al potere attribuito all’amministrazione in materia, all’interesse pubblico protetto e alla natura del relativo provvedimento (vedi, da ultimo, TAR Lazio, sez. V bis, n. 2943, 2944, 2945, 3018 e 3471/2022).

L'acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione, che presuppone l'esplicarsi di un'amplissima discrezionalità in capo all'Amministrazione. Ciò si desume, ictu oculi , dalla norma attributiva del potere, l’art. 9, comma 1, della legge n. 91/1992, a tenore del quale la cittadinanza “ può ” - e non “ deve ” - essere concessa.

La dilatata discrezionalità in questo procedimento si estrinseca attraverso l’esercizio di un potere valutativo che si traduce in un apprezzamento di opportunità in ordine al definitivo inserimento dell'istante all'interno della comunità nazionale, apprezzamento influenzato e conformato dalla circostanza che al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti - consistenti, sostanzialmente, oltre nel diritto di incolato, nei “diritti politici” di elettorato attivo e passivo (che consentono, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del Paese di cui si entra a far parte e la possibilità di assunzione di cariche pubbliche) - ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità – consistente nel dovere di difenderla anche a costo della propria vita in caso di guerra (“ il sacro dovere di difendere la Patria ” sancito, a carico dei soli cittadini, dall’art. 52 della Costituzione), nonché, in tempo di pace, nell'adempimento dei “ doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale ”, consistenti nell’apportare il proprio attivo contributo alla Comunità di cui entra a far parte (art. 2 e 53 Cost.).

A differenza dei normali procedimenti concessori, che esplicano i loro effetti esclusivamente sul piano di uno specifico rapporto Amministrazione/Amministrato, l’ammissione di un nuovo componente nell’elemento costitutivo dello Stato (Popolo), incide sul rapporto individuo/Stato-Comunità, con implicazioni d’ordine politico-amministrativo;
si tratta, pertanto, di determinazioni che rappresentano un'esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (vedi, da ultimo, Consiglio di Stato, sez. III, 7.1.2022 n. 104;
cfr. Cons. Stato, AG, n. 9/1999;
sez. IV n. 798/1999;
n. 4460/2000;
n. 195/2005;
sez, I, n. 1796/2008;
sez. VI, n. 3006/2011;
Sez. III, n. 6374/2018;
n. 1390/2019, n. 4121/2021;
TAR Lazio, Sez. II quater, n. 10588 e 10590 del 2012;
n. 3920/2013;
4199/2013).

È stato, in proposito, anche osservato che il provvedimento di concessione della cittadinanza refluisce nel novero degli atti di alta amministrazione, che sottende una valutazione di opportunità politico-amministrativa, caratterizzata da un altissimo grado di discrezionalità nella valutazione dei fatti accertati e acquisiti al procedimento: l'interesse dell'istante ad ottenere la cittadinanza deve necessariamente coniugarsi con l'interesse pubblico ad inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale.

E se si considera il particolare atteggiarsi di siffatto interesse pubblico, avente natura “composita”, in quanto coevamente teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell’identità nazionale, è facile comprendere il significativo condizionamento che ne deriva sul piano dell’ agere del soggetto alla cui cura lo stesso è affidato.

II.1. - In questo quadro, pertanto, l’amministrazione ha il compito di verificare che nel soggetto istante risiedano e si concentrino le qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l’assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprime integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile.

La concessione della cittadinanza deve rappresentare il suggello sul piano giuridico di un processo di integrazione che nei fatti sia già stato portato a compimento, la formalizzazione di una preesistente situazione di “cittadinanza sostanziale” che giustifica l’attribuzione dello status giuridico (in proposito, Tar Lazio, Sez. II quater, sent. n. 621/2016: “ concessione che costituisce l’effetto della compiuta appartenenza alla comunità nazionale e non causa della stessa ”).

In altre parole, si tratta di valutare il possesso di ogni requisito atto ad assicurare l’inserimento in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all’ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato, gravare sulla finanza pubblica (cfr. ex multis , Tar Lazio, Roma, Sez. I ter, n. 3227 e n. 12006 del 2021 e sez. II quater, n. 12568/ 2009;
Cons. Stato, sez. III, n. 104/2022;
n. 4121/2021;
n. 7036 e n. 8233 del 2020;
n. 1930, n. 7122 e n. 2131 del 2019;
n. 657/2017;
n. 2601/2015;
sez. VI, n. 3103/2006;
n.798/1999).

III. - Se, dunque, il potere dell’Amministrazione ha natura discrezionale, il sindacato giurisdizionale sulla valutazione dell’effettiva e compiuta integrazione nella comunità nazionale deve essere contenuto entro i ristretti argini del controllo estrinseco e formale, esaurendosi nello scrutinio del vizio di eccesso di potere, nelle particolari figure sintomatiche dell’inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o difetto di motivazione, con preclusione di un’autonoma valutazione delle circostanze di fatto e di diritto oggetto del giudizio di idoneità richiesto per l’acquisizione dello status di cui è causa;
il vaglio giurisdizionale non deve sconfinare nell’esame del merito della scelta adottata, riservata all’autonoma valutazione discrezionale dell’Amministrazione ( ex multis , Cons. Stato, sez. III, 7.1.2022 n. 104;
Sez. IV, n. 6473/2021;
Sez. VI, n. 5913/2011;
n. 4862/2010;
n. 3456/2006;
Tar Lazio, Sez. I ter, n. 3226/2021, Sez. II quater, n. 5665/2012).

IV. - Alla luce del quadro ricostruito, è possibile ritenere prive di pregio le censure formulate da parte attrice, volte a confutare l’operato dell’amministrazione resistente che ha formulato un giudizio di inaffidabilità e di mancata integrazione nella comunità nazionale desumibile da un complesso di situazioni e comportamenti posti in essere durante la permanenza sul territorio nazionale e in particolare nel decennio antecedente la domanda.

La ricorrente lamenta che la p.a. avrebbe fondato la sua decisione sulla sussistenza di condanne risalenti, per i quali è intervenuta l’estinzione, senza ulteriori accertamenti sul possesso dei requisiti richiesti per l’acquisto della cittadinanza e prescindendo dal livello di inserimento sociale e lavorativo nella Comunità nazionale raggiunto dalla richiedente.

Dalla lettura del provvedimento, il Collegio ritiene che è possibile ricostruire, contrariamente a quanto dedotto nell’atto introduttivo del ricorso, il percorso logico-giuridico che ha condotto l’amministrazione all’adozione di una determinazione sfavorevole per la richiedente, giudicata inaffidabile e non compiutamente integrata nella comunità nazionale.

Nel corso dell’istruttoria è emersa la riconducibilità all’interessata di due condanne per comportamenti – integranti il reato di abbandono di minori (art. 491, comma 4, c.p.) e falsità ideologica del privato in atto pubblico (art. 483 c.p.) - posti in essere a distanza di tempo l’uno dall’altro, il secondo peraltro ricadente nel decennio antecedente il momento di presentazione della domanda, che hanno finito ragionevolmente per riflettersi in maniera negativa sulla formulazione del giudizio prognostico di idoneità da parte dell’amministrazione, chiamata a contemperare l’interesse pubblico composito da tutelare, come in premessa individuato, e l’interesse vantato dalla richiedente, risultato incline a violare le norme poste a fondamento del nostro sistema giuridico.

Come già ripetutamente chiarito da questa Sezione, tale giudizio prognostico è frutto di una valutazione complessa, in cui l’Autorità chiamata a formularlo non si limita a considerare in modo atomistico i singoli precedenti, ma li valuta nel complesso insieme dei loro reciproci rapporti, nella periodicità e reiteratività, nella loro natura: si tratta, appunto, di “indicatori”, cioè di “elementi di fatto” che sono apprezzati, sotto il profilo della loro valenza significativa dell’indole della richiedente, in modo “globale”, trattandosi di esprimere un giudizio “sintetico”, che ha natura di valutazione “d’impatto” (TAR Lazio, sez. V bis, n. n. 3527/2022, 5113/2022, 5348/2022, 6941/22, 7206/22,8206/22, 8127/22, 8131 e 32, 8189/22, 8932/22, 9291/22).

V - Peraltro alla richiedente è stata opposta anche la commissione di un fatto integrante gli estremi di una fattispecie penale particolarmente grave - abbandono di minori di cui all’art. 591, comma 4, c.p. - lesiva di beni giuridici importanti per la tenuta dell’ordinamento e la civile convivenza.

Invero, detta condotta appare ragionevolmente ostativa all’acquisizione del bene della vita richiesto, in quanto suscettibile di mettere in concreto pericolo l’incolumità individuale e il sereno sviluppo dei minori, la tutela della famiglia e rivelatrici di una “ scarsa aderenza ai valori della comunità (cfr. Tar Lazio, Roma, sez. II quater, 15/04/2015, n. 5554) e, nella fattispecie, ancor minore interesse per la concessione dello status civitatis ove non anche scarsa considerazione degli obblighi che si accompagnano a detta concessione ” (cfr. in tal senso Tar Lazio, sez. I ter, n. 5708/2019).

Peraltro, a ciò si aggiunga, ad onta del carattere risalente del fatto, che l’illecito addebitato, essendo punito con la pena che nel suo massimo edittale supera i tre anni di reclusione, rientra nel novero dei reati automaticamente ostativi al rilascio della cittadinanza, di cui all’art. 6, della legge n. 91/1992, che, dettato in materia di cittadinanza iure matrimonii (in cui il richiedente, coniuge di cittadino, vanta un vero e proprio diritto soggettivo), si estende in parte qua necessariamente anche alla fattispecie meno tutelata della cittadinanza per naturalizzazione, in nome dei principi di sicurezza pubblica e civile convivenza sottesi alla stessa.

In altri termini, detta norma definisce espressamente l’ambito delle ipotesi criminose che precludono il conseguimento della cittadinanza richiesta ai sensi dell’art. 5 della legge n. 91/1992 - che costituisce un vero e proprio diritto soggettivo per l’aspirante cittadino (al fine di tutelare l’unità familiare del cittadino italiano) - persino a chi è coniuge del cittadino italiano, salvo l’eventuale successiva sopravvenienza della riabilitazione. Pertanto, l’art. 6 in esame - proprio perché dettata in relazione ad una situazione di maggior favore (in quanto sorretta dall’esigenza di tutela di chi è già cittadino e dell’unità familiare) – va considerata quale norma di tenuta dell’ordinamento che individua gli argini di quell’area del penalmente rilevante travalicati i quali inevitabilmente il potere di valutazione discrezionale dell’amministrazione, giustapposto all’interesse legittimo pretensivo del richiedente lo status, finisce per essere compresso, a tutela delle regole di civile convivenza e dei valori identitari dello Stato.

Ed in questo senso l’art. 6 citato si applica a fortiori anche alla cittadinanza richiesta ai sensi dell'articolo 9, lettera f), della legge n. 91 del 1992 (cfr. Tar Lazio, sez. II quater n. 3582 del 2014;
n. 1833 del 2015), cioè limitatamente alla parte in cui individua i reati immediatamente ostativi alla concessione dello status, in ragione del principio de “ il più contiene il meno ”, per cui se rispetto all’esigenza di tutela dei valori fondamentali dell’ordinamento anche la pretesa a conseguire la cittadinanza da parte del coniuge del cittadino (che – si ribadisce - vanta un vero e proprio diritto soggettivo) si mostra recessiva, a maggior ragione ciò vale nel caso di concessione della cittadinanza per residenza, fattispecie cui il legislatore riserva una disciplina di minor favore.

Solo in presenza della riabilitazione, ai sensi del comma 3 dell’art. 6 in questione, si ha, da un lato, per quanto riguarda la cittadinanza per matrimonio, una riespansione dell’esigenza di tutela dell’unità familiare con automatica rimozione degli effetti ostativi riconnessi alla commissione dei reati specificamente individuati, dall’altro, per quanto riguarda la cittadinanza per concessione per residenza ultradecennale - tenuto conto dell’interpretazione di tipo sistematico fornita costantemente dalla giurisprudenza - un effetto riespansivo che però riguarda l’esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione, non più vincolata da un bilanciamento degli interessi in conflitto compiuto a monte dal legislatore.

È evidente che, alla luce di tale lettura della norma, nel caso di specie, visto che l’istante che ha presentato la domanda di cittadinanza per residenza ultradecennale, è stata condannata per la commissione di un reato automaticamente ostativo, per il quale, a prescindere dalla vetustà, non è intervenuta la riabilitazione, non è possibile censurare l’operato della p.a. che si è determinata in senso sfavorevole.

V.1. - Ciò dimostra anche la non pertinenza della dedotta violazione dell’art. 6, comma 3, in esame da parte del ricorrente che ha evocato l’’intervenuta estinzione dei reati addebitati.

Peraltro, non può essere neppure propugnata l’equiparazione degli effetti dell’estinzione a quelli della riabilitazione, alla luce della giurisprudenza maggioritaria cui questa Sezione aderisce.

In particolare, si rammenta la recente ordinanza cautelare del Consiglio di Stato, sez. III, pubblicata il 24 novembre 2017 n. 5104 che afferma che “ sebbene entrambi gli istituti assicurino al condannato la cessazione degli effetti penali della condanna, non possono però ritenersi sovrapponibili, in quanto solo con la riabilitazione si acquista la certezza dell’effettiva rieducazione del reo poiché l'estinzione ex art. 445 c.p.p. deriva dal solo dato fattuale del mero decorso del tempo. Tale rigorosa interpretazione - resa a proposito della c.d. legge “Severino” sull’incandidabilità alle cariche elettive - risulta assolutamente applicabile anche alla presente controversia, perché in entrambi i casi la normativa di riferimento (là, l’art. 15-comma 2 del D. Lgs. n. 235/2012;
qui, il menzionato art. 6 legge 91/1992) fa esclusiva e tassativa menzione dell’istituto della riabilitazione
” (cfr. Cons. Stato, Sez. III, n. 2552 del 29 maggio 2017). Tale orientamento è stato espresso anche dal Tar Lazio, sez. II quater, nella sentenza n. 1833 del 2 febbraio 2015, secondo cui “ il comma 3 dell'articolo 6 della legge n. 91 del 1992 prevede, inoltre che solo la riabilitazione faccia cessare l'effetto preclusivo della condanna (cfr Cassazione civile sez. VI n. 20399 del 26-9-2014, per cui, la riabilitazione costituisce l'unico rimedio previsto dalla legge n. 91 del 1992, per elidere l'effetto preclusivo dei precedenti penali ai fini dell'acquisto della cittadinanza italiana;
la riabilitazione, infatti, non può essere considerata fungibile, ai detti fini, con altre cause di estinzione del reato, come quella di cui all'art. 460 c.p.p., dalle quali differisce, secondo la giurisprudenza penale di legittimità, per la peculiarità di presupporre - essa soltanto - l'accertamento di un completo ravvedimento del reo)
”. Sulla riabilitazione, infine, è stato osservato dal Tar Lombardia, Brescia, sez. I, nella sentenza n. 1731 del 14 maggio 2010 che “ tutto depone nel senso che la concessione della riabilitazione preveda un accertamento molto più incisivo della effettiva rieducazione e del reinserimento sociale del condannato, che nell'estinzione ex art. 460 c.p.p. manca del tutto. Non è d'altronde un caso se la competenza ad emettere il provvedimento di riabilitazione appartiene al Tribunale di sorveglianza, che ha la finalità precipua di seguire il condannato lungo tutto il percorso della esecuzione della pena e che è integrato anche nella sua composizione da assistenti sociali o altri esperti della materia, laddove l'estinzione ex art. 460 c.p.p. è pronunciata dal giudice dell'esecuzione, che è lo stesso giudice che ha emesso la sentenza di condanna. Né è un caso che il provvedimento di riabilitazione abbia natura costitutiva (proprio perché contiene delle valutazioni discrezionali in ordine all'effettivo reinserimento sociale del condannato), laddove quello ex art. 460 c.p.p. ha natura eminentemente dichiarativa. In definitiva, il provvedimento di riabilitazione ex art. 178 c.p. contiene un quid pluris (ed anzi, un quid particolarmente consistente) rispetto al provvedimento di estinzione emesso ex art. 460 c.p.p. ”.

Invece, sul valore della riabilitazione nell’ambito del procedimento concessorio de quo , il Consiglio di Stato, sez. III, nella sentenza n. 7122 del 21 ottobre 2019 ha altresì chiarito: « In altri termini, mentre gli effetti della riabilitazione sono chiaramente diretti ad agevolare il reinserimento nella società del reo, in quanto, eliminano le conseguenze penali residue e fanno riacquistare all’interessato la capacità giuridica persa in seguito alla condanna;
viceversa, la valutazione che l’Amministrazione è chiamata a compiere per concedere lo status di cittadino ha riguardo principalmente all’interesse pubblico alla tutela dell’ordinamento.

Nel riconoscere la cittadinanza ai sensi dell'art. 9 della l. n. 91 del 1992, pur se intervenuta la riabilitazione, l’Amministrazione è chiamata, comunque, ad effettuare la delicata valutazione discrezionale in ordine alla effettiva e complessiva integrazione dello straniero nella società e l’interesse del richiedente deve essere comparato con l’interesse della collettività sotto il profilo più generale della tutela dell’ordinamento, ovvero con lo scopo di “proteggere il particolare rapporto di solidarietà e di lealtà tra esso e i propri cittadini nonché la reciprocità di diritti e di doveri, che stanno alla base del vincolo di cittadinanza” (Corte di giustizia UE, causa Rotmann, punto 51) ».

Invero, in giurisprudenza è stato altresì costantemente osservato che, in generale, i provvedimenti di riabilitazione, estinzione della pena e persino i provvedimenti collettivi di clemenza non incidono sulla capacità dell’Amministrazione di negare il richiesto status civitatis , proprio perché, al contrario, confermano l’esistenza di un fatto storico adeguatamente accertato e sanzionato dal Giudice Penale, contrario alle regole proprie della Comunità nazionale, consentendo poi l’accesso a misure di ripristino e/o alternative che, sebbene inibiscano la pienezza della sanzione penale, non obliterano la capacità valutativa dell’Amministrazione in sede di accertamento, prognostico e complessivo, dei presupposti di concessione della cittadinanza.

D’altronde, tale conclusione rappresenta il precipitato applicativo del noto fenomeno della “pluriqualificazione” dei fatti giuridici, per cui lo stesso comportamento può assumere diversa rilevanza, sul piano penale, civile, fiscale, amministrativo, etc. a seconda dei settori d’azione, delle materie e delle finalità perseguite, invocato dalla giurisprudenza amministrativa anche in relazione alla circostanza dell’estinzione e della riabilitazione pronunciata dal giudice penale. Difatti, sul piano amministrativo, visto che la valutazione che l’Amministrazione è chiamata a compiere per concedere lo status di cittadino ha riguardo principalmente all’interesse pubblico alla tutela dell’ordinamento, la condotta comunque posta in essere dall’interessato rileva per il particolare valore sintomatico che può assumere in quel procedimento (Consiglio di Stato, Sez. III, 14 febbraio 2022, n. 1057;
id. 28 maggio 2021, n. 4122;
id., 16 novembre 2020, n. 7036;
id., 23 dicembre 2019, n. 8734;
id., 21 ottobre 2019, n. 7122;
id., 14 maggio 2019, n. 3121;
sez. IV, n. 1788/2009, n. 4862/2010;
T.A.R. Lazio sez. V bis, nn. 2944, 4469 e 4651 del 2022;
sez. II quater, n. 10590/12;
10678/2013).

V.2. – L’esaminata condotta ostativa, idonea ex se a giustificare la determinazione dell’autorità procedente di rigettare la domanda di cittadinanza, è stata peraltro valutata congiuntamente alla sussistenza di un ulteriore elemento di controindicazione, rappresentato da un’altra condanna, riferita al reato di falsità ideologica in atto pubblico ex art. 483 c.p., in relazione al quale, anche la circostanza che sia stato posto in essere nel decennio antecedente la domanda assume significatività, se si considera che detto frangente viene considerato quale “periodo di osservazione” in cui devono essere maturati i requisiti per la cittadinanza, inclusi quelli dell’irreprensibilità della condotta (cfr., da ultimo, TAR Lazio, sez. I ter, n. 7926/21, 11876/21;
vedi, da ultimo, TAR Lazio, sez. V bis, n. 2943, 2944, 2945, 2947, 2475, 3027, 3475, 3482, 4236, 4280, 4469, 4618 4621 e 4623 del 2022) - salve, le situazioni di particolare gravità, che possono essere apprezzate nel loro particolare valore “sintomatico” anche oltre il decennio - (cfr. Cons. St., sez. VI, n. 3907/2008;
cfr. Cons. St., sez. VI - 10/01/2011, n. 52;
TAR Lazio, sez. II quater, n. 10678/13, n. 1833/2015;
TAR Lazio, sez. I ter, n. 5917/21;
Consiglio di Stato sez. III n. 7122/2019, Cons. Stato, Sez. I, parere nn. 2478/2018 e 2679/18).

Non può invece concorrere a sorreggere l’avversato provvedimento l’ulteriore elemento ostativo dedotto dall’Amministrazione della dichiarazione non veritiera circa la posizione giudiziaria in sede di domanda di cittadinanza, dato che si tratta di un elemento contestato solo in sede di relazione difensiva e di cui non vi è cenno nella motivazione del provvedimento, pena l’elisione del principio dell’inammissibilità di una motivazione postuma.

VI. – L’inserimento dello straniero nella comunità nazionale è considerato legittimo quando l'Amministrazione ritenga che quest'ultimo possieda ogni requisito atto ad inserirsi in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare inconvenienti o, addirittura, commettere fatti di rilievo penale (cfr. Tar Lazio, sez. II quater, n. 12568 del 2009). Si tratta di una valutazione che rientra nel potere discrezionale della Amministrazione circa il completo inserimento dello straniero nella comunità nazionale, che come detto impedisce al giudice - tenuto conto dei caratteri del sindacato, estrinseco e formale, esercitabile in subiecta materia - di spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio e della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione (cfr. Cons. Stato sez. VI, 9 novembre 2011, n. 5913;
Tar Lazio, sez. seconda quater, 19 giugno 2012, n. 5665) nonché della logicità e ragionevolezza della stessa. E nel caso in esame siffatti vizi non sembrano predicabili.

Ne deriva che l’invocata integrazione nel tessuto sociale italiano dell’interessata non assume rilevanza dirimente, visto che, come questa Sezione ha più volte chiarito, lo stabile inserimento socio-economico non rappresenta un elemento degno di speciale merito, in grado di far venir meno i constatati motivi ostativi alla concessione dello status anelato, esso è solo il prerequisito della richiesta di cittadinanza, in quanto presupposto minimo per conservare il titolo di soggiorno, che autorizza la permanenza dello straniero sul territorio nazionale ( ex multis , Tar Lazio, Sez. V bis, nn. 2945 e 4295 del 2022).

L’inserimento sociale e professionale dell’istante rappresenta un elemento sintomatico di una raggiunta situazione di normalità che consente la permanenza dello straniero in Italia, ma non consiste in una particolare benemerenza tale da indurre la Pubblica Amministrazione a ritenere l’interesse pubblico ad integrare nella comunità nazionale un elemento se ha dimostrato di non condividerne i fondamentali valori di solidarietà e sicurezza.

In altre parole, si richiede che l’istante sia non solo materialmente in condizioni di effettivo inserimento nella società italiana, ma che sul piano dei valori mostri, indefettibilmente, una convinta adesione ai valori fondamentali dell'ordinamento di cui egli chiede di far parte con il riconoscimento della cittadinanza.

VII. – In ogni caso, si tenga conto che il diniego della cittadinanza non preclude la possibilità di ripresentare l’istanza nel futuro (già dopo un anno dal primo rifiuto), per cui le conseguenze discendenti dal provvedimento negativo sono solo temporanee e non comportano alcuna “ interferenza nella vita privata e familiare del ricorrente ” (art. 8 CEDU, art. 7 Patto internazionale diritti civili e politici) - dato che l’interessata può continuare a rimanere in Italia ed a condurvi la propria esistenza alle medesime condizioni di prima. Quindi, per il provvedimento impugnato, con cui, nel bilanciamento degli interessi pubblici e privati in gioco, si è ritenuto recessivo l'interesse del privato ad essere ammesso come componente aggiuntivo del Popolo italiano, l’irragionevolezza è altresì esclusa alla luce della circostanza che il diniego di cittadinanza provoca il solo svantaggio temporale sopraindicato, il quale risulta “giustificato” ove si consideri la rilevanza degli interessi in gioco e l’irreversibilità degli effetti connessi alla concessione dello status di cittadino. Da tale punto di vista, infatti, risulta inopportuno ampliare la platea dei cittadini mediante l'inserimento di un nuovo componente ove sussistano dubbi sulla sua attitudine a rispettare i valori fondamentali per la comunità di cui diviene parte essenziale con piena partecipazione all’autodeterminazione delle scelte di natura politica.

VIII. - Il Collegio ritiene, alla luce di tutto quanto osservato, il provvedimento impugnato supportato da una adeguata indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che ne hanno determinato l'adozione in relazione alle risultanze dell'istruttoria, avendo l’Amministrazione valutato correttamente tutti fatti occorsi e risultando chiaro il percorso logico giuridico seguito dall'Autorità emanante.

IX. - In conclusione, per quanto osservato, il ricorso deve essere respinto perché infondato.

X. - Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

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