TAR Roma, sez. 2B, sentenza 2023-03-13, n. 202304437

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2B, sentenza 2023-03-13, n. 202304437
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202304437
Data del deposito : 13 marzo 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/03/2023

N. 04437/2023 REG.PROV.COLL.

N. 11959/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 11959 del 2018, proposto da
Liquidazione Giudiziale dei beni ceduti dalla Servizio Segnalazioni Stradali S.p.A. in Liq. e C.P., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato A P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Liegi, 32;

contro

Comune di Borgorose, in persona del Sindaco, legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato L C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Consorzio per lo Sviluppo Industriale della Provincia di Rieti, non costituito in giudizio;
Ufficio Territoriale del Governo Rieti, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la condanna

del Comune di Borgorose al rilascio in pristino dello stabilimento di proprietà della Servizio Segnalazioni Stradali S.p.a. in Liquidazione e in Concordato Preventivo;
nonché al risarcimento del danno subito e subendo a causa dell'adozione dell'ordinanza di requisizione del Sindaco di Borgorose n. 13 del 16 aprile 2013, dichiarata illegittima dalla Sentenza TAR Lazio – Roma, Sez. II-bis, 1 marzo 2018, n. 2302.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Borgorose e dell’Ufficio Territoriale del Governo di Rieti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 febbraio 2023 il dott. Salvatore Gatto Costantino e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Parte ricorrente, liquidatore della ditta in epigrafe, in concordato preventivo di fronte alla Sezione Fallimentare del Tribunale di Roma, espone che, nello svolgimento delle attività di vendita dei beni aziendali volta a massimizzare le somme di realizzo da ripartire, si vedeva impedire l’alienazione del cespite più importante del compendio, costituito dallo stabilimento distinto in Catasto al foglio 92, particella 250, sito in Borgorose, per effetto della requisizione di tale immobile disposta dal Comune con l’ordinanza nr. 13 del 16 aprile 2013, ricevuta il 4 giugno 2013. Quest’ultima, nella prospettiva di un acquisto del compendio immobiliare da parte del Comune che era stata oggetto di precedenti iniziative, non andate a buon fine per ragioni più ampiamente esposte in ricorso, disponeva la “ requisizione in uso” dell’immobile, al fine di istituirvi un centro di raccolta RSU (come da progetto esecutivo approvato con delibera di CC n. 32 del 7.2.2012, che parte ricorrente non conosceva).

Precisa parte ricorrente che, nell'agire ai sensi del combinato disposto degli artt. 50 e 54 del T.U. 18 agosto 2000, n. 267, il Sindaco si limitava laconicamente a richiamare la (non dimostrata) " necessità ed urgenza di dover disporre con decorrenza immediata di un centro di raccolta " e la circostanza per cui " tale ecocentro eviterà al territorio l'abbandono indiscriminato di rifiuti ". In data 17 giugno 2013 il Comune di Borgorose dava esecuzione all'Ordinanza, immettendosi nel possesso dell'intero Stabilimento e dando inizio ai lavori di riparazione del tetto.

Impugnata l’ordinanza da parte della ricorrente di fronte a questo TAR, il ricorso veniva accolto con sentenza n. 2302 del 1 marzo 2018, che annullava la predetta requisizione in quanto disposta in assenza dei presupposti di legge.

Nonostante l’esito favorevole alla ricorrente del giudizio, il Comune non rilasciava l’opificio requisito, disattendendo anche specifiche diffide del legale dei ricorrenti e proseguendo nell’attività di servizio alla quale aveva destinato l’immobile, tanto da aver richiesto alla Regione Lazio - Direzione Risorse Idriche, Difesa del suolo e Rifiuti con nota prot. n. 6980 del 5 ottobre 2017 il contributo regionale, previsto dal D.G.R. 13 luglio 2017 n. 408 e dalla L.R. 9 luglio 1998 n. 27, per la realizzazione di un progetto per la realizzazione dei centri di raccolta e delle isole ecologiche a supporto della raccolta differenziata dei rifiuti urbani denominato “ Acquisizione proprietà dell’immobile e manutenzione straordinaria di un centro di raccolta esistente nel comune di Borgorose ”.

Pertanto, con l’odierno ricorso, la Società Servizio Segnalazioni Stradali ha proposto azione di condanna delle parti intimate, ex art. 30 del c.p.a., per effetto dell’illegittimo sacrificio imposto dal Comune di Borgognone con l’ordinanza nr. 13/2013, chiedendo l’immediato rilascio dello Stabilimento ed il risarcimento del danno subito.

Argomenta, a sostegno dell’azione, circa il diritto al rilascio in pristino dello stabilimento ed al risarcimento del danno ex art. 30 c.p.a. e 42 bis, comma 3, del DPR n. 327/2001;
formula istanza di CTU ex art. 67 c.p.a. per la quantificazione del danno;
in via subordinata, chiede la condanna alla corresponsione dell’indennità di requisizione ex art. 42, comma 3 della Cost., dell’art. 834 del cod.civ., dell’art. 7 della l. n. 2248/1865;
quantifica il danno risarcibile nella misura di Euro 1.293.260,70 ovvero in quella maggiore o minore ritenuta di giustizia, anche eventualmente previo esperimento di apposita C.T.U.

Si sono costituiti in giudizio sia il Comune intimato, che l’Ufficio Territoriale del Governo che resistono al ricorso;
il primo, con propria memoria ex art. 73 c.p.a., oppone alle domande di parte ricorrente quanto segue.

Precisa il Comune che con l’ordinanza nr. 13/2013 l’occupazione era stata disposta in ordine a solo una parte del compendio immobiliare di cui si discute, il cui utilizzo completo non sarebbe possibile essendo già condotte, in altre parti, attività di terzi. Le ragioni di urgenza che hanno indotto l’Ente ad intervenire mediante l’ordinanza indicata, andavano ravvisate nella necessità di porre fine ad una critica situazione di abbandono di rifiuti ingombranti lungo le strade pubbliche del territorio comunale (contesto sulla descrizione del quale la difesa dell’Ente si sofferma diffusamente).

Il difensore del Comune riferisce che, dopo la creazione del centro di raccolta, il problema dell’abbandono dei rifiuti ingombranti è stato completamente debellato e la raccolta differenziata dei RR.SS.UU. si è attestata al 65%. La ragione principale in virtù della quale il Comune di Borgorose ha, dapprima requisito parte dell’immobile industriale, e, successivamente, ha mancato di ottemperare alla sentenza n. 2302 dell’01.03.2018 emessa dal T.A.R. Lazio, sarebbe così da rinvenire nella imprescindibile esigenza di tutela della salute pubblica. Soccorrerebbe altresì la circostanza, sulla quale pure si sofferma la difesa dell’Ente, della mancata vendita del cespite all’Ente da parte del liquidatore che pure aveva avanzato per primo (nota del 20.11.2012) una proposta di alienazione. Inoltre, il mancato rilascio del capannone industriale da parte del Comune non avrebbe arrecato alla Liquidazione alcun nocumento, avendo l’Ente contribuito alla sua conservazione e custodia (così aumentandone il valore), posto che antecedentemente all’intervento comunale il cespite risultava in stato di abbandono e di pessima conservazione (gli interventi effettuati dal Comune ammonterebbero ad un valore di 80.000,00 euro) e che la creazione del centro di raccolta non avrebbe comportato alcuna modifica strutturale dei luoghi. La mancata vendita del cespite, da parte della procedura giudiziaria, sarebbe da imputare all’erronea valutazione del suo prezzo, che se fosse corrispondente al reale valore di mercato (che l’Ente sostiene di aver osservato nelle sue proposte) avrebbe invece facilitato e reso possibile la vendita.

Non sussisterebbero poi i requisiti ulteriori della responsabilità aquiliana non avendo la Liquidazione ricorrente dimostrato che il Comune abbia agito con dolo o in colpa.

La misura dell’indennità sarebbe erronea e sproporzionata, essendo parametrata su quello che i consulenti della Liquidazione considerano il giusto valore di mercato, che però è proprio la ragione per la quale non è stato ancora possibile procedere all’incanto, essendo manifestamente sproporzionato il relativo calcolo;
il Comune si sofferma su un calcolo alternativo del valore effettivo, fondato su dati di vendita di immobili in medesime condizioni e vicine a quello di riferimento. Non sarebbe poi dovuta l’indennità da requisizione, poiché parte resistente è sempre stata disponibile all’acquisto del capannone ma non ha mai ottenuto da parte del curatore fallimentare né dal Tribunale di Roma presso cui pende la procedura fallimentare un riscontro.

Le parti hanno scambiato memorie e documenti.

Nella pubblica udienza del 14 febbraio 2023, la causa è stata trattenuta in decisione.

Nell’odierno giudizio, le parti deducono in ordine alla legittimità della requisizione di un compendio immobiliare, che, secondo parte ricorrente, sarebbe ancora in capo all’Ente che l’aveva disposta, nonostante sia stato annullato il relativo provvedimento in sede giurisdizionale.

Ai fini della risoluzione del giudizio, il Collegio richiama la decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nr. 5625/2009 la quale ha affermato: “ Nel caso di requisizione in uso di un bene immobile di proprietà privata, le domande di risarcimento del danno consequenziale alla dedotta illegittimità del provvedimento e di quello derivante dalla perdurante occupazione dopo la scadenza del provvedimento, appartengono entrambe alla giurisdizione amministrativa, in quanto la compressione della situazione soggettiva del titolare dell'immobile trova origine nell'ordinanza di requisizione, il cui annullamento, facendo venir meno retroattivamente il titolo che giustificava l'occupazione del bene, travolge la distinzione tra la situazione anteriore e quella successiva alla scadenza del termine previsto nell'ordinanza medesima, configurandosi l'occupazione per entrambi tali periodi come "usurpativa", essendo unico il danno sofferto dal privato, che trova la propria causa prima nella requisizione illegittimamente disposta ed altrettanto illegittimamente sviluppatasi nel tempo. Non è quindi necessario frazionare la pretesa risarcitoria in due distinte domande da rivolgersi, rispettivamente, al g.a. ed al g.o., opponendosi ad una siffatta conclusione sia le esigenze di concentrazione ed accelerazione processuale insite nella disciplina introdotta in tema di giustizia amministrativa dagli art. 34 e 35, comma 4, d.lg. 31 marzo 1998 n. 80 (come sostituito dall'art. 7, lett. b, l. 21 luglio 2000 n. 205, ed alla luce di quanto disposto dalla sentenza della Corte cost. n. 204 del 2004), sia il principio di ragionevole durata del processo, enunciato dal comma 2 dell'art. 111 cost ”.

A tale orientamento si è adeguato il Consiglio di Stato (sez. VI, 07/05/2010, n.2666), secondo cui “ La domanda di restituzione del terreno requisito e di risarcimento del danno per l’indebito protrarsi dell’occupazione di un immobile ricade nella giurisdizione del g.o., ove il vincolo posto dall’ordinanza di requisizione sia divenuto inefficace per la scadenza del termine stabilito nell’ordinanza medesima. Ben diversa, invece, ai fini della corretta individuazione del giudice, sarebbe l’ipotesi in cui, a fronte della requisizione in uso di un bene immobile di proprietà privata, il privato, avendo impugnato l’ordinanza di requisizione e avendone ottenuto l’annullamento giurisdizionale, proponga domanda di risarcimento avente ad oggetto il danno consequenziale alla dedotta illegittimità del provvedimento oltre che quello derivante dalla perdurante occupazione dopo la scadenza del provvedimento. Tali domande sarebbero infatti in tal caso vagliabili dal giudice amministrativo. Ciò in quanto la compressione della situazione soggettiva del titolare dell’immobile troverebbe origine nell’ordinanza di requisizione, il cui annullamento, facendo venir meno retroattivamente il titolo che giustificava l’occupazione del bene, travolge peraltro la distinzione tra la situazione anteriore e quella successiva alla scadenza del termine previsto nell’ordinanza medesima, configurandosi l’occupazione per entrambi tali periodi come "usurpativa", essendo unico il danno sofferto dal privato, che trova la propria causa prima nella requisizione illegittimamente disposta ed altrettanto illegittimamente sviluppatasi nel tempo

Il descritto orientamento comporta che, se il provvedimento di requisizione non viene impugnato la domanda risarcitoria riguardante il perdurante stato di occupazione oltre la scadenza del provvedimento, e affidata alla giurisdizione del G.o.;
ove invece la fattispecie trovi origine in un provvedimento di requisizione che è stato impugnato ed annullato, il danno conseguente viene tutto inteso come generato dal provvedimento impugnato ed annullato e, nonostante tutto il periodo di occupazione sia precedente che successivo all’annullamento venga considerato come usurpativo , la giurisdizione rimane del giudice amministrativo.

Nel merito, sostiene parte ricorrente che, al fine di determinare il dovuto, dovrebbe trovare applicazione l’istituto dell’art.42 bis del DPR n. 327/2001.

La tesi è corretta, sebbene ne derivi la conseguenza che non può statuirsi circa il risarcimento del danno, come parte ricorrente deduce.

Invero, in giurisprudenza ha trovato conferma l’applicabilità dell’art. 42 bis del DPR n. 327/2001 alla fattispecie della mancata restituzione di un bene (già) requisito mediante un provvedimento poi annullato in s.g.;
sul punto, si rinvia alla decisione del Consiglio di Stato, 19 aprile 2022 n.2922, secondo la quale “ in caso di utilizzazione di un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, non è possibile condannare sic et simpliciter la pubblica amministrazione, in assenza di un giudicato restitutorio, alla restituzione dell'area occupata, dovendosi previamente concedere all'amministrazione un congruo termine per decidere, nell'esercizio della propria discrezionalità, se procedere alla restituzione dell'area, previa sua rimessione in pristino stato, oppure se adottare il provvedimento acquisitivo ai sensi dell'art. 42-bis del d.p.r. n. 327/2001, qualora sussistano i presupposti di legge (cfr. Cons. Stato, ad. plen., sent. n. 2 del 2016, n. 2 del 2020, n. 3 del 2020, n. 4 del 2020)”.

Invero, la formulazione dell’art. 42 bis del DPR n. 327/2001 (“ Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico ”) è certamente idonea a ricomprendere all’interno dei suoi effetti ogni ipotesi nella quale l’utilizzazione con la modifica del manufatto avvenga per scopi di pubblica utilità da parte di una PA in assenza di un valido titolo ablativo (definitivo, come l’espropriazione, o temporaneo, come la requisizione).

Nel caso di specie, la modifica del manufatto è derivata dal suo impiego come centro di raccolta dei rifiuti, come descritto in atti;
e l’utilizzo del bene per scopi di pubblica utilità senza titolo è elemento della fattispecie che risulta dall’avvenuto annullamento del titolo, in sede giurisdizionale.

Sussistono dunque tutte le ragioni per applicare alla fattispecie la disciplina dell’art. 42 bis del DPR 327/2001.

Tenuto conto di ciò, secondo la ormai pacifica giurisprudenza sull’istituto (v. TAR Lazio, Roma, II bis, 22 maggio 2022, nr. 5915, ed anche i riferimenti ivi contenuti a TAR Reggio Calabria, 28 aprile 2022, nr. 294;
TAR , Milano, sez. III , 3 giugno 2021 , n. 1371;
TAR Reggio Calabria n. 590 del 9 ottobre 2019 e n. 628 del 22 ottobre 2018, nonché le sentenze n. 2 e n. 4 del 2020 dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato), dall'illegittima occupazione causata dalla sopravvenuta inefficacia del decreto di occupazione d'urgenza ed in assenza di un procedimento espropriativo o di requisizione conclusosi con un regolare e tempestivo atto ablatorio, discende l'obbligo per l'Amministrazione di sanare la situazione di illecito venutasi a creare, in via alternativa:

- o attraverso la restituzione dell’immobile, previa riduzione dello stesso in pristino e corresponsione del risarcimento del danno anche per il periodo di illegittima occupazione;

- o tramite l'emanazione di un decreto di acquisizione sanante ex art. 42 bis del d.P.R. n. 327/2001, con corresponsione del relativo risarcimento secondo i paramenti ivi disciplinati, applicabile anche alle situazioni pregresse (in tal senso Corte Cost. n. 71/2015).

Allo stesso modo, non risulta neppure esclusa la possibilità che tra le parti intervenga una definizione contrattuale dell'assetto proprietario del bene, nonché in ordine al ristoro dei danni derivanti dall'occupazione illegittima subita.

Quanto alla commisurazione del dovuto, si osserva che nell’eventuale adozione di un decreto di acquisizione sanante ex art. 42 bis del DPR 327/2001, dovrà tenersi conto delle risultanze procedimentali già acquisite, come eventualmente corrette in sede di procedimento (da svolgersi nel contraddittorio con la parte interessata, secondo le normali garanzie di partecipazione) e dovrà essere osservata la commisurazione di legge;
in tale sede andrà accertata, in contraddittorio, l’effettiva occupazione (essendo contestato l’ambito dei locali utilizzati dall’Ente) e lo stato di conservazione dell’immobile, con ogni ulteriore elemento attinente le eventuali addizioni o miglioramenti che l’Ente afferma di aver apportato alla struttura.

In ordine all’ effettivo ammontare della misura del risarcimento ex art. 42 bis del DPR 380/2001 (che parte ricorrente prospetta sulla base del valore che essa stima del compendio, pari ad euro € 4.865.000,00 e che il Comune contesta), non v’è luogo a procedere nella odierna sede di giudizio sia perché la liquidazione presuppone la scelta in ordine all’acquisizione o alla restituzione;
sia perché, soprattutto, questo giudice non è fornito di giurisdizione in proposito.

Invero, nelle more del presente giudizio, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato che “ sono devolute al giudice ordinario e alla corte d'appello in unico grado, le controversie sulla determinazione e corresponsione dell'indennizzo dovuto per l'acquisizione del bene utilizzato dall'autorità amministrativa per scopi di pubblica utilità ex art. 42-bis d.P.R. n. 327 del 2001, in considerazione della natura intrinsecamente indennitaria del credito vantato dal proprietario del bene e globalmente inteso dal legislatore come unicum non scomponibile nelle diverse voci, con l'effetto non consentito di attribuire una diversa ed autonoma natura e funzione a ciascuna di esse. Di conseguenza, l'attribuzione di una somma forfettariamente determinata a titolo risarcitorio vale unicamente a far luce sulla genesi di uno degli elementi, cioè il mancato godimento del bene per occupazione senza titolo del cespite da parte dell'amministrazione, che vengono in considerazione per la determinazione dell'indennizzo in favore del proprietario il quale non fa valere una duplice legittimazione di soggetto avente titolo ora a un indennizzo ora a un risarcimento di un danno scaturito da un comportamento contra ius dell'amministrazione. ” (Cass.

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